𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚜𝚎𝚟𝚎𝚗
꧁ 𝘙𝘪𝘷𝘢𝘪𝘭𝘭𝘦 𝘈𝘤𝘬𝘦𝘳𝘮𝘢𝘯 ꧂
Mi svegliai di soprassalto, un grugnito animalesco fuggì dalle mie labbra. Ancora una volta avevo rivisto la sua faccia, i suoi occhi imploranti. Lo stesso incubo mi perseguitava il sonno ormai da giorni, ogni notte la stessa identica storia, ogni mattina lo stesso risveglio. Quando calava l'oscurità per me era quasi impossibile chiudere occhio, era come se tutte le mie paure uscissero allo scoperto solo per uccidermi. I mostri che nascondevo nel profondo si divertivano a ricordarmi il passato, sempre con un odioso sorriso sul volto. Tra tutti, però, lui era il peggiore. Rimpianto, il demone più potente e letale. Era lui la causa di ogni cicatrice che portavo nel cuore. Si divertiva a perseguitarmi, a torturare la mia mente, a distruggere la mia anima. Sguainava le lame dell'odio e, alle spalle, mi attaccava, trafiggendomi con la triste verità.
Finalmente poi quell'agonia immane terminava, scomparendo nel nulla il giorno seguente, dopo essermi svegliata urlante e col viso solcato da lacrime.
Non ce la facevo più, ne avevo abbastanza...di tutto. Mi alzai di scatto dal letto, le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe erano inzuppate di sudore. Le mie mani sfiorarono freneticamente la pelle scoperta, mentre cercavo di assicurarmi che fossi viva e che quella fosse la realtà.
"Dovresti parlarne con qualcuno, sai?" La voce di Hanji mi fece sobbalzare. Voltai la testa nella sua direzione e la trovai ferma a fissarmi, con la schiena appoggiata allo stipite della porta. Da quanto era lì? La trucidai con lo sguardo, non volevo che mi vedesse piangere.
"Fatti gli affari tuoi, Zoe." Ribattei io poco educatamente, intrecciando una ciocca di capelli tra le dita di una mano. La ragazza si avvicinò ancora di più al letto e, all'improvviso, percepii il suo braccio posarsi sulle mie spalle.
"Quello che voglio dire è che non fa bene tenersi tutto dentro, distrugge il nostro equilibrio interiore. Di questo passo finirai per impazzire, K."
I miei occhi si concentrarono sulla mano intorno alla mia spalla, facendola ritrarre immediatamente. Quante volte devo ripeterle che odio il contatto fisico? Pensai.
"Ripeto, fatti gli affari tuoi." Ribadii, mentre iniziavo a vestirmi per la giornata, infilandomi gli stretti pantaloni della divisa. Finalmente avrei conosciuto gli altri componenti di questa famosa squadra Levi.
"Nessuno di noi sa niente di te." cominciò a parlare e mi aiutò ad allacciare la fastidiosa cintura, nonostante mi fossi opposta a ciò.
Feci schioccare le labbra, prima di aggiustarmi la giacca.
"Grandioso, no?" Ignorò il mio commento, determinata a scoprire qualcosa su di me.
"Le uniche cose che sappiamo di te è che sei del distretto di Shiganshina, eri il leader della 'resistenza' e, stranamente, sei super protettiva nei confronti di Evans e Meyer. Correggimi se sbaglio." Continuò a dire, allontanandosi un pochino da me. Sbuffai, annoiata. La guardai torva.
"Forse non mi sono spiegata, proverò ad essere il più gentile possibile, okay? Non sono affari che ti riguardano, non ci conosciamo nemmeno." Corrugò la fronte, sembrava quasi ferita dalle mie parole. Avevo esagerato? Subito mascherò quella luce fioca di delusione che dipinse il suo volto. Alzò le spalle con nonchalance e si girò, avviandosi con grandi falcate verso la porta.
"Cadetta, vedi di comportarti meglio con i tuoi superiori, lo dico per il tuo bene. Non tutti sono come me, soprattutto se si parla del tuo capitano. Ad ogni modo, ero venuta qui per informarti che Erwin ti aspetta nella sala delle riunioni prima dell'inizio della giornata, deve presentarti qualcuno di...speciale. Se vuoi posso accompagnarti io, visto che devo passare lì per ritirare dei documenti."
