20. La sera decisiva
Perché mi manchi ma non voglio
Più vivere nel ricordo
Non vivo più e non me ne accorgo nemmeno
"ormai ho deciso Gabrie' è inutile che cerchi de smuovermi....no, no cos...ma che stai a di'? Vabbo sta' a senti' io mo vado che c'ho da fa. Cia, si si... Ah Gabrie' ascolta avvisa gli altri per piacere che me scoccia chiama' a tutti...semplicemente perché ce metterei du ore Gabrie' ma che domande fai? Si... Grazie. Ah Gabrie'! Io... Grazie, te vojo bene"
La chiamata di poche ore prima che Niccolò aveva avuto con Gabriele si mostrò una totale perdita di tempo; da una parte c'era lui che rispondeva in modo sbrigativo e per niente interessato e dall'altra c'era la voce insistente dell'amico che tentava di convincerlo a raggiungerlo al parchetto assieme al resto del gruppo, come facevano un tempo.
Naturalmente però gli anni erano passati, molte cose erano cambiate e le voglie di Niccolò erano scese.
Non perché non avesse voglia di stare con loro, non era un problema che riguardava la compagnia che lo circondava, ma la situazione in cui si trovava. Accettare l'invito equivaleva a sbronzarsi e divertirsi fino al giorno dopo, parlando del più e del meno tra una sigaretta e un'altra.
Accettare l'invito equivaleva a passare un paio di ore di spensieratezza in compagnia di gente che non ti giudicherebbe mai e che ti capirebbe al volo grazie ad un solo sguardo.
Accettare l'invito equivaleva -questa è l'ultima giuro- a concedersi un paio di ore fuori dal mondo, lontano dai problemi.
In poche parole tutto quello di cui Niccolò aveva sempre avuto bisogno, ma non quella sera. Quella sera sarebbe stata la sera decisiva, la sera della svolta dove avrebbe dovuto prendere una decisione fondamentale a cui stava ragionando da ormai un paio di giorni. Aveva rivalutato sia i pro che i contro, ma ogni volta di trovava comunque in un mare di confusione, per niente convinto di averli classificati per bene.
Eppure, nonostante l'importanza di quella serata, eccolo lì, poggiato sulla sua auto circondato dagli amici di una vita, con un sorriso da ebete sul volto, la spensieratezza negli occhi e il cuore un po' più leggero.
Aveva ingerito forse più di tre birre, ma questo l'aveva previsto ancor prima di raggiungere il luogo. Ormai erano consapevoli tutti che con l'alcol aveva perso il controllo e cercare di trattenersi solo quella sera non avrebbe cambiato poi chissà quante cose, anzi, magari quella sera le avrebbe solo favorite.
Ridevano e scherzavano tra loro, parlando e biascicando qualche frase a caso e raccontando talvolta avvenimenti improbabili e mai accaduti, dettati dalla sbronza. Certo, non tutti c'erano andati pesanti come Niccolò, molti si erano limitati solo a una birretta, se non due accompagnata da qualche tiro -no, non di sigaretta-, ma rimasero comunque per lo più brilli, abbastanza dal riuscire a riconoscere i volti e gli oggetti che li circondava e distinguere i discorsi da fare e quelli da evitare.
A metà serata, verso la piena notte, Niccolò cominciò a sentirsi in colpa. Si sentiva in colpa per non aver detto nulla a nessuno, si sentiva in colpa perché stava tornando a ripensarci, si sentiva in colpa perché stava tornando a ripensare ai piani di quella serata e soprattutto stava tornando a pensare che fossero la cosa più giusta da seguire.
Si sentiva in colpa perché mentre i suoi amici sembravano non pensare e non far caso a nulla, lui stava pensando a cose che in quell'occasione c'entravano ben poco.
E si sentiva anche sfigato per questo, "quante altre birre dovrò bermi per non pensare davvero più a nulla?"
Questo suo pensiero diede la conferma alle sue idee. Gli diede conferma del fatto che se avrebbe concluso quella serata come aveva programmato, non avrebbe fatto altro che bene.
Così, senza prestare più quella poca attenzione di cui disponeva ai discorsi che lo accerchiavano, si riempì di altre due birre, cercando di lasciare un solo spazio nella mente dedicato a quello che si era predisposto di fare.
Continuava a ripetersi quella parola chiave ad ogni sorso che mandava giù. Strizzava gli occhi, ingoiava e ripeteva.
Poi ad una certa si alzò, barcollando leggermente e tentando di mantenersi in equilibrio, aprendo poi lo sportello della sua macchina sulla quale era ancora appoggiato (ringraziando il telecomando a distanza, perché con le chiavi non ce l'avrebbe mai fatta) e si mise alla guida.
