Chapter 3; Lui
Cha Eun Sang's p.o.v.
26 marzo 2014.
Due settimane. Due settimane precise dal giorno in cui ho deciso di iniziare a cercare Young Do. Due settimane precise da quando mi sono prefissata quest'obiettivo.
Mi ero ripromessa che lo avrei trovato a tutti i costi e che mi sarei impegnata a fondo per cercare ogni sua possibile traccia, ma ancora di lui neanche l'ombra.
Chissà in che città si trova, chissà con chi sta vivendo adesso, chissà se starà frequentando l'università?
Queste domande a cui non sono stata ancora in grado di dare una risposta frullano impertinenti nella mia testa, senza dar segno di volersene andare, facendomi così soffrire ancora di più.
«Mamma, ho bisogno di uscire anche oggi» ripeto per la ben quattordicesima volta a mia madre prima di uscire di casa, dopo aver fatto colazione in sua compagnia.
Le ho spiegato chiaramente che sono alla ricerca di una persona importante, senza tuttavia specificarne l'identità. Non c'è bisogno che lo sappia, mia madre si fida di me anche ad occhi chiusi, e se le dico che è di fondamentale importanza lei ci crede.
Tengo sempre con me un foglietto ripiegato, custodito bene nella tasca anteriore dei miei jeans ormai consunti, che spunto ogni due o tre giorni. Ci ho scritto i nomi o comunque le categorie di tutte le persone che potrebbero avere avuto rapporti anche solamente brevi con Choi Young Do, da quando è nato fino ad adesso.
Finora ho chiesto a ex vicini di casa, a negozianti di shop o supermercati vicino alla sua ex casa, ai nostri ex compagni di liceo. Le ho provate veramente tutte, tornando a casa ogni santo giorno con le pive nel sacco e con un fiume di lacrime da far sgorgare sul mio cuscino.
E ormai sono giunta ad una conclusione: deve essersi sicuramente trasferito in un'altra città, visto che nessuno sa più niente di lui.
Ma il problema è, quale città? È veramente difficile poterlo anche solo indovinare: la Corea è un paese non tanto piccolo, e la maggior parte delle città più conosciute sono enormi.
Per di più, c'è anche un'ipotesi che non ho ancora contemplato: nel peggiore dei casi, potrebbe persino avere deciso di trasferirsi all'estero.
Ma non verrò demoralizzata nel compiere la mia missione solo da un po' di soldi e dalla paura: i soldi si possono guadagnare, e la paura può essere sconfitta. Eccome se può essere sconfitta, e io devo esserne capace, per non avere più rimorsi nella mia vita.
«Scusi, sa qual è e a che ora passa la corriera per Seoul?» chiedo, avvicinandomi sul marciapiede all'unica persona presente a quest'ora della mattina, ovvero una signora sulla sessantina che indossa dei vestiti piuttosto rinomati.
Ho deciso di iniziare la mia ricerca da Seoul; so che Choi Young Do andava spesso in vacanza lì insieme alla madre, quando frequentava le elementari, e potrei chiedere sue informazioni in qualche luogo che ritengo possibile che Young Do abbia frequentato spesso durante il suo pernottamento a Seoul.
«È l'autobus numero 6-B, dovrebbe passare fra circa venti minuti» risponde lei acida, guardando in che stato sono ridotti i miei vestiti e voltando subito lo sguardo, disgustata.
«D'accordo, grazie mille, signora» la ringrazio, con il migliore degli inchini che riesco a fare.
Dopodiché mi siedo con cautela nella panchina poco distante, e mi metto ad aspettare pazientemente.
Spero solo che io non abbia calcolato male il luogo delle mie indagini.
***
Choi Young Do's p.o.v.
Mi fa male tutto: braccia, gambe, testa. Stamattina presto sono stato, come spesso faccio, nuovamente al fiume, e non ho fatto altro che camminare e camminare per ore.
Mi sento come se stessi per cadere, ma adesso sono nel bel mezzo di un marciapiede, e non posso di certo lasciarmi andare.
L'unica soluzione per farmi passare questo dolore potrebbe essere sedersi da qualche parte, ma a quest'ora del giorno le panchine sono tutte occupate.
Continuo a camminare con un immenso dolore in tutto il corpo, dopodiché riesco finalmente ad adocchiare da lontano la tettoia di una fermata di un autobus, con sotto una panchina vuota.
Il posto perfetto per riposarsi un po', senza nessuno che mi possa dare fastidio. In posti del genere hanno tutti una perenne fretta, e non stanno di certo a badare ai movimenti di un ordinario ragazzo diciannovenne seduto su una normale panchina.
Chiudo gli occhi, adagiando la testa contro il duro vetro della struttura e sospirando.
