𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚝𝚠𝚎𝚕𝚟𝚎
꧁ 𝘈𝘯𝘤𝘩𝘦 𝘭𝘦 𝘱𝘢𝘳𝘰𝘭𝘦 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘧𝘦𝘳𝘪𝘳𝘦 ꧂
Intrappolato in quella cella fredda, non era il suo corpo, ma la sua anima. Rimasi in silenzio, nascosta nel buio della prigione, a fissare la gabbia in cui era detenuto: un'illusione di pensieri limitati da una libertà quasi impossibile.
Continuava a pensare, a scrutare attentamente un punto indefinito dietro le sbarre. Famiglia e amicizia, amore e felicità avevano perso il loro significato nei suoi occhi disillusi. Sapeva che stava per sgretolarsi, ma ciò che più lo spaventava era l'imminente possibilità di morire senza aver mai visto il mare.
Come un archeologo che porta alla luce manufatti dalla terra arida, così Eren aveva cercato la verità nascosta dietro i giganti, raccogliendo solo delusioni lungo il cammino.
La sorte che gli è toccata non l'augurerei a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico.
Mi feci forza e mi avvicinai alla sua prigionia, con cautela. Udendo il rumore dei miei passi, alzò istintivamente lo sguardo, prima di riabbassarlo subito. Una sensazione pesante si depose sulle mie spalle, osservando il ragazzo agitarsi un po'. Aveva riconosciuto la divisa che indossavo e, probabilmente, temeva che fossi lì solo per prendermi gioco di lui.
"Ciao, Yeager. Io sono Kurasa." Lo salutai dolcemente, mentre mi sedevo sulla sedia posta poco lontano dalla gabbia. Gli sorrisi, volevo che capisse le mie buone intenzioni.
Voltò la testa verso di me, rivelando due profonde occhiaie, testimoni della sua insonnia.
"Come te la passi?" Chiesi titubante, nel tentativo di smorzare la tensione tagliente creatasi nella stanza.
Che domanda intelligente, è rinchiuso in uno spazio ristretto, viene trattato da criminale ed ha visto il suo più grande sogno distruggersi, come potrebbe mai stare?
Quando non rispose, mi pentii ancora di più della sciocchezza appena fatta. Scossi il capo, maledicendomi mentalmente per essere una completa stupida.
"Perché sei qui? Non ci siamo mai incontrati." Mormorò dopo qualche minuto trascorso a guardarmi, avvolto in un silenzio assordante.
Raccontandogli la sincera verità, forse sarei riuscita a conquistare la sua fiducia.
" La tua amica Mikasa Ackerman mi ha chiesto di venire a controllare in che condizioni ti trovassi, visto che non si fida di Erwin o degli altri membri del corpo di ricerca."
Appena sentì quel nome, Eren balzò in piedi, con ardente sollievo negli occhi. A giudicare dalla sua reazione, quasi sicuramente credeva fosse morta.
"Aspetta un momento... lei e Armin stanno bene?" Chiese, impaziente di ricevere una risposta positiva.
Rimasi abbastanza sorpresa dal suo improvviso mutamento. Ridacchiai, quei tre dovevano volersi proprio un gran bene.
"Mikasa è in gran forma, anche se le manchi molto. A dire la verità, non ho idea di chi sia Armin, però sono certa che stia alla grande, fidati!"
Non volli farlo preoccupare, quindi evitai di rivelargli come realmente si sentisse la sua amica, stava già accumulando troppo stress per essere un semplice diciannovenne. Sembrò rincuorarsi del fatto che non lo avessero dimenticato.
Quel barlume di gioia sul suo viso svanì in un istante, la consapevolezza che non potesse incontrarli lo distruggeva. Si rimise subito a sedere sul letto di legno, guardandosi le gambe tristemente.
"Fatemi entrare da lui." Ordinai con fermezza alle guardie in piedi davanti alla cella. I due uomini si scambiarono degli sguardi, uno di loro prese la parola.
"Mi dispiace, ma non possiamo. Sono ordini dall'alto, del capitano Levi in persona."
Mi sembrava strano che quel nano mi avesse lasciata andare da Yeager senza troppe proteste. Giuro sul Wall Sina che lo uccido.
Sospirai, sollevando un sopracciglio.
"E voi pensate che mi importi? Muovetevi ad aprire questa porta, prima che mi arrabbi sul serio."
"Signorina, si rende conte che è una belva? Potrebbe trasformarsi in gigante in qualsiasi momento!" Ribbattè l'altro con disprezzo, indicando Eren, che abbassò la testa, offeso da tali accuse.
