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4- Il piede giusto

Naira

Coglione!

Stavo per andare a letto con un emerito coglione.

Mi risveglio sconvolta tra lenzuola di seta bianca profumate di fiori.

Penso a quegli occhi strani, ma bellissimi che avrei dovuto cavare con due dita non appena hanno incrociato i miei.

Inutile dire che lo sapevo.

Lo so sempre quando un uomo è troppo deficiente perfino per passarci una sola serata, ma Evan... Evan mi ha fatta uscire fuori di senno, anche se non l'ho dato a vedere.

Ho sempre pensato che ci sia qualcosa di sbagliato in me, che io sia una specie di errore, che la storia con Dave abbia, in qualche modo, resettato le mie emozioni e che non siano più riuscite a riavviarsi, nei confronti dell'altro sesso.

Rabbia, frustrazione, piacere, gelosia...

Evan è riuscito a mettere in moto questa macchina che sembrava non funzionare da troppo tempo.

«Bambi, Bambi, Bambi, non sai neanche chi è Bambi, coglione.» Impreco, sgualcendo le lenzuola con i piedi, per toglierle di dosso.

«Con chi ce l'hai, Naira?»

Milena fa la sua apparizione da anima divina, con una tazza di caffè fumante in mano e l'aureola in testa.

«Ehm, con Jay. È tornato a casa, stanotte?» dico, mentre afferro la bevanda celestiale che mi aiuterà a riprendermi dalla sbornia di ieri sera.

«Non lo so, non sono passata dalla sua camera.»

Faccio finta di niente, non posso dire al mio boss che stavo per infrangere l'unica regola che mi ha dato. A dire il vero, l'ho infranta, ma lo so solo io e quel demente che spero di non incrociare neanche nei miei sogni, almeno non più, visto che stanotte è stato presente.

Sono quegli occhi così particolari che mi hanno fregata e un po', anche, quel carattere di merda che lo porta ad essere nella top tre degli uomini da evitare come la peste.

È un errore... proprio come me!

«Me ne farò una ragione!» ripeto quella frase sotto voce, tra un sorseggio e un altro.

«Scusa, cosa?» domanda la donna che è appena entrata in modalità: dimmi tutto, ti ascolto.

Lo noto dal suo viso preoccupato, ma che accenna a un falso sorriso di comprensione, mentre si siede accanto a me, sul letto.

«Niente, Mili, ho avuto una piccola discussione con Jay.» mento.

«Hai sempre discussioni con Lui, non vedo dove sia il problema.»

Ed è proprio in questo preciso istante che decido di fare la bambina accusona, per evitare domande scomode e dirle una mezza verità.

«Mi ha combinato un appuntamento per uscire con l'amico di un tizio che gli piace, uno dei tanti tizi che gli piacciono.»

Merda: sono ufficialmente una merda!

«Che cosa?» Ed ecco che ho scatenato la furia. «Jay sa benissimo che devi iniziare con il nuovo incarico, che diavolo ha in mente?» domanda, alzando il tono della voce di qualche decibel.

«Credo voglia vedermi sposata, con qualche figlio e un paio di cani.» rispondo e alzo le spalle. «Hachiko e Marley; dovrei chiamarli così, secondo lui.»

«I tuoi figli?»

«No, Mili, i cani! Non hai mai visto i film?» Con lo sguardo perso nel vuoto, alza gli occhi al cielo in un cenno di negazione. «Dobbiamo recuperarli. Magari stasera, se mi prepari i pop corn al burro e beviamo insieme un calice di vino. A testa, ovviamente.»

Milena si alza dal letto, mi osserva con una punta di acidità nello sguardo, strizza gli occhi e io so già cosa sta per dirmi.

«Non avevi detto che avresti dovuto mangiare più sano?» domanda, seria.

«Mais e latte, è sano!»

«Uhm, sì, e il vino, dove lo mettiamo?»

Sento battere dei colpi sulla porta già aperta.

«È succo di frutta.» risponde Jay, mentre si catapulta sul letto.

La donna si avvicina minacciosa al mio amico. La sua figura diventa imponente, a ogni passo che avanza, sempre di più. Temibile e fiera, dà un pizzicotto con le unghie scarlatte e affilate, alla coscia del mio amico.

