Capitolo 22
"Questo stronzo ci farà la festa..." biascicò Daniela, tremolante per il terrore.
La lama ruotava, affilatissima, ad una velocità pazzesca, cigolando talvolta.
"Restiamo immobili o ce la diamo a gambe?" chiese Ethan, mezzo sarcastico e mezzo paralizzato dal panico.
Sapevo che entrambi si stavano riferendo a me, eppure la paura mi bloccava dal reagire in qualunque modo: avevo disconnesso il cervello.
Quel mostro mi inquietava più di tutti quelli visti in precedenza, perché avrebbe potuto ridurci a brandelli solo sfiorandoci appena.
Se volevamo salvare la pelle, di certo l'iniziativa più saggia era fare i minimi movimenti e tenere d'occhio i dettagli.
Inevitabile, di certo, era la probabilità che uno di noi tre venisse preso di mira: più facile per lui sarebbe stato infatti concentrarsi su una singola mira, inseguendo quella e risparmiando gli altri due.
Tuttavia bastava beccarci in linea per farci fuori con un colpo netto di motosega: le nostre teste sarebbero ruzzolate in terra ancora prima che potessimo accorgerci di essere morti.
"Daniela, ti prego, svanisci in una nuvola di pipistrelli e portaci con te." chiesi quasi implorando all'amica.
Sapevo che fosse un'idea vigliacca e scorretta, ma non eravamo oggettivamente nelle forze di sostenere un simile combattimento, io soprattutto, che non ero mai stata allenata né ad usare i miei poteri né a combattere.
Afferrammo le nostre mani a vicenda, pregando in qualche istante di tempo vuoto in cui tagliare la corda con un'uscita di scena.
Appena la motosega raggiunse la mia caviglia, i nostri corpi si volatilizzarono, lasciando spazio ad un branco di piccoli mammiferi volanti.
"Dobbiamo occuparci per forza anche di lui?" chiese Ethan una volta scampato il pericolo.
"Non ne ho la minima certezza, ma deduco sia sufficiente distruggere Heisenberg per porre fine a questo abominio."
Mentre lo dissi ragionai sull'intenzione di eliminare Karl per sempre ed essere una spalla su cui piangere per Alcina. Odiavo vederla soffrire, ma in caso dovesse per forza stare male, speravo lo condividesse e riservasse solo alla mia spalla.
"Ti amo, cara." sussurrai al vento senza lasciare che i compagni mi sentissero. Solo io, lei e il mondo che ci vede e ci ignora.
"Pensierosa?" domandò Daniela appoggiandomi una mano sulla spalla e sporgendosi di fronte a me per analizzare la mia espressione facciale assorta e turbata. In cortile, ormai fuori pericolo, l'espressione sua era mutata di gran lunga: sembrava che quel mostro non fosse mai neanche lontanamente esistito.
"Ginevra? Non mi rispondi?"
Scossi la testa: "Dobbiamo muoverci sul serio. Devo assicurarmi che Alcina non subisca alcun danno. Non so cosa sarei capace di fare se le accadesse qualcosa di brutto..."
Daniela annuì, Ethan non disse nulla, probabilmente acconsentì in silenzio, ma non era per nulla convinto.
"Allora è meglio che le nostre strade si dividano, almeno per il momento." proferì lui, per poi uscire da cancello esterno e svanire in mezzo alla nebbia.
Cosa cazzo stava succedendo? Mi domandai senza sapermi dare una risposta concreta, plausibile.
Decisamente non c'era più nulla di reale là in mezzo, nulla che fosse possibile prevedere.
Corsi lungo il perimetro della fabbrica. Non m'importava se Daniela mi stesse seguendo o meno: avevo altre priorità.
E mentre i miei piedi scalpitavano l'uno dopo l'altro, talmente veloci da sfocare le loro forme, interrogavo la mia creatività su un nuovo modo di esprimere i miei sentimenti al suo cospetto.
