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18. Stanco

Resta diverso il giorno che ti ho chiesto "tu restami vicino che prima o poi perdo il controllo"
Quando allo specchio mi guardavo stanco
Rimando la vita ad un altra, stasera mi sento stanco

Di notti impossibili Niccolò ne aveva vissute. Era già abituato alle nottate in bianco passate in bagno a rigurgitare l'anima o a piegarsi in due sul divano per i dolori che gli mozzavano il fiato e la testa che girava rischiando di farlo cadere per terra.
Era già abituato a tutto ciò e di solito riusciva sempre ad uscirne cercando di sopravvivere e portare pazienza, ripetendosi sempre le stesse frasi: "ora passa, c'è di peggio nel mondo. C'è chi adesso magari sta soffrendo peggio di me o chi ha già sofferto molto più di me. Domani passa, tutto passa" anche se delle volte non pensava affatto.

Mai gli era capitato come quella notte però. Mai gli capitò di stare così male.
Eppure di sbronze ne aveva gestite da solo, anche in passato quando le cose andavano ancora bene capitava che tornasse a casa da solo e il mattino dopo si trovasse da solo a gestire i postumi, ma nessuna fu come quella notte, eppure ce n'erano state alcune dove la dose di alcol ingerita era di gran lunga maggiore rispetto a quella notte. Allora perché?
Perché si sentiva come se fosse la prima volta?

Forse perché la mancanza della ragazza che gli accarezzava la schiena si sentiva molto di più rispetto alle altre volte, forse perché in quel momento, quella notte, necessitava, desiderava la sua mano pallida che gli accarezzava la schiena ripetendogli che sarebbe andato tutto bene anche quando magari non ce n'era bisogno; necessitava di essere accompagnato a letto prima di prendere la solita medicina di cui non ricordava mai il nome e addormentarsi sul suo petto ricoperto da tre coperte se faceva troppo freddo, con le sue dita intrecciate nei i suoi capelli bruni.
Necessitava della sua presenza quella notte, necessitava di lei.
Ma non era più possibile.

Era questo che più lo faceva imbestialire. Il "non è più possibile". Perché? Perché non potevano semplicemente lasciarsi come tutte le coppie normali? Avrebbe preferito essere costretto a dover cambiare strada ogni volta che la beccasse in giro col suo nuovo ragazzo, piuttosto che sentirsi costretto a non poterla vedere più da nessuna parte se non in una stupida fotografia del passato.

-maledet...ta, maledetta te...- maledí in preda ai brividi dopo aver rigurditato anche l'anima, ancora poggiato sugli avambracci sopra la tazza del water.

-maledetta te che te ne sei andata lasciandomi solo nsto mondo de merda!...maledetti loro che non sono coscienti della gravità del problema...maledetta lei che sorride sempre... E MALEDETTO ME CHE NON RIESCO ANCORA A SUPERARLO!- esclamò nervoso forzando la presa sulla tavoletta, ancora in balía dell'alcol nonostante si stesse riprendendo (per così dire) pian piano.

-Maledetti... Maledetti tutti- borbottò infine sconfitto, accasciandosi a terra e passandosi scombinatamente la mano tra i capelli e scendendo poi sul viso, dando inizio ad una lunga serie di singhiozzi strozzati e ad una cascata di lacrime amare e calde che finirono sul pavimento freddo della casa. Di nuovo.

Era stanco. Stanco di sentirsi sempre così male e vuoto. Vuoto nel vero senso della parola. Non provava più emozioni se non il dolore e la frustazione, non pensava ad altro se non alle cose successe anni prima o a quello che sarebbe dovuto accadere. Nella sua testa però era pieno. Pieno di vita.
Dentro di lui si vedeva ancora seduto al pianoforte del locale in compagnia della ragazza dai capelli rossi o già a riempire stadi e palazzetti, già sposato e con tre bambini in giro per casa. Viveva a pieno quelle immagini, le viveva e le sentiva come se fosse necessario, come se fossero reali, peccato fossero solo immagini. Immagini non reali e che mai lo sarebbero potuto diventare, una misera dipendenza di cui non riusciva a fare a meno e che lo consumava lentamente, fino a lacerargli l'anima, svuotandolo di senso e rendendolo un inutile manichino della vita, prigioniero tra le fauci del passato. In bilico tra il vivere la vita che aveva sempre sognato e distruggersi in quella che era costretto a vivere, e a cui avrebbe dovuto adattarsi.

-non è giusto- sussurrò tra sé e sé, fissando un punto inesistente della stanza.

-non è giusto manco pe gnente-

Un lieve sorriso spento, formato da un solo angolo della bocca e formato dalla famosa ironia della sorte gli si dipinse sul viso notando a quanto quella situazione fosse familiare ad una delle tante scene vissute nel passato, ed eccolo che ancora una volta si ritrovò a vivere un altro ricordo già vissuto...

