V. L'amore è debolezza
Achille osservò impaziente i sovrani che man mano si stavano radunando attorno al palco.
C'era il suo esercito di Mirmidoni che lo guardava e notò che i loro sguardi terrorizzati a causa della pestilenza che ormai da dieci giorni affliggeva l'accampamento acheo erano pieni di speranza.
Della speranza che riponevano in lui.
Si passò una mano tra i capelli biondi, sospirando.
Sperava che i sovrani lo avrebbero ascoltato, dopotutto era ancora l'aristos achaion, il migliore degli Achei.
La notte prima, mentre stringeva a sè Selena ancora febbricitante, era giunto alla conclusione che doveva fare qualcosa.
Come potevano vincere la guerra se i loro eserciti venivano decimati e non dalla spada nemica?
Avrebbe indetto un'assemblea e avrebbe convocato l'indovino Calcante.
L'unico modo per far cessare la pestilenza era placare il dio Apollo, quindi soddisfare la richiesta di Crise.
Il problema principale però era Agamennone.
Non avrebbe mai ceduto.
Però, forse, un modo c'era.
Esisteva una soluzione all'enigma.
Se c'era qualcosa a cui il re di Micene teneva più del suo gèras, quello era il suo onore.
E Achille avrebbe puntato proprio a quello, rendendolo la rovina del maggiore tra gli Atridi.
Non poteva permettere che qualcun altro morisse se lui poteva impedirlo.
In realtà, sapeva bene – anche se era restio ad ammetterlo – che una persona precisa il suo cuore voleva che non morisse.
Quella dannata ragazza l'aveva stregato, come si diceva che gli dei facessero con gli oracoli perchè interpretassero il loro volere.
Selena doveva restare accanto a lui.
Non aveva mai provato una cosa del genere con una ragazza.
Achille si limitava a godere dei piaceri carnali che il genere femminile poteva recare, ma niente di più.
Non aveva mai pensato ai piaceri del cuore.
Ma quella giovane ragazza che portava il nome della luna gli stava rendendo la vita davvero difficile, mettendolo in discussione continuamente.
Eppure, sembrava aver dato un tocco di colore alla sua esistenza.
Aveva sempre pensato che l'amore fosse una debolezza, qualcosa da cui tenersi alla larga se si voleva essere un buon guerriero – il migliore.
Ma cominciava a sospettare di aver creduto a qualche falsa diceria.
Non era forse ciò che provava per Selena a spingerlo a combattere per vincere quella guerra che andava avanti da dieci lunghi anni?
E allora forse, ciò che provava per lei era amore.
E lui non era debole.
Achille vide che Agamennone era uscito dalla sua tenda e si guardava intorno confuso, puntando dapprima gli occhi azzurri sulla sua figura e poi sulla folla che si stava radunando senza il suo permesso.
Il Pelide lo immaginò che collegava i fatti, tirando le sue somme.
"Nobilissimi compagni e signori della Grecia" iniziò dunque, alzando la voce in modo tale che tutti sentissero le sue parole "vi starete tutti chiedendo perchè io sia qui"
"Maledizione Pelide" il maggiore tra gli Atridi lo raggiunse sul palco, gli occhi azzurri che mandavano lampi "cosa diamine stai facendo?"
Achille lo guardò tranquillamente.
"Chiedo il tuo permesso per parlare ai miei illustri compagni di guerra" disse.
Notò Agamennone che stringeva i pugni, cercando di apparire calmo.
Fu in quel momento che il semidio capì.
Il re di Micene si sentiva in colpa, sapeva di essere lui stesso la causa di tutte quelle morti ma non poteva fare nulla che non avrebbe intaccato il suo orgoglio.
"Certamente" borbottò a denti stretti.
Sul volto di Achille comparve una maschera di tristezza.
"Fedeli amici" iniziò, ormai a corto di sinonimi per portarli dalla sua parte "sono ormai dieci giorni che vediamo morire sotto i nostri occhi i nostri più cari amici che vengono mietuti dalle frecce d'argento di Apollo. Ho pensato che avessimo bisogno di qualcuno che ci dicesse come placare l'ira del dio"
Fece un gesto e un uomo terribilmente gracile salì sul palco, zoppicando.
