III. Figlia della luna
I tenui raggi del sole ormai alto all'orizzonte tentarono di penetrare oltre il doppo velo della tenda.
Quando ci riuscirono, colpirono il viso di Selena rendendole dorata la pelle diafana.
La giovane mugugnò qualcosa nel sonno e si girò dall'altra parte, sperando così di riuscire a riaddormentarsi.
Avrebbe voluto dormire ancora: sentiva nelle ossa la stanchezza e i lividi che si era procurata durante l'assalto al tempio le dolevano.
Quando poi i raggi del sole arrivarono anche dall'altra parte, si tirò sopra la testa la coperta che le avvolgeva il corpo snello.
Rimase lì ancora per qualche minuto, aspettando che le braccia di Morfeo la portassero di nuovo con sè.
Ma non accadde.
Sospirò, uscendo piano dall'involucro di coperte.
Si mise seduta e vide che c'era qualcuno accanto a lei.
Selena riconobbe i riccioli castani di Patroclo e sorrise.
Accanto al suo giaciglio ce n'era un altro, probabilmente di Achille.
Il Meneziade – si rese conto con infinita dolcezza – doveva averle ceduto il suo, dormendo così sulla sabbia che costituiva il pavimento della tenda.
Si appuntò mentalmente di ringraziarlo, una volta che si fosse svegliato.
Come richiamato da quel pensiero, Patroclo si mosse sotto l'unica coperta che lo proteggeva dal freddo serale del territorio troiano.
"Buongiorno" disse, la voce ancora impastata dal sonno, mentre apriva gli occhi castani.
"Buongiorno" ripetè Selena.
Il giovane si mise a sedere e poi si alzò in piedi, stiracchiandosi.
"Dormito bene?" le domandò, sorridendole.
Aveva un sorriso davvero bello.
Uno di quelli che faceva in modo che anche tu sorridessi spontaneamente.
"Direi di si, signore, grazie" rispose lei.
In realtà, non aveva ide di come avrebbe dovuto chiamarlo.
Era il compagno più fidato di Achille, che era il suo padrone.
"Ti prego, chiamami Patroclo" le disse "io non ho niente più di te. Samo uguali"
Selena fece un piccolo sorriso, stupita.
Era ammirevole il pensiero del giovane.
In quei tempi, erano davvero rari – se non inesistenti – gli uomini che non si ritenevano superiori ad una donna, per di più schiava di guerra.
"Allora, Patroclo" cominciò "cosa si fa qui per passare il tempo?"
Patroclo rise.
"Ebbene, non molto in verità" le spiegò "si aspetta. Durante il giorno, Achille va a combattere e io aspetto il suo ritorno. Di solito do una mano a Podalirio, che si occupa dei feriti"
"E' una cosa molto nobile"
Patroclo arrossì e distolse lo sguardo.
"Di solito Achille quando torna?" domandò poi Selena.
Il ragazzo ritornò a guardarla negli occhi, felice che lui stesso non fosse più il loro argomento di conversazione.
"Lo dici con un tono... non ti va molto a genio, non è vero?" le disse divertito "Comunque dipende da quanto dura la battglia"
Selena sospirò.
"Non è che non mi vada a genio" spiegò "è che non mi piace il suo atteggiamento, tutto qui"
Patroclo la guardò sorridendo, con gli occhi castani che la studiavano come se sapessero più di quanto volesse dire.
"Achille non è così male, sai" disse, soppesando le parole "una volta che lo conosci... è la persona più buona di questo mondo. Fidati di me, lo conosco da moltissimo tempo. Farebbe di tutto per le persone che ama"
"Non sembrerebbe" commentò a bassa voce lei.
"Devi solo aspettare che si apra con te e poi lo capirai anche tu"
"Non credo capiterà mai"
"Io invece penso che succederà prima di quanto pensi. Non so dirti con esattezza perchè, eppure mi sembrate molto simili"
Selena sapeva che doveva essere preso come un complimento – dopotutto, Patroclo considerava Achille la persona migliore di questo mondo – eppure non riusciva a prenderlo diversamente se non un qualcosa di estremamente negativo.
