2. 2001: Odissea nello spazio
2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey), S. Kubrick, USA - Gran Bretagna, 1968.
***
Fissando entrambi dritto negli occhi, cercai di parlare chiaro e molto lentamente. «Ragazzi, abbiamo fatto una cazzata. Sloggiamo da qui prima che sia troppo tardi.»
L'espressione di Luke si fece confusa, Adam invece alzò gli occhi al cielo. «Siamo appena arrivati e già vuoi andartene?»
«L'idea di fare una vacanza segreta è stata una gigantesca cazzata. Come faremo a rilassarci in questo posto? Sapevo che dovevo andare ai Caraibi, me lo sentivo.»
Qualcosa mi colpì forte la nuca, ma mentre massaggiavo la parte dolente non riuscii a capire chi fosse stato dei due che mi sedevano accanto alla tavola. «Smettila di lagnarti continuamente. Sei stato tu a dire Ehi, che ne direste di andare in un posto sperduto, senza dire niente a nessuno, anonimi agli occhi del mondo? Vivere come i ragazzi che eravamo un tempo? Avevi detto più o meno queste esatte parole.»
«Adam, eravamo a un party privato e avevo bevuto peggio che alla festa per il nostro diploma. Lo sai che quello che dico da sbronzo sono per lo più cazzate senza senso.»
Luke continuava a ondeggiare sulle gambe posteriori della sedia, dita incrociate dietro la nuca e occhi socchiusi. «Tu spari sempre cazzate senza senso, anche quando bevi acqua.»
Con la punta del piede, spinsi appena la sua sedia per vendicarmi, ma l'idiota del mio amico riuscì ad aggrapparsi al tavolo appena in tempo prima di cadere.
«Beh, ora siamo qui e ci resteremo per le settimane che abbiamo prenotato», decretò secco Adam. «È un posto isolato e tranquillo, non ci conosce nessuno, potremmo rilassarci un po' prima di far uscire l'ultimo album, iniziare il nuovo tour e prepararci alla marea di merda mediatica che ci butteranno addosso quando parleremo dello scioglimento alla prima rassegna stampa.»
«Potremmo rilassarci allo stesso modo in un resort a cinque stelle», gli feci notare. «E là avremmo pure massaggi e sauna compresa. Senza contare che quell' E.T. con l'accappatoio mi inquieta parecchio. A proposito, come fa a non conoscerci?»
«Guarda che non ci conosce l'intero pianeta», mi fece notare Luke. «Ridimensiona il tuo gigantesco ego del cazzo.»
«Ci ha riconosciuto il tassista col riporto, figuriamoci quella ragazza. Non deve avere più di venticinque anni e a quell'età ci conoscono tutte. È matematico dopo quei giganteschi cartelloni pubblicitari attaccati a ogni autobus degli Stati Uniti. E poi», continuai abbassando il tono, «secondo me non ha nemmeno tutte le rotelle a posto. Magari è una di quelle pazze omicida da film horror. Attira gente in questa catapecchia sperduta nel nulla e impala le teste al piano di sopra e...»
Già mentre sciorinavo tutte le mie motivazioni, avevo notato strani sguardi arrivare dai miei amici... ma realizzai che fossero avvertimenti e che la donna accappatoio era comparsa alle mie spalle solo quando ormai era troppo tardi. «Stai tranquillo, James. Sono innocua come un agnellino.»
Scesa dall'ultimo scalino a piedi nudi, ora Mary indossava un vestito color crema, corto al ginocchio. Liberata del cappuccio spugnoso, mostrava una cascata di folti e umidi riccioli biondi che le scendevano sulle spalle. Rettificai il giudizio iniziale: Mary non doveva avere più di ventidue anni.
«Jamie, non James», la corressi a denti stretti.
«Immagino che Jamie sia il diminutivo di James.»
La fulminai, ma purtroppo mi voltava le spalle e non poté accorgersene.
«Sì, ma odia farsi chiamare James», spiegò Adam.
Mentre la ragazza si affaccendava per preparare un tè che nessuno avrebbe avuto il coraggio di bere per evitare un'inevitabile autocombustione, osservai la casa che avrebbe dovuto ospitarci per le successive tre settimane. Non potei evitare di storcere il naso per le malandate condizioni della vecchia tappezzeria, della vernice consunta che proteggeva il legno delle porte, delle assi del pavimento non più così livellate come dovevano essere state un tempo. Persino il frigorifero e il fornello sembravano essere residui post bellici. Pregai solo che le mura si reggessero in piedi fino a quando non avessimo portato il culo lontano da lì. Vagamente, cercai di fare mente locale sulla geografia degli Stati Uniti e se il Tennessee fosse uno stato soggetto a tornado. In tal caso, avrei fatto la fine della Dorothy de Il mago di Oz, perché le fondamenta non ci avrebbero mai tenuti ancorati a terra.
