Capitolo 20
Ethan capì di potersi realmente fidare, mentre io dovetti affrontare una buona mezz'ora di shock dalle troppe notizie positive: non ero abituata a vedere tante cose belle accadere nella mia vita tutte in una botta.
Inoltre pensavo che, vista la reciprocità energetica richiesta dall'universo per mantenere l'equilibrio costante, avrei dovuto prepararmi a fronteggiare tante insidie quante furono le sorprese piacevoli di quel momento.
Riuscii a farmi dare le armi senza doverglielo imporre; comprese la situazione con molta empatia.
Sembrava davvero tutto essersi fatto in discesa.
Raccontai le mie idee strane e i miei pensieri legati alla filosofia della vita a Daniela durante il viaggio di ritorno. Scommisi che non mi sopportasse più: se fossimo state in macchina, sarebbe già crollata in un sonno profondo.
"Dopo tutta la noia che abbiamo subito, almeno una grazia ci voleva, no?" chiede lei retoricamente, dopo aver subito con pazienza le mie paturnie.
Annuii col capo: un gesto accentuato, convinto. Dovevo e volevo enfatizzarlo al massimo perché ero troppo sconvolta.
Riflettei sull'ultima parte della nostra avventura in Casa Beneviento e guardai Daniela con aria sospetta: "Ma Angie che fine avrebbe fatto?"
"Chi?"
"La bambola parlante. Era evidente che fosse lei a controllare tutte le dinamiche di quel posto tanto noioso quanto disturbante!"
Scrollò le spalle: "Potrei essermi messa d'accordo con Donna per liberarla eternamente da quella piaga assillante..."
I miei occhi divennero ancora più grandi dallo stupore: "Ho problemi d'udito o ho sentito bene? Posso venire a conoscenza delle dinamiche di questa storia o mi è proibito?"
"È stato facile più di quanto creda, davvero. Mi sono limitata ad ordinare ai miei pipistrelli di sequestrarla. Può fluttuare, sì, ma non andare chissà dove. È come una gallina quando prova a volare: fa qualche metro, non attraversa mica il Pacifico!"
Quella ragazza mostrava sempre nuovi lati di sé, fu in particolare quell'avvenimento a trasformarla ai miei occhi in una nuova versione di sua madre: più svampita, disordinata e goffa, ma al contempo sveglia, creativa e appassionata.
Forse i loro continui battibecchi erano proprio dovuti a questi tratti simili nel loro complesso caratteriale.
Arrivammo a palazzo senza incontrare creature minacciose lungo il tragitto.
Parve un sogno potermi gettare nuovamente tra le braccia della mia amata: meno di una giornata di assenza e mi sembrava comunque un'eternità.
Ci accolse infuriata, o forse malinconica per non aver potuto prendere il solito té con me o parlare del più e del meno durante un bel bagno caldo: "Dove siete state tutto questo tempo? Sono certa che non foste a palazzo! A guardare le vostre facce sconvolte, sembra siate appena tornate da una battaglia a mano armata..."
Cercai di essere il più convincente possibile nel pronunciare una bufala unta di menzogna: "Ci siamo recate presso Casa Beneviento perché Daniela era mossa dall'affitto desiderio di trovare una bella bambola da collezione ad un prezzo di favore."
"Che idiozia è mai questa?" girò l'attenzione sulla figlia "Tu odi le bambole."
Daniela alzò le spalle con un sorriso da ebete: "Bisogna pur fare nuove esperienze nella vita, no?"
Alcina, non convinta, incrociò le braccia: "E dove sarebbe la bambola, allora?"
Ci demmo entrambe uno schiaffo in fronte per la deficienza e rimanemmo in quella posa un bel po'.
Eravamo sparite nel nulla senza neanche avvisarla. Dal suo punto di vista era più che scorretto agire in quel modo.
Oltretutto, non potevamo minimamente permetterci di rivelarle neanche un tassello di verità.
Mi dispiaceva tenerle nascosto il mio piano, ma conoscevo le capacità di manipolazione di quella strega e non potevo darle alcun pretesto per mettermi contro la mia amata.