Lei non si sarebbe comportata come sapeva avrebbe fatto il Pelide con il corpo di Ettore.
In quel momento dell'Iliade, Selena aveva sempre ritenuto che Achille si fosse mostrato come l'uomo che era: senza il minimo di onore.
Patroclo la studiò, soffermandosi sulle sue labbra.
"Sei ferita" disse.
"Non è nulla" rispose chinando gli occhi.
Il giovane le mise due dita sotto il mento e glielo alzò.
"Permettimi di spalmarti un ungento che ti farà stare meglio" mormorò.
"Non ce n'è bisogno, davvero"
"Insisto"
Selena acconsentì.
Patroclo le sorrise e poi si alzò, recandosi nella parte della tenda dove c'era un tavolino.
Prese una ciotola e un mortaio, cominciando a schiacciare delle foglie e qualche altra cosa che lei non riuscì a vedere.
Ritornò e le si sedette di fronte.
Con il dito della mano destra prese a spalmarle con attenzione l'unguento sulla zona spaccata del labbro.
Selena represse un brivido, mentre il labbro cominciva a bruciare leggermente.
"Brucia" disse a denti stretti.
"Non pensarci, concentrati su qualcos'altro" disse Patroclo "concentrati sulla mia voce"
"Raccontami qualcosa"
"Non lo dico per vantarmi, ma perchè sono solo contento" disse "ho chiesto io ad Achille di sceglierti come schiava. Non pensare male di me, ti prego. E' che sapevo che con Agamennone non avresti avuto vita facile. Hai avuto molto coraggio a parlargli in quel modo e a sputargli in faccia, ed è stato divertente a dirla tutta. Però non ti conviene sfidarlo, lui è il grande re e altre sciocchezze del genere"
"Non ti sta molto simpatico"
Lui si allontanò per posare la ciotola di nuovo sul tavolino e Selena si toccò il labbro, che ormai aveva smesso di bruciare.
"Non sta simpatico a nessuno, in realtà" osservò mentre andava a lavarsi le mani "è assai scorbutico"
Selena rise.
"Comunque grazie per la ferita" disse.
Patroclo alzò le spalle con fare modesto.
"Non c'è di che"
***
Selena si guardò intorno, indecisa su dove andare.
Era stata tutta la mattinata con Patroclo nella loro tenda, raccontandosi storie e parlando della guerra.
Dopo un po', però, la voglia di sentrisi utile aveva preso il sopravvento e quindi la giovane si era proposta di andare a riempire uan brocca d'acqua per il pranzo.
Il giovane le aveva detto che sarebbe stato facilissimo trovare il fiume, perchè la sua foce era direttamente nel mare e proprio nella parte di spiaggia dove gli Achei avevano posto il loro accampamento nove anni prima.
L'unico problema, però, era che il Meneziade non aveva messo in conto il pessimo senso dell'orientamento di Selena.
La giovane scarseggiava ad orientarsi perfino a Londra, la sua città, nella quale viveva da diciassette anni.
Sospirò, decidendo di andare a sinistra e sperando che quella fosse la strada giusta.
La brocca che si portava dietro non era molto grossa, però Selena dubitava che sarebbe stata un'impresa facile riportarla alla tenda una volta che essa sarebbe stata piena d'acqua e quindi assai pesante.
Non importava, si sarebbe rimboccata le mani e avrebbe fatto del suo meglio.
Dopotutto, la vita in quel millenio era così e prima si sarebbe abituata... tanto meglio.
Non sapeva quanto tempo effettivo sarebbe dovuta rimanere lì.
Quando sarebbe arrivato il sacerdote Crise a richiedere sua figlia ad Agamennone?
La giovane impallidì e la presa sulla brocca venne meno, tanto che rischiò di farla cadere ma per fortuna ciò non accadde.
Le parve che il cuore le si fosse fermato nel petto.
Anche se Crise fosse venuto all'accampamento e avesse chiesto Criseide ad Agammenone e le vicende si fossero susseguite come da copione, ci sarebbe stata una falla.
E lei stessa era quella falla.
L'Atride avrebbe voluto il gèras di Achille, cioè Briseide, in cambio della restituzione dell'altra sacerdotessa.