Persi le staffe, la rabbia mi offuscava la mente. Afferrai la guardia che aveva appena parlato e la strattonai alla mia altezza, in modo che ci trovassimo faccia a faccia.
"Forse non mi sono spiegata, il mio era un comando, non una richiesta."
Con l'altra mano afferrai la mia spada e la puntai contro il secondo uomo, il quale, intimorito, rimase immobile.
"Gli unici mostri che vedo, cari miei, siete voi: non vi vergognate di sfogare le vostre frustrazioni su un diciannovenne indifeso?!" Gridai, prima di mollare la presa e di lasciarlo cadere sul pavimento.
"Vi do tre secondi per aprire questo lucchetto, dopo di che consideratevi morti."
Sibilai minacciosamente, mentre cominciavo a fare il conto alla rovescia.
Sarei stata davvero capace di ammazzarli? Probabile.
"Due." Quello che avevo buttato per terra, si alzò e, tremante, mise una mano nella tasca dei pantaloni, alla ricerca di qualcosa. A passo svelto si recò verso Eren, fermandosi però a metà strada. Sembrava insicuro, incerto sul comportamento che avrebbe dovuto portare avanti. Non voleva tradire la fiducia di Levi, ma, allo stesso tempo, ci teneva alla sua vita.
"Uno!" Spazientita, urlai di nuovo, risvegliandolo dai suoi oscuri pensieri. In men che non si dica, l'uomo corse vicino alle sbarre e girò la chiave nella serratura di acciaio.
Posai le lame e, prima di entrare nella cella, ghignai , trionfante.
"È stato un piacere fare affari con voi." Canticchiai, sempre più orgogliosa.
Avevo gestito abbastanza bene la situazione, da una parte, devo ammettere, avevo un po' paura della futura reazione di Levi, dall'altra invece provavo compassione per Eren che, essendo ancora umano, aveva bisogno di compagnia. E io ero pronta ad offrirgliela.
Varcai a testa alta il cancello, all'instante il fetore dell'aria pesante mista alla muffa mi pizzicò il naso, facendo solo aumentare la simpatia che provavo nei confronti del castano.
Lo hanno costretto a rimanere in un posto così sporco, senza preoccuparsi di visitarlo adeguatamente. Che ribrezzo.
Presi posto al suo fianco, sedendomi sul letto polveroso, mentre mi fissava come se fossi impazzita.
"Sei la prima persona disposta ad incontrarmi, dopo...l'incidente."
Gli sorrisi calorosamente, si irrigidì quando posai una mano sul suo braccio.
"Non pensare a loro, sono degli idioti. Capisco come ti senti, ponimi ogni domanda che vorrai, risponderò per te."
"Sei seria?" Annuii semplicemente, lui rimase in silenzio per un po', senza smettere di osservarmi.
"Sto per morire?" Chiese di getto, adesso toccava a me tacere. Una gocciolina di sudore scivolò giù dalla mia fronte.
Cosa posso rispondere ad un ragazzino così innocente?
"Io...il fatto è che..." Incespicai nelle mie stesse parole, per la prima volta dopo anni non sapevo cosa dire.
"Fantastico." Sbuffò, con un pizzico di ironia nella voce. Si passò una mano tra i capelli corvini, in pensiero.
"No, in teoria dovresti essere fuori pericolo, per adesso. Credo che presto ci sarà un'udienza per decidere il tuo destino, l'ho saputo da uno dei caporali." Gli raccontai la realtà, intenzionata a prepararlo psicologicamente a ciò che sarebbe avvenuto nei giorni successivi.
"Un processo per constatare se ho il diritto di vivere o di morire?"
Perché ho lasciato che mi facesse domande?
Mi grattai la nuca e sussurrai un flebile "sì", distogliendo lo sguardo da lui. Ci furono degli attimi di incomunicabilità, la tensione era palpabile.
"Scusa, non volevo metterti a disagio." Mi alzai di scatto, diretta verso l'uscita della cella.
Ho combinato un casino, dovevo stare zitta.
La mano del ragazzo, però, mi fermò e mi fece girare. Eravamo molto vicini, i nostri petti quasi si sfioravano.
"Sto bene, in realtà sono contento che tu sia qui." Mormorò imbarazzato, mentre le sue guance si tingevano di rosso. Gli scompigliai i capelli e risi sommessamente, sembrava proprio un bambino. Mi guardò confuso, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito, non appena una voce fece irruzione nella stanza.
"Kurasa, cosa stai combinando?" Mi girai velocemente, ritrovandomi davanti Levi in piedi fuori dal sotterraneo, sconcertato.
Cavolo.
