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Capitolo 18

Dopo quel breve colloquio, Miranda non rimase ad oltranza, ma si ritirò in un'altra stanza con Alcina.
Mi sedetti sulla scalinata del cortile interno, distrutta, a fissare il cielo cosparso di nubi bianche e grigie.
"Ti è andata male?" domandò Daniela alle mie spalle, sbilanciandosi leggermente in avanti affinché la sua testa fosse accessibile al mio campo visivo.
Sospirai. Mi venne in mente una risposta da fornirle, ma non riuscii a dire nulla, se non esprimermi con quel gesto di stanchezza e sconforto.
Fece due passi e si sedette sul gradino, accanto a me: "A volte le cose qui possono sembrare ingestibili, ma ti assicuro che c'è sempre una soluzione. Io credo che Miranda sia solo una minaccia per questo posto."
"Non dovresti dichiarare certi pensieri a voce alta!"
"Ritieni che possa avere paura di lei?" domandò sghignazzando, convinta della propria posizione "L'esaltazione è il suo lato peggiore. Non è di certo grazie a lei se sono qui, oggi."
"Ma tua madre aveva detto che..."
M'interruppe: "Mia madre non sa quello che so io. È abbagliata dal fascino di quella donna. L'unica verità è che Miranda ha ucciso me e le mie sorelle prima di resuscitarci col Cadou. Non ha salvato niente a nessuno, anzi, mi ha condannato ad una vita deprimente all'interno di quattro mura..."
"Non hai alcun ricordo appartenente al passato?"
Scosse la testa: "È troppo lontano, in ogni caso."
"Ma non sei legata a questa famiglia? Ad Alcina?"
"Ovviamente la considero mia figura genitoriale, ma è anche quest'epidemia a cambiare la gente. Lei e Karl erano stati coniugi a lungo prima dell'avvento di Miranda. Quando incominciò questo incubo, mia madre s'infatuò perdutamente della strega ed il matrimonio cadde in rovina, diventando più una competizione sfrenata per il potere."
Non sapevo come reagire a tutte quelle novità. Daniela sapeva tutto e me lo aveva comunque tenuto nascosto.
Compresi la sua diffidenza, dopotutto amavo la contessa a tal punto che mi sarei confrontata con lei a proposito di qualunque cosa.
Continuò: "Le battute, il mio essere bastarda nei tuoi confronti, il grosso legame che ho cercato di stabilire erano tutti studiati a tavolino. Ho provato ad essere tua complice per far sì che lo divenissi anche tu, prima o poi."
"Capisco bene le tue parole, tuttavia tengo a precisare che ti credo. So che vuoi riportare tutto questo inferno alle origini, salvare il mondo."
"La megalomania di Miranda potrebbe causare espansioni... addirittura una pandemia. Non sappiamo quali sono davvero i suoi piani."
Mi alzai in piedi, scattante, energica. Dovevo dimostrare sicurezza. Serrai i pugni ed issai il capo, guardando l'altra parte del cortile, a collo dritto.
"Ci conviene agire il prima possibile ed evitare che Alcina lo venga a sapere. Questo pomeriggio cercheremo Ethan."
Annuì, guardandomi dal pavimento, con le ginocchia raccolte al petto e le lentiggini illuminate dai raggi solari.

Rientrai nell'ingresso, fremendo dall'ansia di scoprire cosa fosse stato oggetto del discorso tra Alcina e Miranda.
Vidi la mia donna avanzare a testa bassa, cupa, più pallida del solito.
Mi affrettai a chiederle cosa le turbasse. Osservarla in quello stato mi destabilizzava.
Non potevo permettermi che soffrisse, neanche se la causa di tutto fosse la strega.
"Che succede? Ti ha ferito in qualche modo?" le chiesi allungando un braccio per accarezzarla.
"Non mi toccare!" esclamò lei con solo un filo di voce. Era molto strano. Il suo tono non arrivava mai a farsi sentire appena. La sua potenza vocale era più grande di quel che mi stava dimostrando allora.
Sorrisi leggermente, intenerita e turbata allo stesso tempo: "Riesco a percepire da tutto che non stai bene. Fidati di me! So leggerti come nessun altro."
"È questo il problema... Tu sai leggermi. TU mi capisci." e dopo averlo detto, enfatizzando il pronome di seconda persona singolare con una gran rabbia repressa, si diresse al piano superiore, dandomi completamente la schiena.
Voleva che fossi Miranda, ma entrambe sapevamo bene che ciò era impossibile.

