II. Bottino di guerra
Lo strato di coperte che fungeva da porta nella tenda più vicina al mare dell'accampamento si aprì, rivelando una figura.
Patroclo, figlio di Menezio, alzò lo sguardo.
Si scostò le ciocche di riccioli castani che gli erano ricadute sugli occhi e osservò il compagno.
"Com'è andata?" domandò.
Si alzò, avvicinandosi all'altro.
Achille, figlio di Peleo e della ninfa Teti, sbuffò dalle narici.
"Al solito" disse, mentre cominciava a togliersi l'armatura sporca di sangue.
Patroclo si chinò, aiutandolo a togliere i gambali e prese a pulirgli i piedi sporchi di sabbia che si era incrostata su di essi a causa del sudore che li aveva resi umidi.
"Avete ucciso molti Troiani?" il tono del Meneziade era neutro.
Il Pelide si avvicinò ad una bacinella dove prese a sciacquarsi il volto madido di sudore.
"A dirti la verità" rispose "solo i sacerdoti nel tempio"
Patroclo scattò in piedi, guardandolo con gli occhi castani pieni di stupore.
"Achille!" esclamò "Depredare un tempio? Erano questi gli ordini di Agamennone, signore di re?"
Achille fece una risata amara.
"Pensa un po', ordini di Agammennone e lui non era nemmeno lì con noi" sbottò "immagino fosse con una schiava da letto, come ogni notte"
Il semidio si accasciò sul giaciglio di coperte che fungeva da letto e prese ad affilare la lama della sua spada.
"Stai bene?" gli chiese Patroclo.
Era sempre stato così.
Il Pelide era quello avventato, tra i due, quello imprudente che non pensava mai prima di agire; mentre il Meneziade era quello prudente, che pensava sempre meticolosamente su come agire e che valutava ogni possibile conseguenza.
Erano come il giorno – Achille era bellissimo con i suoi capelli biondi che parevano un nuovo sole all'orizzonte - e la notte – Patroclo con i suoi capelli scuri e una bellezza più tenue, quasi timida.
Tra i due, solo il giovane semidio andava a combattere.
Non perchè l'altro avesse paura o non ne fosse capace, tutt'altro.
Semplicemente, era la condizione di Achille.
Erano nove anni che, ogni qualvolta che Patroclo gli chiedeva di andare in battaglia potendo essere d'aiuto, egli gli rispondeva con un no categorico.
"Se non so che sei al sicuro, non riuscirò a combattere" gli rispondeva ogni volta.
Patroclo aveva smesso di chiedergli il permesso.
Non erano fratelli e nemmeno amanti.
Erano due compagni che si erano scelti a vicenda, tanti anni prima.
Quando Achille era stato colpito dall'atteggiamento solitario di quel ragazzino che era stato esialiato sull'isola di Ftia dal suo stesso padre.
Quando invece Patroclo era stato colpito da quel principe bellssimo che era sempre socievole con tutti e che lo guardava in modo strano, come se riuscisse con un solo sguardo a capire cosa stesse pensando.
E le cose non erano cambiate.
Gli occhi azzurri del Pelide scrutavano il volto del Meneziade e con un solo sguardo riuscivano a capire cosa lo turbasse.
E poi Achille lo aveva scelto come suo compagno d'armi e allora si erano recati insieme sul monte Pelio, con il centauro Chirone.
"Io sto bene, tu no" disse il biondo "qualcosa non va?"
Patroclo scosse la testa, perso nei suoi pensieri.
"Ci sono altre schiave di guerra oggi?" domandò
L'altro lo guardò con gli occhi azzurri maliziosi.
"Sai che non lo chiedo per quello" replicò il ragazzo dai capelli castani, non riuscendo lo stesso a reprimere un piccolo sorriso.
Achille rise.
"Si, due sacerdotesse e un'ancella che molto probabilmente erano lì per fare dei sacrifici ad Apollo" spiegò "però temo che nessuno potrà più fare sacrifici al dio, visto che non ha più la testa"
"Non dovresti sfidare gli dei, Achille" lo rimproverò Patroclo, il tono di voce severo "non sei un dio"
Il sorriso del compagno fu uno sprazzo di luce nel buio della tenda.
"Però potrei sempre diventarlo"
La tenda si aprì di nuovo, rivelando un giovane ragazzo.
"Automedonte" lo salutò il biondo, riconoscendo la sua auriga.
"Mio signore" il ragazzo fece un piccolo inchino "gli altri re stanno per distribuirsi i bottini di guerra e chiedono di voi"
Il semidio si alzò.
"Bene" disse, sorridendo "non li farò attendere oltre"
***
Quando Selena aprì gli occhi, le sue narici vennero pervase da un forte odore di sangue.
Fu così forte da farle venire dei conati di vomito che riuscì a stento a reprimere.
Si guardò intorno, ancora scombussolata.
Lentamente, come l'acqua di un ruscello che scorre fino alla sua foce, i ricordi di ciò che era successo poco prima l'assalirono.
Ricordò delle mani che le stringevano la vita così forte da farle perdere il fiato e poi qualcuno che la colpiva in testa con qualcosa di duro, probabilmente l'elsa di una spada.
