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𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚗𝚒𝚗𝚎𝚝𝚎𝚎𝚗

  𝘐𝘱𝘯𝘰𝘴𝘪

"Per favore, no!" Mi risvegliai violentemente, la voce sfuggì tremante al mio controllo, risuonando nel silenzio di quella camera all'infinito.

È la realtà o sto ancora sognando?

scombussolata, mi guardai intorno. Con mio grande sollievo scoprii che lì, oltre a me, non ci fosse nessuno. Alcuna ombra o cadavere.

Nemmeno una traccia di sangue sul pavimento.

Ogni cosa era inquietantemente al suo posto, non vi era niente di diverso rispetto al solito, eppure la situazione continuava a non tornare.

Con cautela, senza abbassare la guardia neanche per un istante, saltai giù dal letto.
Passai una mano sul volto, un sottile velo di sudore ricopriva la mia pelle pallida.

"Ho bisogno di una doccia." Mormorai, prima di dirigermi verso il bagno a passo lento.

Ho come la sensazione di essermi dimenticata di un affare importante...

Tentai di mettere a fuoco i miei impegni della giornata, ma niente di particole rilevanza riuscì a tornarmi in mente.

Forse era solo uno stupido presentimento, influenzato dal battito accelerato del mio cuore e dalle mille paranoie che in quel periodo sembravano tormentarmi.

L'incubo da cui mi ero svegliata pochi minuti prima era il peggiore che avessi avuto negli ultimi mesi, secondo forse solo a quello dove io e Anne eravamo sedute nella mia vecchia casa.

Mi spogliai, facendo il possibile per non guardare il mio riflesso allo specchio. Se avessi rivisto i segni, probabilmente sarei crollata, proprio come era successo poco tempo fa.

Scossi la testa, prima di scavalcare la parete della vasca, mantenendo gli occhi fissi sul pavimento per tutto il tempo.

Girai la manopola, l'acqua bollente bruciava leggermente la mia schiena, ma non ci badai più di tanto, anche perché presto il forte calore divenne una carezza piacevole per il mio corpo stanco.

Mi lasciai cullare dai baci che il caldo vapore lasciava amorevolmente sulla mia pelle, alzando la fronte verso l'alto, in modo che il tepore mi arrivasse dritto in faccia.

Niente aveva più un senso, decisi di dimenticare per un paio di minuti chi fossi io, gli allenamenti che mi attendevano, insieme a tutte le litigate che avrei condiviso con Levi...

Ah, quell'uomo è un mistero, non lo capirò mai.
Nei suoi occhi leggo tristezza, nel suo comportamento strafottente delusione. Ogni cosa di lui mi porta a pensare che sia, proprio come me, una persona tutt'altro che forte, nonostante le apparenze e ciò che circolava in giro sul suo conto.

Se non fosse tanto deficiente, potremmo addirittura sopportarci.

"Aspetta un secondo...oggi dovevo incontrarmi all'alba con la squadra!" Mi schiaffeggiai mentalmente, come potevo essere così sbadata?

Chiusi di scatto l'acqua, rabbrividii, sentendo già la mancanza delle sue carezze.
Uscii dalla vasca, afferrai la prima asciugamano che trovai sulla mia strada e l'avvolsi intorno ai miei capelli.

Ritornai in stanza di corsa, raccolsi l'uniforme che avevo lasciato sul pavimento la sera precedente e la indossai, ignorando il fastidio del tessuto che iniziava ad attaccarsi contro il mio corpo ancora bagnato.

"Dannazione." Ringhiai a me stessa, mentre raccoglievo la mia capigliatura in due trecce francesi approssimate, che, a mio modesto parere, facevano pietà.

Fuori il sole stava iniziando a divenire arancione nel cielo scuro di quella che, ben presto, non sarebbe più stata notte.

Il piccoletto sarà meno che felice del mio ennesimo ritardo.

Appena finii di allacciarmi gli stivali, mi precipitai all'esterno, tenendo sulle spalle uno zaino marroncino contenente i miei pochi averi, tra cui la maschera Kitsune, immensa fonte di potere.

Scossa da continui tremori, dovuti in parte al gelo e in parte allo shock che mi aveva lasciato l'incubo di qualche minuto prima, continuavo a percorrere il cortile a grandi falcate.

