21. Oggi sei mio ospite
Seguirono lunghi attimi di silenzio imbarazzante fra i due.
Silenzio talmente lungo e talmente imbarazzante che nemmeno la parlantina di Alessia riuscì a rompere.
Erano seduti sul quel divanetto in pelle nel salotto di Alessia da quasi una ventina di minuti ormai e ancora nessuno aveva spiccicato parola.
Entrambi con gli occhi puntati sulle proprie mani e a pensare a cose diverse, alle parole giuste da dire o alla mossa giusta da fare.
Eppure non accennavano nessun movimento, nessuna parola.
-posso torna' a casa?- sbottò all'improvviso Niccolò, come se avesse passato quei venti minuti a pensare proprio a come dire quella misera frase.
-cosa? No! Dobbiamo parlare!- alzò di scatto la testa Alessia, leggermente scossa dall'interruzione del suo stato di trans.
-nun ce n'è bisogno. Il tuo scopo era quello de nun famme butta', ok bene ce sei riuscita, la sbronza m'è passata e posso torna' a casa. Anche perché è da venti minuti che nessuno de noi dice gnente- rispose seccamente alzandosi e aggiustandosi il giubbotto di pelle che non si era ancora tolto da quando era entrato.
Si avvicinò alla maniglia della porta, impegnò la maniglia e fece per andarsene, ma la porta gli si chiuse in faccia e due occhi verdi comparvero davanti ai suoi, facendolo indietreggiare di due passi.
-tu non te ne vai, chiaro? Non puoi! Che pensi? Che lascino che una persona nella tua situazione se ne torni liberamente a casa sua come se nulla fosse? Tu...tu.. Cazzo Niccolò tu stavi per toglierti la vita! E non so su quale bizzarro pianeta tu viva, ma qui, perlomeno qui sulla Terra, è una cosa abbastanza grave e anzi! Anzi! Tu dovresti essere all'ospedale o da qualche psicologo e invece sei qui senza medici nervosi che ti girano attorno o specialisti preoccupati o antipatici che ti pongono domande su domande senza darti mai una semplice risposta su quale sia il tuo problema! E- riprese una grade dose di fiato mentre chiuse gli occhi per un millisecondo, per mandare via il luccichio che si era venuto a creare- E scusa se ti ho fatto perdere venti minuti della tua preziosa vita di cui non mi sembra importarti molto, ma sai è una situazione nuova e soprattutto difficile anche per me, ok? Quindi adesso ti allontani immediatamente da questa porta e torni sul divano finché non mi dai la certezza che la questione di stasera non ricapiterà mai più!- buttò tutto fuori, terminando col petto che le si muoveva velocemente su e giù, il fiato pesante e le mani leggermenti tremanti in preda all'adrenalina.
Rare volte si mostrava nervosa o agitata con le persone e quando capitava era probabilmente a causa del suo malessere o della gravità e serietà del problema.
-ammazza oh c'avevi tutte ste parole da dire nsti venti minuti e te sei stata zitta fino a mo?- domandò sconvolto e leggermente irritato dal suo tono di voce sorprendentemente serio e alto.
-dico sul serio, siediti e parliamone ti prego, anche se per te magari può essere difficile, ti prego parliamone perché oltre a doverlo fare sono seriamente preoccupata per te- ripeté a tono più calmo dopo aver preso un lungo respiro per calmarsi
-ma a che serve parlarne? Seriamente che cazzo cambia se te dico i motivi per cui volevo farlo o no? Eh? E poi ormai er momento è passato, nun è che mo mentre torno a casa e becco nponte vicino decido de gettamme- sta volta fu lui ad alzare i toni della voce, non ne poteva già più di quella serata. Si sarebbe dovuta concludere in un solo modo e invece stava andando sempre peggio in mille modi diversi.
-ma perché potrei aiutarti! Magari ci ripensi che cazzo ne so, ma qualcosa voglio provare a fare- insistettè poggiandosi con le spalle sulla porta, per far capire che non aveva la minima intenzione di spostarsi da lì.