Sgranai gli occhi, percepii un briciolo di freddezza nel suo tono. Probabilmente l'avevo offesa davvero, mi sentivo in colpa. Era strano vederla così poco energica, ormai ero abituata alla sua solita esuberanza. Annuii distrattamente, senza dar tanto peso a quel che realmente avesse detto.
L'affiancai e, insieme, iniziammo a camminare per la struttura, attraversando una miriade di corridoi. Tutto ciò nel più completo silenzio. Avrei tanto voluto chiederle scusa o iniziare una conversazione, ma il mio maledettissimo orgoglio, misto all'ansia, me lo impediva.
Giungemmo dinanzi ad una porta in legno di betulla, classica ma chic.
Dall'interno si sentivano due voci profonde. Uno dei due uomini lì dentro disse con fare scocciato:
"È in ritardo. Quanto dovremmo ancora aspettare?" Udii una leggera risata, decisamente più orecchiabile della fastidiosa persona che aveva parlato prima. La donna al mio fianco bussò leggermente e, non appena la porta si aprì, mi spinse nella stanza, dopo avermi fatto un'ultima raccomandazione.
"Ricorda quel che ti ho detto: evita di rispondere male e metti da parte la tua altezzosità, altrimenti qui non durerai un giorno." La guardai male, stava quasi per farmi cadere.
"Pensavo che a questo punto avresti lavorato sulla pazienza, Levi. In ogni caso la ragazza è qui, quindi cerca di comportarti bene." Il biondo rispose al corvino ironicamente, guadagnandosi un'occhiata ostile di quest'ultimo. Lui era il famigerato Levi? Me lo aspettavo diverso, innanzitutto un tantino più alto.
"Non sono un cane." Il più basso fece schioccare la lingua mentre borbottava tra sé e sé.
Camminai verso di loro, fermandomi davanti a entrambi. Il sopracciglione mi salutò con un cenno del capo.
"Cadetta Meghami." Disse, inclinando la testa verso di me. Quando continuai a stare in piedi con le mani lungo i fianchi, lui tossì. Alzai gli occhi al cielo ed emisi un sospiro esasperato, mentre gli rivolgevo il saluto da soldato. Portai il braccio sinistro dietro la schiena e il pugno destro sul cuore, solennemente.
"Erwin." Risposi, nascondendo a stento un sorriso. Mi piaceva farlo arrabbiare, lo sapeva benissimo.
"Per te è comandante Erwin." Mi riprese, quasi divertitosi
"Sì, come ti pare...Cosa c'è? Perché mi hai mandata a chiamare?"
Nonostante ci conoscessimo da qualche giorno, era ormai abituato al mio comportamento. All'inizio lo facevo letteralmente impazzire con le mie risposte indisponenti, ma, pian piano, sono sicura che avesse iniziato a capirmi. Era un uomo molto intelligente, di certo si sarà accorto che per me, ogni giorno trascorso in quel posto, era una tortura. Forse mi sopportava e stimava solo per questo, perché ero una persona che aveva visto la morte in faccia, vissuto sulla propria pelle il dolore della perdita e della sconfitta di ogni valore.
"Ci tenevo a farvi conoscere prima che iniziasse il tuo addestramento. Lui sarà il capo della squadra cui sei stata assegnata." Alzai un sopracciglio e mi presi un momento per osservarlo: i capelli, neri come la pece, ricadevano sul suo viso pallido, mentre i suoi occhi azzurri si posarono su di me. Mi tese la mano, anche se riluttante, probabilmente era stato Erwin a dirgli di farlo. Mi presentai, con un finto sorriso sulle labbra. Ormai tutti sapevano che io fossi Ravager, era inutile nascondere la mia vera identità.
"Kurasa Meghami, piacere." Le nostre dita entrarono in contatto, una scarica elettrica attraversò il mio corpo. Anche lui, a quanto pareva, ebbe la mia stessa sensazione. Quell'uomo emanava una strana energia e la cosa non mi piaceva, per nulla.
"Rivaille Ackerman." Soffocai a stento una risata, era davvero buffo. Lui se ne accorse, alzò un sopracciglio, infastidito. Ritrassi la mano velocemente, provando a coprire la mia bocca.
"Vedo che il mio nome ti fa ridere, mocciosa." Come aveva osato a chiamarmi in quel modo? "Neanche lo conosco e già inizia ad affibbiare nomignoli, che simpatico." Pensai, mentre riflettevo su come ribattere senza risultare eccessivamente maleducata. Decisi quindi di utilizzare la mia arma più potente: l'ironia.
"Davvero perspicace, capitano."
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