Ci coricammo sul letto senza scambiarci alcuna parola, neanche uno sguardo.
Intanto le parlavo col pensiero, volevo recitarle tutte le poesie che mi venivano in mente solo a sentire la sua presenza.
"Ti amo sempre di più, lo sai?" provai ad incalzarla con la mia prevedibilità smielata.
Non rispose. Fissava il muro. Probabilmente non voleva neanche che mi trovassi lì accanto a lei in quel momento.
Sospirai, percependo la tensione salire gradualmente: "Alcina, parliamone... Sono consapevole del fatto che tu possa preferire Miranda a me, ma davvero non comprendo come mai non si cerchi una soluzione."
Le sue labbra tremarono. Avevo subito colto il segno.
Mi sforzai di non staccarle gli occhi di dosso, per essere il più convincente possibile: "So di essere meno in tutto, ma il nostro sentimento è veritiero! Non puoi buttare tutto all'aria per chissà cosa ti abbia detto Miranda! Devi approcciare la vita in maniera più metodica. Lei sarebbe disposta ad abbandonarti per i suoi ideali, io no: l'unico mio obiettivo si trova qua, davanti ai miei occhi ed è insuperabile."
Le accennai un sorriso tenero.
Si voltò di scatto, mi afferrò le spalle e mi diede un bacio. Parve a tratti che stesse provando a succhiarmi il sangue dalle labbra.
Aspirò tutti i sentimenti che avevo in corpo, fece tremare i miei vasi sanguigni, infine mi scostò dietro all'orecchio un ciuffo ribelle che mi era volato sul viso.
Il sudore che mi avvolgeva la pelle in quei momenti era dovuto al mio stato emotivo.
Miranda o no, quella donna continuava comunque a farmi girare la testa: non c'era alcun verso perché non ci pensassi più.
Mi prese per il mento, inspirò profondamente e non smise di accarezzarmi, non volle staccare le nostre labbra.
Il suo profumo era l'unica cosa di cui avevo realmente bisogno: senza di lei, qualunque mio obiettivo sarebbe sfumato nel nulla.
Eppure pensavo ancora alla mia vita normale, a quel che era accaduto prima che incontrassi la contessa e che m'infatuassi della sua bellezza da dea greca.
"La probabilità che m'innamori di un'altra persona è inesistente, lo sai vero?" domandò con uno sguardo dolce, giocando con i miei capelli.
Mi persi nei suoi occhi e non fui in grado di tenerle testa con una risposta provocante.
Lei, però, lo sapeva e le andavo bene così.
Attesi il giorno seguente, dopodiché andai a saldare il patto stabilito col Duca gli sentii proferire le ultime parole che mi sarei mai potuta immaginare: "Non credevo mi avessi preso sul serio, ragazzina. Inoltre dubitavo della sopravvivenza di Winters." si abbassò per spegnere il sigaro su un posa cenere, poi rialzò di scatto la testa, con gli occhi spalancati, come se avesse appena avuto un'illuminazione "Aspetta un secondo. Ethan Winters è ancora vivo, vero?"
Annuii col capo, beffandomi nel pensiero della sua goffaggine.
Quell'uomo era tutto fumo niente arrosto: fossi stata meno corretta, probabilmente non mi sarei lasciata trasportare dal suo capriccio di riavere quelle armi indietro.
Stavo per uscire dalla porta, quando intimò di fermarmi: "Non avevi mica paura del sottoscritto?"
Questa volta non mi degnai di lanciargli neanche un segno. Me ne andai, sbattendo la porta dietro alla mia schiena con una forza tale da far tremare i battenti.
Non doveva neanche permettersi di provare ad individuare una mia debolezza.
L'unica a cui sottostavo era Alcina: tutto era finalizzato a lei. Nessuno me l'avrebbe portata via, neanche un uomo obeso e mediocre già rovinato a cinquant'anni.
"È ridicolo!" esclamai sotto voce, tenendo i pugni serrati, con le unghie taglienti talmente premute sui palmi da farli sanguinare.
Incontrai nuovamente Alcina, questa volta indossava una vestaglia, pronta a tornare a letto e abbandonarsi ad un sonno ristoratore.
