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Capitolo 10

Iniziai a vedere le pareti del corridoio roteare ed un mal di testa allucinante mi trafisse il cranio.
Caddi in terra, accovacciata ed agonizzante.
"Oh, tesoro!" esclamò Alcina in preda al panico.
Mi tirò su, reggendo i miei sessanta chili di morbidezza in braccio con una facilità spaventosa.
Non avevo la minima forza per reagire: ero un peso morto, un sacco di patate.

Quando riuscii a stabilizzare un minimo le mie prestazioni fisiche e mentali, notai di essere stata spostata in camera da letto.
"È stata solo colpa mia... ti ho sconvolto. Non era mia intenzione."
Si era seduta accanto a me, intenta a vegliare sull'andamento delle mie condizioni psicosomatiche.
"Non ti devi affatto scusare." dissi issandomi sui gomiti "Apprezzo la tua onestà."
"Non esiste! Te l'avrei dovuto dire prima."
"In altro modo non avresti scoperto l'effetto del Cadou. Oh beh... Magari sì, ma non a quel livello."
"È vero. Pare che il tuo corpo si sia adattato splendidamente." si portò una mano al mento "Non hai neanche subito gravi danni collaterali. Solo qualche giramento di testa, nulla di più."
Così ricominciai a sentirmi un suo giochino, un subdolo esperimento scientifico per apparire bene agli occhi di Madre Miranda, ma se quello era ciò che desiderava, non avevo problemi ad assecondarla: la amavo troppo. Avrei fatto qualunque cosa pur di aumentare il mio valore ai suoi occhi.
"Riposati, Ginevra. Ora devo andare a sbrigare qualche faccenda..."
Ciò detto, si alzò dal materasso e sparì tirandosi dietro la porta.
Per qualche istante nella mia mente echeggiò l'immagine dei suoi fianchi ondeggiare ad ogni passo: era una donna incantevole.
Quell'impegno improvviso consisteva sicuramente nella necessità di portare un referto della mia situazione alla strega dalle ali di corvo.
La mia vita era completamente in loro balìa, eppure non avevo la minima intenzione di fuggire.

Passò un po' di tempo, non so dire quanto di preciso. Forse un'ora, forse due, magari anche tre. Il mio cervello era spento, privo di alcun pensiero, sia positivo che negativo.
Era come se stessi dormendo, ma ad occhi aperti e vigile sull'ambiente esterno.
Ormai sentivo un'altra presenza all'interno del mio cranio: il mio corpo ospitava due esseri differenti in aspetto, carattere e forza. La mia parte umana si era scissa di netto da quella affetta dal Cadou ed io stavo iniziando a pagarne le conseguenze.
Probabilmente era solo l'inizio di una lunga agonia dalle imprevedibili evoluzioni.
Issai la schiena, restai sul materasso a gambe incrociate e fissai lo specchio di fronte al letto.
La mia pelle era pallida come al solito, ma il mio sguardo più morto del normale.
Due occhiaie nere mi solcavano il volto senza pietà; intorno ad esse un alone misterioso e crudele.
Avevo acquisito un brutale stile vampiresco: quell'odio che emanavo non era parte di me.

Volevo conoscere di persona Madre Miranda, senza nascondermi.
E, visto che il gala del giorno precedente ebbe risvolto negativo, decisi di trovare da me un'occasione efficace.
Cercai di aprire la porta, ma Alcina l'aveva chiusa a chiave dall'esterno.
"È chiusa... a chiave?!" domandai tra me e me in preda al panico.
L'angoscia mi divorò in fretta. Ero diventata trasparente senza neanche rendermene conto.
Ma trasparente anche ai suoi occhi?
Mi aveva bloccato lì dentro per precauzione, per protezione oppure per sbarazzarsi di me?
Avevo bisogno di lei: la mia droga, pura estasi.
Maledissi il momento in cui la cacciai dalla mia vita, maledissi la scenata precedente: non se la meritava.
D'altro canto, io non mi meritavo di essere seppellita succube della figura di quella strega dalle ali di corvo.
Il mio obiettivo divenne chiaro, una nuova sfida.
Dovevo fare in modo che Alcina apprezzasse di più me, dovevo rendermi desiderabile ai suoi occhi, dovevo impegnarmi perché lei mi vedesse finalmente come la vedevo io.
Io non ce la facevo ad essere come le altre, non riuscivo ad essere amata, benché meno amabile.
Non avevo doti particolari, non c'era nulla che qualcuno prima o poi non decidesse di portarmi via.
E tutt'a un tratto ero diventata proprio quel tipo di persona che odiavo: quella che ruba le cose altrui, colei che s'impadronisce senza pietà dei grandi sogni di chi le sta intorno e non chiede neanche il permesso...