Dovevo fare qualcosa di grandioso al punto tale da distrarla da Heisenberg. Forse era bassa la mia autostima, lo ammetto, ma temevo davvero di non essere abbastanza per quella donna.
Vedevo la mia figura scadere nella sua testa come un barattolo di pelati lasciati aperti sulla credenza troppo a lungo... Chissà se cercava qualcosa di nuovo che non la nauseasse con i ricordi passati...
Odiavo la mia stupida testa: quei pensieri negativi assillanti, rindondanti, intenti a distruggermi pezzo per pezzo, corrodere il mio cuore.
"Ti amo Alcina" con il tono può dolce che riuscissi a concepire.
"Sei l'amore della mia vita." detto in maniera distaccata, ma decisa.
"Credo che non troverò mai una donna che raggiunga anche la metà del tuo lavoro..." esagerando con l'esasperazione melodrammatica.
Tutto suonava così riciclato. Le mie orecchie avrebbero sanguinato a sentire solo una parola di più.
Eppure l'amore cos'era se non la ripetizione di termini che rincuorassero il prossimo ed esprimessero un sentimento per convenzione?
M'impuntai dinnanzi a lei. La scrutai a distanza, notai che Heinsenberg era sempre nella stessa posizione.
Rivolse lo sguardo lentamente su di me, sentii la tensione salire come la prima volta. Era come se stessimo ricominciando tutto da capo.
Sembrava troppo facile, anche solo pensando al potere di Daniela, che ci aveva salvato la pelle in maniera codarda più volte.
A tal proposito ebbi un'intuizione: la mia mente rifletté sugli accaduti precedenti.
Attesi che arrivasse prima di iniziare a parlare con qualcuno.
Quando giunse di corsa vicino a me, col fiatone, le posi una domanda scomoda a cui avevo grande piacere rispondesse.
"Se ora sei riuscita a salvarci il culo" dissi proprio 'culo', intenta a suonare volgare e stizzita "davanti a quel mostro. Come spieghi quello che non hai fatto ieri?"
Non capiva, o non voleva capire. Magari non ricordava.
"Daniela, ci hai salvato la pelle poco fa. Perché non farlo anche in Casa Beneviento?"
Sapevo che Alcina e Karl potevano ascoltarci (infatti lo stavano facendo), ma non me ne fregava nulla. Volevo una risposta.
"La tua intenzione era cercare di farci morire?"
"NO! Altrimenti non avrei attivato l'ascensore, non credi?"
"Lo hai attivato perché c'era Donna con te e hai scoperto che aveva un movente valido tanto quanto il nostro per odiare Miranda."
Mi scappò, ma fu troppo tardi quando me ne accorsi... Il volto della mia amata mutò, divenne nuovamente perso. Causai una sua ricaduta morale. Io che volevo solo proteggerla... Mi sentivo un fallimento più che mai.
Daniela spiegò le braccia e scosse il capo: "Mi dici che ti prende?!?! Così, all'improvviso? Solo perché sei gelosa di mio padre non devi cagare il cazzo a tutti!" sbraitò con la forza iraconda della madre "Questa storia è ridicola, Ginevra. Fai pace col cervello o io rinuncerò a seguirti ovunque vada e a fare da mediatrice con la tua amante." alché si voltò verso Alcina "Ma chi te l'ha fatto fare di metterti in questo casino?"
Quell'atmosfera squallida coronò la mia figura penosa. Tuttavia non mollai l'osso: l'orgoglio della giustizia era troppo grande.
"Mi stai forse attaccando perché ti senti minacciata? So cosa si prova, non puoi ingannarmi su questo... rifiuto di darti ancora per un singolo istante la mia fiducia."
Alcina s'intromise prima che la figlia potesse ribattere alle mie provocazioni. Pose la mano destra sulla mia spalla e fece forza: "Cosa significa tutto questo? Quale pericolo? Perché confabulate contro Madre Miranda?"
