8-Appuntamento romantico
Naira
La pelle batte il cervello.
Lo disintegra nel momento in cui due persone s'incontrano e combattono contro la chimica. Quando il solo contatto, anche sfiorato, provoca quella scossa che non puoi lasciare al caso, quando il tuo corpo si riconosce in quello di un altro, quando gli occhi e la bocca hanno un desiderio comune... puoi dire addio a ogni facoltà mentale.
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Lui è qui, in questa stanza che sembra non avere più ossigeno.
La luce del sole che entra dal finestrone dell'ufficio, riflette sui suoi occhi e sento l'aria bloccarsi. Perdo il respiro, il battito, le nocche poggiate sulla ceramica.
Le tazze sono roventi, ma non più di quello che sento dentro.
Jake mi ha chiesto di preparare due caffè, ero convinta volesse fare una pausa, con me.
Se avessi saputo per chi era l'altra, ci avrei sputato dentro e mi sarei gustata la scena.
Il mio capo dovrebbe imparare a fare il capo, senza preoccuparsi delle mie mani.
Prende le due tazze e ne porge una a Evan.
«Dicevamo?» chiede al suo amico «Ho perso il filo del discorso.»
«Non ora, non con lei presente.» Fa cenno, indicandomi con il pollice, a pugno chiuso.
Resto in silenzio. Devo pur sempre passare per il povero cricetino indifeso e spaventato dal brutto gatto cattivo, ma gli tirerei un calcio diretto nelle palle.
Lo tiro da dentro e me lo faccio bastare, per ora.
«Evan. È la mia assistente.»
«Ma il mio è un caso riservato, non ti ho chiesto di mettere i manifesti.» Mantiene la calma, ma aleggia nell'aria la sua frustrazione.
«Ok, va bene, amico.» Lo tranquillizza, poggia i palmi alla scrivania, mentre si accomoda sulla poltrona in cuoio marrone. «Naira, per cortesia, esci dalla stanza.» dice con tono austero, mostrando la porta.
Fingo di essere dispiaciuta, ma non mi frega di conoscere il motivo che porta quel demente allo studio. Meno so della sua vita, meglio è, per entrambi.
Non voglio conoscere il suo dolore, non devo legarmi a lui. Non possiamo permetterci di entrare nella vita dell'altro.
Lui non lo sa, ma ha fatto bene a farmi buttare fuori.
Stronzo!
«Ah, Naira, dimenticavo...» Jake mi richiama, non appena prendo in mano la maniglia della porta.
E io mi volto, ma il mio sguardo non è diretto a lui. Mi riscuoto, costringendomi ad affossare gli occhi in quelli di chi mi ha richiamata.
«Dimmi tutto!»
«Prenota un tavolo per due al Royal, alle diciannove.» dice, dopo aver guardato l'orologio che ha al polso.
Il ristorante di ieri sera...
Con chi ci deve andare?
Evan lo guarda stranito quanto me.
«Appuntamento romantico?» chiede curioso.
«Si spera.» risponde.
Ma il suo sguardo è rivolto dalla mia parte, non a lui.
«Capisco.» Lo vedo.
Lo vedo, mentre stringe i pugni sotto la scrivania. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso, sono calamitati al suo corpo, risalgono sul viso e, non appena incrocio lo sguardo, sento perdere un altro dei miei preziosi battiti.
«Quindi?» Sento Jake porgere la domanda, ma sono ancora incantata.
Mi riscuoto, perché il cuore mi sta salendo in gola.
«Quindi, cosa?» domando. Non ci sto più capendo niente.
L'attrazione che provo per Evan è innegabile quanto stupida.
«Sei libera stasera?»
Non pensavo fosse così facile farlo cadere nella trappola. È un uomo che potrebbe avere chiunque con un solo schiocco di dita. Non ho dovuto fare niente per convincerlo a uscire, è stato tutto troppo facile.
Che noia.