«Ahia! Che ho fatto?» frigna, tenendosi la gamba.

«Sai benissimo cos'hai fatto.» dice, con le mani sui fianchi e la faccia alla Miranda Presley mentre spiega ad Anne Hathaway la differenza tra l'azzurro e il ceruleo. «Stamattina ha il colloquio per il nuovo incarico.»

Io e Jay ci scambiamo uno sguardo sconcertato, prima di guardarla di nuovo.

«Stamattina, nel senso... oggi?» chiedo confusa.

«Stamattina, nel senso, fra...» guarda il suo solito orologio immaginario, «... un'ora!»

Cazzo, cazzo, cazzo!

«Quando avevi intenzione di dirmelo, Mil?»

«Ti ho mandato un messaggio ieri sera.»

Mi alzo di scatto dal letto alla ricerca della borsa. Frugo tra i panni lasciati sulla poltrona di velluto rosa: niente!

Guardo sotto il letto, nell'armadio, sul lampadario che so benissimo che non c'entra nulla ma, con me, non si sa mai. Niente, niente, niente e ancora niente.

«Cosa cerchi?» chiedono entrambi.

«La borsa, la mia maledettissima borsa.» rispondo in preda al panico, mentre scaravento, come una furia impazzita, i vestiti sul pavimento. «L'ho dimenticata al Troy, cazzo.»

Ora ricordo, non sono più rientrata a prenderla

I soldi, i documenti da rifare, le chiavi della macchina: era tutto lì dentro.

«Ah già, la borsa è in camera mia.» Per fortuna! Osservo Jay, allargando le spalle per avere delucidazioni. «Sei andata via senza avvisare e, il tuo appuntamento,» guarda Milena con il terrore di ricevere un altro pizzicotto, «... volevo dire, l'amico di Collin ha notato che l'avevi lasciata sui divanetti. Io lo ringrazierei, fossi in te.»

«No!» rispondiamo in coro con Milena.

Jay ha già deciso, ora non parla per la paura che gli vengano conficcate un paio di unghie nella carne, ma conosco quegli occhietti malefici. Lui mi ha accoppiata.

«Preparati, Naira, o farai tardi al colloquio.» dice la donna, rivolgendo un'ultima occhiataccia al mio amico, prima di sparire dietro la sua vestaglia bianca in chiffon e chiudere la porta.

«Non puoi negare che sia bello da morire, Nanni.» Lo sapevo che avrebbe tirato fuori l'argomento di mister giacca di pelle nera. «Dai, ammettilo che ti ha fatto vibrare le coronarie.»

«Non mi ha fatto vibrare un bel niente, Jay.» Devo trovare il modo di distruggere i suoi sogni, almeno, quelli che riguardano la mia vita.

«Ma smettila che lo abbiamo notato tutti come lo guardavi quando eravate soli soletti al bancone del bar.» dice, con l'espressione da ebete.

«Ma se hai perlustrato la gola di Collin per tutta la sera e, da quei divanetti, era impossibile vederci.»

«Vero, ma siamo andati a visitare il bagno.» ammette con malizia. «L'ho vista, Nanni, l'ho vista la scintilla saettante.»

Alzo gli occhi al cielo e lo ignoro, vado verso l'armadio bianco stile boemhien – che Milena ha, minuziosamente, riempito con capi da schiaffi alla povertà – e prendo uno di quei tailleur pantalone che gridano castità.

«Vuoi ottenere il lavoro da assistente o passare per una suora di clausura?» domanda retorico, cambiando argomento, per mia fortuna.

Con la gruccia in mano, mentre osservo il completino rosa confetto da oltre mille dollari, con ancora il cartellino attaccato, non posso che dargli ragione.

«Dici meno, Jay?»

«Dico buttalo. A meno che, invece che passare da illibata, tu voglia farti credere sessualmente morta.»

«Presumo che neanche questo, verde vomito, vada granché bene.» dico, rivolta a un altro completino con una gonna a tubino.

«Ho capito, Nanni, scelgo io i tuoi vestiti.»

Jay, finalmente, recepisce il messaggio.

Odio scegliere l'abbigliamento per i vari colloqui destinati ai miei finti lavori.