Aveva gli occhi lattiginosi, come se fosse cieco.
"Calcante, sommo indovino, ti prego, soddisfa i nostri dubbi" lo esortò Achille, gli occhi azzurri penetranti.
Calcante annuì.
"I segni mi hanno mostrato, nobile principe di Ftia, che l'unico modo che esite per placare l'ira di Apollo signore del sole è quello di esaudire la richiesta del suo sommo sacerdote" spiegò.
Agamennone arrossì sotto la barba ispida.
"Io non darò mai Criseide" tuonò "Lei è mia!"
"E dici di essere il nostro re?" ribattè Achille "Che dobbiamo sottostare al tuo volere e ai tuoi ordini? Quale signore di un esercito preferisce i suoi vizi privati alla vita dei suoi soldati e amici?"
I due si squadrarono.
Nessuno sembrava intenzionato a distogliere lo sguardo per primo.
"Ebbene" convenne alla fine il re di Micene "l'ira di Apollo sarà placata. Criseide sarà restituita. Ma voglio qualcosa in cambio"
Fissò i suoi occhi azzurri come il ghiaccio in quelli azzurri come il mare del Pelide.
"Crise ti aveva promesso enormi ricchezze e onorerà la parola data, non c'è dubbio" aggiunse Achille, cauto.
Dove voleva andare a parare l'altro?
Agamennone fece un sorriso inquietante.
"Hai sfidato la sorte, mettendomi in imbarazzo davanti a tutti i nostri nobili amci" disse in tono mellifluo "e quindi sarai tu a darmi qualcosa in cambio"
Rimase in silenzio per qualche istante, come a dare enfasi a ciò che aveva detto.
"Mi darai il tuo bottino di guerra"
Achille sguainò la spada che scintillò colpita dai raggi del sole di mezzogiorno.
Tutti trattennero il fiato.
I Mirmidoni fecero per estrarre anche le loro spade dai foderi ma un gesto della mano del loro principe li fermò.
"Io non ti darò mai Selena" sibilò, scandendo le parole affinchè il messaggio arrivasse diretto alle orechie dell'Atride "me la sono guadagnata con il mio sudore"
Evitò di dire il vero motivo per cui non voleva dargliela.
Lui l'amava.
"E quindi cosa vuoi fare, Pelide?" lo sfidò Agamennone, con un sorriso beffardo "Uccidermi davanti a tutti? Mi rimarrebbero fedeli, anche dopo la mia morte. Non prenderai mai il mio posto"
Achille puntò la lama della sua spada contro la gola del re dei re.
"Vogliamo vedere?" sussurrò.
"Basta!" gridò una voce "Tutti e due!"
I due uomini si voltarono verso il punto da cui essa proveniva.
E videro Selena, che avanzava fiera come solo la dea Aremide sarebbe potutta essere, aggrappata al braccio di Patroclo che sembrava voler essere dovunque ma non lì.
Incrociò per un istante gli occhi azzurri di Achille e incatenò i loro sguardi.
"Non sono riuscito a fermarla" sembravano voler dire quelli castani del Meneziade "mi dispiace, ci ho provato"
"Andrò con lui" dichiarò la giovane "andrò con il re di Micene"
"No!" gridò Achille, guardandola disperato.
"E' l'unico modo" il tono di Selena si addolcì.
Nonostante tutto, iI Pelide aveva dato prova di grande umanità prendendosi cura di lei in quei giorni e in qualche modo doveva sdebitarsi.
Anche se non ricordava molto, a dirla tutta.
Era più come se i nove giorni precedenti fossero stati una serie di sogni da cui a volte si svegliava.
Sperava di non aver detto nulla di compromettente.
Agamennone, intanto, continuava a sorridere beffardo.
"Ho vinto, Pelide" commentò.
Achille gli riservò un'occhiata carica di odio e, con un'incredibile forza d'animo, rimise la spada nel fodero.
"D'accordo" acconsentì "ti cedo il mio gèras. Ma ti verà consegnata domani, mentre tu oggi restituirai Criseide a suo padre e l'ira di Apollo sarà placata"
"Posso aspettare quanto vuoi, ragazzo" gongolò.