-non ti dirò i motivi per cui volevo farlo-
-ok, va bene. Non posso costringerti su quello ma stanotte non posso lasciarti andare, fattene una ragione- rispose cercando di usare un tono comprensivo, ormai anche lei già esausta di quella piccola discussione.
Allora il ragazzo cedette, sbuffò pesantemente e si gettò sul divano, fregandosene del fatto che non si trovasse a casa sua.
Non riusciva a comprendere a pieno quella situazione ma evitò di fare ulteriori domande, notando che l'insolita serietà e sicurezza della ragazza lo mettevano parecchio a disagio.
Si vergognava in parte per quel che stava per fare, si vergognava per aver scelto un metodo tanto misero come quello e si vergognava per l'idea di volerlo fare all'aperto, in piena notte senza fare attenzione alla possibile probabilità che ci potesse essere qualcun altro.
"era meglio se riprovavo con i sonniferi" si disse sbuffando impercettibilmente, sorprendendosi poi quando riuscì a percepire una sottile pena nei suoi confronti, proveniente proprio da lui stesso.
"ma davvero?" rimurginò "sono davvero arrivato a questo punto? Davvero stavo per farlo? Davvero provo così tanta pena?"
-che c'hai da guarda' te?- si rivolse poi ad Alessia che era rimasta tutto il tempo inchiodata sulla soglia della porta, a braccia incrociate e gli occhi puntati su di lui.
-gli occhiali- rispose -non te li sei alzati nemmeno di mezzo millimetro e di solito quando una persona entra, anzi si accomoda, a casa di qualcun altro, o anche casa sua soprattutto, ha come lo stimolo di portarsi la mano sugli occhiali e toglierseli, poi magari ci ripensa non lo so e se li tiene, però.. Cioè è strano- spiegò stranita e allo stesso tempo incuriosita, mentre il ragazzo se ne stava lì a fissarla ancora più stranito, convinto che solo un soggetto ossessivo compulsivo o un attento osservatore potesse notare un particolare simile.
-te l'ho detto, non li levo mai- rispose semplicemente lasciandosi cadere sullo schienale del divano, facendo un favore alla sua schiena che era stata ricurva per troppo tempo.
-per aver perso questo impulso allora sarà davvero da molto tempo che porti avanti questa abitudine- ipotizzò ancora, come se fosse seriamente interessata all'argomento.
-sai quando mi hai detto che avresti scoperto per quale motivo li indosassi non pensavo facessi sul serio- interruppe il suo flusso di pensieri e in tutta risposta la vide alzare le spalle con aria consapevole.
-uhm...- la sentí boccheggiare poi, dopo altri attimi di silenzio, e la vide girarsi le dita delle mani con fare pensieroso, come se stesse cercando di dire qualcosa per avviare una conversazione utile per passare il tempo.
-alzati- si sentí ordinare poi, senza però essere severa o autoritaria -ti mostro la casa, è la prima cosa che si fa con gli ospiti in genere e tu oggi sei mio ospite, quindi...- non sapeva cosa centrasse questa iniziativa col parlare di quello che stava per accadere pochi minuti prima, ma era come se staccare un po' la spina le servisse, come se cambiare argomento anche solo per cinque minuti potesse renderle più lucida la mente per approcciarsi meglio a quel discorso tanto delicato, come se mostrargli la casa le servisse come diversivo per procurarsi più tempo e cercare le parole esatte da dire.
-allora questo è il salotto- iniziò a presentare dopo che il ragazzo si fosse alzato
-sì, ho notato- rispose sarcastico facendola sorridere imbarazzata
-questo è il bagno- si avvicinò ad una porta che si affacciava proprio sul salotto -mentre qui dietro c'è la cucina- indicò l'arco che divideva il salotto dalla cucina, una stanza poco più piccola di quest'ultima, arredata in tinta col bianco e con una sola finestra che affacciava sul fuori. Intravide un posacenere sul davanzale di essa e intuì quindi che ci fossero più membri in famiglia ad avere il vizio del fumo.
