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III

"Gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare con il cuore."
~Antoine De Saint-Exupery
_____________

Simone si ritrova a guidare sull'asfalto rovinato, una strada familiare, che una volta assomigliava tanto alla strada di casa.

Ha deciso di iniziare dall'unico punto di incontro che ha con Manuel, l'unica persona di cui il ragazzo si fida, l'unica che lo abbia mai fatto sentire protetto con il tocco di una mano e una carezza sul viso.

Anita.

Anita che adora Simone, che gli ha sempre rivolto un sorriso caldo, quelle poche volte in cui l'ha incontrato durante quegli anni. Anita, che ama suo figlio infinitamente, di quell'amore materno che spinge alla follia, che sfiora i limiti dello spazio, platonicamente indefinibile, così immenso da sembrare surreale. Anita, che per la felicità di suo figlio, morirebbe, proprio come Simone.

Anita, che conosce il cuore di entrambi, e cerca sempre di fare la cosa giusta.

Anita, il cui sguardo quasi esplode di tristezza quando incontra quello di Simone sullo stipite della sua porta.

Perché lei ha capito già tutto. Lo ha capito dalle labbra schiuse di Simone, che sembrano cercare aria dappertutto, ma non riescono a trovarla. Lo ha capito dal modo in cui le dita del ragazzo giocano con i lembi della t-shirt, guidate dal nervosismo, dal timore di aver fatto tardi, dal desiderio di toccare nuovamente una pelle.

Lo capisce dal modo in cui i suoi occhi la supplicano, pesanti da sorreggere, per il cuore di una madre che sa già come deve andare a finire, ma non può interferire.

"Ciao Simone." gli dice perciò, invitandolo con la voce a mostrarsi, a farsi coraggio, a donare quel coraggio anche a suo figlio, che non fa altro che rinchiudersi in quella torre solitaria che si è costruito per proteggersi dal mondo.

Simone la guarda, non dice nulla. Si tortura le pellicine delle labbra, i denti, il cuore. È lì per azzardare di nuovo, è pronto a rischiare tutto, a uccidersi di nuovo pur di salvare Manuel dalla condizione di non essere amato.

Caro, dolce, innamorato Simone; un fuoco così grande nella stanza, che desidera solo riscaldare tutti, non rendendosi conto che qualcuno ha paura della fiamma, perché non tutti i fuochi non bruciano la pelle. Ma lui è così, non vede cattiveria.

È semplicemente troppo buono per vederla.

Anita sorride.

"Sei venuto per Manuel, immagino."

Manuel. Un nome che ha proibito a migliaia di bocche di pronunciare, ma che ora vibra così leggero nelle corde vocali di quella donna. Un nome tenero nella bocca di una madre, scandito con quella tenerezza tipica solo di chi ama.

Per questo, Simone, a lei quel nome non lo vieta.

Non è come suo padre, Laura, sua nonna, e migliaia di altri, che riescono solo a voler bene. Loro due soffrono della stessa malattia, l'amore incondizionato, e dunque, solo loro meritano entrambi di dire un nome tanto bisognoso d'amore, tanto fragile, tanto privo di certezze.

Loro, che amano diversamente, eppure nella stessa, infinita quantità. I loro amori si riconoscono, si parlano, si comprendono; Simone sa che lì, da lei, troverà la strada per raggiungere Manuel.

Ti troverei anche ai confini del mondo.

"Devo trovarlo, Anita."

Ricalca il suo senso del dovere, come fosse un pericolo costante per lui, un attentato quotidiano alla sua vita, quel non trovarlo.
Anita scuote la testa, e lo percepisce, quel suo bisogno di tornare a stringere una mano.

"Non posso darti l'indirizzo di casa sua. Mi ha chiesto di non farlo, ti conosce, sapeva che eventualmente ti saresti presentato qui. Non vorrei mai, tradire questa promessa che gli ho fatto."

La lama taglia un'arteria, ma il cuore è già stato annegato dal sangue tempo prima, non fa più male, non può morire due volte. Simone incassa il colpo, respira senza respirare davvero.

Cala il silenzio. È glaciale, Simone lo sente, trema sotto lo sguardo dell'unica donna che può ridargli la vita. La scruta, i polsi pulsanti, la vista annebbiata dal bisogno, le labbra tremanti, scosse da brividi di mancanza.
Il mondo perde colore per un istante, finché Anita non parla di nuovo.