Non le avevo mai chiesto nulla di specifico riguardo alle sue fantasie.
Ogni volta che lo facevamo, ci davamo più alla prassi che ad altro. Non si usava domandare se fosse piaciuto, lo si doveva intuire. Così tutto il resto che non rientrasse nella sfera pratica rimaneva escluso, pensieri compresi.
I complimenti che le recitavo, per quanto profondi e sentiti, non intrecciavano mai conversazioni intricate; rimanevano sempre fini a loro stessi.
Per quello non potevo sapere cosa le passasse per la testa in quegli attimi di piacere, se al posto dei miei capelli corvini non avesse preferito deliziare il proprio sguardo con una folta chioma bionda, lucente.
Una serie di complessi s'impadronirono della mia ragione: ormai con la strega era nata una competizione amorosa, di cui ella probabilmente neanche era a conoscenza.
Di sicuro aveva notato che ci fosse del tenero da parte di Alcina, ma era finito lì, rimasto un sentimento a senso unico.
"Sarò arrivata nel momento giusto..." dissi a Daniela, dopo esserla di nuovo andata a cercare.
"Per cosa?"
"Per far sì che tua madre non smettesse di credere nell'amore..." decretai credendo molto nelle mie stesse parole.
Ormai delle tre gemelle, nonostante le vicissitudini infelici passate, mi recavo da Daniela qualora necessitassi di un supporto emotivo. Lei conosceva la passione meglio delle altre e possedeva molte informazioni delicate circa il passato di Alcina.
"Ti ringrazio per non avermi abbandonato neanche dopo il mio rifiuto. Sono stata crudele. Al tuo posto non avrei accettato una situazione simile."
L'abbracciai. Avevo bisogno di farle sapere che la apprezzavo e che volevo esserle amica.
"Andiamo ad esplorare?" m'incentivò, sorridente.
"Da quanto tempo non esci dalle mura del castello?"
"Oltre il cortile? Saranno secoli!" esclamò convinta, senza neanche sembrare ironica (e forse non lo era).

Ci dirigemmo verso il portone principale. Le gambe mi tremavano per l'emozione.
Non avvisammo né Alcina né la servitù; semplicemente varcammo la soglia del cancello.
"Abbiamo qualche traccia da seguire?"
Daniela tirò fuori un plico di fogli gialli e spiegazzati dalla sua sacca: "Mentre Miranda ti stava facendo il quarto grado, mi sono presa la briga di chiedere al Duca un paio di carte informative sul territorio, dopodiché l'ho rassicurato che ci occuperemo insieme di saldare il debito in corso."
Tirai un sospiro di sollievo: "Vorrei solo che tua madre non se la fosse presa così tanto per la mia esistenza..." e abbassai lo sguardo, riattivando la malinconia.
Daniela mi poggiò una mano sulla spalla per confortarmi: "Non preoccuparti! Per quel che la conosco, posso assicurarti che presto le passerà e tornerete a volervi bene. Anzi, forse vi amerete ancora di più. Ora è solo sotto gli influssi malefici della strega. Non pensa davvero a quel che dice o a quel che fa. È completamente manipolata."
Scendemmo il versante fino al villaggio, deserto e in rovina più dei mesi precedenti.
Un branco di lepricauni passarono in massa, con la schiena leggermente ricurva e gli artigli lunghi quasi fino a terra.
Ci annusarono e si accorsero subito del Cadou presente nei nostri corpi, dunque non si
rilevarono affatto una minaccia.
Pur vedendoli costantemente, le loro figure m'intimavano ancora un po' di insicurezza.
La nebbia saliva, le frasche ondeggiavano e in men che non si dica finimmo per non vedere oltre le punte dei nostri piedi.
"Ci arrendiamo?" chiese Daniela già scoraggiata. Si vedeva che non usciva spesso.
"Assolutamente no!" protestai. Osservai la mappa che teneva fra le mani ed indicai con l'indice destro uno tra i percorsi tracciati: "Ci atterremo fedelmente a questo e batteremo la nebbia."
"Mi devo fidare?"
Annuii: "Per quanto ne so sul mio conto, sono certa di avere un ottimo senso dell'orientamento."