Mi guardò fissa per qualche istante, poi afferrò uno dei miei polsi e leccò il sangue che mi stava colando lungo la mano.
Alzai un sopracciglio compiaciuta. Il gioco con lei prendeva sempre una piega interessante.
"Dammi una ragione per non farmi venire la voglia di prenderti, assalirti e sbranarti?" le domandai con l'adrenalina al massimo.
Lei abbassò leggermente una parte dell'abito, per mostrarmi la sua spalla nuda.
Lo spettacolo di ricevere una provocazione tanto fine ed elegante era un lusso che in pochi potevano permettersi. Il suo spessore culturale era tale per cui ogni sua mossa poteva essere associata ad un'opera letteraria o ad un dipinto.
Fu quello il preciso momento in cui nacque una delle idee più geniali che avessi mai partorito.
Cambiammo meta e ci rifugiammo nella sala accanto alla sua stanza da letto: quella con la vasca da bagno.
Sistemai un cavalletto ed una tela lungo il bordo della piscinetta e le chiesi di mettersi in posa, di rilassarsi e lasciare che l'acqua coccolasse il suo corpo nudo.
Intravedevo le sue forme nella trasparenza del liquido in cui si era immersa.
Un gioco di luci e ombre rendevano quella posizione così adorabile...
"Si metta in posa, contessa." la incitai con voce seducente e sguardo assorto.
Lei poggiò i gomiti sul bordo e assunse quella solita maschera: la testa leggermente inclinata, le labbra che formavano un arco non abbastanza curvo per essere definito sorriso.
Lasciai che l'infuori mi guidasse ed il pennello incominciò a scorrere lungo la tela, creando linee intrecciate, variando ogni minimo dettaglio con colori chiari e scuri.
"Potresti toglierti il cappello?" le chiesi con dolcezza "Voglio che il tuo volto non cambi nemmeno di una virgola a causa della mia inefficienza. Voglio vederti in tutto e per tutto."
Obbedì. Lo lanciò in un angolo per fare in modo che non rimanesse nel mio campo visivo.
Quando riuscii ad osservarla in tutta la sua naturalezza, identificai in lei un'altra donna.
Le somigliava parecchio.
Mi rigirai verso la tela e compresi che nel ritratto non c'era lei, bensì una signora con gli occhi più grandi, più verdi, più dolci.
Finsi che nulla fosse accaduto. Probabilmente Alcina non se ne sarebbe neanche accorta, ma quella situazione mi cacciò immediatamente in crisi.
Pregai per dimenticarmene. Non volevo che la vita che avevo creato lì sfumasse nel nulla a causa di un ricordo che mai avrei rivisto.
Focalizzai l'attenzione sul suo corpo, analizzai ogni suo minimo dettaglio per poter cancellare ogni altra distrazione appartenete al passato.
Una cameriera entrò all'improvviso, allungando il calice e la bottiglia ad Alcina.
Se ne andò nuovamente dopo aver accennato un inchino ad entrambe. Tuttavia m'infastidì assistere ad un'altra donna che la vedeva nuda, per quanto fosse mortale e di un rango decisamente inferiore.
La Dimitrescu era la MIA donna. Nessuno eccetto me poteva sognarsi di vederla così.
Si versò del vino nel calice, senza minimamente curarsi del precedente arrivo dell'inserviente.
"Winters non è ancora morto, vero?"
Mi voltai di scatto: "C-come fai a saperlo?!"
Sorrise maligna: "Non lo sapevo, infatti. Me l'ha appena rivelato la tua espressione sconvolta. Il sesto senso non mi tradisce mai!"
Volevo sotterrarmi, sprofondare in balìa dei miei errori che, uno dopo l'altro, mi stavano conducendo in rovina lungo il sentiero di una sorta di pazzia allo stadio più basso.
Strinsi il mio vestito con tanta forza per scaricare la tensione.
Alcina fece leva sui gomiti e si alzò in piedi.
Uscì dalla vasca lentamente, lasciando che la sua pelle venisse scoperta poco alla volta.
