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VIII. Bacio che scandisce i minuti


Agamennone russava forte.
Era questa la prima cosa che Selena aveva notato la prima notte in cui aveva dormito nella tenda del re di Micene.
Ed ora che erano passate diverse settimane, non faceva quasi più caso al fatto che l'Atride russasse a più non posso.
Quella notte, mentre il sole sorgeva all'orizzonte, la giovane era già in piedi e osservava il giaciglio nel quale Agamennone riposava.
Le cose non andavano bene e un sacco di voci giravano per l'accampamento acheo.
Da quando Achille si era ritirato – e con lui il suo esercito di Mirmidoni – le sorti della guerra erano sempre più a favore dei Troiani.
Selena sapeva bene che era stata Teti, figlia di Nereo e madre del Pelide, a parlare con il divino Zeus affinchè facesse in modo che fossero i nemici a vincere le battaglie, fino a quando l'ira e il desiderio di vendetta del figlio non fossero stati placati.
E lei si sentiva sempre più con l'acqua alla gola, sapendo che la fine di Patroclo era inevitabilmente vicina.
Avrebbe tanto voluto poter fare qualcosa, ma sapeva bene che era una cosa impossibile.
Continuava a ripeterselo: non doveva cambiare il corso degli eventi, per quanto la morte dell'amico le avrebbe fatto male.
Sospirò, mentre indossava un mantello scuro e si copriva il capo con il cappuccio.
Lei e Achille si erano messi d'accordo per incontrarsi quella mattina: lui le avrebbe insegnato alcune mosse con la spada.
Selena sapeva che Ettore e i Troiani avrebbero invaso l'accampamento, incendiando le navi achee e lei avrebbe dovuto imparare a difendersi.
Sapeva che Ettore, domatore di cavalli, non le avrebbe fatto del male – come aveva già dimostrato il primo giorno a Troia di Selena – ma lo stesso non poteva dirsi per gli altri soldati troiani.
Uscì dalla tenda e i tenui raggi del sole le colpirono il viso, riscaldandolo.
Si diresse verso la spiaggia, nel punto in cui molte sere prima avevano fatto il bagno.
Ripensò che alla fine Ulisse aveva avuto ragione su due cose.
La prima, Agamennone – non aveva idea di come fosse riuscito a convincerlo – non l'aveva più sfiorata con un dito.
La seconda, Selena si era resa conto di essere davvero innamorata di Achille.
Ci aveva messo un po' a capirlo, in realtà.
Le parole del re di itaca le avevano messo la pulce nell'orecchio, e da quel momento aveva cominciato a rimuginare.
E di notte, lo aveva sognato.
Le prime volte, lo vedeva semplicemente sulla spiaggia, proprio come quella notte, che le sorrideva e le faceva segno di avvicinarsi.
Le volte dopo, lei riusciva a raggiungerlo e lo toccava sulla spalla, ma in quel momento – ogni maledetta volta – si svegliava.
L'ultima volta era stata quella decisiva.
Lo aveva raggiunto, entrambi nudi mentre l'acqua lambiva le loro pelli, e lui si era voltato.
L'aveva presa tra le braccia e finalmente le loro labbra si erano incontrate.
Selena si era svegliata di scatto, le gote in fiamme.
In quel momento, proseguì tra i resti dei falò della sera precedente ed arrivò alla spiaggia.
Achille era lì, seduto su un masso, intento ad armeggiare con i lacci dei suoi gambali.
Li stava tirando come se gli avesssero fatto del male.
"Soldato, vacci piano" lo rimproverò con un sorriso lei "o ti ritroverai senza gambali"
Il giovane si voltò e le sorrise, ma si vedeva che i suoi occhi azzurri erano oscurati da un velo di preoccupazione.
"C'è qualcosa che non va?" proseguì Selena, sedendosi accanto a lui.
"No" rispose Achille, alzandosi e prendendo l'armatura greca che era adagiata accanto a lui.