-sopra stanno le camere invece- lo accompagnò di fronte una rampa di scale e gli mostrò le varie camere, sentendosi come una guida al museo e avvertendo una stretta allo stomaco per quanto si sentisse in imbarazzo.
Sì, le piaceva parlare; no, non le dispiaceva aprirsi a nuove conoscenze, come non le dispiaceva parlare della sua vita, ma fare presentazioni per lei era come parlare in pubblico e, nonostante in quel momento l'unico spettatore del suddetto pubblico era Niccolò, aveva comunque gli unici occhi disponibili puntati su di lei o su quel che stava mostrando e questa cosa le metteva agitazione.
-questa è camera mia- una stanza per una persona singola, senza dubbi.
Intonata sull'azzurro chiaro e sul bianco, un letto ad una piazza e mezza e un tappeto ai suoi piedi del medesimo colore.
-casa tua sembra una stanza del paradiso pe' quanto bianco ce sta- commentò Niccolò guardandosi attorno -mi piace- aggiunse come per sottolineare che nel suo tono non c'era niente di provocatorio o di stizzinoso.
-il paradiso è a camere?- domandò curiosa voltandosi verso di lui inarcando un sopracciglio
-non lo so, mica ce so stato. Però è una bella immagine rispetto alle classiche nuvole bianche che si immagina la gente, no?- rispose ironicamente sollevando di poco l'angolo della bocca.
-un motel a cinque stelle con stanze bianche e pulite, con dio alla reception e gli angeli come barman... Sì, ci sta- approvò l'idea divertita continuando poi il giro delle stanze.
-questa è la camera di mia... Cioè, dei miei- si corresse mostrando la camera da letto dei suoi, il cui letto però era disfatto solo da un lato. Solitamente sua madre lo rifaceva ogni mattina, e se non riusciva per via di puntualità a lavoro, interveniva Alessia, per non destare sospetti agli ospiti indesiderati. Peccato però che quella mattina Alessia ebbe lo stesso problema, per cui il letto rimase così: da un lato ben ordinato e senza pieghe; dall'altro disfatto e con le lenzuola scombinate.
-devi scusarmi, probabilmente mio fratello è entrato prima e si sarà seduto scombinandolo un po'... Fai finta di non aver visto niente, ok?- si scusò con un sorriso stranamente tirato e si avvicinò immediatamente al materasso cercando di appiattire l'irregolarità delle onde delle coperte.
-lascia stare, vedessi camera mia com'è ridotta...- la rassicurò con un sospiro di quelli pesanti mentre si guardava attorno, notando vari quadri e foto appese un po' ovunque.
-t'assomiglia- aggiunse poi indicando l'uomo in una foto, probabilmente il padre che sembrava la sua copia esatta formata al maschile.
-sì beh... È mio padre, sarebbe preoccupante se così non fosse- ammise in una leggera risata nervosa, facendogli alzare ironicamente gli occhi al cielo, gesto che la ragazza non poté vedere poiché l'ombra delle lenti coprì anche questo.
-questa è la camera di mio fratello, te la farei vedere ma sta dormendo per cui...- provò a spiegarsi senza finire la frase e il ragazzo capì al volo, facendole capire che non ci fosse alcun problema.
-non sapevo avessi fratelli- confessò scendendo le scale seguendo i suoi passi e ritornando nello stesso salotto di prima, con lo stesso divano davanti.
-uno solo in realtà, si chiama Pietro e ha 12 anni. Di solito qui la gente dice che è una piccola peste, ma in realtà quando sta con me fa il bravo per cui non saprei- rispose sedendosi sul divanetto azzurro chiaro e incitando il moro a fare lo stesso.
-tu? Hai sorelle o fratelli?- gli domandò poi dopo che prese lui posto accanto a lei, notando che tra tutte le domande che gli aveva fatto, non aveva fatto la più banale.
-sì due, Valerio e Lorenzo ma c'ho perso un po' i rapporti quindi non so nemmeno come se la stiano passando a dire il vero- rispose mantenendo il solito tono basso e apatico che usava sempre, dandogli quella solita aria da depresso sconfitto che alla ragazza non era mancata per niente.