Sembrava di vivere uno di quei film per ragazzini arrapati: la scena non tradiva di certo.
Non si preoccupò di mettersi neanche un asciugamano; si diresse nuda verso la mia opera sperimentale e la osservò attentamente.
Annuì col capo, il suo sguardo si addolcì.
"Mi piace davvero tanto."
"Quanto?"
"Quanto io piaccio a te." rispose con sarcasmo e un pizzico di provocazione.
Dopodiché mi abbracciò, fradicia.
Non sentii il freddo nonostante mi avesse inzuppato, perché il suo corpo era così caldo e accogliente.
La vedevo nuda quasi tutte le sere, eppure, ogni volta che ci avvicinavamo, continuavo ad essere tesa e a percepirla come una novità.
Ritrarla mi riportò indietro nel tempo, in un passato che non avrei mai voluto riaprire.
Odiavo le situazioni a metà e quella del quadro fu semplicemente una lunga interruzione.
Non potevo pensare a due donne nello stesso momento: era pazzesco cosa il mio cervello riuscisse a tirare fuori dal nulla senza neanche avvisare.
Chissà se aveva capito di non essere lei. Non aveva commentato altro che complimenti ed il suo atteggiamento dimostrava davvero genuina soddisfazione.
"In base a cosa misuri il mio sentimento?" le chiesi riferendomi alla sua battuta precedente.
"Mi pare tu me l'abbia già domandato in passato."
"Non ti rivesti?"
"Perché mai dovrei? Conosco la soddisfazione che provi nel vedermi in questo stato e non posso di cerco disonorarla."
Sorrise, sorrise e sorrise ancora.
Non aveva risposto alla mia domanda precedente, anzi, me ne aveva lasciata un'altra appesa alle labbra: sapeva realmente cosa stesse girando per la mia testa?
Mi gettai nella vasca per inzupparmi completamente, dopo l'anticipazione regalatami dal suo caldo abbraccio.
Una volta rivestita, uscii, colma dei soliti dubbi verso i quali mi indirizzava con tanta astuzia e voglia di stuzzicarmi (e quei discorsi risuonavano nelle mie orecchie pungenti come questa allitterazione).
I miei passi affondavano lungo il pavimento.
Avevo detto ad Alcina che l'avrei incontrata in camera sua tra una ventina di minuti: necessitavo di sgranchirmi le gambe e riflettere su come agire successivamente.
Nonostante amassi particolarmente trascorrere il tempo con quella dolce signora, era mio dovere far fuori Miranda. Nessuna carezza riusciva a togliermelo completamente dalla testa.
Daniela stava in fondo al corridoio: mi aspettava.
Scossi la testa per anticiparle la mia domanda: "Suppongo tu mi debba parlare. Non hai una bella cera. Cos'è successo ora?"
Le sue gote erano rossicce e gonfie; a giudicare dal suo sguardo sembrava stesse per scoppiare e posso confermare che tentasse addirittura di soffocare il respiro, reprimere qualcosa che si stava ribellando.
Non attese che le ponessi la domanda in un altro modo, esplose in un pianto colossale, da lutto.
Neanche ai funerali si piangeva così tanto.
"Karl Heisenberg... Io non so cosa sia successo..."
Mai aveva definito quell'uomo "padre", ma entrambe sapevamo bene quanto ci tenesse. In fondo, quel sostantivo lo rappresentava per lei in maniera collaterale, che le piacesse o no.
Strinsi le sue spalle, con una forza incoraggiante.
"Parla. Dimmi cosa è successo."
"Lei non lo sa... non ancora. Non voglio essere io a dirglielo!"
Farneticava quelle frasi come se io fossi nella sua mente e potessi capirla, ma non avevo l'abilità di leggerle nel pensiero.
Mi sforzai, mi sforzai di immedesimarmi in tutta quella sofferenza
Di certo non sarebbe stata in grado di ricostruire l'accaduto in quello stato.
Supposi che con "lei" intendesse sua madre.
E cosa si aspettava? Che le dessi una notizia di cui non ero neanche a conoscenza?
Avevo paura di cosa stesse per dirmi.