Si scomoda dalla pace degli angeli e apre i cassetti sotto l'armadio, quelli che contengono t-shirt, top e camicette.

Prende una di quest'ultime, semplice, di raso bianco, non troppo elegante, ma da donna in carriera e ci abbina una gonna di pelle nera che scende aderente fino al ginocchio. A completare il tutto, una décolleté scura di vernice, in tinta con gonna e borsa.

Semplice, sì, ma con classe.

Dopo essermi vestita, opto per una sola passata di mascara e un gloss per completare l'opera.

Il riflesso di me sembra sbattermi in faccia quanto io sia solo un bel contenitore che, dentro di sé, nasconde una mela marcia, putrefatta. Una di quelle che, una volta scoperchiato il tappo, emana fetore a distanza, quel genere di olezzo che nessuno Chanel potrebbe spegnere, anzi, ne accentuerebbe l'odore rivoltante.

«Sei perfetta, Naira, così... come sei.»

Jay lo vede sempre quando il mio sguardo si rabbuia ed entro in conflitto con la me di una volta. Lui è lo specchio che riflette quel lato che ancora apprezzo del mio essere. Quello che mi guarda attraverso gli occhi di un amore incondizionato, e non da lastre di vetro spento che mostrano una realtà distrutta.

Dave è stata la mia prima scelta di merda, quella che mi ha portata al declino.

Ogni tocco di quell'uomo mi faceva sentire sporca allo stesso modo in cui mi sento oggi, quando mi ritornano in mente tutte le volte che mi possedeva con l'autorità che gli avevo concesso io stessa. Come mi sono sentita sporca quando scoprii che avevo distrutto una moglie devota e i suoi figli.

Fu proprio uno di loro che trovò un video sul cellulare del padre, lo stesso che fece il giro del web. Nessuno sapeva chi fosse quella ragazzina dal sedere macchiato da una voglia di fragola, ma io sì.

Io la mia schiena la conoscevo bene e la voce ansimante che rimbombava tra gli schermi dei cellulari dei miei compagni di scuola, che non facevano altro che sotterrare e deridere quella figura eccitata, entrava come spilli nelle mie orecchie. Non scoprii mai chi era stato a premere quel maledetto tasto d'invio. Dave rimase sbalordito quanto me, all'inizio. E io pensai alla cosa più ovvia: era stato il figlio. Solo dopo qualche giorno se ne assunse tutta la colpa e mi lasciò sprofondare, da sola, in un mare di escrementi fatti di giudizi che additavano una ragazza anonima, con il culo davanti al flash del telefono che aveva registrato, quell'uomo, entrarle dentro e sculacciarla, come il peggiore dei porci, e la me sedicenne, godere, come una puttana dei bassi fondi.

Niente amore per me, non avrei concesso più a nessuno di strapparmi il cuore dal petto e ridurlo in cenere.

💔💔💔💔💔💔💔

Dentro l'ascensore che porta al piano dello studio della mia nuova vittima, sento un tanfo di ascelle che mi riporta alla mente i tempi delle serate universitarie. Tempi bui, sì, ma la puzza era giustificata dai cambiamenti ormonali, da tutta la roba che ci calavamo e dalle serate intere passate a ballare, sudati, all'interno dei peggiori pub frequentati dalla stessa marmaglia di studenti, quantomeno.

Quattro donne ben vestite occupano, oltre me, l'ascensore, due delle quali scendono a un paio di piani prima del mio e, finalmente, la scia di morte si allontana insieme a una di loro.

Una delle due ragazze rimaste all'interno fruga nella sua borsetta e toglie fuori un deodorante spray, spruzzandolo per tutta l'area.

«Smettila, Karol. Con tutta questa roba, se accendiamo una sigaretta, saltiamo in aria.»

A parlare è una ragazza bionda, molto Barbie style. Il suo completo fucsia, in tinta con il rossetto, sembra illuminare l'ascensore a causa di un tono troppo acceso, quasi accecante.

L'altra, meno appariscente, con il suo caschetto castano e sbarazzino, gli occhi a mandorla, tipici degli orientali, la guarda attonita.