La giovane non disse altro, ma sapeva che c'era qualcosa che non andava.
Un'idea si fece largo nella sua mente, ma la cacciò subito via.
Se fosse arrivato il giorno... no, impossibile.
Era troppo presto.
"Dovrai metterti questa" le disse il Pelide, mostrandole l'armatura.
Sembrava molto pesante.
"Come diavolo fate a muovervi con questa cosa addosso?" domandò lei "Sembra pesante come la volta celeste che Atlante è costretto a sostenere come punizione divina"
"E'... davvero un bel paragone" concesse lui "ma non è così pesante"
Selena inarcò un sopracciglio scuro.
"Dovresti toglierti la veste però" le consigliò.
La giovane schioccò la lingua.
"Penso proprio che la metterò sopra la veste, soldato"
Achille alzò le mani in segno di resa, con un sorriso innocente in volto.
Selena fece per infilarsi l'armatura, ma si rese conto che serviva qualcuno che l'aiutasse.
"Forse" propose timidamente alzando gli occhi grigi "potresti aiutarmi ad allacciarla sulla schiena"
Il Pelide annuì, con un sorriso malizioso in volto.
Lei alzò gli occhi al cielo, ma si immobilizzò quando sentì il fiato caldo di lui sul suo collo.
Il giovane prese ad armeggiare con i lacci dell'armatura.
"In realtà c'è qualcosa che mi turba" le confessò "Patroclo mi ha chiesto di ritornare a combattere insieme ai Mirmidoni. Dice che gli Achei hanno bisogno di me"
Lo sentì fare un mezzo sbuffo.
"Avrebbero dovuto prensarci prima di allontanarmi da te" disse.
Selena sentì un brivido su per la schiena.
Dovuto non solo a ciò che l'ultima frase di Achille implicava, ma anche al fatto che se Patroclo gli aveva chiesto di tornare a combattere significava che...
"E poi" continuò il Pelide "ha detto che allora avrebbe combattuto lui, fingendosi me, se solo gli avessi dato le mie armi. Io ho rifiutato, naturalmente"
"Credi che Patroclo andrà lo stesso in guerra?" lo interruppe lei, la voce che tremava.
"No" Achille scosse la testa "non mi disubbidirebbe mai"
Oh per tutti gli dei, quanto ti sbagli soldato, pensò rammaricata.
"D'accordo" il giovane si mise di fronte a lei e le porse una spada.
Selena la prese e si rigirò l'elsa tra le mani, accarezzando la lama affilata.
"Mi farai a pezzettini?" chiese, fingendosi impaurita.
Achille scrollò le spalle.
"Chi lo sa" disse, uno strano luccichio negli occhi "forse sarai tu a farmi a pezzettini"
La giovane tentò un affondo, che ovviamente lui parò senza problemi.
"Non ti fai pregare" commentò con un sorrisetto il Pelide cominciando a muoversi.
Selena lo imitò.
I loro sguardi erano incatenati, mentre i due giovani giravano in cerchio, le lame puntate.
Si scrutavano, aspettando di fare la prima mossa o di venire attaccati.
Fu Selena la prima a tentare una stoccata che Achille parò, quindi anche lui fece un affondo.
Lei si scostò di lato e la lama le sfiorò il fianco.
"Sei veloce" osservò il Pelide "ma vediamo se lo sei più di me"
Fece una serie di affondi che Selena cercò di parare.
In seguito, si sarebbe resa conto che Achille ci andò davvero piano con lei.
Paragonato alla sua verà velocità, il Pelide – in quel momento – pareva una lumaca.
Eppure, mentre fendenti volavano da ogni parte, Selena si sentì davvero fiera di sè quando riuscì a colpire il giovane con l'elsa di bronzo della sua spada.
Achille la guardò sorpreso e cadde a terra, facendo alzare una nuvoletta di sabbia bianca.
Si sarebbe sentita più fiera di sè se, dopo aver fatto la sua mossa, non fosse caduta sul corpo a terra del giovane.