Ma Briseide non era il dono di guerra di Achille.
Cosa sarebe successo?
E se l'Iliade non avesse seguito il suo corso, prendendo una strada diversa – ammesso che fosse possibile modoficare un poema epico vecchio di millenni, ma considerando che non sarebbe dovuto essere possibile che nemmeno una semplice studentessa entrasse dentro il cosiddetto poema – anche la guerra stessa avrebbe avuto un risvolto diverso?
Quando sarebbe effettivamente finito il poema omerico?
Selena scacciò dalla mente quei pensieri.
Per ora non importava, ci avrebbe pensato e riflettuto a tempo debito.
Continuò a camminare, desiderando ritornare il più in fretta possibile verso la tenda per poter parlare con Patroclo.
Era strano, ma trovava davvero facile parlare con lui.
Da quando suo padre era morto, Selena si era come chiusa in se stessa.
Non riusciva più a fidarsi delle persone con la stessa facilità con cui lo faceva prima.
Eppure, il Meneziade le sembrava la persona più degna di fiducia di questo mondo.
Con un sospiro di sollievo, scorse la foce del fiume – che pensò essere proprio il fiume Xanto, luogo dove Achille avrebbe peccato di hybris – e aumentò il passo.
Una volta giunta nei pressi di esso, si tirò su la tunica per evitare di bagnarla e si chinò, immergendo la brocca nell'acqua fresca.
Ne approfittò per immergervi le mani e sentire il piacevole scorrere dell'acqua tra le dita, portandola poi a contatto con il viso pallido.
Rinfrescarsi – anche per sopportare il torrido caldo troiano – l'avrebbe aiutata forse a schiarirsi le idee.
Sentì gli zoccoli di un cavallo avvicinarsi.
Alzò lo sguardo davanti a sè, gli occhi grigi che si concentravano.
Spostò leggermente la tunica e appoggiò la mano destra – la sua dominante – sul gambale del sandalo.
Sentì la lama del pugnale fredda e scivolosa a contatto con la mano bagnata.
Il cavallo nitrì.
Selena si girò di scatto, tendendo davanti a sè il pugnale come arma.
Non che avesse avuto un particolare addestramento, ma in cuor suo sperava che, nel caso avesse dovuto difendersi, gli innumerevoli film d'azione che lei e sua madre avevano visto le avrebbero fatto da maestro.
"Rilassati, ragazza, sono solo io" la voce beffarda di Achille le arrivò dall'alto del suo cavallo bianco.
La giovane sentì il cuore riprendere a batterle regolarmente nel petto e fulminò poi il Pelide con gli cochi grigi.
"Mi avete spaventata" disse, rimettendosi il pugnale nel gambale del sandalo "e comunque il mio nome non è 'ragazza', ma Selena"
Achille la squadrò, con un sorrisetto che gli aleggiava in volto.
Pensò che non sarebbe potuto esistere un nome più adatto per lei.
Da quando l'aveva vista per al prima volta, l'aveva paragonata alla dea Artemide, dea della caccia e della luna.
Rendendosi conto che era come se finalmente – con l'arrivo di Selena – fosse riuscito a dare un volto a quella dea che tanto rispettava.
Non poteva negare inoltre che la giovane che gli stava di fronte fosse immancabilmente bellissima, come solo una dea potrebbe essere.
I capelli neri parevano seta scura e Achille sentiva uno strano desiderio di toccarli per sapere se fossero effettivamente morbidi come immaginava.
Eppure erano gli occhi lo spettacolo migliore.
Di un grigio che pareva pietra levigata, se non la stessa superfice del satellite da cui prendeva il nome, la Luna.
Si impose di darsi una regolata.
Era un soldato, non avrebbe dovuto pensare a quelle cose.
Lui non era fatto per quello, lui era fatto per la guerra.
"Dove hai preso il pugnale?" le domandò, sapendo già la risposta.
Selena arrossì, non chinando però lo sguardo.
"Dalla tenda" ammise a malincuore.
Achille fece schioccare la lingua.
"Quindi sei anche una ladra" decretò.
Lei si infervorò subito.