Solo all'udire l'accensione del motore della macchina i ragazzi s'accorsero della sua mossa e, giustamente, rimasero confusi.
-ao ma ndo' vai?- prese parola Alessandro, che poteva essere classificato come secondo posto sotto Niccolò riguardo all'alcol ingerito.
-vado ad ammazzarme- confessò senza pensarci spinto dalla sbronza.
Certo, ne avrebbe parlato comunque, ma così, colto di sorpresa e in condizioni poco consone per dare una risposta chiara e ben pensata, non ne ebbe né il tempo e né il modo.
In risposta tutti si misero a ridere, magari prendendolo come uno scherzo, come una frase dettata dalla birra senza un'idea concreta di base.
Niccolò se ne lavò le mani, non ci diede per niente retta e, anzi, colse l'occasione per andarsene senza che nessuno gli potesse dire qualcosa.
Le luci sfocate dei lampioni, la luce accecante dei fari delle auto, il rumore dei clacson sempre troppo forte e la confusione che gli annebbiava la mente lo misero in parecchia difficoltà, ma bene o male riuscì ad arrivare a destinazione senza nuocere di un capello nessuno.
Non si preoccupò nemmeno di parcheggiare bene l'auto, convinto che la multa non gli sarebbe mai arrivata e scese dall'auto barcollante, mentre continuava a ripetersi la stessa parola, la stessa frase, lo stesso obiettivo che si era imposto al parchetto.
Inciampò sotto gli sguardi straniti e diffidenti dei passanti, ma si rimise subito in piedi e tra uno schiamazzo e l'altro che gli arrivava alle orecchie, finalmente raggiunse il Ponte Sisto, prendendosi il proprio tempo e ammirare la visuale che gli si parava davanti, forse per l'ultima volta, prima di mettere fine all'obiettivo della serata.
***
-mi raccomando non si sforzi troppo, buon rientro a casa!-
Alessia finì appena di congedare l'ultimo paziente del giorno, quando il medico del reparto fece irruzione nella stanza, facendola voltare spaventata
-oh hey mi hai spaventata! È successo qualcosa?- domandò notando la forte urgenza con la quale l'uomo entrò nella stanza. Naturalmente, col suo carattere confidenziale e curioso fece amicizia con tutti, permettendosi di dare del tu persino alle persone più impensabili.
-abbiamo ricevuto una telefonata d'urgenza, dobbiamo muoverci e oggi tocca a te, muoviti, veloce!- l'avvertí al volo, con una certa rabbia e agitazione nella voce che non ti faceva presagire nulla di buono, dopodiché sparì in fondo al corridoio, probabilmente per raggiungere una delle ambulanze che avevano già preparato.
Alessia andò nel panico.
-I...io...oddio!- boccheggiò sconvolta in cerca di parole, cominciando a raccogliere il necessario, infilarsi il cappotto per la fredda aria che c'era e raggiungere il medico di prima.
"proprio oggi doveva prendersi la giornata di ferie..." sbuffò contro la chiamata non raggiungibile di sua madre, la quale si prese un giorno di malattia per occuparsi della situazione del marito e del resto, ignara che la figlia stesse per prendere parte ad un'emergenza mai vissuta prima d'allora.
Di sicuro un'aiuto da parte di una persona vicina ed esperta avrebbe fatto comodo, ma non se ne stupì, non era la prima volta che si trovava a risolvere un problema "da sola".
Il forte canto della sirena riecheggiava nelle sue orecchie in modo fastidioso, mettendole solo più agitazione di quanto già ne avesse.
-Manu ma io cosa dovrei fare? Insomma... Si tratta di un ferito? Un morto? Un incidente d'auto... Di che si tratta?! Mi avete fatta salire su questa ambulanza senza spiccare una parola!- protestò pretendendo almeno una minima spiegazione e non aveva poi tutti i torti.
-si rischia un possibile suicidio dal ponte Sisto, temo che abbiamo pochi minuti prima che il ragazzo tenti di compiere nuovamente l'insano gesto. Fortuna che la polizia è arrivata prima di noi!- spiegò sta volta con più calma, senza smettere di sbirciare la strada dal vetro.
-è un ragazzo...- borbottò preoccupata tentando di scacciare via i brutti pensieri che la portavano ad un unico nome.
-sì, abbiamo scelto te perché sappiamo che con la gente ci sai fare, sai come metterla a proprio agio o a tranquillizzarla, poi te la cavi anche nei controlli per cui ho pensato che saresti stata perfetta- le disse in totale onestà alzando le spalle guardando l'orologio per poi pentirsene subito, a che serviva guardare l'ora in quel caso? Non si trattava mica di una prova a tempo!