"Perché ci ha ridotto tutti a sporchi burattini senza personalità, privandoci completamente del nostro valore! Oltremodo scorcentante è il fatto che tu continui a pendere dalle sue labbra come una cagna in calore. Almeno ne sei consapevole o devo arrivare io per aprirti finalmente gli occhi?"
Ci voltammo tutte e tre verso Heisenberg, ancora in terra, ma rinsavito col suo animo pungente.
Gli lanciai un'occhiata terrificante: "Pensa per te, coglione! Sei a terra da mezza giornata, battuto da un essere umano senza alcuna dote e pure mutilato. Proprio non ti vergogni a sminuire una persona migliore di te in una condizione simile, eh? Davvero imbarazzante... senza alcun senso del pudore."
Ridacchiai. Era come se qualcosa stesse parlando al posto mio, magari Gerda e la sua acidità mi avevano inzuppato il cervello in quella cattiveria gratuita.
Tuttavia non mi pentii di averla riversata su di lui: la stima per quell'uomo era precipitata nuovamente.
Lo abbandonammo in quelle condizioni, non alzai neanche un dito per supportarlo e Alcina finalmente comprese il mio astio.
Tutto tornò normale grazie a quell'attacco di rabbia che l'aveva fatto sbottare.
È proprio vero che si può fingere di essere qualcun altro quanto si vuole, ma le radici rimangono ben aderenti e non possono essere tagliate.
"Sono contenta di averci dato un taglio..."
"Senti, Ginevra. Non so cosa intendeste tu e mia figlia parlando di Miranda, ma sappi che non ne terrò conto: fingerò che non sia accaduto nulla pur di non nuocere al nostro bel rapporto. Come avrai appreso durante questo lungo soggiorno al castello, io non sono una donna magnanima o eccessivamente empatica, però sento qualcosa nei tuoi confronti che riattiva in me quella parte umana che credevo di aver ormai perduto per sempre. Vederti ridere, piangere, soffrire, gioire mi arreca speranza e fierezza; sono orgogliosa di stare con una persona che è consapevole di quello che prova e non si vergogna di essere se stessa. Un ruolo simile ti fa più che onore."
"Non sai quanto sia importante per me il tuo rispetto... è la chiave del successo personale. L'amore è un'occasione che chiunque dovrebbe potersi trovare davanti nel corso della vita."
L'accarezzai in volto, sulla punta del mento, le sfiorai il naso, le estremità degli zigomi.
Il cocchiere, stanco di attendere ancora a causa dei nostri preliminari prolissi, ci lanciò un fischio d'incitazione.
Sorridemmo entrambe con gli occhi lucidi ed assecondammo la fretta del dipendente.
Al castello non mi preoccupai di riallacciare i rapporti con Daniela, anzi, mi dileguai in stanza con sua madre, perdendola completamente di vista.
Io e Alcina cogliemmo la chance di riprendere le coccole da dove ci eravamo interrotte: arrotolai l'indice nei suoi capelli, seguendo le curve dei boccoli color ebano.
Le sue braccia mi avvolsero la schiena, sentii i suoi morbidi palmi scaldare la mia spina dorsale.
Quel tepore mi faceva realmente sentire a casa, in un posto sicuro ed accogliente.
Come avrei voluto che quegli attimi fossero meno fuggenti, destinare tutta la mia vita a divertirmi nel letto con quella donna, così speciale da essere unica.
Le ispezionai i fianchi passandoci entrambe le mani molto lentamente. Scendendo la guardavo con fare seducente e lei ricambiava al meglio: amavo in suo sguardo predatorio, sempre all'erta, ammaliante per chiunque lo incrociasse volente o nolente.
"Oh, quanto mi piaci!" le sussurrai mantenendo gli occhi fissi sul suo addome.
Quella parte del corpo mi attirava in maniera diversa, era come se fosse un mondo a parte: forse il pezzo più confortevole, arrecava agio e voglia di appoggiarci la testa.
"Sono certa di non deluderti neanche questa volta!" si morse il labbro inferiore, divaricò le gambe e si accarezzò lentamente le cosce: avanti e indietro, su fronte e retro, con movimenti circolari.