"Fuori di lì!" I suoi occhi azzurri ci scrutavano con rabbia, un luccichio inquietante illuminava le pupille.
Il mio stomaco straripava di farfalle, che sussurravano al cervello di correre il più lontano e veloce possibile, eppure il corpo non me lo permise. Rimasi ferma, a causa del timore.
Il tempo trascorso nella legione esplorativa era finito oramai, visto che Ackerman non avrebbe esitato a cacciarmi via. Ero solo un peso per lui e la mia espulsione gli avrebbe provocato solo felicità. Deglutii, speravo di cuore in un miracolo, nell'arrivo di Luna o di qualsiasi altra persona che avrebbe preso le mie difese.
"Mi dispiace." Disse Eren, attirando l'attenzione del soldato più forte dell'umanità.
"È tutto okay, è stata solo colpa mia." Ribattei, non volevo che Levi se la prendesse con lui.
Sentii un forte strattone al polso: era Levi. Aveva appena fatto ingresso nella cella, su tutte le furie. Mi trascinò oltre la porta con una grande spinta, ignorando ogni mia protesta. Dire che era arrabbiato sarebbe un eufemismo. Pareva quasi che volesse uccidere qualcuno e, in cuor mio, sapevo benissimo che la persona in questione fossi io.
"Può trasformarsi in gigante in qualsiasi momento. Sei realmente così stupida da non capirlo?!" Mi spinse contro la parete, sotto lo sguardo triste di Eren. In qualche modo, si sentiva responsabile di quello che stava accadendo.
"Sono venuta qui solo per vedere se stava bene. Voi lo state trattando malissimo, almeno io mi sto impegnando a ricordargli di essere umano!"
Gli gridai contro a mia volta, non volendo arrendermi tanto presto.
Il suo pugno, all'udire le mie parole, si scagliò ferocemente contro il muro, a qualche centimetro dalla mia faccia.
"Dovevi pensare prima di farlo, maledetta puttana."
Di punto in bianco, ogni suono mi morì in gola. Guardai in basso, il cuore batteva troppo velocemente contro la cassa toracica.
"Forse questa volta mi sono spinta troppo oltre" iniziai a pensare, mettendomi in discussione.
Si massaggiò le nocche, senza smettere di fissarmi con stupore. Non si aspettava che una persona così tenace crollasse in questo modo all'improvviso.
Anche le parole possono ferir𝘦.
Lo scansai fortemente, potevo percepire il cibo che avevo mangiato a pranzo ripercorrere il suo tragitto, questa volta però al contrario.
Non appena tentò di avvicinarsi a me, il suono di uno schiaffo rimbombò nelle segrete, insieme ai sospiri sbalorditi dei presenti.
Neanche mi conosceva, in che modo è riuscito a constatare che io fossi una sgualdrina? Semplicemente perché mi ero avvicinata troppo al ragazzo?
Ritirai la mano incriminata, ancora formicolante.
Il dolore mi stava uccidendo, udire quell'insulto provenire dalla sua bocca mi aveva colpita, più di quanto immaginassi.
Tieni duro, aspetta qualche altro istante. Il tempo di arrivare in camera e potrai piangere quanto vorrai. Ovunque, ad eccetto qui, o gli darai un'altra soddisfazione.
Stavo annegando nel pianto del mio stesso cuore, che, scorrendo impetuosamente, raggiungeva l'anima, la toccava, la illudeva che tutto si sarebbe sistemato e lei, come sempre, ci ricascava ancora.
"Se non vuoi più che venga, non lo farò." Dissi rivolta ad Eren, mentre mi avviavo verso l'uscita.
Voglio morire.
"Aspetta Kurasa..." Gridò lui di rimando, nel tentativo di arrestare la mia corsa.
Ho sbagliato a venire qui? Stavo solo cercando di essere gentile, volevo assicurarmi che Eren fosse vivo per rendere felice una ragazza innamorata. Molto probabilmente non sarebbe sopravvissuto ancora per molto, almeno ho provato a rallegrare i suoi ultimi giorni.
Le lacrime offuscavano la mia vista, singhiozzi soffocati fuoriuscivano dalle mie labbra.
Io ero sempre stata una persona risoluta, forte, all'apparenza inarrestabile.
Ma Levi, tu eri lì per buttarmi giù di continuo, solo per tuo piacere personale. Tu sei riuscito a farmi sentire inadatta, come se realmente avessi compiuto una cattiva azione, come se realmente fossi una "maledetta puttana".
Eppure tra noi due quello sbagliato eri tu, non io, ma forse ero troppo cieca per accorgermene.
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