-spero di esserne all'altezza-sbuffò nervosa "e spero tanto di sbagliarmi" aggiunse tra sé e sé.
-eccoci, mi raccomando- le ambulanze accostarono e decine di medici ed infermiere scesero da esse, Alessia compresa.
Prese un bel respiro tentando di restare calma e ragionare a mente lucida, avvicinandosi poi all'ispettore di polizia che sembrava tentare di portare avanti una conversazione con il diretto interessato di tutto quel caos e riconoscendo la voce di quest'ultimo la ragazza perse un battito.
-si calmi adesso o dovremo usare le maniere forti!- continuava ad urlare puntandogli una torcia in faccia, accecandolo e rendendolo più confuso di quanto già lo fosse in quello stato, mentre altri due lo reggevano, immobilizzando ogni suo movimento e facendolo spaventare e agitare pericolosamente.
La mora sbuffò alterata dalla poca professionalità degli agenti e si precipitò verso di loro, affiancando il moro che in quel momento stava capendo poco e niente.
-vi prego fermi! È con me!- esclamò allontanandoli da lui e prendendolo sotto braccio, evitando che cadesse o inciampasse in qualche modo.
-Alé...?- biascicò speranzoso e la mora gli sorrise rincuorandolo. Tirò un sospiro di sollievo, sentendosi più al sicuro sapendo qualcuno che conosceva al suo fianco, e non un duo di agenti che gli sbraitavano contro.
-vi conoscete?- s'informò uno dei poliziotti facendo un passo verso lei
-sì e se cordialmente la smetteste di puntare la vostra fastidiosa torcia negli occhi del mio amico ve ne sarei molto grata!- rispose cercando di nascondere il nervoso nella voce e sospirò quando vide il fascio di luce si scostò dal viso di Niccolò che, ancora infastidito e intontito, strizzò gli occhi e nascose il viso tra i capelli della ragazza, in modo del tutto incosciente.
Lanciò uno sguardo ai suoi colleghi che nel frattempo svolgevano il proprio ruolo, controllando i vari strumenti, carte varie ecc... E, le sembrò strano, ma riuscì a cogliere un occhiolino da parte di Manuele, il medico che l'aveva avvertita precedentemente, e sorrise rassicurata.
-perché l'avete accerchiato?- domandò poi ignorando il vento che nel frattempo si era alzato e le stava scompigliando tutti i capelli. Prese il braccio del ragazzo e lo passò sulle spalle, migliorando la presa in modo da aiutarlo a reggersi in piedi dato che sembrava vacillare sempre di più.
Sapeva il motivo, ma non pensava che urlando si potesse risolvere qualcosa.
-è ubriaco fracico e minacciava di gettarsi di sotto!- urlò in risposta uno dei passanti, probabilmente il responsabile della chiamata, facendola voltare verso il moro con sguardo preoccupato e allarmato.
-andiamo a casa- lo sentí biascicare sottovoce e una morsa le strinse lo stomaco.
-non abbiamo ancora finito- altri medici si avvicinarono e gli posarono una coperta termica sulle spalle, gli fecero varie domande e gli misurarono la pressione.
Capirono subito il suo stato di sbornia e gli offrirono vari bicchiere bicchieri d'acqua e lo costrinsero a berli tutti, erano anche tentati a somministrargli qualcosa, ma notarono che non era poi così grave, per cui evitarono.
-dobbiamo andare in ospedale per svolgere altri controlli, venga con noi- ma il ragazzo non si smosse. Rimase con i piedi inchiodati al suolo, lo sguardo perso e il ronzio nelle orecchie. Non aveva la minima intenzione di raggiungere l'ospedale per una sbronza, specie in quel momento che si sentiva infastidito e frastornato, oltre che deluso per non essere riuscito a portare a termine la serata come avrebbe voluto.
-ci penso io, me ne occupo io ora e in estremis lo porto a casa- prese in mano la situazione Alessia, congedendo gli agenti e i colleghi che risalirono in macchina, scomparendo poi nel il buio della notte.
-tutto bene?- domandò poi al ragazzo, prendendogli delicatamente il viso in una mano per fargli alzare lo sguardo, respingendo la tentazione di togliergli quei fastidiosi occhiali da sole che nascondevano i suoi occhi lucidi e arrossati
-no- rispose sincero, voltandosi verso il lato fiume e poggiandosi con gli avambracci sul muretto, cercando di respirare aria fresca e di calmare il giramento di testa
-perché volevi buttarti di sotto?- gli domandò cambiando argomento.
