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Chapter XI - Parents

Avevo un mal di schiena tremendo, di quelli che solo a pensarci ti senti già una pezza.

Alzai svogliatamente la testa, sbattendo ripetutamente le palpebre e sentendo un freddo glaciale.

Mi stropicciai gli occhi e mi misi dritta con la schiena, guardando la televisione accesa e appoggiandomi allo schienale del divano.

Akito era di fianco a me, stava russando rumorosamente e questo mi fece quasi venire da ridere, la tv stava ancora trasmettendo Sailor Moon e imprecai mentalmente per essermi addormentata senza averla staccata.

Adesso ero costretta a capire dove fossi arrivata.

Presi il telecomando e spensi annoiata l'apparecchio elettronico, la giornata non poteva iniziare in un modo così brutto e deprimente.

Camminai sulle punte, cercando di non svegliare Akito.

Guardai l'orologio: segnava le 5:10 del mattino.

Perfetto, potevo iniziare a studiare tutto quello che non avevo fatto nel fine settimana.

Andai in cucina, sempre cercando di non fare rumore, e mi alzai sulle punte cercando di prendere i miei occhiali da vista.

Da un pò di mesi a questa parte ero costretta a portarli perché mi stancavo parecchio, non mi davano fastidio, ma ne avevo scelto un paio troppo grandi per il mio viso scarno.

Li indossai velocemente, sentendo gelo ai piedi a contatto con il pavimento e bestemmiando tutti i santi per non aver indossato almeno un paio di calzini.

Aprì svogliatamente il quaderno di fisica e iniziai a leggere quell'inferno di materia che avrei dovuto dare quella mattina stessa, in realtà l'idea di base era passare almeno due ore a guardare Sailor Moon e usufruire delle ore notturne per studiare.

Mi girai verso Akito che dormiva a sonno pieno nel divano e mi si strinse il cuore.

"Ma qualcuno non me l'ha permesso" borbottai mentalmente, sorridendo leggermente.

Ritornai a fissare il quaderno, non capendoci molto e così le ore passarono e Akito si svegliò da solo alle 7.20.

La situazione fu questa, io in lacrime davanti a un quaderno verde e Akito assonnato che chiedeva dove si trovasse.

Lo guardai con le lacrime agli occhi e lui mi fissò confuso, guardandomi poco dopo con un'espressione terrorizzata.

Mi raggiunse in men che non si dica e gli scoppiai a piangere in faccia «non so niente» piagnucolai, beccandomi un pugno in testa.

Mi toccai quest'ultima dolorante e lo fulminai con uno sguardo «ma dico, sei impazzito?» mi beccai un'altra occhiataccia che ricambiai molto volentieri.

Akito congiunse le braccia al petto e notai come le spalle si irrigidissero ad ogni suo movimento, arrossì violentemente a quel pensiero e tornai a guardare il quaderno davanti a me.

Improvvisamente era diventato super interessante «ed io che pensavo fosse successo qualcosa di serio da piangere in quel modo ma dico, hai cinque anni?» alzai lo sguardo, guardandolo in cagnesco e mi alzai in piedi, sbattendo il quaderno sul tavolo «ma questo è qualcosa di serio, prenderò un 10 colossale, Akito, colossale» lui mi ignorò completamente, girandosi di spalle e accendendo la macchinetta del caffè.

Fischiettò, prendendo la tazza posta sopra il ripiano e una confezione di biscotti al cioccolato.

Lo guardai sconvolta mentre versava il caffè e andava a sedersi accanto a me «ne vuoi un pò?» disse poi, porgendomi un biscotto di fronte al naso.

Lo guardai ancora sconvolta, non sapendo cosa dire e lui fece spallucce, inzuppando il biscotto nel caffè «Sana il campo elettrico non è così difficile» affermò poi.

Mi grattai nervosamente la testa mentre lui concludeva tranquillamente la sua colazione.

Si alzò nuovamente e mi lasciò un bacio sulla testa «vado a lavarmi e sono di nuovo da te, va bene?» annuì con le lacrime agli occhi e lo sguardo innamorato.

Se l'antifona che avevo captato fosse stata corretta tra meno di trenta minuti avrei capito fisica e avrei potuto dare l'esame.

Akito era schifosamente bravo in quella materia e lo era altrettanto nelle spiegazioni «dove hai messo le mie cose?» urlò poi dal piano di sopra.

Sbuffai sonoramente, distruggendo le mie speranze.

Certe cose non cambiavano mai.

***

Dopo trentacinque minuti interi di urla da parte di Akito, miei pianti, scuse e altre formule più in là, riuscì a comprendere il campo elettrico e il campo magnetico.

Fu una vittoria perché avrei avuto il test alle nove ed erano già le 8.20.

Mi alzai contenta, andando ad abbracciare Akito e dargli un poco casto bacio sulle labbra.

Lui, ancora seduto, mi cinse la vita con le braccia e mi strinse forte, ricambiando il mio bacio.