Con la sua voce, porta l'arcobaleno.

"Tuttavia, gli ho solo promesso di non aiutarti a trovare casa sua. Riguardo a se stesso, non si è fatto promettere niente—e tu cerchi forse casa sua, e basta?"

Si guardano complici, sanno entrambi come funziona davvero l'amore, che da esso non si può scappare, perché è casa, e a casa, prima o poi, bisogna tornare sempre. Il volto di Simone si illumina di quella luce che fa paura, e ad Anita si scalda il petto. La profondità di tale sentimento, sola, in un paio di occhi, dannatamente spaventosa, meravigliosamente abbagliante, viva, vera.

Anita si sente sollevata, nel sapere che non è l'unica al mondo ad avere il desiderio di donare la sua vita a suo figlio. Contempla il coraggio fatto uomo davanti a lei, la determinazione di chi è pronto a perdere tutto per un solo sorriso.

Simone aspetta che termini la sua contemplazione, la incoraggia famelico con l'espressione del viso, la invita a restituirgli un po' di linfa vitale, a spezzare quel silenzio atroce. Anita lo fa patire per qualche secondo. Simone quasi si angoscia, ma aspetta, aspetta quello che l'orologio segna come un ticchettio, ma che la sua freccia segna come una vita intera passata ad aspettare.

Aspetta, come ha aspettato per anni, affamato di verità. E finalmente, finalmente, Anita parla di nuovo.

"Prova con alla biblioteca, la Renato Nicolini, ce passa molto tempo, o lo trovi lì o te fai di ndò sta—senza aggredì nessuno però, m'hai capito?"

Simone ride, di gusto, davvero. Assapora la vittoria nel suono della sua risata, la mastica con gioia, come fosse appena tornato a mangiare dopo mesi di digiuno.

Ringrazia con la mente, col corpo, con il petto, con ogni centimetro della sua pelle, con tutta l'essenza della sua anima. Brilla di emozione, è puro, l'arcobaleno nel bel mezzo della tempesta, quello che da serenità alla gente, la certezza che presto il tormento terminerà.

Simone le sorride, e si guarda allo specchio.

"Grazie." sussurra.

Non scappi più, ora.

***

"Se lei ora non mi lascia stare, giuro che chiamo la sicurezza."

Gli occhi della bibliotecaria fumano di rabbia, infastiditi dall'ostinazione di Simone. Purtroppo, ha avuto la sfortuna di lasciarsi sfuggire che conosce Manuel Ferro molto bene, siccome si reca spesso lì, e da quel momento il corvino non le ha dato tregua.

La donna sospira, inizia a pensare sia uno stalker pazzo, Simone lo sa ma non gli importa niente. Se può ricavare anche solo un briciolo di informazione, deve tentare.

Non ha mai amato la rassegnazione, ci ha sempre fatto a pugni, l'ha sempre disgustata, allontanata, denigrata. Simone non si arrende, mai; a maggior ragione, quando si tratta di Manuel. Perciò continua con quel teatrino, tenta di comunicare la sua disperazione, ma l'apatia di quella donna e una montagna invalicabile, solida, testarda.

"La prego, ho bisogno di sapere dove trovarlo, per favore—"

"Signore, glielo ripeto un'ultima volta , o va via o chiamo la sicurezza, e poi la denuncio per stalking."

Lei alza un sopracciglio da dietro gli occhiali, lo scruta contrariata, e Simone sospira. La donna, finalmente, pensa di aver vinto; il viso le si contorce, gli zigomi scavati si alzano leggermente, gli occhi color pece lo fissano soddisfatti.

Ma Simone non si da per vinto.

Non con te.

"Signora, se mi desse un indirizzo, qualcosa, giuro io—"

"Lei è un folle—"

"Si!"

Il tono di voce è alto, al limite dell'isteria, come a confermare doppiamente la sua risposta. Attira l'attenzione di tutti, e la stanza si ammutolisce.

Simone fa un respiro profondo, sente lo sguardo sconcertato della bibliotecaria bruciargli le guance, così come lo stupore di tutti i presenti, ma non gli importa.

Sono un folle si. Per te.

"Si, sono un folle, e sa perché?" riprende la parola, si schiarisce la gola, si prepara a esporre il suo amore alle pareti, agli occhi, alle orecchie della gente.

Non gli importa. Lo urlerebbe ai cieli se lo stessero a sentire, quel suo grande amore.