-è per quella cosa che mi hai detto l'altra volta? Lo stesso motivo per cui...sì insomma lo stesso motivo per cui ti sei allontanato dai tuoi amici?- chiese, cercando di non essere troppo invadente
-sì, diciamo che per sta cosa me so allontanato un po' da tutti- rispose in un sospiro stringendo le dita sulle ginocchia.
-però ora ti sei riavvicinato a loro, no? Cioè io sapevo che con la maggior parte dei tuoi amici-
-sì, stasera ero con loro ad esempio- rispose prima di alzare lo sguardo e guardarla negli occhi, trovando solo una grande confusione. E come biasimarla.
-tua madre sta ancora a lavoro?- spezzò il silenzio Niccolò, notando l'assenza totale dei genitori a casa.
-sì, cioè no. Si è presa le ferie ma non sta a casa. - rispose tutto d'un fiato serrando le labbra -Come... Puoi vedere- aggiunse imbarazzata di fronte l'evidenza dei fatti.
-sei strana oggi- osservò il ragazzo squadrandola dal basso verso l'alto nonostante fosse seduta di fianco a lui.
-Nicco tu...tu non dovresti essere qui- diede voce ai suoi pensieri, esponendoli in un sussurro e accompagnati da un leggero luccichio negli occhi.
In tutta risposta lui abbassò lo sguardo e tirò un altro sospiro.
Era la stessa frase che si era ripetuto in quei famosi venti minuti di prima.
-cioè sì, sono...sono immensamente risollevata e felice di saperti qui al sicuro, sul serio credimi! Ma, ma...cioè se non fosse giunta la polizia o...o se quel signore non avesse chiamato il pronto soccorso, tu...-
-sì, l'avrei fatto. Te l'ho detto prima- la interruppe con calma notando che le sue mani presero a tremare e la voce a vacillare
-è questo il punto! Tu l'avresti fatto!- ribadí in un sussurro -e io forse so anche il perché- si lasciò sfuggire attirando la sua completa attenzione.
-come? Che cosa sai?- domandò alterato e allo stesso tempo agitato.
Non che fosse un segreto di stato, ma non gli andava che i suoi fatti personali e privati non rispettassero questi due aggettivi.
-una supposizione mia, nulla di preciso- mise le mani in avanti
-cosa sai?- ripeté più convinto e più sicuro di prima, stringendo il braccio del divano con le dita.
-l'altra sera mi hai detto che sei vuoto dentro. Perso. Che preferisci stringere che lasciare perdere... Stasera mi hai detto che avresti altri cento motivi per farlo e altri cento per non farlo, giusto? E poi tutte quelle sere sbronze...le poche attenzioni alla casa... Il tuo costante umore sotto i piedi, la testa sempre altrove, come se vivessi costantemente in un altro mondo- elencò con lo sguardo puntato su un punto imprecisato della stanza, cercando di dare un senso a quel che stava dicendo.
All'ultima frase fu lui a distogliere lo sguardo, quasi meravigliato e a tratti spaventato dal fatto che fosse l'unica ad averci fatto realmente caso. L'unica a capire che quel mondo non gli apparteneva e che preferiva vivere altrove, dove il mondo non lo poteva toccare.
-quindi qual è la sua diagnosi dottoressa?- domandò sarcastico e anche un po' freddo, cercando di mascherare ciò che gli era passato per la testa.
-penso che tu sia malato Niccolò- rispose avvilita, come se pronunciare quelle parole le fosse costato davvero caro.
-una malattia che si sente da dentro, che non comporta a gesti involontari del corpo, problemi motori, difficoltà nel linguaggio o altro...ma semplicemente ti impedisce di vivere, dico bene?- proseguì al silenzio del ragazzo -una malattia che anche se mascherata talvolta da un sorriso, ti divora l'anima. Che ti fa sentire completamente solo, ti fa passare la fame, il sonno, il sorriso...-
Niccolò mandò giù un mangone e puntò il pavimento, consapevole che nonostante questo suo lato fosse ormai palese a tutti, nessuno aveva mai scavato così a fondo.