Ripensando però a quello che successe dopo, Selena si sarebbe resa conto che cadere era tutto ciò che avrebbe potuto desiderare.
Gli occhi azzurri di Achille erano completamente neri e lei vi riconobbe dentro di essi il desiderio.
"Scusa" gli sussurrò.
E fu quando lo sguardo di Selena cadde sulle labbra perfette del Pelide che lui si sporse in avanti.
E la baciò.
La giovane chiuse gli occhi di scatto, mentre Achille le posava una mano sulla guancia e intensificava il bacio.
Selena si rese conto di star trattenendo il fiato, quando capì che era lo stesso bacio del suo sogno.
Nel sogno, le labbra di Achille erano morbide proprio come nella realtà.
Com'era possibile che lei sapesse già come fosse baciare il semidio ancor aprima di averlo effettivamente baciato per la prima volta?
Si rispose che non le importava.
Lui ribaltò le loro posizioni, ed ora era Achille ad essere sopra di lei.
Quando il bisogno di respirare raggiunse i corpi dei due amanti, si staccarono, anche se a malincuore.
Selena, con il cuore che le batteva a mille nel petto, lo guardò.
"Sei bellissima" bisbigliò lui.
Lei gli rispose con un altro bacio.

***

Patroclo sospirò, mentre vedeva il suo riflesso nello specchio – assai sporco, a dirla tutta – nella tenda.
"Sono abbastanza stretti, mio signore?" chiese Automedonte alzando lo sguardo dai gambali che stava allacciando ai piedi dell'altro.
Il Meneziade annuì distrattamente.
Era sovrappensiero.
Continuò a studiare il suo riflesso: l'armatura greca che apparteneva ad Achille aderiva perfettamente al corpo magro e i riccioli castani erano più scompigliati del solito.
Quando ricaddero sugli occhi, se li scostò con un gesto impaziente.
Sapeva che ciò che stava per fare – fingersi Achille e combattere seguito dai Mirmidoni – era praticamente un suicidio.
Non se la cavava male con la spada, dopotutto il Pelide era stato suo maestro e così il centauro Chirone, ma sapeva di essere fuori allenamento.
E che i Troiani erano più forti di lui.
Ma non poteva stare fermo a non fare nulla.
Era consapevole del fatto che Achille non si fosse ritirato dalla guerra unicamente per tutta la storia della gloria – che continuava  a sostenere come tesi – ma perchè gli avevano strappato Selena.
Più i giorni passavano e l'amico diventava sciupato, più Patroclo capiva che i sentimenti che lui provava per la giovane erano più che sinceri.
Non lo aveva mai visto così.
Ricordò quasi ironicamente quando, tantissimi anni prima, gli aveva detto che per i guerrieri – per persone come Achille - l'amore era precluso.
A quanto pare si sbagliava.
"Siete pronto" annunciò Automedonte, alzandosi.
Nonostante fosse più piccolo di Patroclo di qualche anno, erano alti uguali.
"Grazie, Automedonte" rispose, con un sorriso tirato.
I Troiani si erano accampati sulla spiaggia, assai vicino all'accampamento acheo ed erano una minaccia immediata.
Il piano di Patroclo era facile a dirsi, ma non tanto a farsi.
Lui avrebbe semplicemente dovuto fingersi Achille, su una biga guidata da Automedonte, e con un po' di fortuna – o il volere di qualche sua divinità protettrice – avrebbe spaventato i Troiani che sarebbero scappati, tanto quanto bastava perchè non si accampassero più così vicini alle navi greche.
Se le avessero bruciate...
Senza navi, non c'era via per il ritorno a casa.
Ma nonostante questo, Patroclo aveva un brutto presentimento.
Sperava con tutto il cuore di sbagliarsi.
"Siete sicuro di ciò che state per fare, mio signore?" chiese Automedonte.
Gli occhi verdi erano preoccupati.