"Anche?" replicò "Cosa dovrei essere oltre ad una ladra, cosa assolutamente non vera, di grazia?"
"Molto bella innanzitutto"
Selena gli scoccò un'occhiata di fuoco.
"I complimenti non funzionano con me, soldato" ribattè.
Achille alzò una mano in aria.
"Vi porgo le mie scuse, fanciulla" disse, sorridendo sornione.
Ditemi che non ci sta provando con me, vi prego, tutto ma non questo, pensò lei.
La giovane scosse la testa, voltandosi.
Si chinò nuovamente verso la brocca per riempirla d'acqua.
"Vuoi una mano?" le domandò Achille.
"No, soldato, torna alle tue battaglie"
Il ragazzo, con una velocità impressionante, era smontato da cavallo e ora era affianco a lei.
"E' la seconda volta che mi chiami soldato" sussurrò al suo orecchio.
Selena sentì dei brividi salirle su per la spina dorsale.
"E' quello che sei" rispose lei, in un sussurro.
Lui le scostò una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio, osservandole il viso.
Aveva la pelle incredibilmente bianca, con il naso leggermente all'in su.
"Hai smesso di darmi del voi" le disse.
Selena deglutì.
Quella vicinanza... non sapeva come interpretarla.
E la cosa peggiore – almeno, dal suo punto di vista – era che non le dava fastidio.
Si sentiva stranamente bene.
"Scusatemi" mormorò lei "è stata una svista"
Achille rise.
"No, non darmi più del voi"
Selena si voltò a guardarlo finalmente negli occhi, ma lui era già scattato in piedi.
Alzò lo sguardo e vide che stava già rimotando sul cavallo bianco.
"Ci vediamo dopo, ragazza" disse "e mi raccomando, riempi la brocca fino all'orlo"
Senza lasciarle il tempo di dire alcunchè, Achille, con un colpo deciso alle redini e alle staffe, era già ripartito al galoppo allontanandosi dalla giovane.
Gli ci vollero solo alcuni minuti per ritornare alla sua tenda.
Smontò da Balios e gli diede affettuose pacche sul collo bianco.
Il cavallo – insieme a Xanthos – era il regalo di sua madre Teti.
Erano infatti cavalli immortali, che correvano più velce di qualsiasi altro loro simile.
Achille incontrò Patroclo proprio mentre anche l'altro tornava verso la loro tenda.
"Eri con Podalirio?" gli domandò il Pelide.
Il Meneziade annuì.
"Non siete andati in battaglia, vero?"
Il semidio scosse la testa.
"No, eravamo nell'agorà per discutere di come fare il prossimo attacco"
"Lo immaginavo, nessun soldato ferito è venuto nella tenda del figlio di Asclepio"
I due ragazzi entarono nella tenda, mentre le loro spalle si sfioravano.
"Ho incontarto Selena al fiume" disse poi Achille, sedendosi per terra.
Patroclo gli si sedette di fronte.
"Sai il suo nome?" il giovane Meneziade fece un sorrisetto "Sorprendente"
"Ma smettila" il Pelide rise "ovvio che so il suo nome"
"Certamente, perchè tu domandi sempre il nome di una bella fanciulla come prima cosa, non vai subito al sodo – e sai cosa intendo" commmentò l'altro.
Achille lo guardò, sorpreso.
Raramente Patroclo esprimeva un suo commento su cose del genere.
"Pensi sia bella?" gli chiese.
"Si, e lo pensi anche tu"
"In realtà non ci avevo fatto caso"
"Si invece, e io ho fatto caso al fatto che tu ci abbia fatto caso"
Si guardarono per un istante negli occhi.
Azzurro contro marrone.
Poi scoppiarono a ridere.
Non lo dicevano mai, però entrambi a volte desideravano poter tornare indietro.
Quando non erano che ragazzini che si allenavano con il centauro Chirone senza preoccuparsi di nulla se non pescare più pesci dell'altro nel fiume.
Era incredibilmente vero, quello che tutti i genitori ripetevano sempre.
Quando si è bambini, non si vuole nient'altro se non diventare adulti.
Ma quando si è tali, la cosa che manca di più è la spensieratezza dell'infanzia.
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