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Chapter 1; Lacrime

ATTENZIONE: Questa è una fanfiction ripresa da dopo il finale di "The Heirs", quindi consiglierei prima di finire di vedere il drama e poi di leggere la fanfiction, perché, per chi non l'avesse fatto, contiene degli spoiler.

***

Cha Eun Sang's p.o.v.

Flashback: 14 febbraio 2014.

«Lasciamoci»

Questa brevissima ma intensa parola era uscita spontaneamente dalla mia bocca, una fredda sera di febbraio, mentre stavo passeggiando tranquilla in riva al mare, mano nella mano con Kim Tan.

Una lieve brezza, fin troppo lieve per essere inverno, colpiva i miei lunghi capelli, spargendomeli in faccia e nascondendomi così buona parte del viso. Tenevo le mani in tasca per scaldarmi e stavo a testa bassa, imbarazzata, aspettandomi una sua reazione.

Sapevo che di certo avrebbe reagito con fare piuttosto incredulo e poi anche irritato, e infatti fu quello che fece. Ormai lo conoscevo abbastanza da riuscire a prevedere ogni sua reazione e comportamento.

«Eun Sang-ah, che cosa hai appena detto?» aveva chiesto il mio ragazzo, o meglio, quello che da quel giorno sarebbe diventato il mio ex, fermandosi e stringendomi forte un braccio.

Non avrei voluto ripetere quella parola una seconda volta, non mi piaceva fare del male alle persone, ma purtroppo avevo dovuto farlo. Sentivo che era la cosa giusta. Per lui, per me. Per noi.

E c'era un motivo ben preciso, se avevo deciso di fare questo. Non si trattò affatto di una decisione presa di punto in bianco, piuttosto fu una scelta che fu frutto di settimane di riflessione.

«Ho detto... lasciamoci» avevo ribadito, fissandolo alla fioca luce del tramonto. Dopo aver fatto ciò, deglutii distogliendo lo sguardo da lui: anche se non lo amavo più come prima, odiavo comunque vederlo triste. Non mi piaceva doverlo ammettere, ma stavo quasi per consolarlo. Consolarlo dalle mie stesse parole che lo avevano ferito, colpendolo dritto al cuore.

«I-io... io credevo che tu mi amassi» aveva balbettato lui, cominciando ad allontanarsi a passi lenti da me.

Quel giorno erano circa undici mesi che stavamo insieme, e mancava veramente poco a che festeggiassimo il nostro primo anniversario di fidanzamento. 

Ma qualcosa fra di noi non andava già da tempo, me lo sentivo.

«Kim Tan, io ti ho amato tanto, veramente tanto, forse troppo. Ma ora come ora, non credo di poter stare più a lungo con te» avevo risposto, cercando di mantenere il sangue freddo.

«È... è per quello successo con l'azienda e i miei genitori?» aveva chiesto di nuovo lui, con le lacrime agli occhi, per cercare di chiarire questa situazione piuttosto incomprensibile dal suo punto di vista.

«No, non è per quello» avevo biascicato sottovoce, facendo di no con la testa. D'altronde era più che plausibile che me l'avesse chiesto. La sua famiglia fu quella che ostacolò più di tutti la nostra relazione e anche per lungo tempo, ma col nostro amore eravamo stati capaci di superare anche questo ostacolo.

E i primi bei tempi, dopo che la questione di suo fratello e di sua madre si era risolta in modo piuttosto positivo, potevo considerarmi la persona più felice del mondo intero.

Una madre a cui volere bene, che mi dava sempre il suo appoggio, un fidanzato fantastico, e la sua famiglia che ci aveva finalmente accettati, suo padre compreso, che inizialmente mi odiava con tutto il suo cuore.

Non era di certo per i problemi con la sua famiglia che lo stavo lasciando. Tutt'altro. Ma era piuttosto difficile da spiegare, anzi, molto difficile. Avevo paura che lui avrebbe preso male la mia risposta, ed ero combattuta se dirglielo o meno.

«Allora dimmelo, parla. Voglio sapere cosa c'è che non va in me!» aveva ripreso a urlare, venendomi incontro e scuotendomi per le spalle con un'espressione che era un misto fra il disperato e il deluso.

Alla fine decisi di parlare, dopo aver tirato un respiro profondo:

« Credo che il mio cuore stia attualmente da tutta un'altra parte: la mia mente mi dice di restare, ma il mio cuore mi dice di andare. E dicono che sia meglio seguire il cuore, che la mente» avevo detto, cercando volontariamente di divagare il più possibile dal comunicargli la causa principale che mi aveva spinto a lasciarlo.

«Aspetta, fammi capire... andare da chi?» aveva insistito lui, dopo aver mollato la presa ed essersi seduto sulla battigia umida.

Non credevo si sarebbe abbacchiato così, anzi, più che altro mi sarei aspettata una reazione alquanto impulsiva. Ma se si era comportato così dopo le mie parole, allora tanto meglio; preferivo risolvere le questioni in maniera civile, piuttosto che iniziando a urlare senza poi capirci più niente.

«Non sarà mica... da lui?» aveva continuato Tan, non udendo risposta dalla mia bocca.