«Sì, certo.» fingo imbarazzo. «Da soli?» chiedo, riferendomi alla serata di ieri.
«Sì, da soli.» sorride, riportando lo sguardo su Evan e di nuovo su di me.
E quel sorriso si spegne.
«Possiamo fare le venti, così passo a cambiarmi e darmi una rinfrescata?»
«E le venti siano.»
Lancio un ultima occhiata a Evan che ha ancora i pugni sotto il tavolo, uno sguardo incazzato e assente. E io la voglia di sdraiarmi su quella maledetta scrivania e concludere quello che abbiamo lasciato in sospeso.
Caffè!
Ho bisogno di quella bevanda salvavita per riprendermi dallo stato di demenza.
Richiudo la porta alle spalle e vado diritta in sala relax per preparare una tazza per me.
Accanto la macchinetta, a inserire la cialda, per preparare il suo caffè, trovo Jasmine, la biondina Barbie Style dell'ascensore.
Sente il rumore dei miei tacchi che battono sul pavimento e mi scruta in tralice.
«E quindi, alla fine ti ha assunta?» Il suo tono acido non è dei più accomodanti.
Mi squadra dalla testa ai piedi, prima di voltarsi, incrociare le gambe tornite, infilare la bacchetta in bocca per leccare il caffè che ha appena mescolato.
«A quanto pare.» rispondo, mantenendo un aria distaccata.
Mi faccio spazio per arrivare alla macchinetta, ma lei si para davanti per coprirla.
«Mh, buono.» continua a leccare la plastica. «E, dimmi un po', quali competenze avresti tu?»
E dimmi un po'... cosa cazzo te ne frega a te?
«Senti, tesoro, non ho voglia di litigare, potresti spostarti, gentilmente?» chiedo in un falso sorriso che spengo subito. «Ho bisogno del mio caffè.» continuo, perentoria.
«So che sei uscita a cena con il signor Mill.»
«Era una cena di lavoro.» rispondo, mentre con un braccio la sposto, facendomi spazio.»
«E a letto com'è?» domanda.
Ma la risposta non le interessa. Con una risata sguaiata lascia la stanza, a passo lento, come un felino. La sua voce riecheggia tra le mura, una voce stonata che mi fa sorridere.
Finalmente sola, mi rianimo con il mio bel ristretto. Ho bisogno di qualcosa di forte. Lo sorseggio, poggiata al muro vicino la finestra che affaccia sulla strada.
Sarebbe meglio corretto con il rum, ma me lo farò bastare.
Non m'importa di ciò che la gente pensa di me. Ho passato anni a farmi una corazza robusta. La stessa corazza che mostro a chiunque mi stia vicino. Non possono scalfirmi.
Il dolore, quello vero, l'ho sentito quando parlavano di me, ma nessuno sapeva che ero io quella ragazza con la voglia di fragola sulla chiappa. L'ho sentito, quando ho saputo che una donna aveva tentato il suicidio a causa mia. L'ho sentito quando sono stata lasciata sola ad affrontare il mondo che mi strappava la pelle, senza preoccuparsi di farmi male.
Sono stata io il più grande demone di me stessa.
Torno nel mio ufficio. È uno di quelli piccolini con una grande vetrata che affaccia in quello di Jake ma, per la maggior parte del tempo, le tende automatiche restano abbassate, soprattutto, quando ha clienti nello studio.
Entro per prendere le mie cose e andare a casa per prepararmi alla serata, ma trovo Evan seduto, comodo, sulla mia sedia, mentre scruta il suo telefono.
«Cosa fai qui?» domando atona.
È tutta una finzione, sono brava a mentire, ma la realtà è che il cuore mi si è fermato, forse per un attimo, forse per sempre.
«Non sapevo che questo fosse il tuo ufficio.» risponde, senza staccare gli occhi dal display.
«Lo sapevi, invece.» ribatto.