Gli sorrisi sulle labbra «cosa farei senza di te!» Urlai poi, staccandomi da lui e guardandolo negli occhi.

E fu lì, in quel preciso istante che capì.

Avrei voluto Akito per il resto della mia vita, avrei tentato in tutti i modi di tenermelo stretto e ci sarei riuscita.

E non solo perché era un genio nelle materie scientifiche.

Lui sorrise e mi fece il suo immancabile occhiolino «non faresti e basta» io sbuffai, fingendomi offesa ma sapevo avesse ragione.

Mi staccai prontamente e corsi in bagno a sistemarmi, lasciandolo lì come un'idiota.

Quando tornai, vestita, sistemata e profumata mancavano venti minuti all'inizio del test e Akito, spegnendo la Tv e allungando una mano verso la mia direzione, prese le chiavi della moto e mi trascinò fuori di tutta fretta.

Quella mattina lui avrebbe avuto lezione, visto che aveva già dato fisica -beato lui- mentre io avrei avuto quel test infernale insieme ad Aya, Hisae e Gomi.

In realtà non ero così sicura che gli ultimi due si sarebbero presentati ma lo speravo davvero e speravo davvero che Hisae ripensasse al bambino.

Quando arrivammo davanti il cancello dell'università, scesi frettolosamente dando un veloce bacio ad Akito e correndo verso l'entrata.

Lui mi urlò un "in bocca al lupo" da dietro ed io sorrisi prontamente, varcando la soglia.

Quando non sentì più Akito e non lo vidi più, quasi non mi venne voglia di tornare indietro e andarmene a casa.

Eppure ormai non potevo più, quindi mi incamminai verso l'aula 57.

Nel mentre presi dal mio zaino il documento d'identità e due penne.

Sperai davvero di usarne almeno una.

Era come se mi fossi dimenticata tutto.

Entrai in aula ancora semi vuota e mi guardai intorno, cercando le facce di Hisae e, a malincuore, di Gomi.

Non sapevo perché ma Gomi mi detestava dalle elementari, non avevamo mai costruito un rapporto d'amicizia.

Lui era legato ad Akito ma non lo era con me.

Ogni volta che mi incrociava mi fulminava con lo sguardo, senza apparente motivo.

L'aula si riempì piano piano, Aya seduta al primo banco.

Tra i due neo-genitori solo Gomi entrò due minuti prima dell'inizio del test.

Hisae non si presentò.

Lo guardai sedersi ma lui non si girò mai verso di me.

Gli avrei parlato più tardi.

***

«Assaporo l'aria di libertà!» Urlai appena uscita dall'aula.

Avevo dato fisica!

L'avrei passata forse con 18 ma l'avrei passata!

Non c'era consapevolezza più bella.

Mi appoggiai allo stipite della porta, aspettando che Gomi firmasse e uscisse dall'aula.

Avrei voluto parlargli, assolutamente.

A discapito delle mie previsioni, Akito venne di soppiatto verso di me e mi picchiettò la fronte. Alzai gli occhi verso di lui e gli sorrisi, facendo due pollici in sù «tutto ok, prof.» Gli dissi, sorridendo contenta e ringraziandolo almeno venti volte.

Senza di lui non mi sarei presentata oggi.

Lui addolcì lo sguardo e mi fece il solito occhiolino, facendomi sciogliere «quindi mi merito un ringraziamento speciale» ammiccò, incrociando le braccia al petto e fissandomi.

Lo fulminai con lo sguardo e gli diedi un pugnetto negli avambracci, facendolo ridere di gusto «l'unica cosa che puoi fare al momento è aspettare Gomi con me» lui smise di ridere, irrigidendosi di colpo e aggrottando le sopracciglia bionde.

Adoravo quando lo faceva, sembrava un bambino.

Akito era diventato molto più biondo di come lo ricordassi e finalmente aveva preso l'abitudine di farsi crescere i capelli.

Gli stavano da Dio.

Non lo avrei mai detto ad alta voce «che intenzioni hai?» Disse duro, rimproverandomi.

Lo ignorai nel preciso istante in cui Gomi mise piede fuori dall'aula, facendoci voltare di colpo.

Lui si grattò la nuca, sconsolato «non è giornata Akito» disse poi, ignorandomi completamente e dirigendosi verso il mio ragazzo.

Io lo fissai, sconvolta.

Aveva due grandi borse sotto gli occhi, il viso pallido e gli occhi arrossati, sembrava non aver dormito per niente.

In realtà, pensai, sarà andata proprio così.

Akito gli si avvicinò, scavalcandomi furibondo e sorreggendo Gomi con un braccio «hai un aspetto terribile, amico» gli disse poi, mettendogli una mano sul petto e fissandomi negli occhi.

Non c'era visione più triste che avessi mai visto.

Gomi era distrutto ed io non sapevo come aiutarlo.

Mi sentivo impotente.

Il ragazzo rise ironico, stropicciandosi l'occhio stanco e girandosi, finalmente, verso di me.

Non mi salutò, né mi chiese come fosse andato l'esame «hai sentito Hisae?» Mi chiese solo, facendomi sobbalzare dalla sorpresa.