"Perché sono innamorato! Mi ha sentito bene, si? Innamorato, lo sa che vuol dire? Vuol dire che devo trovare Manuel, perché ha scritto un cazzo di libro di poesie e me lo ha dedicato, e poi è sparito di nuovo, lo stronzo! Ma io devo trovarlo lo stesso, mi capisce? Lo capisce, vero? La prego, mi aiuti, la scongiuro."

Simone da sfogo alla sua rabbia, alla sua disperazione, persino alla delusione che si è trascinato dietro per così tanto tempo. Un sogno che sta prendendo vita, una nota musicale che vola via, libera da tutte le preoccupazioni, finalmente, finalmente suonata. Non può farsi scappare più la musica dei suoi sogni.

Si rifiuta di concedere all'aria che Manuel si è portato con sé un'altra vittoria.

La donna di fronte a lui socchiude le labbra, allibita. Non parla. Non sa. Non sa che dire, che fare, come comportarsi.
Conosce Manuel, ma non l'amore. È priva di sensibilità, non sa fin dove una persona è disposta a spingersi pur di amare.

No, non conosce l'amore.

Ma conosce Manuel, e gli vuole bene come un figlio. Lo conosce, e ha visto le lucciole nei suoi occhi quando le ha parlato del suo nuovo libro. Lo conosce, e sa che ha amato, qualcosa, qualcuno. Perché chi non ama, non è degno di trovare bellezza, e chi è un poeta senza?

Di certo, non un poeta.

Il puzzle è chiaro, ora. I pezzi sono al loro posto, l'ultimo di essi una semplice metà mancante.

La donna, pur non conoscendo l'amore, si morde un labbro, perché sente che tutti lì dentro lo conoscono, e la osservano come se potesse essere lei a donarlo a quel povero ragazzo.

Suo malgrado, gli regala un sorriso amaro, l'acidità scomparsa dal suo viso.

E parla.

"C'è un posto in cui va quasi ogni giorno a scrivere, al tramonto. Dice che gli da ispirazione, è un posto importante."

Simone la implora di nuovo, con l'espressione da cane bastonato in cerca di affetto, il vuoto nel petto colmo di farfalle.

"Dove?" chiede, con voce spezzata.

"Il muretto davanti al suo vecchio liceo. O almeno, così mi ha detto lui."

Il posto in cui ci siamo incontrati per la prima volta, fisicamente, carnalmente, tra ombre e luci rosse.

Sente il fuoco ardergli le viscere, proprio come la brezza faceva con la pelle quella sera. Un luogo in cui l'aria è segnata da sempre, dai loro baci, dai loro gemiti, dalla loro unione. Un luogo di fiamme e di anime sospese.

Forse, il loro luogo.

Sull'onda di questi pensieri, Simone sorride tutto il suo amore, il sole torna a splendere, le persone tornano ad essere serene come prima. Realizza che Manuel può scappare quanto vuole da lui, ma i ricordi sono scritti con l'inchiostro indelebile, nella mente e tra le righe di tutti i cieli sotto cui sono stati, e da chi torreggia su di noi non si può scappare.

Forse, è quello che fa paura. La possibilità che quell'arco celeste crolli, prima o poi.

Ma non importa quanto sia spaventoso. Simone non si arrende; e lui sa, che per sostenere un arco, ci vogliono due piedritti.

***

Simone ci va quello stesso giorno, a scuola. Passeggia sulle strade della sua adolescenza, gli anni migliori, l'oro della vita. Si lascia cullare dalla voce della città, dall'aria impregnata di spensieratezza, gioia, leggerezza. Il liceo, i primi amori, le risse, i caffè, i ritardi, le occhiaie, le risate con i compagni, i pianti e la disperazione—dove lo spazio e il tempo sono un unico punto, di passaggio, irraggiungibile a chi è arrivato troppo avanti.

Dio, mi manca tutto questo. Perché alla fine, c'è un pizzico di felicità in tutti i ricordi, anche quelli più dolorosi. Te li tieni come promemoria, anche se ti strappano il cuore dal petto, per il semplice fatto che anche quelli sono testimonianza del fatto che sei vivo, e che esserci, come essenza in un universo tanto vasto, è un privilegio troppo grande per non accontentarsi.

Simone ama la sua memoria, che non si limita a esistere tra le pareti del suo cranio, ma gli scorre nelle vene, sotto ogni centimetro di pelle. Ognuno dei suoi sensi ha memoria; gli occhi ricordano sognando, l'olfatto odorando, le orecchie ascoltando, la bocca assaggiando. E Simone oggi è pronto, a scrivere un nuovo ricordo su quella pagina bianca nel suo cuore.