«Come dici tu, Bambi.» continua a tenere il viso, fisso, sullo schermo.
«Si può sapere che vuoi?» chiedo, avviandomi verso la scrivania.
Poggio le mani sul tavolo e, senza apparente motivo, mi abbasso, in modo tale che possa sbirciare nella scollatura. Non mi guarda, ma lo vedo ingoiare un groppo di saliva.
«Non prenotare al Royal, se vuoi rimanere sola con lui.» dice, lasciandomi stranita, ma ancora con la testa bassa sul telefono.
«In che senso?» Mi chino ancora di più e cerco di usare un tono suadente per farlo smettere di messaggiare, o qualunque cosa stia facendo.
«Verrò lì anche io, stasera.»
«No, aspetta, come?» domando.
Mi ritraggo dalla scrivania e chiudo il bottone della camicetta aperta.
«Con la moto.» risponde, il simpaticone.
«Finiscila di fare il coglione.» Evita ancora il mio sguardo e io sto perdendo la pazienza. «La devi smettere, mi hai capito?»
«Di fare cosa, Bambi?»
«Di fissarmi.»
«Non mi sembra che io lo stia facendo.»
«Ora, ma mi guardi quando parlo con Jake.» Voglio vedere se adesso avrò la sua attenzione. «Guardami, ascoltami, Evan.»
Niente, non riesco a smuoverlo.
«Mi creerai problemi se non la smetti di fare lo stronzo.» Non può fare finta che io non esista per tutto il tempo.
«L'unico problema che vedo è che esci con lui e hai ignorato il mio biglietto.» dice annoiato.
«Oh, Dio, ma ti senti?»
«Strano, è la prima volta che mi chiami con il mio nome.»
Ho voglia di strappargli quello stupido sorriso che tiene ancora incollato a quel maledetto schermo.
Ma cosa diavolo avrà da ridere?
«Non ignorarmi, smettila di scrivere, cazzo!»
Ormai la mia pazienza è arrivata al limite. Lo fa di proposito. Mi istiga, mi sfida, vuole vedermi perdere il controllo.
E io non lo posso perdere, il controllo. Sento che se mi lasciassi andare non saprei più come fare a tornare indietro, a tornare la me di sempre. Quella che mi sta bene così, senza sentimenti, con il cuore strappato, sprovvista di ago e filo per ricucirlo.
Si alza dalla sedia, determinato a venirmi in contro. È sempre più vicino, troppo vicino. Sento il suo fiato sul collo e il profumo di legno e ciliegia, misto a quello della pelle del giubbotto, invadermi i sensi. Poggia la sua fronte alla mia e io non mi scanso. Non riesco a muovermi, non voglio.
Voglio unirmi a quelle labbra carnose che non posso smettere di fissare. Voglio sentire il loro reale sapore e non quello di sale aspro e tequila.Voglio affondare, con lui, sia nel mare che nell'oscurità dei suoi occhi e perdermi, per poi ritrovarmi, tutte le volte che posso, tutte le volte che diventerà tempesta, ma non lo ammetterò mai, neanche a me stessa. Perché sta diventando una tortura e lui nemmeno lo sa. Non è nessuno, non lo conosco affatto.
«Ti svelo un segreto, Faline.» soffia a un centimetro dalle mie labbra. «Ho smesso di fare quello che stavo facendo, quando sei entrata da quella cazzo di porta.»
Si sposta, non aspetta che gli risponda, apre la porta ed esce dalla stanza, lasciandomi sola, inerme, a pensare a quanto cazzo possa essere stronzo, perché aveva detto che "Faline" rende tutto più romantico. E noi non possiamo cadere nei sentimentalismi.
E allora perché mi sta fottendo il cervello?
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Arrivo al ristorante, con mezz'ora di ritardo. Ho chiamato Jake per scusarmi, ma ho avuto un piccolo imprevisto.
Jay...