"Si" rispose il Meneziade.
L'altro sospirò.
"Temo che il principe Achille si arrabbierà davvero molto con voi" osservò.
Sempre se avrà ancora qualcuno con cui arrabbiarsi, sempre che il Signore dei Morti non abbia già reclamato la mia anima a quel punto, pensò amaramente Patroclo.
"Spero invece che sarà fiero di me" replicò.
Quasi nessuno – tranne Achille – sapeva quanto in realtà Patroclo fosse bravo a capire i sentimenti e le emozioni delle persone che gli stavano davanti.
Nè che fosse un abile maestro, per fortuna o per sfortuna, a raggirarle a suo favore.
Ed ora, studiando il volto del ragazzo che aveva di fronte, capì che era spaventato e che se non lo avesse convinto, non avrebbe mai guidato la sua biga.
"Andrà tutto bene, Automedonte" gli disse "abbiamo gli dei dalla nostra parte"
Su questo non mentiva.
Aveva fatto una serie di sacrifici a tutti gli dei che gli erano venuti in mente, affinchè l'impresa andasse a buon fine.
Ma purtroppo, le Parche avevano già reciso il filo della vita di Patroclo e c'era ben poco che gli dei potessero fare per aiutarlo.
Uscirono dalla tenda e Automedonte salì sulla biga, prendendo le redini tra le mani.
Patroclo, con già l'elmo calato affinchè non si scorgessero i capelli castani, diede della pacche affettuose sui dorsi dei cavalli.
Balios e Xanthos nitrirono, sbattendo gli zocccoli sulla sabbia.
"Vi prego, ragazzi" bisbigliò "andate veloci"
Poi salì anche lui.

***

"Siamo stati fuori troppo tempo, Achille" esclamò Selena, gli occhi grigi preocucpati "per tutti gli dei, il sole sta già tramontando, Agamennone mi ucciderà"
"Deve solo provare a sfiorarti..." minacciò Achille, carezzandole la guancia.
Lei posò una mano su quella di lui, gli sguardi incatenati.
A volte sembrava che potessero rimanere a guardarsi in eterno, senza stancarsi mai, come se ci fosse sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
"E comunque" continuò il Pelide, proseguendo verso l'accampamento "se hai messo il liquido che ti ho dato ieri nel suo calice di vino, Agamennone sarà ancora tra le braccia di Morfeo"
Selena abbozzò un sorriso, che però si spense subito.
Aguzzò la vista.
Achille seguì il suo sguardo e notò che tantissimi uomini andavano a venivano dalla tenda dei figli di Asclepio.
"Oggi c'è stata una battaglia" osservò, piatto.
Selena impallidì.
"Va tutto bene?" le chiese "Sei pallida come un'anima invocata dagli Inferi"
"Quanti..." deglutì "quanti giorni sono passati da quando hai annunciato che nè tu nè i Mirmidoni avreste più combattuto contro i Troiani?"
Il Pelide rispose senza esitare.
"Cinquantadue. Perchè?"
Selena cominciò a correre.
Non poteva essere successo davvero.
Non... non ora.
"Mi spieghi cosa ti è preso?" domadò Achille, subito dietro di lei, quando si fermò.
I Mirmidoni circondavano la tenda del principe di Ftia, gli sguardi bassi e le mani congiunte.
Erano sporchi di terra e alcuni feriti.
Pareva di essere ad un funerale.
Era davvero una macabra ironia della sorte.
"Cosa sta succedendo qui?" chiese lui, alzando la voce.
Tutti si voltarono a guardarlo.
Nei suoi occhi si accese la luce della comprensione.
"Mi avete disobbedito. Siete andati in guerra. Chi vi ha guidato?" continuò, poi si interruppe "Dov'è Patroclo?"
Nessuno osò dire qualcosa.
Ci fu un unico singhiozzo, dietro di lui.
Il mondo di Achille sembrò fermarsi.
"Dov'è Patroclo?" ripetè.

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