Tuttavia, il mondo ancora non fornisce inchiostro.

Quel giorno, Simone aspetta fin quando il sole è definitamente scomparso.

Nessuno si fa vivo.

Io non mi arrendo, Manuel, non con te. Mai più, con te.

Il giorno seguente, Simone è di nuovo lì, la sua nera sagoma, che orna il muretto di fronte la scuola.

Nessuno si fa vivo.

Simone non si perde d'animo, si sente adolescente un'altra volta, ha tutto il tempo del mondo.

Mai come ora, l'amore è capace di generare in lui tanto ottimismo.

Simone continua a colmare quel posto della sua presenza per una settimana intera, e ancora, nessuno si fa vivo.

Ormai, però, ci ha fatto l'abitudine.

Gli piace starci anche da solo. Adora contare le nuvole, e poi le stelle, e farsi accarezzare dalle onde che lo riportano indietro di tre anni, ai giorni belli, ai giorni di sole, ai giorni della paura e dei bambini che sono costretti a diventare adulti.

E il tramonto, dietro quell'orizzonte, è solo una cornice.

Fin quando, un lunedì sera di più di una settimana dopo, qualcosa cambia.

Le sfumature color pesca dipingono Roma come fosse una tela da abbellire, la riempiono coscienza, la rendono vivida, diversa più di ogni altro giorno. L'estate riscalda il paesaggio, gli uccelli lo decorano con il loro canto, e il mondo sembra girare per il verso giusto, una volta ogni tanto.

Simone se ne sta appoggiato al muro, osserva il fumo che esala dalle bocca, pensa sia un po' della sua vita che vola via, ma non gli importa. La vera vita gli è sfuggita dalle labbra più di tre anni fa, e continua a farlo, dannata tenebra, perché non mi permetti di illuminarti? Perché credi di non meritartelo?

Tutti ci meritiamo la luce.

Sbuffa spazientito, si chiede, per la prima volta, se la resa sia forse la scelta giusta.

Lui è forte, e maledettamente cocciuto, ma anche gli scogli prima o poi si logorano, una volta che è passato troppo tempo.

Si chiede se ne valga poi la pena, di amare qualcuno che non crede di meritarselo.

Accettiamo l'amore che pensiamo di meritarci, e Dio, Manuel merita molto, molto di più di quello che accetta, e non se ne rende nemmeno conto.

Simone, improvvisamente, sente la furia mangiargli il petto. Deriva dall'agonia, quella sensazione, forse un po' anche dalla follia.
È come se un terremoto lo stesse scuotendo, come se il palazzo delle sue certezze stesse franando, come se stesse perdendo di nuovo se stesso all'interno di una stupida fantasia, un invenzione della sua mente.

Questo vorrebbe dire che non è reale?

Forse stava diventando matto quanto il cappellaio, perché la notte, per quanto incantevole, esisteva, e quel tramonto ne era la prova.

Non era pazzo, se voleva vivere nei suoi sogni almeno per qualche ora, nella speranza che questi si avverassero. È una cosa che farebbero tutti; ma non tutti neanche il coraggio, appunto.

Gira tutto intorno a questo.

Le mie illusioni ti tengono vivo.

Forse sto impazzendo.

Forse amo anche questo, quasi quanto te.

"Tu proprio non ti arrendi, vero?"

È un sospiro spezzato a tirarlo fuori dal caos dei suoi pensieri. Groviglio di fili di lana, attorcigliati, insensati, lesi dalla voglia di strafare, annodati. Districati dalla forza di una singola voce.

Vorrei sentirti parlare per sempre, anche quando il tuo tono è così sconfitto. Mi ricordo che forse, non vivi solo nell'utopia.

"No."

È tutto quello che dice. Sente Manuel, affianco a lui, le mani in tasca e il viso stanco, che non riesce a vedere, ma percepisce dalla sua innaturale ottava rauca. Lo sente, come si può sentire qualcuno che si ama. Sente ogni singolo movimento, anche il più piccolo dei respiri.
Lo sente annuire, distratto.

Non osa guardarlo. Ha paura che il fuoco nei suoi occhi lo spaventi, come gli animali. Non vuole che scappi, ora che è lì, con lui, e può addirittura concedersi l'onore di riempirsi le narici del suo odore.