Ha voluto farmi la messa in piega – dei boccoli, per la precisione. Ci ha impiegato venti minuti a scegliere cosa dovevo indossare. Sa bene che sono abbastanza grande da vestirmi da sola ma, non appena ho menzionato al fatto che Evan aveva prenotato nello stesso ristorante, gli si è acceso l'entusiasmo.
"Devi vestirti da troia, ma non troppo." Ha detto, prima di preparare l'altare delle opzioni.
Il vestito verde menta che mi ha fatto indossare è troppo corto, continuo a dimenarmi, alla ricerca della stoffa sul sedere, per abbassarla. Non lascia scoperto il seno, ma si aggancia sul collo, copre le spalle e scende sulle braccia con maniche a sbuffo, lasciando la schiena scoperta.
È convinto che qualcosa deve pur rimanere nascosto, altrimenti passerei per una di quelle a pagamento.
Mi siedo al tavolo, dopo aver chiesto perdono, e Jake ha l'aria infastidita.
«Te l'ho detto, Jake, devi scusarmi.» ripeto per la terza volta.
«Non m'importa del ritardo, Nay.» specifica nervoso. «Ti posso aspettare.»
«E allora che c'è?» chiedo interdetta.
«Evan! Non mi piace come vi guardate.»
Cazzo, lo sapevo, lo avevo visto spegnere il sorriso nel suo ufficio.
«Come ci guardiamo, Jake?»
«Come due che hanno una relazione.» Rido, ma si sente che è una risata di puro imbarazzo. «Nay, devi dirmelo, prima che questa cosa che c'è tra noi, continui.»
Lo guardo, piegando la testa di lato. Perché tra noi non c'è niente, ma se lui sente che sta nascendo qualcosa, è probabile che io sia più in gamba di quanto pensassi.
Sono davvero brava nel mio lavoro.
«Perchè, Jake, cosa c'è tra noi?» Oso, mentre gli accarezzo il braccio scoperto dalle maniche della camicia beige, arrotolate sui gomiti.
«Ti ho invitata a cena, per la seconda volta, solo perché mi piaci da impazzire, Nay, non lo hai ancora capito?» dice suadente.
«Be', no. Come hai intenzione di farmelo capire?»
Si alza dalla sedia che striscia sul pavimento in granito chiaro, mi afferra dalle guance, le stringe e preme la sua bocca nella mia.
Le nostre lingue s'incontrano in un vortice di passione che fa alzare anche me dalla sedia. È qualcosa di potente, di caldo, qualcosa che non vorrei lasciare andare, perché, è da troppo tempo che non vado a letto con un uomo.
E io ora ne ho bisogno più che mai. Devo togliermi dalla testa le labbra di Evan che affondano nei miei seni, il contatto con la sua pelle liscia, le braccia possenti che mi sorreggono. Quel bacio dal sapore di proibito che ancora non smetto di sognare, ogni notte. Tutte le notti, da quella sera.
Ma Milena non ha ancora dato il via libera.
Il suono del cameriere che si schiarisce la gola ci riporta alla realtà. Entrambi imbarazzati, per il comportamento poco consono, ci stacchiamo, ci guardiamo negli occhi e scoppiamo in una risata dovuta alla vergogna, ma si spegne, non appena ci voltiamo e vediamo che non si tratta di chi pensavamo.
Evan è in piedi, al nostro tavolo. Tiene per mano una biondina che non si spreca a presentare.
«L'appuntamento romantico ha già dato i suoi frutti, vedo.» dice, mostrando un sorriso disgustato che non riesce a nascondere. «Vado al mio tavolo.»
Trascina la bionda con sé, verso il posto a loro riservato, senza aspettare una risposta.
«Prima o poi dovrò ucciderlo.» Sento Jake blaterare, sotto voce.
«Ti aiuterò a seppellire il suo cadavere.» rispondo.
O, forse, dovrai trovare qualcuno per aiutarti con il mio...
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