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📌Capitolo 5

Ero appoggiata al suo petto e sentivo il calore del suo corpo che mi abbracciava.
Non sapevo chi era, ma in quel momento fu la persona più vicina che avessi mai avuto.

Volli provare a chiedere chi fosse ma non ne avevo la forza, così cercai di approfittare del momento per sfogarmi. Avrei di certo parlato con lui dopo che la polizia avesse trovato i miei genitori.

"Le fiamme hanno distrutto tutto. I loro corpi sono stati trovati completamente bruciati", quelle furono le parole del vigile.
Caddi sulle ginocchia, non potevo più sentire alcuna parte del mio corpo.

Era come se avessi abbandonato tutto e avessi perso il controllo di me stessa.
Era troppo tardi. Per tutto.
"Ditemi almeno come è potuto succedere", i miei occhi stavano bruciando ed erano gonfi da tutto quel pianto.
"Ancora non siamo sicuri ma appena scopriremo qualcosa ti faremo sapere".
Era tutto inutile.

"Ragazzina mi dispiace tanto e sappi che abbiamo fatto il possibile ma a volte non riusciamo a salvare chi ha bisogno di aiuto", disse il vigile che guardai con disprezzo e sono sicura che avesse capito perché si zittì e si allontanò a testa bassa.

"Hai un posto dove stare per la notte? O almeno dei familiari su cui basarti? Perché altrimenti dovrai stare alla sezione di polizia finché non troviamo qualcosa", chiese una poliziotta interferendo.

Pensai bene prima di aprire bocca. Se fossi andata con loro di sicuro dopo un paio di giorni mi avrebbero detto che sarei stata affidata ad una qualche famiglia nei dintorni.

I miei genitori non avevano fratelli o sorelle ed i nonni li perdemmo quando ero molto piccola.
Ero sola ma non volevo essere affidata a qualcuno quindi dovevo pensare in fretta.

"Stanotte posso dormire da un'amica e poi potrò andare a casa di mia zia. Ci fa visita spesso o meglio ci faceva, ma potrò andare con lei", era leggermente deprimente ma funzionò.

"Bene allora lasciami il tuo numero di telefono e quello dei genitori della tua amica. Domani mattina dovrai venire alla sezione, hai più di 12 anni quindi devo sapere tutto su quello che succederà in futuro. Inoltre cerca di contattare tua zia e fammi sapere".

Accennai e poi fui lasciata sola o meglio con quello sconosciuto a pensare a cosa fare.
"Scusami chi sei?", chiesi infastidita.
Dopo il piccolo scontro con il vigile mi stavo arrabbiando e la mia faccia faceva male come se qualcuno mi avesse presa a botte.

Mi guardò senza alcuna espressione, uno sguardo fisso e vuoto.
Non trovai alcun significato in ciò e come per aggiungere legna al fuoco se ne andò.

Sì, se ne andò. Mi lasciò lì con mille pensieri e domande per la testa. Ma soprattutto come faceva a conoscermi?

Fui portata a casa di Lori e la poliziotta disse ai suoi genitori che la mattina dopo sarei dovuta andare in sezione.
Era tutto triste e silenzioso e mi dava fastidio stare con loro perché vedendo la situazione non facevano altro che tacere.

"Posso andare al negozio qui vicino?", chiesi sbuffando ed essendo desiderosa di prendere aria.
Non potevo stare lì e fare finta di nulla, mi dava sui nervi e stavo in una posizione scomoda.

"Certo, Lori accompagnala. Se volete potete fare una passeggiata ma non tornate troppo tardi", disse sua madre.

Io e Lori uscimmo e andammo al negozio dove volli prendere un pacchetto di patatine ed una bibita.
Andai verso il settore snack e cercai le mie patatine preferite. Le trovai, erano l'ultimo pacchetto di quel tipo e mi considerai fortunata nel trovarle.

Le afferrai con grande tenacia e poi sentì qualcosa di freddo che sfiorava la mia mano.
Era la mano di qualcun'altro.
Mi voltai e mi ritrovai davanti un ragazzo alto che indossava una felpa con cappuccio e una mascherina nera.

Il cappuccio copriva la testa ma da essa fuori-uscirono alcuni ciuffi neri come il carbone.
La mascherina impediva il riconoscimento del volto ma si potevano chiaramente vedere i suoi occhi blu zaffiro.
Erano bellissimi ma ebbi la sensazione di averli già visti.

Il ragazzo non disse parola ed aveva una mano nella tasca e con l'altra teneva stretto il pacchetto di patatine come feci anche io.
Ci guardammo entrambi aspettando che uno dei due lasci la presa ed ovviamente mi aspettavo che lui facesse l'uomo galante e lasciasse a me il pacchetto.

Lo fece? Assolutamente no, anzi strappò le patatine dalla mia mano e se ne andò voltandomi le spalle e camminando a passo lungo.

"Che gentiluomo", dissi a denti stretti.
"Cosa è successo?", chiese Lori curiosa.
"Quel tipo laggiù ha afferrato l'ultimo pacchetto di patatine nel mio stesso momento e alla fine se le è prese lui", lo guardai uscire dal negozio.
"Ormai non ci sono più persone galanti Lin!", aveva ragione.