Annuii impercettibilmente, sedendomi affianco a lui, alla dovuta distanza. Da quel giorno in poi non saremmo stati più insieme, ed entrambi avevamo cominciato a prenderne atto sin da quel momento.

«Mi manca, non lo vedo né lo sento da tantissimo tempo» avevo detto con un sospiro, osservando le piccole onde che si infrangevano con poco rumore vicino ai miei piedi, bagnandomi la punta delle scarpe.

«Potevo immaginare che sarebbe andata a finire così, lo vedevo coi miei occhi che fra voi due erano rimaste delle questioni in sospeso» aveva risposto Tan con un grugnito, guardando la sabbia sotto di lui e iniziando a muovere i piedi nervosamente.

Queste questioni in sospeso erano quelle che più mi facevano stare male.

In quel momento non potei fare a meno di ripetermi mentalmente il nostro ultimo dialogo insieme.

"Cha Eun Sang. Da adesso in poi, quando ci vediamo, ignoriamoci. Se a scuola ci capita di imbatterci l'uno nell'altra, non salutiamoci più. Non parliamoci nemmeno. Facciamo proprio finta di non conoscerci."

Tirai un altro respiro profondo, cercando di mantenere la calma e di non farmi prendere di soprassalto dalle emozioni che si stavano facendo strada dentro di me.

Ma Tan mi interruppe quasi subito, iniziando a parlare lentamente e fermandosi ogni tanto ad asciugarsi le lacrime lungo le sue guance con un braccio.

«Cha Eun Sang. Sai che la più grande felicità per me è vedere te felice. Se vedo anche solo un piccolissimo sorriso sincero sulle tue labbra, so che non ho niente di cui preoccuparmi, perché sarò felice anche io se lo sei tu. Quindi, fai quello che ti dice il tuo cuore. È la cosa giusta» aveva detto proprio così, dopo essersi calmato con un sospiro, battendomi una mano sulla mia esile spalla, che aveva sussultato a questo improvviso contatto.

Rimasi a bocca aperta durante tutto il tempo in cui lui si alzò, mi abbracciò e mi diede un delicato bacio sulla guancia, aumentando la quantità delle lacrime che gli bagnavano le guance lisce.

Rimasi spiazzata. Il Kim Tan che conoscevo io avrebbe molto più probabilmente cominciato a distruggere qualsiasi cosa gli fosse capitata a tiro, e sarebbe corso via a picchiare il diretto interessato a causa del quale lo stavo lasciando.

Ma lui si comportò in modo totalmente diverso: mantenne la calma e il sangue freddo, non riuscendo tuttavia a smettere di piangere, dopodiché si congedò.

Pensai, anche solo remotamente, che lui poteva aver capito già da parecchio tempo come stavano le cose fra noi, e aveva avuto tempo per riuscire ad accettarle. Non poteva esserci altra spiegazione per questo suo comportamento insolito.

«Eun Sang-ah, sappi che ti ho amata come non ho mai fatto con nessun'altra. Sei stata il mio bellissimo sogno. Addio» aveva gridato Kim Tan, allontanandosi mentre si voltava, dandomi le spalle.

«Come un sogno di mezza estate» avevo aggiunto io con un sussurro, iniziando ad alzare una mano in segno di saluto, che però lui non vide mai.

Era scesa parecchia nebbia in quel momento, forse a causa delle mie lacrime che mi offuscavano la vista, così vidi solamente la sua immagine scomparire nel nulla.

Ma cosa significava quell'addio che aveva pronunciato?

Io credevo che avremmo comunque continuato a sentirci, o almeno ci speravo.

Ma, al contrario, lui decise veramente di lasciare tutto e tutti, tornandosene negli Stati Uniti e sparendo nel nulla.

Secondo me si recò nell'esatto posto in cui ci eravamo conosciuti e avevamo trascorso insieme i momenti più belli. Ma non avrei mai potuto verificarlo.

Iniziando a poco a poco a singhiozzare, sorpresa dalle mie stesse fredde parole che gli avevo rivolto, decisi di dirigermi verso la nostra casa non poco distante dalla riva.

Forse lì, con mia madre, avrei trascorso qualche momento spensierato che mi avrebbe distratto da lui. Cercavo da tempo di non pensarci, ma era più forte di me.

Mi ricordo che col passare dei mesi della mia relazione con Tan, andavo accorgendomi sempre di più che mi mancava qualcosa, che sotto sotto stavo male.

Lì per lì non ci feci caso, ma più trascorrevano i giorni e le settimane, più io avevo iniziato a chiudermi sempre di più in me stessa.

Potrà sembrare strano, ma ero assai perplessa dai miei stessi comportamenti: che cosa mi mancava?

In teoria avrei dovuto essere molto più felice rispetto a quando erano successi quei casini in America per colpa di mia sorella, o quando ero dovuta partire per abbandonare Kim Tan, o ancora quando tentavamo insieme di fare approvare la nostra relazione ai suoi genitori, soprattutto al suo severo padre.