Un corvo si posò sul traverso della piccola finestra che forava il muro della mia camera.
Molti volatili si aggiravano spesso tra le torri del castello, creando coreografie, sfoggiando i loro piumaggi cupi, però nessuno di loro aveva mai deciso di posarsi proprio qui. Prediligevano le guglie.
Il becco del volatile si aprì e dalla sua gola uscirono parole, non versi: "Sei tu la piccola ombra?"
Non mi stupii tanto per quella caratteristica animalesca, quanto per il quesito misterioso ed improvviso.
Domandai "Cosa?" molto confusa.
"Ti senti sempre fuori luogo, non è così?" e mentre lo chiese, voltò il capo di profilo; la sua pupilla nera mi scrutò, quasi fosse in grado di vedere tanto profondamente da arrivare alla mia anima.
Ma dimmi tu se dovevo finire in un mondo post apocalittico per ricevere una supposizione sul mio benessere psicologico...
La voce di quel corvo era profonda, un basso senza ombra di dubbio.
"Te non sei un animale normale, giusto?"
"Ti sembra che qua ci sia qualcosa di 'normale', Ginevra?"
"Ah, sai pure il mio nome... Che felicità...".
"Era un'espressione retorica? Perché a me non sembri affatto felice."
Mi accasciai in terra, scivolando lungo la parete: "Sono un'ingrata, ecco tutto."
"Hai paura?"
"Un po'."
"Di cosa?"
"Perché dovrei dirlo ad un corvo parlante?"
"Chi te lo dice che non sei l'unica a sentire quel che dico? Come fai ad avere la certezza di non starti immaginando la nostra conversazione?"
Alzai le spalle: "Tanto ormai non penso più a niente: sembra tutto finto. Ciò che è impossibile si avvera con uno schiocco di dita. Non sono facilmente impressionabile e, consequenzialmente, mi sono adattata alla situazione attuale."
"Sei corrosa da qualche preoccupazione, lo percepisco."
Sollevai lo sguardo in alto, gli occhi 'al cielo': "Oltre a corvo sei anche veggente, nè? Ultra sensitivo il fagottino piumoso."
"Non mi deridere!"
"La vita deride me ed io mi prendo la bieca libertà di fare la stessa cosa con uno stupido pennuto che ha deciso di sprecare tempo venendo a parlare con me. Benfatto, corvetto!" applaudii, poi, in modo sarcastico.

"Ti ho visto. Ho visto come ti getti tra le sue braccia, come la aspetti ovunque, sperando ti dia una carezza o si spinga fino a baciarti sulle labbra. Nonostante il sentimento contorto che provi per la contessa Dimitrescu, sono costretto ad ammettere di averti sottovalutato. Sei molto sveglia, una perla rara e non ti meriti di certo questa sofferenza."
"Vuoi aiutarmi a conquistarla??" spalancai gli occhi, sorpresa.
Scosse il capo: "Assolutamente no. Voglio ostacolare questa attitudine malsana prima che arrivi troppo oltre."
Sospirai: "Non sarai mica stato mandato da Heisenberg? Conosco le sue abilità ingegneristiche e so anche... beh... di avergli fregato la moglie."
Si zittì improvvisamente. Quello sguardo profondo e lugubre mi trafisse ancora una volta.
Spiccò il volo senza emettere un minimo suono e si allontanò il più possibile, fino a svanire dalla mia vista.
Era un sì? Oppure un no, ma voleva mantenersi misterioso?

Sul davanzale trovai una chiave appoggiatavi.
"L'avrà lasciata quel corvo?" mi chiesi guardando il panorama dalla finestra.
Provai a farla entrare nella serratura della porta e la vidi coincidere alla perfezione.
Girai la chiave nella toppa e sentii un sonoro 'click'.
"Si è aperta!" esclamai saltellando.
Uscii in corridoio: era deserto come al solito, neanche le domestiche ci passavano per dare una pulita durante il giorno.
Chissà cosa stavo facendo... non avevo la minima idea di come reagire, dove andare, da chi andare.
Mi chiesi se Alcina lo avrebbe mai potuto prendere come un tentativo di evasione o ribellione da parte mia.
Pregai non ci facesse caso.
E se invece fosse tornata nella mia stanza e non mi avesse visto? L'avrei delusa di nuovo?
Quel rapporto era malsano secondo il corvo, da parte mia, invece, era più che perverso, tuttavia amavo quella perversione: una forma radicata di masochismo accidentale.
Quando mi baciava, ogni volta che sentivo le nostre lingue incrociarsi ed il suo respiro unirsi al mio, vedevo le stelle: sembrava costantemente un sogno irrealizzabile, eppure lo stavo vivendo.