Ricordò un lampo biondo.
"Dove siamo?" chiese Criseide.
Era stata la prima ad essere stata rapita e aveva un livido violaceo sotto l'occhio destro.
La sua veste color pergamena – la stessa che indossava Briseide – era strappata nella parte davanti, sul petto.
Lei se la teneva stretta con una presa febbrile, cercando di coprirsi il più possibile.
Selena distolse lo sguardo, pensando a cosa i Greci avessero voluto farle.
"Nell'accampamento acheo" rispose Briseide.
Aveva i capelli scuri arruffati nella parte della testa dove uno dei soldati achei doveva averla presa per fare in modo che lo seguisse.
Selena si strinse nella sua tunica bianca, sporca di terra.
Sapeva cosa stava per accadere.
Uno delle aurighe del re Agamennone sarebbe venuto a prenderle, una per una, e le avrebbe portate su un piccolo palco, dove i soldati achei se le sarebbero divise.
Come richiamato dai suoi pensieri, un giovane ragazzo entrò nella capanna dove si trovavano.
Le osservò una per una.
"Tu" decretò alla fine, puntando i suoi occhi neri come quelli degi squali su Selena "la più bella"
Senza troppi complimenti, si avvicinò a lei e la fece alzare, tenendola per il braccio.
"Lasciami stare!" sbraitò lei.
Per tutta risposta, il ragazzo la colpì in volto.
Selena sentì il sapore metallico del sangue che le cominciava a uscire dal labbro spaccato.
Si costrinse ad alzare il mento e a fissarlo con gli occhi grigi pieni di astio.
"Muoviti" le ordinò.
Lei si lasciò trascinare opponendo solo una leggere resistenza, sapendo che non aveva senso continuare a lottare.
Eppure c'era qualcosa dentro di lei, qualcosa che non risciuva distintamente a capire, che le diceva di aiutare Briseide e Criseide, magari impedendo che fossero date come gèras ad Achille e Agamennone.
Ma se ci fosse riuscita – cosa che riteneva abbastanza improbabile – cosa sarebbe sucesso?
Avrebbe cambiato certamente il corso degli eventi dell'Iliade.
Forse sapeva come fare a tornare a casa.
Forse, doveva semplicemente lasciarsi trascinare negli eventi del poema omerico e aspettare che esso giungesse alla fine.
Forse, così, sarebbe tornata a casa.
Pensò a sua madre Elizabeth, a quanto doveva essere in pensiero.
Il ragazzo la scortò attraverso l'accampamento, tiradola per il prolungamento della corda che le legava entrambi i polsi.
Si sentiva una condannata al patibolo.
Si costrinse a camminare con la schiena dritta e il mento alto, come se non fosse intimorita dall'essere in un posto sconosciuto.
Sentì la folla prima ancora di vederla, tanto era alto il vociare di tutti i re della Grecia.
"Fermati, ragazza" le ordinò il giovane.
Selena obbedì.
Lui le passò una mano sul volto, umidificandosi le labbra.
Puzzava di vino, constatò la giovane.
"Sei proprio bella..." commentò, continuando ad accarezzarle impunemente il viso.
Lei tentò di ritrarsi il più possibile.
"Potremmo divertirci, insime, io e te" sospirò, lasciando poi ricadere la mano "peccato che io non sia un re"
Non lasciò nemmeno il tempo a Selena di dire qualsiasi cosa, perchè, veloce come il vento, le mise un sacco in testa.
Selena cercò di ribellarsi, ma le mani del ragazzo erano premute sulla sua testa per impedirle di toglierlo.
Si rassegnò, mentre veniva spintonata verso la folla di soldati.
Salì qualche gradino e poi il ragazzo la lasciò sola.
No, non andare, ti prego, pensò.
Nonostante tutto, egli era una presenza che le indicava il fatto che non fosse sola.
Ora, invece, lo era per davvero.
Quando le venne tolto il sacco dal capo, sentì prima ancora di vederli centinaia di occhi puntati sulla sua figura snella.
"Allora, signori miei" disse una voce ridondante, che apparteneva ad un uomo robusto sulla cinquantina "chi la vuole?"
Egli l'affiancò e la esaminò, gli occhi chiari meditabondi.
"E' molto bella, come vedete" continuò, in tono ammaliatore.
Selena represse il senso di nausea che l'attanagliava.
Le sembrava di essere un oggetto in vendita ad un'asta di ricchi offerenti.
Deglutì, mentre faceva scorrere gli occhi sulla folla di re che l'accerchiavano.
"Agammenone, re dei re" esclamò uno dei sovrani, molto grosso e parecchio più alto di tutti gli altri "forse dovresti farcela vedere bene... se capisci cosa intendo"
Questo è Aiace Telamonio, registrò Selena, il più imponente degli Achei.
L'uomo che le stava accanto – Agamennone, re di Micene – fece un sorriso inquietante.
Poi, con uno scatto fulmineo della mano, alzò la veste bianca sporca di terra della ragazza, che lanciò un urlo.
