11-Caffè e rossetto
Naira
«Sono stato un idiota.» Queste sono le parole che sento uscire dalla bocca di Jake non appena varco la soglia della sala relax. «Mi riferisco all'altra sera. Non sono giustificabile, ma vorrei provare a farlo comunque.»
Di certo, non mi sarei aspettata un agguato, prima di prendere il caffè.
Incrocio le braccia al petto, seguo il ritmo del suo gioco. Ho proprio voglia di sentire le scuse che arrancherà per il comportamento da completo deficiente.
«Sentiamo, Avvocato, cosa ha da dire in sua difesa?» Lo intimo a parlare, schernendolo un po'.
Sbuffa, si alza dalla sedia, spostando il tavolino e mi raggiunge. Mi blocca tra il muro e le sue braccia che sembrano voler uscire fuori dalla camicia. Vedo tutte le forme, attraverso il cotone bianco e ingoio un groppo di saliva, quando sorride e morde il labbro inferiore a un centimetro dalla mia bocca. Lo faccio anche io. Mi viene istintivo imitare il suo gesto e non mi rendo conto di premere un po' troppo forte la carne tra i denti.
«Sono un tipo geloso.» sussurra. «Mi sono lasciato trascinare dalla stupidità.» ammette, spostandosi e lasciando un piccolo vuoto intorno a me. Porta le mani nella chioma bionda e la stringe, come se non riuscisse a capacitarsene e volesse togliere dalla mente quel gesto di possessione. «Pensa che ho cercato anche di limitarmi. Per questo in macchina ho adottato la tecnica del silenzio, ma ero così nervoso che ho fatto una grossa puttanata, Naira.»
Sorrido, prima di raggiungerlo, fingo di sistemare il colletto della sua camicia. Il profumo legnoso e speziato di sandalo che emana la sua pelle, quasi mi piace. Immagino di affondare in questo collo e morderlo. Lasciarmi andare; afferrargli la mano, insinuarla tra le mie cosce e mettere fine alla mia astinenza forzata.
«E dimmi un po', quale sarebbe la puttanata?» Mi limito a chiedere .
Sto cercando di capirlo. Di capire se quegli atteggiamenti, quasi perversi, siano parte di lui oppure era solo un momento, come una sorta di punizione che non andrebbe comunque bene.
«Conosco Evan da sempre e, allo stesso modo, sono cresciuto con un leggero spirito di competizione» ammette, lasciandomi basita. «Ha raggiunto gli obbiettivi prima di me, ha avuto sempre quello che volevo io dalla vita, ma non se lo è mai saputo tenere. È convinto che la gente mi preferisca a lui. Ed è vero, in parte» Sposto una sedia per accomodarmi, perché, credo che il discorso stia diventando molto interessante. Una bella confessione in piena regola. Lo intimo a continuare, sfoggiando un sorriso, mentre piego un dito sotto il mento. «Io sono sempre stato quello affidabile; lui quello, ecco, quello più...» Gli si bloccano le parole. Forse, non riesce a trovare il termine giusto.
«Stronzo?» Mi sfugge una grande verità. Ho provato a non farla uscire fuori, ma quello che Jake aveva sulla punta della lingua io lo stavo già vomitando fuori la bocca.
«Volevo dire menefreghista, ma stronzo gli veste meglio.» Sorridiamo entrambi e mi alzo dalla sedia, per andare a preparare due caffè. «Naira...» sussurra il mio nome per richiamarmi. «Lo so che io e te non siamo niente. Perlomeno, non ancora. Non voglio metterti limiti sulle frequentazioni, ma, ti prego, Evan lascialo stare. Sei una brava ragazza e lui è...»
«Uno stronzo! L'ho capito, non c'è bisogno di ripeterlo.»
Stronzo più stronza... non è il massimo della combinazione.
«Nay, lui ha altro in testa. Non è in grado di provare sentimenti.»
Torno verso di lui, con l'aria sicura di una persona che sa perfettamente quello che vuole.