Il semidio sapeva che Agamennone era al settimo cielo, già dimentico dell'umiliazione subita.
Perchè ora la stava riversando su di lui, togliendogli la prova della sua abilità in guerra.
Ma avrebbe pagato, oh se avrebbe pagato.
Si sarebbe pentito di aver sfidato Achille, figlio di Peleo.
E di avergli sottratto la ragazza che amava.
***
Selena stava di nuovo bene.
L'indovino Calcante aveva avuto ragione: con la restituzione di Criseide a suo padre, l'ira di Apollo si era placata.
E la giovane ora era guarita.
Doveva ancora recuperare tutte le forze, ma questo era un dettaglio.
Nell'accampamento, tutti la consideravano una specie di miracolo.
Dopotutto, come non farlo?
Era l'unica di coloro che si erano ammalati ad essere soravvissuta.
Razionalmente, Selena si rispondeva che erano stati i vaccini fatti nella sua epoca a salvarle la vita, non riuscendo ad impedire che lei si ammalasse ma che morisse si.
Irrazionalmente...
C'era un pensiero, che custodiva nel suo cuore, così in fondo da non sapere nemmeno lei della sua esistenza, che le diceva che forse non era morta per volere di un dio.
O una divinità minore.
Forse Achille aveva chiesto a sua madre Teti di proteggerla.
Perchè diavolo avrebbe dovuto pensare una cosa del genere?
Eppure, Achille aveva mostrato così tanta umanità nel prendersi cura di lei, quasi provasse una sorta di affetto.
Scosse la testa.
Non era possibile.
Era Ettore, primogenito di Priamo, l'eroe dell'Iliade che possedeva umanità.
Achille era l'eroe spietato, l'aristos achaion.
Non riusciva a capire perchè sua madre amasse tanto il Pelide.
O forse, lei era riuscita a scorgere ciò che nessuno riusciva a vedere in lui attraverso le parole così antiche del poeta cieco.
Forse non proprio nessuno.
Selena temeva di star scorgendo lei stessa ciò che sua madre aveva scorto.
Sua madre.
Al pensiero di Elizabeth Holmes le si spezzò il respiro.
Riusciva ad immaginarla: gli occhi rossi, mentre si immergeva nel lavoro all'università per non pensare a lei.
Cosa pensava?
Che fosse scappata di casa?
Pensò che probabilmente si stava dando la colpa, pensando di aver fatto qualcosa di male.
La verità però, era che Selena temeva che il suo cuore non avrebbe retto.
Erano poche le persone a conoscere quella storia, poichè non avevano parenti in vita.
A dirla tutta, forse solo Selena, Elizabeth e il signor Wright ne erano a conoscenza.
Dopo la morte di suo marito, Elizabeth non ce l'aveva fatta.
Il suo cuore si era spezzato, letteralmente.
Era caduta in depressione e aveva scoperto di avere dei problemi cardiaci.
Erano stati gli anni più difficili della vita di Selena.
Ed ora, temeva che con la sua scomparsa, sua madre non sarebbe riuscita a riprendersi com'era successo la prima volta.
Una tristezza infinita l'avvolse e Selena scattò in piedi.
Cominciò a correre fino a che non arrivò sulla spiaggia.
Sentì la sabbia entrarle tra le dita dei piedi, solleticandoglieli.
Ma aveva ancora una speranza.
Forse, essendo entrata in un libro, il tempo nel mondo reale non era passato come lì.
Lei ormai si trovava a vivere le vicende dell'Iliade da due settimane, ma c'era la possibilità che a casa sua non fossero passati che pochi minuti.
Lo sperava con tutto il cuore.
Ma quante possibilità c'erano realmente?
Una su un milione?
Dio, era tutta colpa del signor Wright.
Si accasciò sulla sabbia, mentre il sole morente scendeva sempre di più, una palla di fuoco oltre l'orizzonte.
Se solo lui non le avesse regalato quel maledetto orologio.
Ora sarebbe a casa sua, probabilmente seduta sul divano del salotto accoccolata accanto a sua madre a guardare uno di quei film romantici che trasmettevano sui canali principali.