-e ti porta a chiederti cose come "che senso ha continuare così?" o "ne vale davvero la pena?" o magari che ne so...non lo so.- concluse sospirando e asciugandosi delle lacrime che minacciavano di uscire.
-perdonami io...io non sono una psicologa, una dottoressa o una specialista. Sono ancora una banale infermiera, per ora, e sul serio magari quel che ho detto non ha avuto senso, è solo che..- si scusò pensando di aver detto anche troppo, ma venne interrotta.
-no, no. C'hai preso. È esattamente così che mi sento... Ma pensavo che ormai fosse palese, no? Vojo di', nun è ce voleva nmedico per diagnosticarlo- domandò con una punta di ovvietà rivolgendole lo sguardo
-e allora se era così evidente perché nessuno ha fatto nulla? Perché ti hanno permesso di arrivare fino a questo punto?- rigirò la domanda, facendolo ammutolire una terzina di secondi per pensare alla risposta più ragionevole da dare, perché lui era convito, era convinto di avere ragione.
-mia madre mi è stata accanto, mio padre pure...qualche volta, i miei amici ci hanno provato a distrarmi e a farmi pensare ad altro, tu ci hai provato...- rispose elencando i nomi dei primi volti che gli vennero in mente e che gli erano stati accanto in quel periodo, ognuno a modo proprio.
-eppure stasera eri lì, sul ponte, con le gambe a penzoloni e il petto sporto in avanti- continuò Alessia, con un tono ed uno sguardo ormai indecifrabili.
-era la cosa giusta da fare- si giustificò a bassa voce.
Ormai sembravano comunicare solo sotto voce per quanto quell'argomento fosse delicato, come se in quella casa fossero presenti altre dieci persone che non potevano venirne a conoscenza.
-hai detto che preferisci stringere che lasciare perdere, quindi perché stavi lasciando perdere tutto? Capisci? Tutto! L'intera vita, l'intera giornata, tutti i tuoi amici, la tua ragazza, il lavoro, le sere da sobrio e le sere da sbronzo, tutte le parole che hai pronunciato, tutti i tuoi sospiri al vento, le tue gesta, le vecchie e nuove conoscenze, i tuoi familiari... Tutto! Semplicemente tutto. Perché? Perché non hai stretto la presa?- domandò cercando di vederla dal suo punto di vista
-hai presente la corda delle vecchie altalene? A stringere troppo ad una certa ti cominciano a far male le dita e quindi man mano cominci ad ammorbidire sempre più la presa, poco a poco, poco a poco, fin quando non la lasci del tutto perché ti sei stancato e lasci il posto ad un altro.
Ecco io...in questo momento preferirei cedere il mio posto ad un altro.- spiegò il suo punto di vista, nonostante fosse cosciente che agli occhi altrui potesse risultare un po' contorto. Squadrò l'espressione della ragazza al suo fianco eppure non gli sembrava poi così tanto confusa, anzi, sembrava aver capito perfettamente cosa avesse detto e sembrava cercasse anche una risposta utile da dargli.
-ah e prima che tu me lo faccia notare, me lo ricordo il tuo esempio del videogioco e no, non avevo intenzione di lasciare incompiute le mie missioni e sai perché? Perché le avevo già portate a termine Ale'!- aggiunse prima che potesse proferire parola -io la vita che sognavo l'ho già avuta, sai cosa mi mancava? Un matrimonio e un paio di concerti, stop! Per il resto la partita si era conclusa, il gioco l'avevo vinto io Ale'. Quella era la mia vita, la mia partita, non questa! Mi sembrava di avere tutto in pugno... poi mi accorsi di possedere solo della sabbia, fragile e scivolosa tra le dita. Sai... Solitamente è l'ultimo livello che richiede più attenzione, è quello dove il giocatore deve concentrarsi di più per portarsi a casa la vittoria. Io ho pensato di potercela fare, mi autoconvincevo che sarebbe finita bene e davo retta alle voci che mi sussurravano nell'orecchio questo messaggio. Non avrei dovuto farlo, sono stato un cretino- concluse asciugandosi le guance che si erano inumidite per via delle lacrime che durante il discorso erano riuscite a scivolare via, mentre il cuore di Alessia sembrava perdere un battito ad ogni parola.