Sopportai la tortura del tè bollente solo nella speranza che quella ragazza se ne andasse il prima possibile. Continuava a sorridere, e a parlare, e a sorridere ancora, e non capii se fosse quel sorriso a irritarmi, le sue parole, il caldo torrido che mi faceva grondare sudore peggio di una fontana o il continuo cicalare degli insetti fuori dalla casa. Era così forte da diventare assordante.
A tortura conclusa, Mary ci mostrò il resto della casa, dal minuscolo bagno del piano terra al salotto arredato da un malandato divano, un'enorme libreria, ma senza alcuna traccia della televisione. «Le camere sono di sopra», disse e allora la seguimmo su per le scale cigolanti.
Mentre arrancavo con la pesante valigia al seguito, notai una fila di fotografie appese alle due pareti che costeggiavano la salita. Fissai attentamente tutti gli scatti incorniciati e non ebbi alcun dubbio: erano foto di Mary da bambina. Si fermavano tutte approssimativamente all'età di dieci anni e, oltre a chiedermi il motivo di questo arresto improvviso, mi posi la domanda più ovvia: che diamine ci facevano le foto di quella ragazza nella nostra casa per le vacanze?!
«Eccoci arrivati Dunque, qui ci sono le tre camere per voi. Tutte hanno un armadio, un letto e...»
«Quella stanza è il secondo bagno?» la interruppi, puntando con avidità l'ultima porta in fondo al corridoio. Entrare in bagno dopo la doccia di Luke era un incubo di shampoo e schiuma da barba in ogni dove, e sapere di poter avere un'alternativa mi avrebbe di certo sollevato il morale.
Mary seguì la direzione del mio sguardo, poi mi sorrise. «Oh, no. Abbiamo un solo bagno in casa. Quella laggiù è camera mia.»
La sua espressione serena e gentile non demorse contro il mio sguardo alterato. Adam mi stava già trattenendo per un braccio. «Come, scusa? Credo di aver capito male.»
«Avevo parlato con te al telefono per la prenotazione, vero Alvin?»
«Adam... comunque, sì. Avevi parlato con me.»
Mary si schiarì la voce e nel guardarmi il suo istinto di sopravvivenza le suggerì di fare un cauto passo all'indietro. «Nella prenotazione avevo spiegato chiaramente che questa è casa mia e avrei vissuto con voi. Io affitto solo le camere da letto, ma compreso nel prezzo avrete anche i vestiti lavati e stirati, vi preparerò colazione, pranzo e cena, cambierò le lenzuola e... Alan, cos'ha il tuo amico? Sembra avere una vena che pulsa sulla tempia.»
Adam finse di non accorgersi dell'ennesimo errore. «Niente, Jamie è solo stanco. Sai... il lungo volo, il taxi da Nashville...» Iniziò a trascinarmi verso la prima porta aperta alle nostre spalle senza darmi il tempo di ribattere. «Bene, Mary. Grazie di tutto, ma noi ora vorremmo riposarci un po'.»
«Certo, non c'è problema. Scendo a preparare la cena, ci vediamo più tardi.»
Porta sbattuta, Adam mi spinse in avanti dopo aver lasciato andare la valigia. «Si può sapere perché ti stai comportando in questo modo?»
Incrociai le braccia al petto, già sul piede di guerra. «Per caso ti eri dimenticato di dirmi che quella psicopatica avrebbe soggiornato in casa con noi per tre settimane?!»
«Non te l'ho detto proprio per evitare la tua reazione. So bene quanto odi gli estranei.»
Mi lasciai andare sul letto, duro, scomodo, dal materasso tanto sottile che riuscivo a sentire il pannello di legno al di sotto. Perfetto.
«Dai, non farne una tragedia», tentò di dargli manforte Luke, con lo sguardo che sbirciava oltre la finestra socchiusa. «Secondo me potrebbe rivelarsi una vacanza divertente, un po' come quando siamo andati in Irlanda in campeggio al penultimo anno di liceo. Vi ricordate? E poi, così avremo sempre qualcuno a prepararci da mangiare. A proposito, ho già fame.»
«Strano», borbottò sarcastico Adam. «Secondo voi dovremmo dirle chi siamo?»