In tutta risposta il ragazzo abbassò lo sguardo, rigirandosi tra le mani i lembi della camicia.
-Se non fossero arrivati i poliziotti o il 118 avresti realmente compiuto l'insano gesto? E perché?- ripeté la domanda nonostante la risposta fosse chiara, ma non riusciva ad ignorare una situazione del genere.
-perché volevo morire!- urlò in risposta, innervosito dal tono leggermente alterato della ragazza, alzando lo sguardo verso di lei e socchiudendo gli occhi per via della luce dei lampioni lì di fronte.
-ma che dici...?-
-sì, volevo morire! E lo voglio tutt'ora! Capito? Voglio morire!- continuava ad urlare, non accorgendosi delle lacrime che cominciarono a rigargli il volto. "ecco" pensò con nervoso "ora sì che faccio proprio pena".
-shh, calmati adesso, non urlare- cercò di calmarlo prendendogli le mani, che però subito il ragazzo scostò, come se si fosse appena scottato.
-posso farlo anche adesso- disse facendola subito allarmare.
-Niccolò ma che dici?- esclamò preoccupata non accorgendosi dei suoi occhi improvvisamente lucidi. Sì, stava ripetendo sempre la stessa frase, ma quella situazione le stava scombussolando tutto e non riusciva a formulare altre frasi.
-perché non dovrei?- domandò alzando la voce disperato sporgendosi sempre di più, ma venne bloccato proprio dalle braccia della ragazza
-lasciami, lasciami!- si dimenò come se fosse nuovamente tra le braccia dei poliziotti, ma la ragazza non accennava a dargli ascolto.
-Ti prego...- quasi la supplicò con quella parola, prima di accasciarsi per terra e coprirsi dato che il suo corpo non reggeva più e coprirsi il volto con le mani. "patetico" si giudicò.
-ascoltami, guardami- richiamò la sua attenzione spostandogli le mani dal viso. "abbiamo scelto te perché tu ci sai fare con la gente, sai come farla sentire a proprio agio e come tranquillizzarla in caso di bisogno" le parole di Manuele le tornarono in mente e pregò tutti i santi che conosceva pur di convincersi a dargli ragione.
-non farlo, capito? Hai ancora tanto da vivere, sei giovane e...- provò a convincerlo piegandosi alla sua altezza, cercando di sopprimere il magone che man mano le stava crescendo in gola.
-ma tanto a chi importa?- la interruppe il ragazzo a fil di voce, spiazzandola completamente.
-non importerebbe a nessuno, non ho nessuno!- si sfogò, dando l'opportunità all'alcol di spingerlo a tirare tutto fuori dopo anni.
C'è chi potrebbe rinfacciargli di avere un gruppo di amici, una famiglia preoccupata ad aspettarlo a casa e chissà quanta altra gente; ma per lui non sarebbe contato poi molto. Il gruppo di amici? Gli ha riso in faccia quando ha annunciato la notizia. La famiglia preoccupata? Hanno passato talmente tanti anni divorati dalla pena che provavano nei confronti del figlio che sicuramente ci avrebbero fatto l'abitudine. Per lo meno così la pensava lui.
-no, no hey, non è vero- cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli il volto e asciugandogli le lacrime, che vennero subito sostituite da altre.
-perché pensi che sia ancora qui?- domandò sedendosi affianco a lui, ignorando le auto che sfrecciavano davanti a loro e il rumore dei passi e borbottii dei passanti incuriositi.
-perché ti è imposto dallo stato- rispose senza pensarci troppo, convinto che si trattasse solo del suo lavoro.
-no, no non è per quello. Ho detto loro che me ne sarei occupata io per farli congedare, ricordi?- il ragazzo annuì lievemente, anche se in realtà non aveva prestato poi tanta attenzione a quello che gli stava capitando intorno. -e loro adesso se ne sono andati, io potrei lasciarti qui e andarmene a loro insaputa volendo- gli fece presente
-beh? Fallo così me butto- rispose con una tale serietà e schiettezza da farle trattenere una risata
-sei ironico, vero?-
in tutta risposta alzò le spalle.
-tanto non lo faresti comunque- aggiunse facendolo voltate confuso
-è una provocazione?-
e questa volta fu lei ad alzare le spalle.
-forse hai ragione- rispose attirando la sua attenzione
-forse davvero non volevo morire- aggiunse prendendo a giocare con gli anelli che portava al dito e alla ragazza tornò in mente un deja-vu dell'altra sera.