-dicono anche che nei livelli finali ci siano più ostacoli da superare- prese parola prendendogli timidamente la mano, prima di lanciargli una veloce occhiata, come per avere il suo cossenso, come se fosse d'accordo e lui annuì semplicemente -dicono che i boss finali, le missioni finali siano gli ostacoli più stronzi. Tu hai la faccia di uno che non si arrende facilmente Niccolò, si capisce a pelle che hai combattuto arduamente per tenerti stretto quello a cui tenevi, per portare avanti la partita e non lasciare che i livelli precedenti, le mosse, le strategie, le scelte, potessero risultare vane. Lo so e correggimi se sto sbagliando- provò a confortarlo, ottenendo solo altro silenzio da parte sua. Silenzio che le fece intuire che aveva solo ragione.
-sai cosa ripetono a mio fratello a scuola nell'ora di ginnastica? Che l'importante non è vincere ma partecipare. Sicuramente questa frase l'avrai sentita milioni e milioni di volte, forse anche di più, per quanto venga usata, eppure per quanto banale ha un suo perché. Nic io so che qui non stiamo parlando di un gioco o di una semplice partita alla play, a calcio o quel che ti pare, lo so. E so anche che questa metafora magari può risultare un po' contorta ma fidati che anche queste, come quella frase, hanno un loro perché. Non hai vinto la partita, non hai portato a termine gli ultimi due obiettivi che ti eri posto e non ti chiederò nemmeno il come e il perché, ma non lasciare che queste due sconfitte ti portino via tutte le altre piccole vittorie- per tutto il tempo i suoi occhi erano incastonati nei suoi, o meglio, lo sarebbero stati se solo non ci fossero stati gli occhiali da sole scuri a fare da barriera.
-sono proprio queste piccole vittorie che mi porto dentro a distruggermi. Prima hai detto bene, vivo completamente in un altro mondo, è come se volessi continuare a vivere la vita di prima, a giocate la partita di prima...e non riuscissi ad uscire dal gioco, non riuscissi ad andare avanti.- confessò, ritenendosi fortunato e ancora meravigliato dal fatto che si stesse sfogando con qualcuno che non fosse Wendy o qualche sconosciuto professionista. Solitamente erano i suoi amici, uno di loro, ad ascoltarlo e dargli consigli su come superare le difficoltà, ma era sicuro, soprattutto in quel periodo, che non ne sarebbero più stati in grado, oppure, cosa ancora più probabile, che data la distanza di anni passata a dividerli, sarebbe stato lui incapace nel confidarsi e rivelare le sue paure e le sue emozioni.
Una cosa su cui se si soffermava a pensare, lo rendeva ancora più triste.
-tu provaci. Chiamami pure stronza, cretina o quel che ti pare, perché so che una frase del genere in una situazione del genere potrebbe provocarti molta rabbia nei miei confronti, ma credimi tu provaci. Vedrai che prima o poi riuscirai senza manco accorgertene. Io penso che tu non voglia lasciar perdere le vittorie passate perché sono le uniche cose che ti tengono in vita, non quelle che ti distruggono. Ecco perché vivi costantemente in un mondo tutto tuo, perché lì andava tutto bene. Non è che non riesci, è che non vuoi uscire da lì- disse la sua, ed era come se l'avesse letto dentro. Niccolò quella sera si sentí un libro aperto in sua presenza e mai avrebbe pensato che farsi leggere, farsi capire, potesse risultare così facile e soddisfacente. Perché sì, se prima lo spaventava, adesso era contento di sapere che qualcuno sapeva esattamente come si sentiva, senza fermarsi all'apparenza generale.
-solo che non ti fa bene...- concluse la ragazza con uno strano tremolio nella voce, accarezzando il dorso della sua mano causandogli dei forti brividi sulle braccia.