La nostra avventura proseguì lungo una viottola sterrata.
Un carro di legno intralciava il passaggio; era mezzo sfondato, con una ruota ridotta in mille pezzi e delle assi spezzate a metà.
Sembrava che qualcuno lo avesse scaraventato in quella posizione.
La nebbia non aveva intenzione di alzarsi e ciò che stava oltre il carro rimaneva un mistero.
Passammo entrambe sotto, strisciando sul selciato, per paura che calpestandolo potesse crollare da un momento all'altro.
"Siamo sicure di non stare vagando a vuoto?" mi chiese Daniela mentre si rialzava, spolverando la gonna.
"Lo scopriremo presto, suppongo." fu la mia risposta concisa. Non volevo lasciare alcuna speranza, dopotutto la responsabilità era completamente nelle mie mani.
Sentii sfrecciare nell'aria a pochi centimetri dal mio volto un'ignota figura.
La vidi passare una seconda volta ed identificai un uccello dal becco e piumaggio nero: un corvo.
Nonostante la nebbia non mi permettesse di metterlo a fuoco, compresi subito chi fosse... Un po' meno cosa volesse.
Non volevo che Daniela mi vedesse conversare con un volatile come era successo con Cassandra. Il modo migliore per risolvere qualunque problema è sbrogliarsela da soli, dunque non pareva il caso di narrare quelle bizzarre vicissitudini a chiunque passasse.
Lo ignorai, almeno in quell'occasione.
Si era fatto difficile persino capire dove appoggiare i piedi senza rischiare di perdere l'equilibrio.
"Avanziamo finché riesco a leggere la mappa."
Presi una penna e colorai il territorio percorso.
"Abbiamo qualche indizio supplementare circa la posizione di Ethan?"
"Per quel che posso immaginare, giudicando il comportamento passivo-aggressivo tenuto fino all'ultimo nei confronti di mia madre, direi che il suo obiettivo principale è distruggere i sovrani delle casate per limitare le risorse di Miranda. Ordunque evinco si sia diretto verso la proprietà più vicina..."
Consultai prontamente le zone: "...Quella di Donna Beneviento!"

Uscimmo completamente dal villaggio e finalmente la visuale si fece più nitida.
Comparve un cancello in mezzo al nulla, circondato da una fitta boscaglia.
La strada era maltenuta, a stento si distingueva dalla selva.
Daniela faticava a camminare, si notava parecchio: la gonna lunga le intralciava il percorso, aggrovigliandosi in rovi e rami sporgenti.
Aprii un'anta, cigolante, arrugginita, sporca di terra e muschio.
Ci ritrovammo in una piazzetta circolare, raggiungibile da una scalinata leggermente in discesa.
Un altare si erigeva al centro di essa; aveva dei fori sulla cima.
"Eh? E che roba è questa?" chiese Daniela, confusa.
"Uno dei giochetti di Miranda per convogliare le casate." e subito indicai gli altri tre cancelli circondanti quel luogo.
I passaggi erano disposti ad incrocio, in modo che si trovassero tutti in zone differenti, ma fossero facilmente raggiungibili in caso di necessità. La strada maltenuta scoraggiava gli abitanti del villaggio ad avventurarsi in altri luoghi. Era un'idea tanto subdola quanto geniale.
La nostra destinazione era al culmine del sentiero di destra.
Fingemmo di non esservi mai passate, cancellammo ogni singola traccia. I cancelli furono entrambi richiusi.
"E se ci fossimo sbagliate?"
"Si torna indietro e si ricomincia da capo. Ormai la confluenza è stata scovata."