Comincio a pensare al mio passato, a quando giocavo spensierato nel parco con mia madre, a quando lei mi spingeva sull'altalena e io ridevo felice, quanto ridevo. Rimpiango quei bei momenti della mia infanzia, e sono contento solo perché so che nessuno mai me li potrà portare via. Il passato non si cambia, resterà per sempre lo stesso.
Mentre sto per addormentarmi col sorriso sulle labbra per la prima volta dopo mesi, il rombo di un autobus mi desta bruscamente, facendomi aprire gli occhi. È una corriera blu che ha accostato, ma in questo momento la fermata in cui mi trovo io è completamente deserta, non c'è anima viva. Forse qualcuno dovrà scendere in questo posto, magari qualche turista che viene da un'altra città.
Richiudo gli occhi, ignorando completamente la realtà che mi circonda, e mettendomi a canticchiare a bassa voce.
«Young Do-ah!» sento poi all'improvviso, come se fosse una voce lontana. Un'eco frutto della mia immaginazione.
Apro gli occhi, ma davanti a me non c'è nessuno. Solo la strada trafficata. L'autobus è ripartito, lasciandosi alle spalle un grande alone di fumo, e facendomi scatenare un colpo di tosse.
Ho semplicemente avuto quella che si chiama allucinazione. Ho sentito la sua voce chiamare me, ma nella realtà dei fatti non c'è nessuno, qui.
Sono veramente malato se mi metto ad immaginare la sua voce anche quando cerco di rilassarmi. E questo non fa altro che confermare che lei è perennemente la protagonista dei miei pensieri, non importa dove io mi trovi o cosa stia facendo. È così che stanno le cose.
La mia mente ha sempre uno spazio per pensare a Cha Eun Sang, anzi, diciamo pure che pensa solo a quello.
«Choi Young Do!»
Ah, di nuovo lei. Quella dannata voce per cui ho perso la testa, che mi porta in paradiso ma che allo stesso tempo mi fa scendere all'inferno. Ma questa volta la sento più vicina a me, come se fosse esattamente al mio fianco.
«Aish, devo essere veramente impazzito» sbuffo fra me e me, alzandomi dalla panchina e cominciando di nuovo a camminare. Il dolore alle gambe non è affatto sparito, anzi, è aumentato, tuttavia cerco di non farci caso e di non lamentarmi.
Continuo a passeggiare con le mani in tasca, lungo il marciapiede, nella direzione in cui era andato l'autobus di prima.
Però, poco più avanti, noto un semaforo rosso all'incrocio, dietro al quale è schierata una lunghissima coda di macchine, furgoni e autobus.
Anche il semaforo per i pedoni è rosso, così per attraversare la strada sono costretto ad aspettare, standomene fermo impalato a guardare con la testa per aria.
Ma all'improvviso mi accorgo di una cosa che prima non avevo notato: una ragazza nell'autobus - una ragazza dal viso alquanto familiare - sta violentemente battendo i pugni sul vetro del finestrino per tentare di attirare l'attenzione.
Resto bloccato, senza sapere che cosa fare, per poi realizzare che forse è di nuovo la mia immaginazione che si diverte a giocarmi brutti scherzi.
***
Cha Eun Sang's p.o.v.
Sono seduta dentro questo pullman da ormai due ore, saranno circa le undici di mattina. Fra pochissimo tempo dovremmo arrivare al centro di Seoul.
Per ingannare l'attesa getto ogni tanto delle occhiate fuori dal finestrino, constatando che Seoul è proprio come immaginavo. Caotica, piena di gente, e con un sacco di smog.
Ho potuto però constatare anche che i servizi sono piuttosto efficienti, infatti c'è una fermata per gli autobus ogni cinquanta metri.
Qualcuno suona il campanello per poter chiedere di scendere alla prossima fermata, e, quando la corriera accosta, posso esaminare meglio i dintorni.
C'è una fermata con una specie di tettoia sopra, e qualcuno sta aspettando lì sotto, con aria triste.
È un ragazzo, e ha la faccia di uno che è appena stato mollato dalla sua ragazza.
Ma mio cuore prende a battere velocissimamente non appena riesco ad identificare la figura seduta alla fermata dell'autobus, non appena quest'ultimo è ripartito a tutto gas.
Non ci posso credere.
Il ragazzo alla fermata era Choi Young Do.
Era veramente lui.
«Young Do-ah!» grido, al settimo cielo, spiaccicandomi contro il finestrino e battendo una mano sul vetro per attirare la sua attenzione.
Mi basta anche solo un suo sguardo, anche solo che si volti per un secondo verso di me, e si accorga che io sono qui. Qui per cercare lui.
Inizio a piangere dalla gioia, continuando a fare rumore colpendo il finestrino, ma invano.
Choi Young Do, colui che ho cercato disperatamente per tutto questo tempo, non sta guardando qui. Non si sta accorgendo della mia presenza.