«No, ti prego», dissi in fretta. «Se devo essere costretto a stare chiuso qui dentro per tre lunghe settimane, almeno scelgo l'anonimato. Quella Mary mi sembra già abbastanza strana così, figuriamoci se venisse a scoprire che siamo famosi.»
Ognuno prese posto in una delle camere, tutte identiche e adiacenti, uguali a quelle che avrei potuto occupare se avessi frequentato il college, cosa che non avevo mai avuto l'occasione di fare. Cercai ancora di collegarmi a internet spostandomi per la stanza, ma nulla. Non riuscii nemmeno ad avvertire mia madre di essere arrivato.
Prima di scendere di nuovo al piano di sotto, aspettai più di un'ora per riposarmi e trovare un briciolo di pazienza. Sapevo già che si sarebbe rivelata una vacanza disastrosa, per di più l'ultima passata insieme, e pensare che per noi i momenti senza lavoro erano così rari - e che dopo la nostra bravata la casa discografica e i manager ce l'avrebbero fatta pagare a lungo - mi innervosivo ancora di più.
«Dovresti fare yoga come faccio io», suggerì Adam quando ci incontrammo sul pianerottolo un'ora più tardi. Diretti al piano di sotto, seguimmo l'intenso odore di soffritto che arrivava dalla cucina. «Ti rilasserebbe i nervi.»
«Io non faccio yoga, visto che in mezzo alle gambe non ho una vagina come invece hai tu. Avevo solo bisogno di un letto soffice e gigantesco, cibo di prima qualità... e magari anche di un sacco da boxe per sfogarmi e poi un bel massaggio alla schiena: sono completamente bloccato dopo il volo.»
«Quella Mary è carina. Magari un bel massaggio te lo farà lei», disse Luke dandomi di gomito.
Lo ignorai e, arrivati all'ultimo scalino, li fermai entrambi. Mary stava parlando con qualcuno e la questione mi insospettì nell'immediato. «Tutti i bambini, tranne uno, crescono. Lo sanno presto che... Caspiterina, cosa c'era dopo? Ah, sì, ora ricordo. Lo sanno presto che cresceranno e Wendy lo seppe a questo modo. Un giorno, quando aveva due anni, giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre. C'è da pensare che la bimba...»
«Ecco, lo sapevo. Quella è psicopatica», decretai mentre mi spingevo a sbirciarla oltre il muro. «Sta parlando con le pentole.»
Accusai con una smorfia lo schiaffo sulla testa di Adam. «Non sta parlando da sola, idiota. Sta recitando. Quello è l'incipit di Peter Pan.»
«Infatti», si affrettò ad aggiungere Luke. «Io me ne ero accorto subito.»
«Ah, sì? E da quando sai leggere?»
Alzò soltanto gli occhi al cielo, poi ci precedette in cucina. «Ciao, Mary.»
Quelle due solitarie parole diedero vita al domino di azioni conseguente. La citazione letteraria si concluse con una colorita imprecazione, Mary si voltò di scatto e il cucchiaio di legno ricoperto di sugo al pomodoro venne scagliato in aria per lo spavento. I miei occhi ne seguirono la parabola come fosse l'osso nella scena iconica di 2001: Odissea nello spazio.
Suddetto oggetto volante concluse il suo viaggio pindarico proprio sulla testa di uno di noi. La mia, ovviamente. Mentre il cucchiaio restava in posizione e il sugo iniziava a colare giù per la fronte, tutti quanti scoppiarono a ridere e continuarono a farlo per parecchi secondi.
«Proprio divertente», commentai.
Mary si avvicinò, armata di strofinaccio e della risata che sembrava non abbandonarla mai. «Scusami, James, è che mi avete spaventato! Mi ero quasi dimenticata che ci fossero altre persone in casa.»
«Jamie», borbottai a denti stretti. «Non è così difficile ricordare un nome.»
Mary sbuffò per poi sbatacchiare la stoffa sulla punta del mio naso. «James, Jamie... che differenza fa?»
Levò il cucchiaio dai miei capelli e cercò di ripulirmi come meglio poteva a causa dei venti centimetri che la dividevano dal mio metro e ottantacinque. «Che hai ora da ridere di nuovo?»
«Scusa, è che sembri appena uscito da un film di Tarantino con tutte queste macchie di sugo che sembrano sangue.»
«Conosci Tarantino?» domandai incuriosito.
«Giovanotto, chi non conosce Tarantino?»
«Giovanotto... non sarai di certo più vecchia di noi», si intromise Adam.
«Oh, sì che sono più grande. Io ho ventinove anni e a occhio direi che voi ne avete qualcuno in meno.»