Quella strada era, però, più silenziosa. Un non so che di lugubre nell'aria.
Magari ciò derivava dal fatto che ci trovavamo in un ambiente diverso, sconosciuto, al quale nessuna era ancora abituata.
Le frasche si abbassarono, ondeggiando col vento, e quel suono generò un continuo fruscio, tanto inaspettato da gelare il sangue.
La nebbia era tornata, anche se non intensa come prima.
Si riuscivano bene a scorgere elementi in lontananza, purché sfuocati e ingrigiti.
"Sei mai stata in una delle altre casate?" domandai a Daniela per sforzare la tensione di quell'atmosfera.
Scosse la testa: "Mai. Conosco coloro che stanno ai vertici semplicemente perché ho partecipato alle assemblee, ma i luoghi sono sconosciuti alla mia memoria."
"E Donna Beneviento com'è fatta?"
"L'hai già vista, il giorno del rapimento di Ethan. Era la donna col volto coperto e la bambola in mano. O meglio, si suol dire che sia la bambola ad avere pieno controllo su quella figura umanoide... Tante leggende. Fatto sta che non ho mai avuto occasione di parlarci seriamente."
Speravo mi rispondesse in quel modo: non sembrare estranee era l'obiettivo principale.
Non era il caso di farci dare la caccia.
La dimora di Donna Beneviento comparve all'improvviso tra le basse nubi. La sensazione che provai non appena la intravidi fu una sorta di delusione: era modesta, angusta, antiquata e mal tenuta.
Il suo grigiore, al contrario del Castello Dimitrescu, ispirava trascuratezza e angoscia più che austerità.
Pareva una casa delle bambole abbandonata in una soffitta polverosa.

Una figura femminile vestita di nero da testa a piedi col volto coperto uscì, consapevole della nostra presenza. Teneva un'inquietante burattino rachitico dai capelli biondi ingrigiti, l'abito da sposa stracciato e i grandi occhi circolari spalancati.
Non salutammo, non ci sentimmo dare il benvenuto, solo un cenno incomprensibile.
Quand'ella rientrò, la porta rimase spalancata: prendemmo quel gesto come un invito.
Ci guardammo negli occhi, annuimmo e varcammo la soglia di quella casetta degli orrori.
Gli arredi erano talmente antichi da far tornare indietro nel tempo chiunque vi entrasse, eppure tutto quel legno sembrava avere un certo valore. A differenza di quel che mostrava all'infuori, era una dimora ordinata e pulita.
Un particolare disturbante e insolito saltava, però, subito all'occhio non appena ci si dirigeva in salotto: su sedie, poltrone, divano, tavoli, mensole e credenze si adagiavano bambole di differenti aspetti e dimensioni.
"Sembrano tutte incidentate." commentò Daniela col suo solito sarcasmo irrequieto.
Le tirai una gomitata. Non ci conveniva agire stoltamente.

"Voi due arrivate dal castello, vero?" disse ad un certo punto la padrona di casa, decidendosi a rivolgerci la parola.
"Sì" dicemmo in coro.
La sua voce non aveva nulla in particolare, era piana, semplice, priva di alcun accento.
Tutto mi aspettavo fuorché un ambiente del genere.
Non conoscevo quella donna, non possedevo alcuna informazione su di lei, per cui non avevo la minima idea di come dovessi agire.
Se avessi lasciato Ethan libero di compere qualunque azione volesse, probabilmente sarebbe morta.
A me servivano quelle armi più di qualunque cosa e il modo migliore per ottenerle era solo uno: allearmi con Donna e catturare quell'uomo.