Il suo respiro cambiò, divenne più lento di colpo: "Ethan... Ha fatto un disastro..."
Non feci in tempo a scoprire altro: mi afferrò per un polso ed iniziò a trascinarmi.
Avevo promesso ad Alcina che sarei andata subito nella sua stanza ed invece ero rimasta bloccata in una crisi di Daniela di cui non conoscevo ancora la causa.
Scendemmo per le scale, uscimmo in cortile, proseguimmo fino al cancello ed oltrepassammo il confine del palazzo.
"È davvero necessario tutto questo?"
La situazione rimase invariata per un tempo dilatato alla mia percezione: Daniela mi tirava ed io ero obbligata a seguirla.
Era pieno pomeriggio, la prima volta che vidi il sole splendere totalmente in quel cielo vitreo.
Smise di tirarmi quando giungemmo in mezzo a delle carcasse di legna, nel giardino di una casa in pietra quasi totalmente distrutta.
C'era così tanto silenzio da far accapponare la pelle. Sembrava che fossi entrata in una dimensione priva di spazio e tempo.
Di fronte a me, respirava a fatica, si trascinava il fiato in gola: "Dovevo portarti abbastanza lontano. Non sono ancora pronta ad accettare la realtà. Non voglio avere paura là dentro, non nel palazzo in cui sono cresciuta." Indicò le mura all'orizzonte, col braccio steso, fiero.
Le strinsi entrambe le mani: "Ti concederò di rielaborare la situazione, tutto quello di cui hai bisogno. Voglio solo sapere bene cosa ti ha ridotto in questo stato pietoso."
Nei suoi occhi vidi per la prima volta Alcina.
Non credevo avrei mai potuto identificarla in uno sguardo triste ed esasperato, eppure quel momento mi stava contraddicendo.
Pensai a cose assurde. Chissà come mai mi ero innamorata di sua madre... Daniela era una bella ragazza, estroversa, loquace, ricca di personalità, ben istruita e parecchio schietta.
Forse tali qualità non potevano comunque competere con l'eleganza e le forme della contessa.
"Ethan voleva a tutti i costi rivedere la figlia: avrebbe fatto qualunque cosa pur di vendicarsi con Miranda. Nella sua mente non c'era più spazio per nient'altro. Questa mattina, bramosa di scoprire quel che aveva in serbo, mi sono recata verso la fortezza di Heisenberg." pronunciò il suo nome con le labbra tremolanti ed una nota malinconica "Sapevo che l'avrei trovato lì perché Karl era l'unico ad elevarsi al pari di mia madre; dunque simboleggiava una minaccia consistente. Entrato nella grande fabbrica, è stato subito accolto da lui in persona. Non se lo aspettava, ovviamente, tuttavia il discorso di benvenuto fu altrettanto strano: Karl complottava da anni contro Miranda, voleva l'egemonia del territorio a tutti i costi, voleva che anche mia madre fosse annientata. Gli propose un'alleanza ed egli rifiutò." prese fiato "Il resto dei dettagli mi sono sconosciuti, so solo che l'umano è riuscito ad avere la meglio e a ferire brutalmente Heisenberg."
"Dove si trovano adesso?"
Scosse la testa: "Ho reperito queste informazioni dal corvi che stavano sul cancello circostante all'area. Non sono entrata a verificare di persona."
"So che ora contesterai la mia proposta, Daniela, ma sii ragionevole: dobbiamo andare a valutare la situazione insieme a tua madre."
"Come faremo a nasconderle il piano di annientare Miranda?"
Sospirai: "Sia chiaro che, se mi ritrovassi in una stanza con Ethan e Alcina, non esiterei un minuto a schierarmi dalla parte di lei. Al momento siamo entrambe pienamente consapevoli dell'urgenza. Miranda può aspettare: non farà più danni in un paio di giorni di quanti ne abbia fatti in decenni."
Ero determinata a proteggere quella famiglia di cui ero gradualmente entrata a far parte.
Non attesi un responso da parte di Daniela, mi limitai a correre indietro, verso il castello, confidando che lei mi seguisse.