«Sei seria, Jasmine? Perché mai dovremmo accenderci una sigaretta nell'ascensore?» Non fa una piega. «Quella ragazza dovrebbe imparare a usare un buon doccia schiuma e... questo.» dice, mostrando la boccetta che ha appena spruzzato.

«Karol, non è educato.» la rimprovera mentre, con un cenno dello sguardo, fa notare alla sua amica la mia presenza. «La ragazza potrebbe avere qualche problema ormonale.»

«Problemi ormonali un corno.» risponde per poi rivolgersi a me. «Quella non si lava, te lo assicuro. Sporca dentro e fuori.»

Soffoco una risata, mentre le porte dell'ascensore si aprono sul piano.

«È stato un piacere conoscerti...» afferma in una smorfia interrogativa. «Il tuo nome?» chiede, mentre esce.

«Naira, piacere.» Sorrido, porgendole la mano.

«Naira Davis?» domanda, curiosa.

«Sì!»

«Oh, non avrai problemi per l'assunzione.» dice, allargandosi in un sorriso, mentre mi squadra. «Sei in ritardo, il signor Mill, ti sta aspettando da mezz'ora. Sei fortunata ad avere quella... roba.» Mostra il corpo con un gesto che segue la linea della mia figura.

La ragazza bionda la tira dal braccio con fare infastidito, senza aggiungere altre parole.

Karol le lancia un'occhiata di diniego, prima di spostarla con delicatezza verso quello che, credo, dovrebbe il suo ufficio.

«Vieni, Naira Davis, ti accompagno dal mostro.»

«Dal mostro?» domando scettica.

«Vedi, il Signor Mill odia poche cose, una di queste è: aspettare.» Si incammina, intimandomi di seguirla. «Soprattutto se si parla di affidabilità sul lavoro.»

Ci fermiamo davanti a una porta, dove una placca di metallo intagliata, cita: Avv. Penalista Mill Jake.

Bussa...

«Avanti!»

Una voce potente e alquanto infastidita, risponde da dietro l'anta.

«Avvocato, la ragazza del colloquio è arrivata, posso farla entrare?» chiede, senza aprire.

«No!» risponde perentorio.

«È colpa mia. L'ho incontrata in caffetteria e, quando ho capito che era lei, l'ho subissata di domande, non mi sono resa conto.» dice una palese bugia, mentre mi strizza l'occhio e ride di sottecchi.

Non risponde. Un silenzio inquietante sovrasta il chiacchiericcio dei corridoi di quel posto.

È lui ad aprire quella dannata porta.

La piccola foto sul documento di Tornless non rende giustizia alla reale presenza di quest'uomo.

Una figura imponente si affaccia da quel buco. Il completo che indossa mette in risalto un fisico ben definito. La camicia nera aderente non lascia molto spazio all'immaginazione. I capelli biondissimi, ben ordinati e i suoi occhi scuri e taglienti, mi provocano un eccessivo disagio che mi porta a ingoiare saliva, a ripetizione. Mi scruta, senza parlare.

«È comunque in ritardo, Miss Davis.» Rompe la quiete, mostrando un leggero sorriso che non riesco a decifrare. «Si accomodi.»

Con la mano mi fa cenno di entrare, seguo la sua indicazione, senza esitare.

«Portaci due caffè, Karol.» ordina, prima di richiudere.

«Avrei preferito un calice di vino.» dico sottovoce, a causa dell'agitazione.

«Anche io, ma non bevo di giorno.»

Cazzo, mi ha sentita. Questo nuovo incarico sembra essere partito con il piede sbagliato.

«Mi scusi, davvero, ma sono molto nervosa.» ammetto.

È vero! La presenza di quest'uomo e il suo profumo inebriante di sandalo, mi portano via quel tanto di raziocinio che basta per mantenere il mio solito controllo.

«Piacere, Naira.» Porgo la mano per le dovute presentazioni.

«Stasera.» Si volta di spalle, verso il finestrone che affaccia sulla strada, ignorando il mio gesto.

«Stasera cosa?» chiedo per avere delucidazioni.

«Stasera, a cena, davanti a quel calice di vino. Parleremo lì, così, magari, intanto si calmerà, Miss Davis.»

O, forse, il piede non è mai stato più giusto di questo...

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