L'intera casa era avvolta da un silenzio petulante. Nonostante le assi fossero antiche, scricchiolavano di rado. Pareva che lì dentro il tempo si fosse fermato in un eterno presente.
Daniela continuava a guardarsi intorno come una bambina curiosa, io, invece, non distoglievo gli occhi dalla figura ospite: non riuscivo a capire se fosse nostra nemica o no.
La domanda che ci aveva posto era mirata; sapeva già dove avrebbe parato con essa, voleva anticipare le nostre presentazioni, studiarci in silenzio dopo aver seminato su terreno fertile.
La vecchia me avrebbe sicuramente introdotto un discorso forbito ed introspettivo, ma ultimamente quella parte mi aveva abbandonato per lasciare spazio ad un'anima riflessiva e taciturna.
Avrei pagato affinché qualcosa accadesse, pur di fare avanzare la trama, di spezzare il limbo in cui ci eravamo segregate.
Il silenzio di Daniela era il più preoccupante: per quanto la conoscevo, sapevo bene che prima o poi avrebbe tirato fuori una delle sue uscite da calcio negli stinchi.
Donna ci offrì del tè (o almeno suppongo si trattasse di una tisana) e poi si sedette su una poltrona di fronte a noi, sempre in silenzio, mantenendo il volto accuratamente coperto.
"Perché lo fai?" sussurrai ad un certo punto, senza volerlo realmente. Le parole fuoriuscirono dalle mie labbra come trascinate dall'ambiente circostante.
Inclinò leggermente la testa, simboleggiando incomprensione nei confronti del mio intervento.
Mi schiarii la voce ed alzai il tono: "Intendo perché ti copri il volto?"
La sua risposta fu più pratica di quanto potessi aspettarmi, infatti prese i lembi del velo nero con entrambe le mani e lo spinse all'indietro, mostrando il suo viso pallido.
La motivazione per la quale lo utilizzava saltò immediatamente all'occhio: una buona metà della sua faccia aveva una protuberanza strana, una mutazione anomala, che aveva divorato i suoi lineamenti, formando solo un cumulo di bubboni paonazzi di varie dimensioni.
Provai imbarazzo per averla costretta a mostrarmi un lato così delicato di sé.
Ma cosa la spinse ad assecondarmi? Non ci conoscevamo neanche.
Non avevo idea di cosa risponderle per non ferirla o sembrare troppo invadente, ma d'altro canto mi pareva una gran cafonaggine non rispondere nulla.
Cercai di essere il più gentile ed accogliente possibile, "Grazie per avermelo mostrato. Immagino non sia facile conviverci." risposi senza calcolare troppo le mie parole.
Il volto di Donna era riuscito a catturare persino l'attenzione di Daniela, però lei non si mostrò sorpresa, anzi... fu come se lo conoscesse già.

Nel momento in cui Ethan si palesò all'ingresso, io e Daniela avevamo ormai ricevuto istruzioni chiare da parte della padrona di casa: al piano di sopra vi era una piccola stanza da letto, all'interno della quale, appoggiato al muro, stava un armadio a due ante in legno. Ci saremmo dovute rinchiudere lì dentro fino a quando Winters non fosse sceso nel seminterrato.
Donna e la sua bambola erano sparite, lasciando l'uscio appositamente socchiuso, come ad invitare l'umano a fare un passo avanti ed esplorare quella dimora.
Nonostante il mobile fosse piccolo, eravamo entrambe riuscite a sederci e ad appoggiare la schiena ai lati opposti.
"Quanto credi ci vorrà?" domandò Daniela con impazienza.
"Credi che lo sappia? Questa storia mi sembra sempre più assurda! Non avremmo fatto prima ad aspettarlo fuori e a chiedergli pacificamente di gettare le armi?"
"E lasciare che uccidesse Donna?"
Non avevo più pensato a quel tassello... Effettivamente non meritava di morire, eppure qualcosa in lei non quadrava bene.
Bisbigliai per non rischiare che qualcuno da fuori ci sentisse: "Parlando seriamente e dandoci un taglio, Dani, tu quanto conosci Donna?"
"Davvero poco, ma quanto basta per sapere che è un essere talmente innocuo da dimostrarsi irrilevante nel compimento della nostra missione." si schiarì la gola "E ci tengo a precisare che, qualunque cosa accada, la colpa non sarà mai sua, ma di quella fottutissima bambola che si porta sempre a presso."
Questa volta fui io ad essere confusa e a non comprendere la prospettiva: "Con questo cosa vorresti insinuare?"
"L'hai visto con i tuoi occhi all'incontro degli esponenti delle casate, semplicemente eri troppo presa da mia madre per avere dei ricordi lucidi: quella bambola ha una coscienza propria ed una voce da cornacchia. Di sicuro possiamo permetterci di risparmiare la vita a Donna, ma se vogliamo vincere lo scontro con Miranda non possiamo permetterci che quel burattino dalla lingua lunga ci rovini i piani a causa della sua parlantina isterica!"
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Spazio autrice:
Poter finalmente avere un'occasione per riguardarmi tutte le mappe del gioco e del territorio mi ha riportato al 2021, quando ho giocato a RE8 per la prima volta.
È bello essere entrata nel gioco così personalmente: riesco davvero a sentirmi parte di esso e ad agire come se tutto ciò fosse reale.
Spero che il mio personaggio possa ispirare, oltre che la sottoscritta, tutti i lettori che hanno deciso d'imbarcarsi in questa avventura.

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