«Jake, ascoltami bene, non lo ripeterò una seconda volta» Mi spingo con il busto al suo e mi avvicino alle labbra, quasi a sfiorarle, per poi scostarmi e soffiargli nell'orecchio, come lui ha fatto con me: «Io non sono una bambina, non ho bisogno di raccomandazioni!»
Sorride e si allontana di un passo o due.
«Hai bisogno di essere messa in guardia, se parliamo di uno stronzo, no?»
È lui a prendere l'iniziativa e smanettare con la macchina del caffè, mentre a tentoni cerca il tasto per l'erogazione.
«Jake, ti svelo un segreto.» dico, per poi avvicinarmi alla vetrinetta dove viene conservato il necessario. «Se non inserisci le cialde, puoi premere tutti i tasti che vuoi, ma da quella macchinetta, a parte l'acqua sporca, non uscirà niente.»
«Non li capirò mai questi aggeggi per l'espresso.»
«Perché quelli per il caffè che bevi di solito li capisci?» lo schernisco, dandogli quasi dell'idiota.
«Scusa, perché? Quelle lo fanno da sole il caffè!»
Non capisco se stia facendo una battuta oppure è serio. Faccio una smorfia confusa e butto fuori aria dal naso, mentre infilo le cialde e premo il pulsante per l'erogazione.
«In che senso?»
«Guarda...» mostra l'altra macchinetta, quella per preparare il classico caffè americano, «è sempre piena ed è ben caldo. Zero fatica.»
Porto la mano alla fronte, incredula.
«Tu sul serio pensi che nessuno sia già venuto a prepararla di prima mattina?»
«Ah.»
Credo di avergli appena aperto le porte per un mondo nuovo, perché la sua espressione è così buffa da farmi ridere di gusto.
Prendo le tazze in mano e lo invito a uscire per tornare in ufficio. Ha ancora l'aria confusa, ma sorride.
«Dai, ti spiegherò il mondo magico delle macchinette del caffè, un giorno o l'altro.»
Mi dà un piccolo spinta che fa schizzare qualche goccia del liquido scuro sul pavimento.
Il mio sorriso si spegne nel momento in cui, usciti dalla sala, vediamo Evan con la faccia sporca di rossetto. La forma delle labbra sulle sue e una striscia che arriva fino alla guancia, mi fanno ritrarre. Jake lo prende in giro, quando lui cerca di giustificarsi, inventando scuse patetiche. La verità è solo una: ha avuto la sua dose, punto!
L'istinto di dargli anche quella di schiaffi mi porta in una sorta di mutismo selettivo. Non so cosa dire e rimango impalata a tentare di non fissarlo, mentre stringo in mano i bicchieri che sembrano diventare roventi. Quando mi rendo conto, cerco di nascondermi dietro un falso sorriso che forzo, senza alcun successo. Chiudo gli occhi e quasi smetto di respirare per non far uscire qualche battuta sarcastica, insieme al fiato, mentre mi estraneo dall'ascoltare quei battibecchi che sanno di malizia e che mi provocano un brivido dietro la schiena.
Per un attimo, per un solo stupido attimo, ho creduto ci fosse stata una sorta di scintilla per entrambi. Qualcosa che non si riesce a comandare. Qualcosa che ti porta a impazzire. Ho pensato ci fosse stata quella chimica che prende il sopravvento ed è inutile provare a sotterrarla, perché tornerà più forte e incazzata di prima.
Di sicuro, si è accesa una fiamma, ma solo per me. La fiamma di quella stessa candela che ho provato a spegnere per non rischiare di bruciarmi.
Bruciare da sola, senza ossigeno, quello che mi sono tolta dentro la campana di vetro, per soffocare.
Quella che lui ha tentato di rompere con un piccone.
Sorseggio il caffè, ormai intiepidito, per spegnere quel fuoco che viene dallo stomaco e placare i nervi.