"Selena?" chiese una voce "Selena, sei tu?"
La giovane si voltò.
Non si era nemmeno accorta di star piangendo, se non quando si ritrovò tra le braccia di Patroclo mentre egli le asciugava le lacrime.
"Va tutto bene?" le sussurrò.
Selena scosse la testa.
"No" mormorò, mentre tirava su con il naso.
Odiava piangere.
Si era ripromessa di non farlo mai più, dal funerale di suo padre.
"Hai voglia di parlarne?" le chiese.
Gli occhi castani del giovane erano sinceri.
Selena poggiò la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e rimanendo in silenzio.
"Magari raccontarmi perchè stai così ti aiuterà a stare meglio" le suggerì.
La giovane si alllontanò da Patroclo e lo guardò.
Perchè non dirgli la verità?
Ormai non ce la faceva più a mantenere il segreto.
"Ciò che ti dirò, probabilmente ti sconvolgerà, e penserai che io sia pazza" premise "ma, ti prego, credimi, Patroclo. Sto dicendo la verità"
Un'ombra calò sul suo viso incorniciato dai riccioli castani.
"Mi stai spaventando" le disse.
Selena fece un respiro profondo.
"Io non appartengo a questo mondo" disse, tutto d'un fiato.
Patroclo inarcò un sopracciglio, con un mezzo sorriso sulle labbra.
"D'accordo non mi sono spiegata a dovere" provò di nuovo lei "io vengo da Londra, la capitale dell'Inghilterra"
"Inghilterra?"
"E' una nazione. Ma non è questa la cosa importante, la cosa importante è che io vengo dal mondo reale"
"Mondo reale? E quindi noi dove saremmo ora?"
"In un poema epico, tramandato prima oralmente e poi scritto"
Patroclo aprì la bocca e poi la richiuse.
"Pensa alle storie di eroi che gli aedi decantano" Selena prese a gesticolare "e ora immagina che qualcuno le scriva in un libro. Un libro che parla di questa guerra – la guerra di Troia – e degli eroi che la combatterono: questa è l'Iliade ed è il poema in cui siamo"
"Quindi... mi stai dicendo che io sarei un personaggio epico?"
Selena annuì.
"Per tutti gli dei" commentò Patroclo.
La squadrò con gli occhi castani.
"Perciò tu sai come andrà a finire la guerra?"
La giovane abbassò lo sguardo.
"Non posso dire nulla" si affrettò a spiegare "altrimenti temo di combinare un gran casino"
"Come farai a tornare nel tuo mondo?"
Era incredibile, Patroclo, pensò lei.
Nonostante fosse appena stato messo al corrente del fatto di essere un personaggio che non esiste nella realtà, aveva messo la vita di Selena davanti alla sua, preoccupandosi per lei.
Ebbe voglia di abbracciarlo, come per impedire che così potesse non morire di lì a pochi giorni.
"Penso di dover aspettare la fine del poema" disse.
"Ti mancano molto le persone che amavi nel tuo mondo?"
Selena annuì, mentre una lacrima le solcava nuovamente il volto pallido.
"Sono sicuro che le rivedrai" Patroclo le sorrise, posandole una mano sul braccio "andrà tutto bene"
La giovane alzò lo sguardo.
"Scusami, ti sarò sembrata una debole" disse poi cercando di sorridere e asciugandosi gli ultimi rimasugli di lacrime sulle guance diafane "odio piangere"
Patroclo scosse la testa, lo sguardo serio negli occhi castani.
"Piangere non è una cosa che ti rende debole" disse "anzi, da quando sei nata, è un segno inequivocabile che sei viva"
Selena lo osservò per qualche istante, e poi lo abbracciò.
"Grazie" gli bisbigliò all'orecchio "davvero"
Patroclo si limitò a stringerla a sè.
"Posso chiederti una cosa?" gli domandò.
"Tutto quelo che vuoi" rispose lui.
"Potresti evitare di dire ciò che ti ho rivelato? E' per il bene di tutti"
Patroclo la strinse ancora di più.
"Non lo dirò ad anima viva"
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