A due passi da lui, spalla contro spalla, quasi si sfiorano.

Simone deglutisce, ma tiene gli occhi fissi sulla scuola.

"Dovresti lascia' anda' la corda, ogni tanto, o' sai?"

"Se la corda me manda pacchi me sembra un lavoro un po' difficile." ribatte Simone, fermo.

Sente il clima appesantirsi, la notte sta scendendo. Manuel si sta innervosendo, lo sente nelle ossa, lo conosce fino al midollo, riesce a provare le sue stesse emozioni. È un empatia sconfinata, quella che ti dona l'amore, l'essere l'altro pur continuando ad essere se stessi, come una soluzione in cui solvente e soluto sono presenti nella stessa quantità.

Simone sa che il cuore dell'altro si sta contorcendo, pentito. Lo comprende, e gli fa male. Tanto.

"Già," borbotta Manuel. "forse n'avrei dovuto farlo."

Ecco, appunto.

Simone si volta di scatto, decide di incontrare la sua figura in un istante di pura follia. Esamina le curve del suo profilo, scolpite nella pittura del cielo, l'occhio destro, attento ai particolari, il naso arricciato adorabilmente per l'irritazione, la bocca distesa in una linea dritta, piatta, uniforme.

Non gli è concesso, per nessuna ragione, affondare le proprie iridi in quelle dell'altro. Il frutto proibito, scambiarsi gli occhi; la paura del giudizio di Dio, che rende l'altro vulnerabile.

Per favore, guardami. Guardami, perché ho bisogno di vedere amore nella tua anima.

"Sapevi che ero qui. Per questo non sei venuto, in questi giorni."

La realizzazione arriva in un attimo di lucidità, quasi fulminea. Incendia tutto, incenerisce, distrugge persino le ultime macerie di quel cuore portante.

Manuel non vuole essere lì. Non vuole vederlo, non vuole parlargli.

Eppure lo ama, o così dice.

Perché ti odi così tanto da privarti di amore, Manuel?

"Me lo ha detto la signora Martini, che s'è l'era lasciato scappa'. Pe' na volta la sua inabilitandi tene' i segreti m'è stata utile a qualcosa." mormora il più basso, mentre il più piccolo associa il viso della bibliotecaria al nome.

Simone continua a esplorare ogni suo singolo cambiamento, ogni singolo centimetro di pelle, di cuore, con il solo potere di due laghi di miele scuro. Dio, i tuoi occhi sono calamita e i miei non sono altro che ferro, destinati ad essere attratti dai tuoi per sempre.

Ecco, quando Manuel affermava che quel posto era pieno di ispirazione, intendeva proprio questo.

"E a che t'è servita Manuel? A scappa de novo da me?"

Il tono impiegato da Simone risulta leggermente più tagliente, il nervosismo che gli imporpora un tantino le guance. A quella punta di lama, a malapena percepita ma esistente, Manuel si decide a girarsi, sperando di riuscire a scrivere nei suoi occhi le informazioni che vuole comunicare, piuttosto che le emozioni che prova.

Forse, un po' ci riesce, perché lo sguardo di Simone, a contatto con il suo, non sboccia come di solito—al contrario, appassisce, come papavero in un campo arido.

"Magari non sto a scappa. Magari non te volevo vede e basta."

Il solito stronzo, quello che esce fuori sempre al momento giusto, eppure rende tutti i momenti sbagliati. Perché è così che si sente Manuel, sapendo di aver dato l'ennesima frustrata al petto di Simone.

E Simone, nonostante tutto, sa. Perché ormai è capace di leggere Manuel proprio come il suo libro, e gli occhi nascondono, ma non mentono mai.

Perché continui a ferirmi, se non vuoi? Perché credi che io possa essere felice senza di te, se sei tu a rendermi felice?

Manuel, d'altro canto, lotta con se stesso ogni giorno. D'altronde, come si può amare un altro senza amare se stessi prima? Bisogna saper calmarsi, prima di provare a colmare.

Perché io non sono capace di rendere felice nemmeno me stesso, figurati te.

"Perché m'hai mandato il libro, Manuel? E la lettera? Neanche quello significava nulla?"

Il suono arriva ovattato alle orecchio del biondo, concentrato piuttosto sulla pace del caos della Roma notturna; un conforto, che gli ricorda che è a casa, e che sta bene, e che può ancora respirare  senza consumarsi.