-come faccio ad uscirne?- domandò allora in un sussurro, con gli occhi puntati sulle loro mani unite e sul contatto stretto e caldo che l'una dava all'altra.
-fatti aiutare. Ogni volta che ne hai bisogno, che senti l'esigenza di parlare, di sfogarti, di...di prendere a pugni qualcosa! Chiama. Ma non per forza me! Chiama chi ti pare! Lo psicologo, tua madre, i tuoi amici, il gestore del locale... Chiunque! Ma non tenerlo per te. - spiegò più seria che mai-Cioè almeno che non si tratti di una cosa più personale e quindi vuoi ternertela per te, cioè quello si- aggiunse precisando e giurò di aver intravisto per mezzo secondo un angolo della bocca sollevarsi verso l'alto.
-devi solo volerlo Ní, secondo me devi solo volerlo. Forse tu non vuoi perché a quelle piccole vittorie ci sei legato, hai paura di perderle, dimenticarle, per questo mi hai detto che preferisci stringere, giusto?- cercò conferma ed un altro cenno del capo arrivò da parte sua.
-allora mettiti l'anima in pace perché se stai così vuol dire che certe cose non potrai mai dimenticarle. Certi avvenimenti, certe persone, anche se vissuti per poco, hanno la capacità di rimanere impressi nel tempo a lungo.
E non solo lì. Dicono che il tempo curi le ferite ma secondo me nel tuo caso le peggiora e basta. Ní secondo me tu a queste perdite... Alla presenza del ricordo di queste piccole vittorie ti sei già abituato, solo che non vuoi ammetterlo a te stesso proprio perché hai paura che facendolo, andando avanti, te ne possa dimenticare. Ma se stanno qui- e indicò la posizione del cuore del ragazzo sul suo petto -se stanno qui allora falle andare via penso sia impossibile. Ma questa deve essere una cosa positiva! Tu... Datti tempo. Ok? Fai in modo che di queste cicatrici ne rimanga solo un bel ricordo, che ripensandoci magari ti assalirà un po' di nostalgia ma ti faranno sorridere. Ti faranno sentire bene. Ti tireranno su dall'oblio in cui cadrai, dovranno essere la tua ancòra di salvataggio, non un missile di distruzione. Mi spiego? Cioè ho paura che sto parlando a vanvera e sto incasinando tutt-
-va bene.- la interruppe -è chiaro, stai tranquilla- dopo questa rassicurazione Alessia riprese un bel respiro per riprendere fiato e darsi una calmata, mentre Niccolò ne approfittò per riflettere su quello che gli era stato appena detto.
-come fai?- le domandò all'improvviso, ottenendo un suo sguardo confuso.
-come fai a capire esattamente ciò che provo? Come fai a non pronunciare queste frasi con pena?- domandò effettivamente confuso dal risultato della conversazione, da cui inizialmente era partito con l'unico pensiero che questa non avrebbe potuto procurare buoni frutti.
-seriamente me lo stai chiedendo? Niccolò tu ti credi un libro chiuso agli occhi degli altri, ma la verità è che sei l'esatto opposto! Questi occhiali, questi tatuaggi, questi...- elencò indicando i diversi punti, finendo con indicargli a malapena il polso -ognuno di questi racconta un particolare della tua storia che basta solo saper cogliere. Io sono sicura che almeno la maggior parte di questi particolari nasconda buona parte della storia, ne sono fermamente convinta.
Sei un libro aperto Niccolò, la gente è solo incapace di leggerti.- rispose lasciandolo letteralmente senza parole.
-tu però ne sei capace...- osservò poco dopo alludendo all'ultima frase
-tu sei capace di leggermi.-
Scusate la lunghezza del capitolo, le strane metafore e i bizzarri paragoni, ma avevo un paio di parole da buttare giù.
Scusate anche l'assenza dell'altra volta ma non ho avuto modo di scrivere.
Spero che il capitolo sia stato almeno un po' comprensibile, in caso contrario mi scuso nuovamente.
Ciao ciao ❤️
-Fla :)
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