Strinsi la presa sulla borsa quando notai Levi poco distante da me, affiancato dalla squadra. Notai che tutti erano in sella ai loro cavalli, ad eccetto di lui, Luna e Eren, questi ultimi seduti su un grande carro di legno.

"Riuscirai mai ad arrivare in orario?" Mister simpatia sputò con acidità, senza smettere di fissarmi.

"Oh andiamo, l'alba è appena iniziata! Da quanto tempo siete qui fuori?" Cercai di giustificarmi cambiando argomento, mentre salivo sul vecchio carro traballante, trainato da un paio di puledri bianchi.

"Non molto, circa dieci minuti. Nel momento in cui i due mocciosi si sono seduti qui sopra, sono subito crollati . A me però va bene, almeno non dovrò sentire quell'idiota inveire contro i giganti per tutto il viaggio."

Ridacchiai silenziosamente al suo ultimo commento sul povero ragazzo, guadagnandomi una sua occhiata sbalordita.

Ehi, ho solo trovato una cosa una tua frase divertente, idiota, mica ho detto di volerti sposare?

"So di essere bellissima, ma potresti smetterla di mangiarmi con lo sguardo? Mi metti in soggezione."

Aggrottò le sopracciglia, prima di sedersi davanti a me, poco distante dal punto in cui mi trovavo io.
"Ew, non so di cosa tu stia parlando, marmocchia."

Evitai di rispondere, preferendo rimanere in silenzio per non iniziare un'altra lite.

Spostai la mia attenzione da lui a Eren addormentato, le sue labbra erano socchiuse, un piccolo russare fuoriusciva da esse.

Sorrisi e mi sistemai meglio sulle assi di legno, allungai una mano verso la sua testa, posizionandomela in grembo, mentre gli facevo scorrere le dita tra i capelli castani.

"C-che succede?"Borbottò flebilmente, gli occhi appena spalancati.

"Shh, torna a dormire. Ho notato che stessi scomodo in quella posizione. Ti sveglierò quando arriviamo, promesso."

Voglio solo che si senta a suo agio dopo l'inferno che ha passato.

Non disse niente, si tuffò semplicemente nel mondo dei suoi sogni ancora una volta.

In quel momento, sentendo lo sguardo spento di Ackerman bruciare sulla mia pelle, alzai la testa di scatto, stizzita. Rafforzai la presa difensiva sul diciannovenne.
"Cosa stai fissando? Brutto pervertito..."

Non rispose, sembrò quasi non aver udito la mia domanda all'inizio. Dopo una buona manciata di secondi, mormorò sottovoce qualcosa di incomprensibile, che non riuscii a capire.

Decisi di ignorarlo, intorno a noi calò una situazione colma di imbarazzo, dovuta soprattutto al fatto che non volesse smetterla di studiarmi, quasi come se fossi un libro di storia.

Quando il carro iniziò a muoversi, cominciai a lasciarmi andare, le palpebre divennero troppo pesanti per rimanere svegli. Cercai di combattere l'impulso di chiudere gli occhi, temendo che il mio stesso incubo tornasse all'attacco di fronte a Levi.

La resistenza, però, si rivelò inutile e, ben presto, il dolce dondolio trascinò la mia mente nell'oscurità.

Con me, Eren e Luna appisolati, ignari del capitano seduto di fronte a noi, quest'ultimo grugnì, mentre i suoi occhi continuavano ad essere serrati sulla mia figura.

Era ipnotizzante per lui osservare quanto potessi essere dolce e amorevole quando volevo.

Si chiese per un istante se il moccioso sapesse quanto fosse fortunato a provare quel tipo di affetto, qualcosa che egli, invece, non conosceva.

Ero così delicata, a suo parere, mentre accarezzavo Eren, diversamente da come mi dimostravo per la maggior parte del tempo in sua presenza.

Mi adattavo bene, sempre secondo lui, al ruolo della madre.

Era un cambiamento drastico rispetto a ciò che conosceva di me e, per qualche ragione, si ritrovò a voler vedere di più.

Un'angelica Kurasa addormentata era una me che non era abituato a incontrare, e odiava quella parte di lui che non poteva sopportare di distogliere lo sguardo.

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