La sua pelle, oltre a profumare costantemente, aveva un colorito candido, ricordava la porcellana: sembrava una bambola in carne ed ossa da tanto che la sua bellezza era ammaliante.
"Vuoi un pezzo di me. Lo vedo, lo percepisco nelle vene."
"Ti voglio tutta, voglio sbranare il tuo corpo interamente: è diverso." le risposi col sorriso stampato sulle labbra.
Non desideravo nient'altro se non quella tranquillità, quel sentimento così intenso da penetrare nelle pareti, lasciare un segno indelebile tra le mura di quel castello che avrebbe persistito all'infinito.
Quella luce che vedevo quando Alcina mi stava davanti era così abbagliante, mi faceva sognare oltre i confini di ogni mondo: creava una dimensione tutta nostra in cui coccolarci nella pace assoluta.
"Ti strapazzerei come le uova a colazione per poi condirti con tanto sale."
"Non ero dolce?" scherzò mostrando quei canini lucidi.
Scossi il capo: "Preferisco sicuramente il salato, cherié. Tuttavia ti posso identificare tranquillamente come l'unico dolce che non vedo l'ora di mangiare quando ce l'ho sotto il naso..." abbassai lo sguardo dal suo volto, concentrandomi su quel che stava più giù "...sotto il naso o sotto mano."
Ridemmo insieme. Amavo quella complicità casuale; non si poteva comprare, era la natura della combinazione del destino: un amore audace che non aveva lasciato spazio ad imposizioni esterne, un sentimento puro e forte, invalicabile, impossibile da frenare o mettere a tacere.
Le stetti a fianco tutta la notte, le accarezzai il viso liscio, i seni soffici, l'abbracciai con tutta la passione che riuscivo a concepire nonostante il sonno tremendo.
Ad occhi chiusi non mollavo, non rinunciavo a toccarla ovunque, abbandonata completamente ad ogni tentazione che mi si presentasse accanto, pur non vedendola.
"Vorrei leccare quelle guanciotte" sussurrai al buio nel bel mezzo della notte.
Mi tirò uno schiaffo leggero, ironico: "Smettila, scema! Sei imbarazzante, cerca di dormire!"
"Mi spiace signora, ma è impossibile dormire se messa di fronte a tanta bellezza... chiede troppo!"
Concludemmo quell'attimo in un abbraccio da entrambe le parti, il quale ci unì fino al sorgere del sole.
Alla mattina mi sentii più viva che mai, amata dalla donna che mi aveva fatto sentire tanto insicura, avevo ormai quasi accantonato ogni timore che potessi essere sostituita.
Ebbi un sussulto improvviso, una risata che parve più una piccola dimostrazione di panico.
"Come posso paragonarmi ad un uomo?" pensai tra me e me "Siamo tanto diversi... Abbiamo ruoli e nature completamente contrastanti. Dovrei smetterla di essere gelosa dei Heisenberg, darci un taglio netto. Oh signore, quanto odio quell'uomo!"
Mi stropicciai il volto con le mani, piegai le dita nervosa: "Semplice... Non posso. È proprio questo ad infastidirmi!"
"Sei pensierosa, cucciola?" mi domandò Lady Dimitrescu in piedi dinnanzi a me.
"Affatto" mentii.
Mi afferrò la punta del mento e lo scosse leggermente, per poi alzarsi il capo dominando sulla mia figura: "Lo sai che non devi raccontarmi fandonie, stellina!" disse con un tono sexy e minaccioso al contempo.
Sapevo cosa mi aspettava poco dopo: era sempre la stessa storia.
Ci avvicinammo, i volti s'inclinarono e le labbra si congiunsero in un bacio romantico e famelico. Non so cosa bramassimo di preciso, ma sembrava quasi che, nonostante tutti quei baci così intensi, non fossimo mai davvero sazie.
Sentimmo bussare alla porta con insistenza.