Io inarcai un sopracciglio, prendendo un respiro profondo e guardandolo dritto negli occhi stanchi «no ma non dovrei essere io quella a doverla sentire» buttai acida, facendo irrigidire i due ragazzi di fronte a me.

Akito scattò subito, fulminandomi nuovamente con lo sguardo e guardandomi duro «Sana!» Urlò, come se quello che avessi detto non fosse sbagliato.

Io sapevo di avere ragione come sapevo che sia Hisae che Gomi fossero a pezzi.

Era una scelta di entrambi: Hisae poteva decidere di tenere il bambino e Gomi non poteva impedirglielo.

Al tempo stesso, Hisae non poteva costringere Gomi a diventare padre.

Questo significava solo che avrebbero dovuto separarsi.

Fissai Akito con i pugni chiusi.

Ero arrabbiata, furiosa «no, niente Sana. Gomi non sei l'unico a soffrire, anche Hisae sta male. Non puoi impedirle di tenere il bambino e lei non può impedirti di non prenderti la tua parte di responsabilità. Perché si tratta di questo, si tratta di responsabilità. Se Hisae vuole tenere il bambino e tu no o al contrario, l'unica soluzione è lasciarvi» affermai dura mentre Gomi si staccava brutalmente da Akito.

Si avvicinò a me prima che sia io che Akito ce ne rendessimo conto, mi mise le mani sulle spalle e mi fissò con uno sguardo folle.

Vibrai dalla paura.

Lui tremava, non seppi dire se dalla rabbia o per la stanchezza «lo so, io lo so. Non sei tu quella a dovermi fare questa buffonata di discorso perché lo so. Il punto Sana è che io ho paura. Io un padre non l'ho mai avuto. Come posso minimamente pensare di poterlo fare quando non so nemmeno cosa significa?» poi scoppiò a piangere.

A piangere.

Gomi.

A piangere guardandomi in faccia.

Lo shock fu tale che alzai lo sguardo verso Akito, non sapendo che fare.

L'unica cosa che mi venne in mente fu quella di abbracciarlo.

Lo feci perché non sapevo davvero che fare.

Akito non disse nulla, ne diede segni di vita ma sapevo che si stava trattenendo dal piangere insieme a Gomi.

Akito era cresciuto senza una madre.

Ma suo padre lo detestava, l'aveva ignorato fino ai dieci anni.

Gomi mi strinse più forte, piangendo rumorosamente contro la mia spalla.

Io continuai a guardare Akito come per cercare riposte ma lui spostò lo sguardo verso sinistra, sintomo che anche lui non sapeva che pesci prendere.

Io ricambiai la sua stretta, prendendo parola «Gomi anch'io sono cresciuta senza un padre, non so nemmeno come sia fatto, non l'ho mai conosciuto» deglutì silenziosamente «tu sai che sono stata adottata, mia madre biologica aveva quattordici anni e all'epoca non si sentiva pronta ad avere un figlio. Mi abbandonò in una panchina. Quando la mia attuale madre mi trovò mi crebbe sola, senza l'aiuto di nessuno ed io non la ringrazierò mai abbastanza per questo. Lei mi ha dato speranza, mi ha dato una famiglia, una casa, l'indipendenza di un lavoro già da giovane. Mi ha dato la vita» tirai su col naso, staccandomi da Gomi e fissandolo negli occhi.

Aveva gli occhi scurissimi, molto più dei miei «sai, a volte mi chiedo davvero chi fosse mio padre, com'era, se mi somigliasse. E mi domando anche perché non mi abbia mai cercata in tutti questi anni, chissà perché non mi voleva. Questo dolore, queste domande, non troveranno mai riposta. Ma non rimpiango di non aver mai avuto un padre perché io sono sempre stata bene con Misako. Però Hisae non è sola, lei ha te. Tu puoi decidere di non fare lo stesso errore di tuo padre o dei miei genitori. Non lasciare che tuo figlio cresca con le stesse domande e lo stesso dolore con cui sono cresciuta io.»

***

La conversazione con Gomi finì così, lui per la prima volta in dieci anni e passa di conoscenza mi ringraziò, mi abbracciò nuovamente e, salutando Akito, corse verso casa di Hisae.

Sperai con tutta me stessa che Hisae non avesse deciso di abortire, come aveva detto la sera prima, e che stesse davvero considerando l'idea di tenerlo.

In caso contrario noi l'avremmo appoggiata, sempre.

il corpo era suo, il figlio suo.

Noi non potevamo mettere parola.

Comunque ero contenta di aver parlato civilmente con Gomi, non mi aspettavo davanti l'aula d'esame e insieme a delle super lacrime ma mi fece piacere.

Akito stette zitto fino a quando Gomi non se ne fu andato poi, avvicinandosi a me, mi prese il volto tra le mani e mi baciò la fronte «ora puoi piangere se vuoi» e non me lo feci ripetere due volte.

~capitolo corretto il 22/02/2024~

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