L'autobus si sta allontanando sempre di più, e la sua figura si sta rimpicciolendo.
«Choi Young Do!» strillo di nuovo, con quanto fiato ho in gola, continuando a picchiettare disperatamente sul vetro, senza fermarmi.
«Signorina, la prego di calmarsi, o potrebbe disturbare qualcuno» mi rimprovera un uomo sulla cinquantina, fissandomi aspramente per poi tornare con lo sguardo al suo cellulare.
Senza ascoltarlo minimamente, mi alzo e corro più veloce della luce verso l'autista di questa corriera, pregandolo di fermarsi.
«Signorina, non vede che sono in mezzo alla strada? E poi qui non c'è nessuna fermata, sarebbe dovuta scendere prima»
«La prego, è un'urgenza!» strillo, la voce rotta dal pianto e dai numerosi singhiozzi.
«Guardi, adesso c'è il semaforo, poi fra due minuti la prossima fermata. La prego di sedersi e aspettare in silenzio» risponde di nuovo l'autista, ma io non voglio sentire ragioni.
Lui è lì, a pochi metri da me, e io non posso neanche scendere per corrergli incontro? Eh no, questo non posso farlo.
Il bus si ferma al semaforo rosso, e, gettando un'occhiata alla strada appena percorsa, noto con mio grande sollievo che lui si sta dirigendo proprio in questa direzione.
«Choi Young Do!» riprendo a urlare, e improvvisamente la porta davanti a me si apre.
«Scenda, e faccia svelto» mi intima l'autista con voce secca, ma io non lo guardo già più.
Ora c'è solo una cosa che mi sta a cuore, ed è riabbracciare Young Do.
Gettarmi fra le sue braccia, dopo tutto questo tempo che abbiamo perso standoci lontani.
Lui, che fino ad ora mi era sembrato distante anni luce, ora è lì, a non molti metri di distanza da me, che mi sta fissando pietrificato, come se avesse visto una creatura sovrannaturale.
«Choi Young Do!»
Inizio a correre senza fermarmi nella sua direzione, notando con gioia che le sua braccia si stanno allargando per accogliermi calorosamente.
Il resto accade in un attimo: mi getto fra le sue braccia, col viso rigato fra le lacrime, e lui mi stringe forte a sé, come se fossero passati vent'anni dall'ultima volta che ci siamo visti, e non solamente uno.
«Cha Eun Sang... sei davvero tu?» chiede singhiozzando, tenendomi avvolta in una stretta così rassicurante da farmi sentire alquanto sollevata.
«Young Do... ti ho cercato così tanto, sapessi quanto ti ho cercato. E ora che ti ho trovato ti prometto che non ci separeremo mai più» piango, asciugandomi le lacrime che stanno rigando il mio viso e staccandomi da lui per poterlo guardare in faccia da vicino.
Frangia sparpagliata sulla fronte, occhi nero pece quasi nascosti sotto di essa, naso piccolo e... le labbra, quelle deliziose labbra che non ho mai baciato. Quelle labbra che sono state capaci di farmi svenire per un suo semplice sorriso.
È davvero lui, Choi Young Do in carne ed ossa. Il Choi Young Do di sempre.
«E così... anche la principessa indifesa ha finalmente ritrovato il suo principe azzurro» mi sussurra all'orecchio, la sua guancia contro la mia.
«La principessa a quanto pare si era scelta il principe azzurro sbagliato, e pensava di essersene resa conto troppo tardi... ma alla fine per fortuna ha fatto in tempo» gli sorrido, lasciandomi sopraffare da un forte senso di nostalgia e tristezza mista a felicità, continuando a piangere come una fontana, gli occhi rossi e brucianti.
Lui annuisce, lasciandomi senza fiato per il suo sorriso.
Ora lui è qui, io sono qui, e nessuno potrà impedirci di restare insieme per sempre.
«Young Do-ah, ti va di andare a mangiare dei noodles? Sai... ho molte cose da raccontarti» propongo, osservandolo bene in volto per vedere la sua reazione.
I noodles sono stati il nostro inizio, grazie al quale sono qui adesso. Non avrei mai conosciuto Young Do se non fosse stato per quel cibo in scatola da supermercato. Qualcosa di così inutile, che ha dato vita a qualcosa di così immenso.
La sua espressione tramuta immediatamente, e un sorriso innocente gli si dipinge in viso.
«Certo, perché no? Conosco un posto buono, e poi... anche io ho tante cose da raccontarti, Cha Eun Sang» risponde, con la voce tranquilla e profonda che non sentivo da tempo.
Così intrecciamo le nostre mani ed iniziamo a camminare, rivolgendoci un sorriso l'un l'altra e ammirando il sole splendente in cielo.
Qualcosa mi dice che dovrei essere più felice del solito.
«Oggi sarà proprio una bella giornata, Young Do-ah»
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