La fissai sconcertato, visto che non li dimostrava affatto, e soprattutto perché si era bloccata con lo strofinaccio a mezz'aria.
«Io e Jamie abbiamo ventitré anni, Luke invece venticinque. Devo dire che non ti davo la tua età, Mary. Sembri molto più giovane.»
«Beh, grazie. Me lo dicono spesso. È un complimento davvero gradito.»
«Scusate se interrompo questi piacevolissimi convenevoli sul tempo che passa e le stagioni che non sono più quelle di una volta, ma...», mi intromisi indicandomi vistosamente la testa con l'indice, dato che quella ragazza, oltre a essere una sbadata cronica, evidentemente non riusciva a fare due cose nello stesso momento.
«Oh, scusami, ti aiuto subito.»
Attesi che togliesse tutte le tracce di sugo dai miei capelli, ormai irrimediabilmente appiccicosi. Dal loro naturale castano scuro, dovevano essersi tramutati in una bizzarra sfumatura bordeaux.
«Ora, io sono un esperto solo nel mangiare, ben poco nel cucinare», ponderò Luke con la testa sopra il pentolone fumante. «Ma credo che qui stia bruciando qualcosa.»
Allarmata, Mary accorse ai fornelli, dimenticando però lo strofinaccio sopra la mia testa. Inspirai a fondo per ricercare tutta la mia scarsa dote naturale di pazienza e mi unii al gruppetto.
«Maledizione, si è bruciato il sugo per le lasagne!»
«Lasagne?!» esclamò Luke. «Io adoro le lasagne! Vi ricordate quando le abbiamo mangiate in Italia?»
«Siete stati in Italia?!» fece eco lei.
«Sì, eravamo a Milano per un'intervis...»
Per fortuna, Adam aprì bocca prima che l'altro concludesse di metterci nei guai. «Per una vacanza.»
«Oh, come mi piacerebbe andare in Italia, peccato che io soffra l'aereo. Vi ho già detto che ho paura di volare?»
Tutti e tre ci scambiammo un'occhiata interrogativa. «Sì, Mary. Ce lo hai già detto quando siamo arrivati.»
«Ehm... scusate, sono un po' sbadata. Voi dite che posso salvare in qualche modo il sugo?»
«Secondo me, sì. Dovresti solo prendere la parte sopra senza toccare il fondo bruciato», disse risoluto Luke, armato di mestolo e all'opera come se davvero sapesse qualcosa di cucina che non fosse ingurgitare cibo senza sosta. Io presi posto sulla sedia: ero in vacanza e non avevo alcuna intenzione di mettermi pure a lavorare.
Nell'attesa che quei tre terminassero di argomentare intorno al sugo bruciato, sbirciai fuori dalla finestra. Oltre al più grande campo di granoturco che io avessi mai visto, al sole rosso e basso sull'orizzonte, intravidi anche un furgoncino fermo fuori in cortile. Ero quasi certo che prima non ci fosse.
La ghiaia fuori dal portico si mosse e alla fine il campanello, che trillò fragoroso, mi fece saltare sulla sedia.
«Oh, era ora... quell'imbecille...», borbottò Mary dando un'occhiata all'orologio appeso al muro. Lasciò i fornelli in mano ai miei due amici e corse alla porta.
Non riuscii a vedere chi fosse l'imbecille in questione e sperai non si trattasse di un altro inquilino, altrimenti avrei davvero dato di matto. Qualcuno entrò in gran fretta in casa, passetti corti e veloci, e nel frattempo Mary rimase sulla porta a discutere con una profonda voce cavernosa maschile. Non ebbi nemmeno il tempo per formulare una minima teoria che piombò in cucina la copia identica di Mary, solo alta poco più del tavolo, agghindata in un vestitino rosa, ballerine ai piedi e calze con i volant. Gettò lo zaino di scuola a terra e tutti e quattro ci immobilizzammo all'improvviso: noi nel leggere la gigantesca scritta The Wings che capeggiava sulla tasca frontale, con tanto di riproduzione dei nostri autografi annessi e una cascata di piccoli cuoricini fatti presumibilmente dalla sua mano infantile; la bambina, invece, sembrò perdere il respiro nel trovarci in cucina e si fece statua di ghiaccio mentre solo i piccoli occhi castani presero a saltellare spasmodicamente su noi tre.
Riconobbi all'istante quello sguardo sconvolto. La bambina ci aveva appena riconosciuti.
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Spazio Dory:
Chi sarà mai quella bambina?
In quanti non sopportano Jamie a inizio storia? Tranquilli, è più che naturale ahah
A presto!!
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