«Jake, perdonami.» La mia voce rimbomba tra le pareti bianche dello stretto corridoio, quando mi rendo conto che i due hanno intenzione di andare insieme verso l'ufficio. «Potresti portarle tu? Ho bisogno della toilette.» Gli porgo le tazze, con lo sguardo languido e la voglia di sotterrare il senso di nausea che mi provoca la vista del coglione.
«Certo, figurati. La lascio nel tuo ufficio. Devo dire due paroline allo stro-» Si ferma per un attimo, per strizzarmi l'occhio e sorridere. «Ops! Piccolo lapsus.» Evan lo osserva con le braccia conserte e le labbra arricciate, mentre Jake gli dà una pacca sulla spalla. «Che c'è? Volevo dire al mio amico, mi è scappato.» lo canzona.
Rivolgo uno sguardo di cortesia a entrambi, dopo essermi liberata dal caffè, per poi percorrere il corridoio fino al bagno. Sento le gambe cedere, spero siano andati via, ma evito di voltarmi per non incrociare quegli occhi che pare vogliano uccidermi, ogni santissima volta.
Entro dentro e resto qualche minuto con le spalle poggiate alla porta chiusa. Inalo aria dal naso e la butto fuori dalla bocca, trovo il modo di rilassarmi, mentre continuo a domandarmi perché diamine io non riesca a controllarmi in presenza di quel cretino.
Non me lo spiego. Non ha senso.
Ho bisogno di risposte, di un calmante e di uno psicologo.
Ho bisogno di Jay!
Alzo la leva del rubinetto, mi riempio le mani di acqua e sciacquo il viso con l'intenzione di lavare via l'immagine di quel rossetto sulle sue labbra, ma rimane lì, come se quella striscia rossa percorresse la sua stessa linea, anche se insisto nello sfregarla.
Mi guardo allo specchio e sento di odiarmi. Non riesco a capirmi.
Lo voglio, ma voglio che mi stia lontano. Poi lo rivoglio e dopo un po' gli metterei le mani al collo per strangolarlo e affondare nelle sue labbra, cercare la lingua con la mia, fino a quando non ne avremo abbastanza. Fino a prenderci a morsi e farci male, male per davvero. Sto impazzendo, questo mi è chiaro.
Fanculo Evan.
Fanculo il contratto.
Fanculo il lavoro.
Fanculo Evan.
Fanculo le responsabilità.
Fanculo Evan.
Devo ritrovare il mio equilibrio da completa stronza e non pensarci più.
Ritorno nel mio ufficio, cerco il cellulare nella borsa che avevo lanciato sulla sedia, appena arrivata, presa dal nervosismo per la risposta che quell'idiota mi aveva dato fuori dalla caffetteria. Non mi rompere le palle, Bambi! Afferro il telefono e cerco, nella rubrica, il numero della persona che preferisco.
Squilla...
«Cosa è successo?» risponde preoccupato.
«Questa sera tieniti libero... si va al Troy.»
Non dice una parola, lo sento sospirare dentro il microfono.
«Nanni, ripeto la domanda: cosa è successo?»
«È successo che sto impazzendo e ho bisogno di una serata per ritrovare il senno.»
«E cosa ti sta facendo uscire fuori di testa?» Lo chiede con un tono che quasi mi infastidisce, come se avesse già la sua risposta da piccola strega veggente.
«La devi smettere di psicoanalizzarmi, Jay» dico perentoria.
«La devi smettere di non voler ammettere la realtà. Quel ragazzo ti piace e ti stai costringendo a non andarci a letto. Capisci che così lo stai facendo diventare una specie di ossessione?» chiede in una domanda che non ha bisogno di risposte. «Togliti lo sfizio, Nanni, e vedrai che ti sembrerà tutto più leggero.»
«La mia intenzione è proprio questa.» Fa una piccola risata maliziosa. «Mi toglierò lo sfizio, ma non con lui, punto.» specifico. « E non ti azzardare a aggiungere altro, se vuoi andare al Troy.»