-la verità è che no 'o so manco io- confessò sbuffando
-che intendi?-
-è che...avrei tanti motivi che mi renderebbero felice se solo li apprezzassi...e poi me ne basta uno per stare talmente male da credere di voler morire-
-sai a me capita il contrario-sbuffò con sarcasmo -avrei tanti motivi per stare male e ridurmi come te adesso, ma in realtà me ne basta uno solo per andare avanti ed essere felice- spiegò puntando lo sguardo altrove
-Kevin?- domandò Niccolò cercando di capire il suo punto di vista
-mhh...in realtà non ho ancora capito bene cosa sia. Cioè non fraintendere con Kevin sto benissimo, è un amore e lo amo tantissimo-
-ma...?- la indusse a continuare
-ma non lo so, sento che qualcosa c'è ma non ho capito cosa- rispose alzando le spalle.
-fa freddo- si lamentò poco dopo Niccolò, avvertendo finalmente il vento gelido che gli accaponava la pelle. Si allontanò di qualche passo, ma il giramento di testa non gli dava tregua e un tremolio delle gambe lo fece cedere, aggrappandosi al muretto del ponte, per non perdere l'equilibrio. Neanche il tempo di essere raggiunto dalla ragazza che una stretta allo stomaco lo fece piegare in due e finí per vomitare gran parte di quello che aveva ingerito in mare.
-d...di nuovo caz...zzo- borbottò in preda ai brividi, stringendo i pugni non volendo rivivere l'episodio dell'altra volta.
Ma questa volta fu diverso.
Questa volta c'era una mano che gli accarezzò la schiena e ce n'era un'altra a reggergli la fronte. C'era il calore che si espandeva leggermente sulla sua pelle ghiacciata e c'era persino la voce che gli ripeteva che andava tutto bene e apparteneva a lei. Non aveva due occhi blu, ma ne aveva due verdi; non avevano i capelli ramati di rosso, ma erano mori, quasi neri; non aveva origini londinesi, ma israeliane; e soprattutto, lei era lì, con lui.
Queste piccole attenzioni gli erano mancate talmente tanto che si lasciò sfuggire una lacrima nostalgica, che sciolse il cuore alla ragazza pur non conoscendone il vero motivo.
Posò il mento sugli avambracci e socchiuse gli occhi, beandosi di quelle carezze ancora per un po', fin quando non fu proprio lei a smettere e a prendere parola:
-andiamo a casa?- domandò facendolo annuire debolmente e chiamò un taxi che arrivò in meno di dieci minuti.
-buonasera- salutò cordialmente, aiutando il ragazzo a salire sull'auto, rivolgendosi al tassista che ricambiò con un cenno del capo.
-a voi, dove la porto?- domandò lanciandole un'occhiata dallo specchietto. Alessia diede il suo indirizzo di casa e invitò il ragazzo a posare la testa sulla sua spalla, per poi portare una mano tra i suoi capelli, leggermente sudati, ignorando completamente quest'ultimo dettaglio.
-problemi di cuore?- chiese il tassista spezzando il silenzio che si era venuto a creare
-appena il mio amico si sveglia glielo dico!- rispose scherzosamente la ragazza, marcando la parola "amico" e lanciando uno sguardo a quest'ultimo che nel frattempo si era addormentato.
-siamo arrivati- annunciò il tassista dopo un paio di minuti fermando l'auto.
Alessia gli porse la paga e dopodiché scese dal taxi, svegliando il ragazzo e aiutandolo a fare lo stesso.
Estrasse le chiavi dalla borsa e sbloccò la serratura della porta, stando attenta a non provocare il minimo rumore, nonostante fosse cosciente che i suoi non fossero presenti. Dopotutto era proprio per quella ragione che decise di portare il ragazzo a casa sua, altrimenti l'avrebbe accompagnato verso il primo albergo che gli capitava o all'ospedale; anche se doveva ammettere che saperlo a casa, sotto mano sua, la rassicurava molto di più che pensarlo dentro una stanza d'albergo solo nel cuore della notte.
-quindi è qua che abiti te- commentò il ragazzo guardandosi attorno, nel mentre che la ragazza chiudeva per bene la porta d'ingresso.
-a quanto pare- rispose serrando le labbra, gesto che non passò inosservato agli occhi del moro che col passare dei giorni riuscì a capire che si trattava di un gesto che la ragazza compieva solo in momenti di imbarazzo.
-i tuoi ce stanno?-
-no, stasera no- rispose forse un po' troppo velocemente dato che Niccolò si voltò stranito, ma non ci diede peso.
-beh...accomodati!-
Ciao ciao❤️
-Fla :)
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