Selena fece un balzo indietro e guardò con gli occhi pieni di ira Agamennone.
"Osi anche ritrarti, sgualdrina?" la sbeffeggiò "Non vuoi che ammiriamo le tue forme?"
"Oso fare questo" rispose di rimando lei, sputandogli in volto mentre lui tentava di rialzarle la veste.
Agamennone le diede uno schiaffo.
La giovane si portò automaticamente una mano a tastarsi la parte lesa, che doveva essere diventata molto probabilmente rossa.
"Ho cambiato idea, miei signori" disse il re di Micene, pulendosi la parte del volto che lei aveva centrato "questa la prendo io"
"In realtà" si levò una voce melliflua "la volevo per me"
Tutti si voltarono verso colui che aveva avuto l'ardire di controbattere a qualcosa detto dal re dei re.
La folla si aprì e il ragazzo che aveva parlato si fece avanti.
Selena non riuscì ad evitare a se stessa di trattenere il fiato.
Era un giovane incredibilmente bello, con lunghi capelli biondi che parevano seta dorata e occhi azzurri così intensi da sembrava il colore del mare quando il sole è alto all'orizzonte.
"Troppo tardi Pelide" ringhiò Agamennone "ormai l'ho scelta"
"Ma lei spetta a me" replicò Achille tranquillamente "sono io il migliore in questa guerra. E' solo grazie a me se oggi abbiamo conquistato una parte di Troia. Tu dov'eri invece?"
L'Atride ebbe la decenza di arrossire leggermente sotto la folta barba grigia.
Anche così, mentre tentava di salvarla da un destino di schiava da letto con il peggiore degli uomini, Selena non poteva fare a meno di trovare Achille terribilmente arrogante e quasi preferì che ad averla vinta fosse Agamennone.
Però, ciò non accadde.
Perchè un coro che intonava il nome di Achille si levò dalla folla, facendo indietreggiare il re di Micene.
Achille sorrise vittorioso, mentre con un cenno del capo annuiva ad un ragazzo che gli stava affianco.
Egli attraversò la folla e salì sul palco.
Porse una mano a Selena, con un sorriso gentile.
"Parli greco?" le chiese in un sussurro.
Lei annuì piano.
"Perfetto" il ragazzo annuì tra sè "io sono Patroclo. Vieni con me, non c'è niente di cui aver paura"
Selena annuì nuovamente, rassicurata.
Il tono di voce di Patroclo era così calmo che pareva infonderti tranquillità con una semplice parola.
In più, era il suo personaggio preferito.
Si tenne stretta a lui mentre attraversavano la folla di re.
Tra essi scorse un uomo sulla quarantina, gli occhi castani che erano accesi da un lampo di intelligenza che la scrutavano attenti, studiandola.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Selena si rese conto che il suo pareva leggermente divertito.
Achille li precedeva mentre si dirigevano alla loro tenda.
Una volta lì dentro, Patroclo la fece sedere su un giaciglio di coperte al centro della tenda.
La giovane si guardò intorno circospetta, studiando l'ambiente nel quale si trovava e dove, molto probabilmente, avrebbe vissuto per tutta la durata del poema.
Nascose un sospiro.
"Hai fame?" le chiese il Meneziade.
Non voleva ammetterlo, ma aveva lo stomaco che le brontolava.
"Si" sussurrò.
Achille le porse senza troppi complimenti una cesta con dentro della frutta, che lei cominciò a sbocconcellare.
"Non sei di molte parole, eh ragazza?" le disse poi il Pelide.
Selena alzò gli occhi grigi su di lui, determinati.
"Ho imparato a parlare quando ho davvero qualcosa da dire, non solo per dare aria alla bocca, signore" replicò, facendo sembrare quelle parole una frecciatina.
Patroclo nascose un sorriso, mentre osservava Achille spiazzato da un commento del genere.
Di sicuro non era abituato a delle ancelle che gli rispondevano così.
In realtà, proprio nessuno gli parlava così.
Lui era un principe, dopotutto.
Ma Selena non era di quell'epoca e nella sua, di sicuro, le donne avevano un maggiore diritto di parola.
"Benissimo" disse Achille "d'ora in poi parlerai solo quando te lo dirò io"
"Non sono la vostra schiava"
"Io penso proprio di si, invece"
Rimasero a squadrarsi per qualche istante, grigio contro azzurro.
I loro sguardi potevano essere comparati ad un'unica nuvola grigia carica di pioggia che si estendeva nel cielo sereno, occupandolo piano piano tutto.
Fu Selena la prima a distogliere lo sguardo, procurando un sorrisetto vittorioso sul volto del biondo.
"Vado a fare una nuotata" annunciò poi, allegro.
Guardò Patroclo.
"Vieni con me?" chiese.
Il Meneziade gli fece un sorriso di scuse.
"No" rispose "rimango qui"
Achille lo scrutò per qualche istante – pareva vagamente deluso – e poi uscì dalla tenda.
"Come ti chiami?" le chiese Patrcolo.
Selena lo guardò.
"Selena" rispose.
"Luna" disse il ragazzo sorridendo "ti si addice"
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