Ripercorsi quella tratta nella metà del tempo di andata. Dovevo compiere l'azione giusta e sapevo bene che essa consisteva nel dare ad Alcina la notizia riguardante suo marito.
Mi si spezzava il cuore soltanto immaginando una sua reazione a quell'annuncio nefasto.
Farla soffrire era l'ultima cosa a cui aspiravo, l'ultimo danno che mai avrei voluto causare.
Salii due gradini alla volta nella speranza di salvaguardare il tempo e rimediare a modo mio ad ulteriori catastrofi.
Urlai il suo nome col cuore che batteva a mille per la corsa. Sentivo le vene pulsare, a tratti svenivo, ma il sentimento che provavo per lei mi teneva sveglia, vigile, consapevole.
Sbucò in corridoio con aria perplessa. Stringeva nella mano destra un ventaglio nero dai dettagli dorati. Il suo volto da bambina confusa mi ispirò grande tenerezza. Per quanto matura, intelligente e vissuta potesse essere, anche lei poteva interfacciare le parti drammatiche della vita.
Se le dinamiche della situazione fossero state differenti, probabilmente avrei dubitato di una sua eventuale reazione negativa, ma dopo aver visto la crisi di panico di Daniela compresi di non poter essere nelle menti altrui per quanto bene conoscessi chi mi stava intorno.
"Tesoro, sei tutta sudata! Ma che ti prende?" domandò con purezza.
"Siediti, ti prego. Non so come affronterai quello che sto per dirti."
I passi pesanti di Daniela echeggiarono dietro di me: mi aveva finalmente raggiunto.
Scortai la mia amata su una poltrona bordeaux, evitando di lasciarla senza alcun contatto fisico che le recasse conforto.
"Quello che ti dirò ora potrebbe sorprenderti oppure non farti minimamente reagire, ma voglio che tu ti senta al sicuro in mia presenza. D'accordo?"
Annuì col sorriso, di certo non s'immaginava nulla di quel che le stavo per riferire.
"Daniela me lo ha riferito poco fa, per questo sono scomparsa. È successo qualcosa di incalcolabile nella fabbrica di tuo marito..." nel pronunciare quel ruolo, nell'ammettere che lei fosse sposata e che io fossi solo un'amante, provai un certo peso "Non conosciamo ancora le dinamiche di ciò, tuttavia sappiamo che è stato gravemente ferito. Dobbiamo recarci lì al più presto prima che sia troppo tardi. Dopotutto, è sempre legato a te in qualche modo ed io voglio che la tua vita sia splendida, qualunque cosa accada al di fuori di queste mura. Ti prometto che faremo il possibile per risistemare le cose."
Daniela fece un passo avanti, col volto ricolmo di odio e rancore, pronunciò la frase che avrebbe scatenato un putiferio, una dichiarazione proibita: "È stato Ethan Winters. Me l'hanno detto i corvi. Non è riuscito a distruggere te ed ha sfidato uno che fosse alla pari."
Temetti in una sua reazione completamente fuori dallo scibile umano.
Le uscì dalla bocca una risata isterica, del tutto fuori controllo: "Pensavo saresti stata tu a tentare di farlo fuori e invece mi sbagliavo!" allargò le braccia in segno di resa. Non l'aveva presa bene affatto. Inoltre credevo potesse stare ancora più male successivamente... così non andava proprio.
"Ti prego, sii forte! Potrebbe non essere grave come sembra, ma per esserne certe dobbiamo recarci sul luogo."
Mi bloccai al pensiero di quel che avrei potuto vedere là dentro. Forse neanche io ero pronta.
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Spazio autrice:
Al ventesimo spazio della sottoscritta non saprei più cos'aggiungere.
GIURO che non manca tanto all'epilogo.
Credo dunque che, d'ora in avanti, l'unica funzione di questa parte finale sarà salutare i lettori (a meno che non mi saltino in mente idee particolari o illuminazioni da news pazzesche) e augurare a tutti una splendida continuazione. ✨
Come sempre, specifico che questa serie verrà revisionata a pubblicazione completa, perciò è NORMALE se trovate errori, ripetizioni, dimenticanze o scorrettezze dal punto di vista della narrazione.
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