𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚝𝚎𝚗
꧁ 𝘜𝘯𝘢 𝘳𝘢𝘨𝘢𝘻𝘻𝘢 𝘥𝘢𝘪 𝘤𝘢𝘱𝘦𝘭𝘭𝘪 𝘤𝘰𝘳𝘷𝘪𝘯𝘪 ꧂
Una voce distaccata, la sua, mi trafisse alla velocità della luce, insieme alla consapevolezza di aver compiuto un grosso sbaglio. Una morsa dolorosa, carica di rimorso, mi strinse lo stomaco. Avevo messo fortemente a rischio la mia carriera e i mie piani futuri, solo perché non sapevo gestire le emozioni.
"Immagino che sarai felice di sapere che penso la tua stessa cosa, stupida mocciosetta.Credevo di averti avvisata di non combinare casini, odio ripetere le cose due volte, pensavo l'avessi capito. Vuoi sapere, però, cosa detesto di più?" Fece una breve pausa, avvicinando il volto al mio, nel vano tentativo di spaventarmi.
"Quando qualcuno mi manca di rispetto, nessuno ne ha il diritto, tanto meno una semplice ragazza come te. Spero di essere stato chiaro questa volta, perché non ti verrà data una seconda opportunità. Mi pare ovvio che una simile azione non potrebbe rimanere impunita, quindi preparati a correre intorno al quartier generale fino al tramonto."
Sgranai gli occhi, mentre mi alzai di scatto dalla panchina, attirando ancora di più l'attenzione dei presenti.
"Pfff, non puoi dirmi cosa fare, Levi." Risposi di getto, prima di incrociare le braccia sotto ai seni. Notai Luna irrigidirsi alle mie spalle. La bionda temeva, probabilmente, la reazione dell'uomo davanti a me.
"L'ho appena fatto e, comunque, per te è 'capitano'. Non ho tempo da perdere con una recluta disobbediente, quindi sbrigati, prima che perda la pazienza."
Alzai un sopracciglio, senza accennare a muovermi.
"Se davvero è così, allora lasciami stare, semplice." Sbuffai, seguita da lui. Entrambi eravamo inconfondibilmente frustrati l'uno dall'altro.
"È impossibile se ti comporti in questo modo. Piantala e inizia a correre, sempre se ci tieni al tuo posto nella legione."
Colpita e affondata, 1 a 0 per il nano.
Aveva mirato al mio punto debole, al mio tallone di Achille: Luna. Se fossi stata cacciata dal corpo di ricerca, molto probabilmente non l'avrei più rivista.
Vile opportunista.
In quel momento avrei voluto prenderlo a pugni davanti a tutti i cadetti, umiliarlo proprio come lui aveva fatto con me, ma mi limitai ad annuire a testa bassa, mentre dentro di me l'anima veniva sconvolta da una tremenda burrasca.
ッ
Stupido idiota, solo perché è il cApItAnO pensa di essere invincibile. Tch, illuso. Se crede di abbattermi si sbaglia di grosso, glielo dimostrerò.
Imprecai a bassa voce mentre continuavo a correre per il campo di addestramento, con lo stomaco che brontolava e le gambe che mi facevano un male cane. Desideravo solo riposarmi un poco, ne avevo bisogno.
Adesso basta, mi può importare di meno se mi vede, prenderò solo cinque minuti di pausa. Che sarà mai!
Poggiai la schiena contro un albero, riflettendo su quello che mi aspettava dopo la fine di quell'inferno.
Avrei dovuto iniziare a portare rispetto nei confronti di Levi? Probabilmente sì, ma mi conoscevo troppo bene: per quanto mi sarei sforzata, mai ci sarei riuscita, soprattutto dopo la "punizione" che mi aveva dato.
Chiusi gli occhi per qualche secondo, immaginando di essere con il resto della squadra o a chiacchierare animatamente con Hanji.
A proposito, appena finisco qui devo chiederle scusa, mi sono comportata male con lei. Anche se non glielo dirò mai apertamente, mi piace la sua compagnia, è sempre capace di strapparmi un sorriso.
Un singhiozzo sommesso mi riportò alla realtà, risvegliandomi da ogni fantasia. Sobbalzai, inizialmente impaurita che potesse essere lo gnomo malefico. Un'altro gemito strozzati, simbolo di un pianto convulso, riempì l'aria estiva. Senza capire da dove provenisse, perlustrai l'ambiente circostante con attenzione; nessuno sembrava essere nei paraggi.
Continuai ad osservare meglio la zona, facendo saettare lo sguardo in ogni direzione. Fu in quel momento che la vidi.
Non avrei mai pensato che i lamenti dolorosi di una ragazza dai capelli scuri, seduta in solitudine nei pressi di un vecchio ciliegio in fiore, avrebbero potuto risvegliare in me così tanti ricordi spiacevoli.