Poi, riflettendo, dopo undici mesi ero finalmente giunsta ad una conclusione. L'amore di Kim Tan non mi bastava più. C'era qualcos'altro di cui avevo bisogno, qualcos'altro che mi mancava.

Mi mancava lui.

E io volevo rivederlo, almeno un'ultima volta. Anche se non saremmo potuti essere in buoni rapporti come una volta, volevo almeno fare un tentativo per rientrare in contatto con lui. Ma, se non ci avessi nemmeno provato, avrei soltanto perso in partenza.

***

Presente: 12 marzo 2014.

Siamo già a marzo, ma ancora fa freddissimo. Nell'aria non si sente per nulla l'atmosfera primaverile che abitualmente caratterizza il periodo. Gli alberi hanno tardato a fiorire, non vi è traccia di uccellini che cantano e la città è diventata alquanto spenta. Come se fosse una città fantasma.

Tutto per colpa di questa ondata anomala di freddo glaciale che ha colpito la nostra zona fuori stagione. E in più ovviamente noi non possiamo permetterci di tenere i termosifoni accesi, ci costerebbe troppo. Così ci tocca solamente sopportare. Ma d'altronde, dov'è il problema? Ho sopportato dolori ben più grossi del freddo, che ora sinceramente è l'ultimo dei miei problemi.

Adesso è notte fonda ed un filo di vento filtra dalla mia finestra di legno mezza rotta. Un brivido di freddo mi percorre lungo tutto il corpo, così mi avviluppo fra le coperte, cercando di scaldarmi il più possibile.

Tuttavia, prima di andare a dormire provo a fare un tentativo. Solo uno, solamente oggi.

È da un mese - da quando io e Kim Tan ci siamo lasciati - che tento ogni dannato giorno di chiamare Young Do per dirgli come stanno le cose fra di noi. Ma puntualmente ogni sera che mi faccio forza, finisce poi che getto il cellulare sul letto disperata e delusa da me stessa, per non essere riuscita a premere quel dannato pulsante "chiama".

Ma stasera ho finalmente deciso di provare. E questa volta farò sul serio. Proprio perché è passato già un anno da quando l'ho sentito l'ultima volta, non posso lasciar scorrere ancora più tempo. Devo essere sincera con lui, e prima viene a sapere cosa devo dirgli, meglio è.

Dopo dieci minuti che tengo in mano il cellulare col suo contatto ben visibile sul display, finalmente mi decido e premo con un dito tremolante quel pulsante. Avvicino il telefono all'orecchio, incrociando le gambe agitata, ma allo stesso tempo speranzosa.

Quando sentirò quella voce, se la sentirò, spero soltanto di non alterare troppo la mia compostezza. È da tanto che vorrei che lui mi contattasse, che mi parlasse... e invece non è successo mai niente di tutto questo.

Fra noi due si è innalzata pian piano una barriera insormontabile, ed è per questo che adesso lo sto chiamando. Per tentare di distruggerla e far tornare le cose a come erano un tempo.

Il telefono squilla alcuni secondi, ma poi una voce inaspettata si fa sentire:

Siamo spiacenti, il numero da lei chiamato è inesistente.

Il sangue mi si gela nelle vene. Spalanco gli occhi e mi immobilizzo. Il mio cuore perde un battito.

Numero inesistente.

Questo significa che non potrò mai più chiamarlo. Non potrò mai più avere sue notizie. Non potrò più rivederlo, abbracciarlo, ridere assieme a lui, dirgli quanto cavolo mi sia mancato...

Niente. Non posso fare niente. Nient'altro che soffrire.

Riattacco, spengo il cellulare e lo tiro per terra. Anche se si sfracella sotto i miei occhi, non mi importa. È colpa mia, è solo colpa mia. Sono stata una stupida, una stupida ingenua. Avrei dovuto chiamarlo prima, chiedere sue notizie... ora potrebbe trovarsi ovunque. E io non lo saprò mai.

Con gli occhi ancora velati di lacrime, mi dirigo alla finestra sul retro della mia misera casupola che condivido con mia madre, tiro le tende, la apro e mi affaccio lentamente al davanzale.

Il vento gelido mi colpisce dritto in faccia, asciugandomi immediatamente le lacrime scivolatemi sulle guance.

Osservo gli immensi palazzi, i parchi, le strade che si stagliano dritto davanti a me e che a quest'ora della notte sono deserte, e tiro un lungo sospiro.

Contemplando per bene l'orizzonte, vengo poi assalita da un'improvvisa idea. Qualcosa a cui prima non avevo pensato minimamente, a causa della mia mente in subbuglio che mi impediva di ragionare.

C'è solo un modo per scoprire dove lui sia: andare a cercarlo di persona. Non sarà affatto facile, e partirò proprio da questo presupposto, ma se non tento nemmeno, come posso pretendere di ottenere ciò che desidero?

«Choi Young Do, io ti troverò» sussurro fra me e me passando in rassegna ogni singola via e vicolo della città su cui si affaccia la mia casa per tentare di tranquillizzarmi da sola.

Poi torno dentro e mi avvolgo fra le coperte, forzando un sorriso al buio che nessuno potrà vedere, ma iniziando subito dopo a versare una cascata interminabile di lacrime.

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