«Posso invitare Collin, almeno?»
Ci penso un attimo, aspetto a rispondere, quando vedo la maniglia che si abbassa. Perdo un battito, vedendo Evan entrare nel mio ufficio, senza chiedere il permesso.
È diventato un vizio!
«Fa' un po' come ti pare. Ora devo andare, tieniti pronto per le undici.» dico rivolgendo uno sguardo di diniego allo stronzo, per poi chiudere il telefono in faccia al mio amico.
«Potevi salutarmelo.» Il suo tono sarcastico mi fa tornare la nausea.
«Cosa vuoi?» Tento di mantenere un tono pacato, ma mi esce una specie di ringhio.
«Io non voglio niente, e tu?» domanda sardonico, per poi sfilarsi la giacca di pelle.
Il maglioncino nero è così sottile da lasciarmi immaginare ogni linea del suo petto, dell'addome e delle braccia. Mi avvicino a lui, con l'aria di una che vorrebbe solo mandarlo a quel paese.
«Voglio che sparisci dalla mi vista.»
«Addirittura! Va bene, ogni tuo desiderio è un ordine, Bambi.» Mi sfotte, inchinandosi. «Te l'ho detto che avresti scelto lui.» Per poi alzarsi e guardarmi con aria di sfida.
«Fino a prova contraria sei tu quello con un macchia di rossetto sulla bocca.»
Il suo sguardo si incupisce, lascia cadere la giacca sul pavimento e si avvicina ancora di qualche passo. Porta la mano a stringermi il collo. È una stretta delicata, quasi sessuale e di sicuro sensuale, avvicina le labbra alle mie, per poi soffiarmi a un centimetro dall'orecchio: «Sono uno che si annoia facilmente e mi sono già rotto il cazzo dei tuoi giochetti. Non metterti a fare la gelosa che non ti crede nessuno, stronza.»
Sale lento, con le dita sul viso e una carezza fatta con il pollice che sfiora le mie labbra, mentre lui stringe il labbro inferiore tra i denti, mi provoca un brivido che mi fa perdere il controllo e chiudere gli occhi. Aspetto che mi uccida con un bacio, ma è un'attesa inutile, perché mi lascia sprofondare, quando mi libera dalla presa ed esce dalla stanza, senza aggiungere altro.
Sento il calore che mi invade e ho di nuovo bisogno del bagno per sciacquarmi il viso. Esco dall'ufficio, sperando che sia andato via e non mi veda in queste condizioni. Percorro lo stretto corridoio che porta alla meta, ma fuori la sala relax trovo Karol che parla con Esmeralda, la donna delle pulizie del piano.
Una chiazza di caffè sporca il pavimento accanto al cestino della spazzatura.
«Io lo avevo detto al signor Evan che abbiamo già il caffè e non c'era bisogno di portarlo dalla caffetteria.» dice, mentre guarda il cartoncino che avvolge il bicchiere. «Che lingua è Faline?»
Non posso negare che la cosa mi incuriosisca, e non poco. Faccio finta di niente, ma quando sono a qualche centimetro da loro, non resisto.
«Karol, mi faresti vedere quel bicchiere?»
«Certo, tieni! Attenta a non macchiarti.» dice, porgendomelo.
Ho notato, da lontano, una scritta fatta con il pennarello nero, quello che si usa per segnare il nome di chi ordina, quando c'è troppa confusione. A quanto pare, ha fatto segnare il nomignolo con il quale mi chiama, quando vuole farmi innervosire. In realtà riesce a farmi innervosire, anche quando mi chiama con il mio nome oppure Bambi. Anche quando respira ed è troppo vicino.
Mi ha mai chiamata con il mio nome?
Afferro il bicchiere dell'asporto e giro il cartoncino a portata di vista.
E non perdo solo un battito, il respiro e la ragione. Questa volta, perdo anche le parole...
"Sono un completo idiota! Scusa, Faline."
E se avessi perso anche la mia possibilità?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro