Capitolo XIII - L'amara verità
"Coloro che sognano di giorno sono consapevoli di molte cose che sfuggono a coloro che sognano solo di notte. Nelle loro visioni grigie captano sprazzi di eternità e tremano, svegliandosi, nello scoprire di essere giunti al limite del grande segreto. In un attimo, apprendono qualcosa del discernimento del bene e qualcosa più che la pura e semplice conoscenza del male".
Cit. Edgar Allan Poe
Un urlo straziante, che sembrava quasi come se provenisse dalle viscere della terra, squarciò la quiete nel cuore della notte.
Rita e Luigi si svegliarono di colpo guardandosi negli occhi.
Era appena scoccata la mezzanotte e fuori il cielo era scuro ed illuminato da pochi piccoli puntini luminosi che si perdevano nell'immensità della notte.
I due, preoccupati per la figlia, si alzarono e si precipitarono nella stanza della piccola, la quale era immobile, seduta sul bordo del letto, e con gli occhi sbarrati e il viso velato da una dose di inquietudine, orrore ed angoscia.
Il suo sguardo sembrava assente e perso nello scrutare il nulla.
«Cosa c'è piccola mia?» Chiese Rita angosciata.
Silvia non rispose. Rimase ferma, completamente inerte, come se non avesse percepito la presenza dei genitori.
«Ehi Silvia, cosa c'è? Parlaci? Dicci qualcosa» le supplicò il padre guardandola dritta negli occhi, afferrandole la testa tra le mani.
Intercorse un lungo momento di titubanza, nel quale parole e pensieri si mescolavano in un silenzio assordante, prima che la piccola Silvia riuscisse a rispondere:
«Ho fatto un brutto sogno. C'erano anche i signori della fattoria».
«Che cosa vuol dire 'c'erano anche i signori della fattoria'?» Domando Luigi, fissando preoccupato la fattoria fuori dalla finestra.
«Raccontaci cosa hai visto che ti ha spaventata così tanto?»
Silvia, quasi come se fosse turbata da quella domanda, abbassò lo sguardo e con voce rotta dal pianto disse:
«Ero in una piccola stanza. C'erano tanti signori vestiti di bianco intorno ad una persona che non si muoveva più. Dicevano che era morto».
«Nient'altro?» La incitò il padre guardandola fisso, senza tradire alcuna emozione.
«Poi sono andata in un'altra stanza fredda e buia. È lì che ho visto un morto. Aveva un piccolo cartellino appeso al piede. C'era scritto il nome, cognome e tanti altri numeri strani».
Dopo una breve pausa la piccola riprese:
«Si chiamava Jordan Zanetti, e poi c'era scritta anche una strana parola che non so cosa vuol dire ... overdose e poi c'erano altri numeri che indicavano una data e un ora. La data è quella di oggi e l'ora era le 5:45».
I due genitori si guardarono perplessi.
«Cara, non ti preoccupare. È stato solo un incubo. Sei a casa, qui con noi. Sei al sicuro» disse Rita abbracciando forte la figlia.
«Mamma, ho visto anche i signori della fattoria. Li ho visti piangere vicino a questo signore. Era loro figlio. Questo continuavano a ripetere disperati. La signora della fattoria era vestita con un vestito di un colore che mi piace tanto, il verde e portava dei piccoli bottoncini rotondi appesi alle orecchie, come ce li hai anche tu».
«Piccola, non è successo niente. È solo frutto della tua immaginazione» disse Luigi con voce sicura, cercando di nascondere lo sbigottimento.
«No papà. Non me lo sono immaginato. È vero. Tutto vero».
«Cara, dici così solo perché sei un po' stanca. Adesso cerca di riposare. Io starò qui accano a te per tutto il tempo» replicò la madre, facendole un grande sorriso.
«Non è morto mamma. Io lo so. L'ho visto che si svegliava. Ha aperto gli occhi».
«Shh piccola mia. Adesso è l'ora di andare a dormire. Non pensarci più. Sicuramente è stato solo un brutto sogno» disse Rita accoccolandosi accanto alla figlia.
Le strinse le mani. Erano fredde.
Controllò la fronte e il viso, anch'essi erano freddi come blocchi di marmo grezzo e senza calore.
La piccola incominciò a tremare.
«Mamma ho troppo freddo. Non riesco a dormire. Rivedo sempre la stessa immagine. Oltre alla persona morta, c'erano anche due signori che volevano portarselo via a tutti i costi, ma io sono riuscita a fermarli».
«E questo graffio come te lo sei fatto?» chiese Rita con voce preoccupata dalla scoperta che aveva appena fatto.
«Me lo hanno fatto quei due signori con vestiti strani».
«Piccola mia, non è possibile. Quello che hai visto e vissuto nell'incubo non era reale. Probabilmente te lo sarai fatto questa mattina mentre eravamo ad aiutare i signori della fattoria. Forse questo spiega anche il perché tu li abbia visti nel tuo incubo» disse Rita a voce bassa, cercando di confortare la figlia che era ancora scossa dall'accaduto.
«Era tutto vero» rispose Silvia decisa, girando la testa di scatto verso la madre.
In cuor suo, Rita credeva alla figlia.
"Come faceva a sapere il nome e cognome del figlio dei signori Zanetti se non lo aveva mai sentito ne visto mai?"
C'era qualcosa che non andava, ma per il momento Rita preferiva non pensarci.
«Silvia, adesso è meglio che chiudi gli occhi. Aspetta qui. Ti preparo una bella camomilla calda. A me aiuta sempre tanto quando non riesco a dormire».
Preparata la camomilla, le due si addormentarono profondamente dimenticando, almeno per un attimo, quello che la piccola Silvia aveva 'visto'.
Il mattino arrivò.
Il sole era ormai alto e i suoi raggi illuminavano il cielo.
Dalle fessure della finestra, flebili raggi di luce colpirono il volto di entrambe, strette ancora in un tenero abbraccio.
Tutt'e due si svegliarono guardandosi fisso una nello sguardo dell'altra.
Rita, con un sorriso rassicurante e accarezzandole il viso, le disse:
«Dai, dobbiamo fare colazione e vestirci per la festa che ci aspetta. Alzati pigrona».
Nel frattempo Rita si avvia a preparare un caffè forte e una bella colazione con pane e nutella, che Silvia amava tanto, invece dei soliti cereali con latte.
Il tempo passò velocemente.
«Dobbiamo andare subito a vestirci! Rischiamo di fare troppo tardi».
Rita aprì l'armadio per cercare un vestito per la piccola, che si potesse adattare all'occasione.
Non voleva niente di elaborato, ma solo un qualcosa di semplice ed elegante.
La sue attenzione ricadde su di un abito color rosa, con un corpino aderente e gonna a ruota.
Note floreali ricamate sbocciavano vivaci su questo abitino.
"Questo è proprio quello giusto" pensò Rita.
Poco dopo, prese anche un cardigan e delle comode ballerine color panna dall'armadio della cameretta della figlia.
«Che ne pensi di questo bellissimo abitino?» Le chiese sorridente.
«Penso che sia stupendo» rispose la figlia che, senza farselo ripetere due volte, strappò il vestito dalle mani della madre e lo indossò in meno di un secondo.
«Guarda, come ti sta bene. Mette in risalto i tuoi bellissimi occhi verdi. Sei tutta tuo padre. Lo sapevi?».
Silvia non rispose. L'unica cosa che fece fu guardare la madre con un enorme sorriso.
Rita continuava a guardare la figlia con orgoglio e felicità.
Tutto, in quella bimba, esprimeva serenità e dolcezza.
«Siete pronte? - chiese Luigi entrando nella stanza della figlia - siamo già in ritardo per andare dai signori della cascina».
Il volto di Silvia si incupì.
«Che cos'è quella faccetta triste? - chiese Luigi con tono ironico - ci sono tanti divertimenti che ci aspettano. Ci sono tanti animali, luci, decorazioni, bolle di sapone e c'è anche uno spettacolo di magia che sono sicuro ti piacerà»:
Nel sentire quelle parole Silvia tornò a ridere e, tutti e tre mano nella mano, uscirono di casa felici.
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