Aveva le gambe strette al petto, i pugni serrati, mentre il suo corpo era scosso da continui fremiti. Sembrava distrutta. Mi avvicinai a lei a passo lento, per non spaventarla.
Poverina, chissà cosa le è successo.
"Hey, sicura di stare bene?" Le chiesi, accovacciandomi alla sua sinistra. Di scatto alzò il capo, rivelando un bellissimo viso solcato da un'infinità di lacrime. Scosse freneticamente la testa, prima di tornare a guardare un punto indefinito davanti a sé.
"Non mi conosci, eppure sembra che tu ti interessi di me più dei miei stessi amici. Sei l'unica ad avermi posto questa semplice, fondamentale domanda." Constatò tristemente con un tono freddo, capace di gelare anche il cuore più mite.
"Hai ragione, non ho idea di chi tu sia, ma possiamo sempre rimediare, no? Inizio io: mi presento, sono Kurasa Meghami, nata nel distretto di Shiganshina nell'ottocento trentatré. Ho ventuno anni e faccio parte della squadra Levi. Nel tempo libero mi piace allenarmi, mangiare e, uhm, uccidere giganti." Parlai, tendendole la mano. Lei rimase immobile a fissarmi per qualche istante, in un silenzio tombale.
"Perché non te ne vai? Potresti benissimo divertirti adesso, invece di stare con una perdente come me." Domandò senza far trapelare alcun sentimento, tentando di opprimere le emozioni turbolenti che stavano sconvolgendo il suo spirito.
"In tutta onestà, non so neanche io perché sono qui, semplicemente mi sento in dovere di rimanere al tuo fianco. Forse perché ho testato in prima persona cosa si prova a piangere in silenzio, nel buio o nell'oscurità, lontano dalle persone care, pur di non procurare loro dispiacere. È un dolore immane, che logora l'anima. Ti capisco e, proprio per questo, vorrei aiutarti, ma come posso se non me lo lasci fare?" Inclinai la testa, squadrandola con attenzione. Sbarrò gli occhi, in parte incredula delle mie sincere parole. Sospirò pesantemente, come per risvegliarsi dallo shock.
Le porsi di nuovo la mano e questa volta, seppur titubante, me la strinse, asciugandosi le lacrime con la manica della divisa.
"Io invece sono Mikasa Ackerman. Come te, anche la mia casa si trovava a Shiganshina, vivevo lì con la mia nuova famiglia prima dell'attacco. Ho diciannove anni." Sentendo tali parole, la mia mente entrò in stand by per un momento.
Quel cognome...e se fossero parenti? In fondo si somigliano leggermente, entrambi hanno i capelli neri e la stessa espressione. No, è impossibile, sarà solo una coincidenza, una mia impressione, o, almeno, spero che lo sia.
"Cosa c'è? Sembra che tu abbia visto un fantasma." Mi chiese, incuriosita dalla mia bizzarra reazione. Feci uno strano cenno con il palmo, come per dire che non fosse nulla di importante. Recepì il messaggio ed annuì, riacquisendo la sua solita espressione apatica.
"Perché stavi piangendo? Sii sincera, giuro solennemente che non ne farò parola con nessuno, anzi farò il possibile per risolvere il tuo problema." La mia bocca si mosse da sola, spinta da un interesse eccessivo.
"Mi hanno portato via il mio migliore amico, lo hanno rinchiuso in una cella con l'accusa di essere un gigante ed è da giorni che non ho sue notizie. Ho cercato di estorcere informazione ai nostri superiori, senza risultati. Dicono tutti la stessa cosa, sostengono che stia bene, che la situazione si sistemerà, eppure non ne sono convinta. Leggo titubanza nelle loro pupille e mi fa male, tanto. Temo davvero che potrebbe essergli accaduto qualcosa, Kurasa. E la cosa peggiore è che posso solo stare in silenzio mentre degli sconosciuti mi strappano la persona a cui tengo di più!"
Una lacrima rigò la sua guancia arrossata. Una morsa mortale avvolse il mio cuore, quella ragazza era una povera vittima della società ingiusta in cui vivevamo.
Dovevo darle una mano.
"Mikasa, sapresti dirmi come si chiama?"
"Eren, Eren Yeager." Rispose, un luccichio accese il suo cupo sguardo. Si vedeva: gli voleva proprio un gran bene. Sorrisi, pensando istintivamente al rapporto bellissimo mio e di Luna. Mi alzai dal prato, passai una mano sul pantalone dell'uniforme per far cadere alcuni fili d'erba incastrantesi tra le pieghe della stoffa.
"Benissimo, raccoglierò informazioni su di lui e, appena sarà possibile, andrò a fargli visita, così ti riferirò io stessa come sta." Dissi semplicemente, mentre iniziavo ad allontanarmi, sotto lo sguardo stupito della ragazza.
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