"Avanti" esortò Alcina dopo aver tirato al collo i lembi delle lenzuola per coprirci in maniera dignitosa.
Una cameriera si fermò sull'uscio dopo aver aperto uno spiraglio giusto necessario a rivelare la sua identità: "La colazione è pronta, signora. È in ritardo rispetto al solito e ci siamo preoccupate..."
La mia amata non esitò a voltarsi verso di me con un ghigno sul volto: "Ho già avuto modo di stuzzicare qualcosa prima, non morirò di fame. In ogni caso notifico che saremo giù a breve. Dacci solo il tempo di indossare abiti consoni."
L'inserviente uscì dopo essersi inchinata al nostro cospetto. Era così strano vedere tante riverenze...
Mi lasciava sempre perplessa il modo in cui Alcina veniva trattata: duchessa appariva, duchessa era.
"Hai sempre la risposta pronta, eh? Che sciocchina!" dissi di fronte al suo viso perfetto "Sei sempre un passo avanti rispetto a chiunque altra." lo specificai al femminile per farle intendere nuovamente quel concetto tanto ribadito: ella era l'unica donna che mai avrei potuto desiderare, tanto erano impareggiabili le sue straordinarie qualità.
Le sfiorai le guance con delicatezza e lei rispose a quella sollecitazione con la sua intonazione unica e speciale, quell'accento che mai avevo sentito prima e che solo a lei apparteneva: "Piena di dolce e d'amoroso affetto, alla tua donna, alla tua diva corresti... lo so che questi versi ti rispecchiano, draga mea."
Avevo la certezza che stesse rivisitando un passo di qualche opera letteraria famosa, ma sul momento non me ne venne in mente il titolo.
Mi limitai ad annuire e sorridere di fronte a quel bel gesto di coronare il forte sentimento che provavo per lei.
"Definisco audace la scelta di citare un capolavoro simile per definire il nostro amore."
Avvicinò la bocca al mio orecchio, sussultando per provocarmi: "Entrambe sappiamo bene quanta più esperienza io abbia rispetto a te."
Comprendevo come quella frase fosse volta ad attivare gli impulsi animali nel mio cervello, ma non aveva sortito alcun effetto, anzi mi aveva spento... Mi chiesi come potesse una donna tanto colta ed intelligente cadere così in basso da fidanzarsi con una ragazzina tanto ignorante e menefreghista. La domanda era sempre la stessa, monotona, permaneva nell'ombra della mia anima trascinando quel piccolo peso irremovibile.
"Allora insegnami ad amarti come ti aspetti che io faccia." le risposi stringendole il viso con entrambe le mani e guardandola dal basso all'alto per addolcire gli occhi.
La frase successiva mi spiazzò.
"Non permettere a nessuno di misurare il tuo valore, tesoro." disse malinconica "Solo tu puoi avere le capacità giuste per dimostrare a te stessa il meglio."
Mi diede un bacio sulla fronte. Dopo tutta quella sessualità, ricevere un attimo di tenerezza così intimo era come danzare sulle nuvole candide: prese la mia anima e le rimboccò le coperte, dandole una benedizione che la proteggesse durante la notte.
Erano proprio quei momenti così sfuggenti e brevi a convincermi sempre più di aver scelto la donna giusta per me.
La colazione fu breve e uscii subito dopo aver commensato.
Alcina aveva delle faccende da sbrigare, ma non andò nel dettaglio.
Camminando, continuavo a pensare ad Heisenberg e al suo piano di congiura; non mi capacitavo di come quella storia potesse essere tanto intricata.
All'inizio sembrava tutto così banale: una pazza col complesso di Dio aspirava a fare del suo problema personale una questione di stato.
Di certo non mi ero illusa che sarebbe stato tutto rosa e fiori, ma speravo almeno di trovare punti fermi su cui stanziare. E invece il vuoto.
Persino la mia dama mi lasciava dubbiosa...
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Spazio autrice:
Ho concluso le idee da serbare per questo spazio. :)
Saluti!
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