Cosa non avrei fatto pur di saltarle al collo nuovamente? Ah... quella donna era il più grande sogno ad occhi aperti che qualunque essere ginofilo avrebbe mai desiderato di vivere.
Ideale che mi bazzicava continuamente per la testa, aspirazione idilliaca, eppure la mia vita era ormai quella.

Stare faccia a faccia con Madre Miranda avrebbe cambiato di nuovo le carte in tavola.
Mi chiedevo come una donna tanto lugubre e misteriosa potesse destare tale ammirazione agli occhi della mia amata.
L'unica volta che l'avevo vista era stata un'occasione celere e confusa, in cui ella non aveva neanche mostrato il volto.
Mi ero messa in competizione con quella strega: stavo gettando al vento la mia vita per Alcina.
"Certo che non scherzi!"
Una voce nuova, mai sentita prima d'allora, interferì con il mio udito.
In quel momento, però, ero davvero sola; non c'era né un'anima né un corvo parlante.
"Fai finta di non sentirmi?" riprese quella voce.
Aspra, acuta, tagliente come il cinguettio di un colibrì, identificabile come un timbro femminile.
Mi tappai le orecchie, infastidita da quel vociare.
"Non puoi evitarmi. So tutto di te, meglio di te. Ho una consapevolezza immane e risiedo in te. Non puoi scappare da te stessa, Ginevra."
L'intensità non si era modificata.
Capii che non proveniva davvero da alcun essere all'infuori di me.
Ma allora? Che significava?
Ero io? Stavo incominciando a soffrire del disturbo di personalità multipla?
Un altro effetto del Cadou?
"Passato, presente e futuro. Non serve che parli; sento i tuoi pensieri forti e chiari echeggiare nella tua mente."

Corsi veloce, giù per le scale, la voce mia si allontanò.
Ripeteva gli stessi concetti, formulando frasi leggermente diverse ogni volta.
Era il continuo di un incubo dal quale avrei voluto svegliarmi.
Tornare a casa, dalla mia famiglia, tornare in Liguria.
Mi bloccai, ritrovandomi in una stanza completamente buia, senza ricordare come ci fossi arrivata.
"Ascoltami bene, Ginevra. Tu non mi puoi vedere, ma io posso vedere te. Rilascerò lentamente delle informazioni sulla tua famiglia, i tuoi amici, la tua vita e la tua identità, ma devi starmi a sentire molto bene.
Dentro di te, d'ora in avanti, andrà a crescere sempre di più una forza che normalmente gli esseri umani non sono in grado di controllare, un potere distruttivo indescrivibile, capace di arrecare danni inimmaginabili a qualunque cosa e persona.
Non aver paura, ma non abbassare mai la guardia. Io sono la coscienza artificiale di coloro che finiscono nel girone della mutazione genetica. Ti darò istruzioni finché non avrai preso piena conoscenza del tuo nuovo corpo."
Quella spiegazione fu molto meno terribile rispetto alle varie sfaccettature che mi ero immaginata.
"Quindi non c'è un'altra identità? Esiste solo la mia, ma con un dna diverso?" pensai con l'intento di farmi sentire da quella voce.
"Esattamente! Ginevra, prendine atto. Sei stata creata per caso, ma ora ti darò un obiettivo: distruggi i piani di Madre Miranda e poni fine a questa Era, al caos regnante in questo mondo, alla mostruosità della tua donna e alle insidie di Heisenberg."

Stare con la signora Dimitrescu, effettivamente, era risultato molto interessante fin dal nostro primo incontro, d'altro canto lo sarebbe stato ancora di più s'ella fosse tornata umana.
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Spazio autrice:
Fermento all'idea di essere addirittura arrivata al capitolo dieci senza mollare.
Nonostante questo sia stato un anno "burrascoso" , la vicenda in questione mi ha insegnato tanto sia su di me che sul mio modo di vedere chi mi circonda.
Ho fatto ammenda sulla gelosia, la rabbia, la paura, gli attacchi di panico ed ho avuto occasione di guardare meglio: osservare col cuore, più che con gli occhi.
Ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, ogni ora, ma anche ogni minuto e secondo si cresce. Si può crescere sia evolvendosi che regredendo psicologicamente.
Questa crescita è in me ed ogni istante si palesa, ogni secondo mi cambia e, proprio come la voce che sento alla fine del capitolo, mi apre gli occhi ad orizzonti nuovi.
Con la metafora dello sbloccare lentamente i ricordi indico qualcosa che ci è stato davanti tutta la vita, ma di cui ci accorgiamo solo dopo tanto tempo, magari per un motivo insignificante o, addirittura, inesistente.

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