Il mondo faceva talmente schifo che la galanteria diventò un privilegio.
"Vieni, andiamo a fare una passeggiata prima che faccia buio", disse lei.
Uscimmo e ci incamminammo verso il parco.
"stai bene?", chiese per controllare.
"Non ne vale la pena chiederlo. Già sai la risposta", e con ciò lacrime silenziose si fecero vedere e cominciò così un pianto muto.

"Si risolverà tutto vedrai", disse per confortarmi.
"Non posso riavere quello che ho perso Lori, non si risolverà nulla!".
Avevo perso qualcosa di estremamente prezioso per me ed il dolore è indescrivibile.
Dicono che il tempo fa passare tutto ma non è così.
Non è affatto così, ti abitui alla mancanza di ciò che hai perso ma al cambiamento non si troverà mai abitudine.
Alla perdita di ciò che ti è caro non si può mai trovare rimedio e tanto meno abitudine.

"Si sta facendo tardi, andiamo?", chiese chiaramente preoccupata di non disobbedire ai suoi genitori.
"Potresti andare avanti? Ti raggiungo fra poco".
"Sei sicura?", disse incerta.
"Sì, vengo anche io fra qualche minuto", la accertai e lei si fidò.

Rimasi con le ginocchia alzate al petto e il mento appoggiato ad esse, cercai di darmi conforto da sola e respirare profondamente per calmarmi.
Mi stava facendo male la testa.

Pensai di cominciare ad incamminarmi verso casa di Lori e mentre mi dirigevo si fece notte.
Si lasciò un'aria fresca e la luna si vedeva ben alta in cielo anche se non era veramente così tardi.

Avevo freddo e quasi immediatamente cominciò a piovere.
"Dannazione!", dissi a me stessa.
Mi stavo bagnando molto e il raffreddore non sarebbe mancato, ma la mia attenzione fu attirata da qualcos'altro.

Mi sentivo osservata, mi voltai e vidi una figura che andava al mio stesso passo e si trovava a qualche metro di distanza.
Poteva essere solo una normalissima persona che andava nella mia stessa direzione, sotto la pioggia, col cappuccio.
Aveva una busta attorno all'avambraccio e le mani in tasca.

Mi sentivo a disagio, così per sentirmi sicura decisi di proseguire attraversando un vicolo e poi uscendo sulla prossima strada per verificare eventuali inseguimenti.

Ero più sicura dopo aver fatto quella mossa ma appena mi voltai lo vidi ancora lì.
"No, ti prego no. Fai che non sia quello che sto pensando", sussurrai con una voce spezzata.
Decisi di correre, sarebbe sembrato che cercavo di sbrigarmi per sfuggire alla pioggia e appena preso la rincorsa mi girai un'altra volta per vedere cosa facesse la persona incappucciata.

Anche lui corse e ciò mi spaventò molto.
Andai più veloce senza farmi altre domande e sperai di raggiungere la strada immediatamente, cosicché potessi suonare al campanello di qualche casa prima che fosse troppo tardi.

Avevo la pelle d'oca per il freddo e i miei passi pesanti sull'asfalto inondato d'acqua erano molto rumorosi.

Stavo raggiungendo la fine del vicolo e un sorriso si stampò sulla mia bocca, finché fui afferrata per il braccio e tirata con forza indietro.
Mancai un battito e fui estremamente scioccata.

"Devi venire con me", fu quello che disse l'anonima persona.
"No, lasciami, chi sei!? Lasciami!", cercai di fargli lasciare la presa al braccio e battei un pugno sul suo petto.

"Smetti di agitarti, vieni con me e basta", avevo paura ma allo stesso tempo decisi di fare la coraggiosa e opporre resistenza.
"Cosa? No, lasciami stare!", continuavo ad agitarmi e muovermi senza sosta.

La persona in questione mi rivelò il suo volto e riconobbi il ragazzo che stette con me nell'ambulanza e mi accorsi che gli occhi erano gli stessi del maleducato al negozio.
In poche parole erano la stessa persona.

"Cosa vuoi da me, mi stai perseguitando? Perché sei rimasto con me all'ambulanza e poi te ne sei andato!? Chi sei!", non dissi nulla riguardo al negozio perché era poco importante in quel momento.

"Non devo dirti nulla, devi solo venire con me e basta!", mi ordinò ed io ringhiai mentre riuscì a staccargli la mano dal mio braccio e liberarmi.
Feci uno scatto veloce per andarmene ma fui ripresa violentemente per il collo e poi scaraventata a terra di pancia.
Una volta con me cadde anche la busta che teneva lui e vidi come affondò nella pioggia, sul buio.

Espressi un suono di dolore durante l'impatto e poi capì che il ragazzo stava premendo sul mio collo per tenermi giù e reggeva la mia mano dietro la schiena come fossi una criminale sotto arresto.

"Sei più agile di quanto pensassi. E mi stai innervosendo", lo sentì pronunciare, quasi ammaliato dal come gli sfuggì per un secondo.
"Lasciami andare! Non osare toccarmi!", era un peccato per quei bei occhi appartenere ad un individuo del genere.

Cercai di muovermi ed agitarmi in tutti i modi possibilmente immaginabili ma gli stavo solo dando fastidio. Come disse anche lui.

"Smetti di muoverti, non sei una bambina! Puoi facilmente seguire delle istruzioni", mi sembrò la cosa più stupida che ebbi mai sentito.

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