No significava tutto, Simò. Ma non te merito, alla luce, se non so resta' nemmeno all'ombra.

"No, Simò, non significava nulla," è quello che dice, invece. "era na semplice informazione de servizio, perché è vero quello che ho scritto, che sei stato importante, e pensavo che lo dovessi sape. Ma è tutto qui, non ce sta nient'altro. È passato, devi anda avanti, come ho fatto io."

Anche se so rimasto fermo con il cuore.

Simone lo fissa incredulo, smarrito, come fosse un bosco di cui non conosce nessun albero, nessun sentiero, nessun suono. Gli dannatamente paura, perdersi nel passato e scoprirsi nel presente.

Ma ancora, una speranza gli solletica la gola, lo spinge a parlare, a provarci.

E Simone ci prova. Perché alla fine, oltre che se stesso, non ha più nulla da perdere.

"L'ultima data risale a due mesi fa. Non me sembra tanto acqua passata, a me."

Lo dice saccente, maschera l'insicurezza come se fosse carnevale. Danza un lento con la devastazione, si prepara ad aprirle le porte, perché sente la pioggia rumoreggiare da lì, e nemmeno lui, sole, può fermare la tempesta.

E così, si lascia travolgere.

Dolce devastazione, colpiscimi per sempre, se significa ascoltare la sua voce.

Dio, sta decisamente dando di matto.

"Ce stanno tante cose che possono succede in du' mesi," Manuel fa spallucce, spera di scampare quella conversazione. Ma Simone non molla la presa, si aggrappa alla sua anima con le dita, lo guarda interrogativo, e Manuel deve torturarsi per non cedere. "per esempio, se po' incontra quarcuno."

Se po' incontra quarcuno. Se po' incontra quarcuno. Se po' incontra quarcuno. Se po' incontra quarcuno.

Vortici, giramenti di testa, uragani, buio cieco negli occhi. Stenta a credere, anzi, non crede più nel mondo, che non è altro che un pianeta, e non può essere capace di radere al suolo persone senza neanche sfiorarle. Non può esistere nulla, non può, se non quel dolore lancinante che lo massacra ogni volta che un po' d'aria entra nei polmoni.

Manuel che quell'aria, la respira per qualcun altro. Manuel che accetta amore da un altro, che lo ama ogni altra cosa, più di quanto abbia amato lui. Manuel che nuota in un'oceano di luce, che non ha più paura, ma non lo fa con lui.

Manuel, Manuel, Manuel. Un campanello d'allarme, la memoria di un cuore rubato a una casa con la porta semiaperta.

Fa così tremendamente male, tutto. Neanche sente più le gambe. Neanche sente più la vita scorrergli nelle arterie.

Forse sta morendo. Forse gli farebbe bene.

"Quarcuno." è solo capace di ripetere, come una macchina.

Manuel intuisce la sua sofferenza, la fa sua, la manipola. Crede di farlo per il suo bene, di star modellando l'argilla nel modo corretto. Ma Manuel è un principiante ancora, il tornio non lo sa usare; e con la sua prepotenza, sta solo deformando il vaso.

"Si Simò, quarcuno. Non t'aspettavi mica na riunione romantica, vero?"

Simone lo osserva, svuotato.

La guerra è finita. Non è una resa, quella mai; è un semplice trattato di pace. Un pezzo di carta che, se curato e duraturo, forse può fare bene a entrambi.

Per quanto faccia male.

"Fai una buona vita allora, Manuel." lo dice gettando ciò che rimane della sua sigaretta a terra, acciaccando lo con i piedi.

Manuel studia il suo movimento, si sente come la sigaretta calpestata. Ma non dice nulla, perché lui è proprio quello, la sigaretta; Simone è convinto che gli faccia bene, e invece lo sta uccidendo.

E così Simone se ne va.

La sua dipartita lascia indietro, a entrambi, il compito di racimolare migliaia di pezzi.

***

*Spazio autrice*

Ebbene, come avrete capito io adoro i cliffhanger, anche se so che mi odierete per questo ahaha.

Comunque, ricapitolando, Manuel è uno stronzo, Simone è cocciuto e si lascia spezzare il cuore ancora e ancora...sempre la solita storia, ma chissà, forse stavolta qualcosa cambia sul serio.

Grazie per tutte le letture, i commenti e i voti, non smetterò mai di dirvelo. Vi voglio bene, al prossimo capitolo.❤️

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