Erano passati tre giorni dal funerale di Wendy, tre giorni che Niccolò non visse per niente. Tornato a casa svuotò tutta le bottiglie che teneva in frigo o nelle credenze, che fossero di birra, di vino o di altri tipi di alcol, non gli importava, gli bastava non vederci chiaro per qualche ora.
Andò a finire che questo prese il sopravvento su tutto e Niccolò si scordò persino il proprio nome. Aveva vomitato e si era abioccato parecchie volte, ma tutto ciò che rigurgitava lo sostitutiva con altro alcol e tutto ciò che si perdeva mentre dormiva, lo recuperava  appena sveglio.
Il suo ciclo di vita girava attorno a quelle bottiglie pregiate di vetro, fino a quando il suo corpo non resse più.
Al quarto giorno Niccolò era ancora seduto per terra con le spalle al muro, giù di morale e non aveva accennato nessun movimento se non alzare il braccio per portare la birra alla bocca.
Era partito con una terzina all'inizio, ma ormai ne aveva perso il conto.
Non era più capace di pensare lucidamente, sentiva solo rumore bianco di sottofondo nelle sue giornate. Due sole frasi riuscivano a rimanere nitide nella sua mente: "non tornerà" e "non ce l'ha fatta".

Si alzò tutto d'un tratto, barcollando fino alla parete per via dello scarso equilibrio; si tenne la testa avvertendo un giramento improvviso e si diresse cautamente e goffamente verso il pianoforte, l'unico oggetto in grado di tenerlo ancora in piedi.
Si sedette sullo sgabello e iniziò a premere sui tasti alla rinfusa, creando una melodia del tutto scombinata e stonata, ma non gli importava, nemmeno se ne accorgeva. Per lui pigiare quei tasti scombinati equivaleva al vomitare e buttare fuori, almeno per qualche minuto, tutto il dolore che sentiva e tutta l'angoscia che lo divorava in quel momento.
Non si accorse nemmeno del suo volto rigato dalle lacrime e del petto scosso dai singhiozzi. Alzò lo sguardo incrociando gli occhi blu della ragazza immortalati in una foto incorniciata sopra allo strumento e senza pensarci due volte, o meglio, senza pensarci proprio, con un gesto del braccio la gettò a terra facendola rompere con rabbia.
Ora la cornice era in frantumi, proprio come il suo cuore. Tirò uno strillo di frustrazione, diede una zampata ai tasti creando una combinazione irritante di note stonate e si accasciò a terra, non avendo più le forze nemmeno per incazzarsi.
Mugulò qualcosa e continuò a fissare la porta di fronte a lui, nella speranza che si sarebbe aperta rivelandogli la presenza della ragazza bionda, o di qualcuno dei suoi amici. Chiunque, nella speranza che nessuno si fosse scordato di lui.
Liberò uno sbuffo amaro e posò la testa alla parete. Sentí gli occhi farsi più pesanti e la stanza farsi sempre più grigia. Senza nemmeno che se ne arcogesse crollò in un sonno profondo.

La suoneria di un cellulare lo costrinse ad aprire gli occhi e, nonostante il forte mal di testa, si sforzò a rispondere senza preoccuparsi di chi fosse il nome impresso sullo schermo.

-pronto?- biascicò con tono appena udibile

-Niccolò? Stai bene?- domandò la voce che aveva chiamato

-io? Sto benone! Che non si vede?- domandò a voce alta, scoppiando in una risata non voluta

-non mi sembra- in tutta risposta Niccolò bevve gli ultimi sorsi dalla bottiglia che si trovò di fianco, volendo continuare a mentire, non solo alla voce che aveva chiamato, ma anche a sé stesso.

-stai solo a casa?- si sentí chiedere ancora e strinse gli occhi per il fastidio che provava a causa di tutte quelle domande. Avrebbe voluto solo continuare a bere fino a quando il suo corpo non ne avrebbe potuto avere più, facendolo crollare, forse per l'ultima volta.

-no, non sono solo. Ci siamo io, qualche bottiglia di vino o birra non lo so- rise ancora -e tanta, ma tanta malinconia! Che dici? Sto in gran compagnia!- e mandò giù altri tre sorsi quando sentí la testa ricominciare a pulsare più violentemente e le pareti cominciare a girare.

-sai chi non c'è invece?- domandò senza dargli il tempo di rispondere

-Wendy, mi ha lasciato, per sempre- ammise e una lacrima scivolò sulla sua guancia rossa e accaldata a causa dell'alcol

-oggi le ho detto addio-

Non seppe mai chi fu lo sfortunato, per così dire, che lo chiamò quel giorno. Si era fatto due domande e aveva presupposto si trattasse di uno dei suoi amici di vecchia data che magari non aveva fatto in tempo ad andare al funerale o aveva avuto problemi durante il tragitto.
Non lo sapeva, non trasse mai una vera e propria conclusione affidabile, perché non gli importava. Che differenza avrebbe fatto conoscere o meno quel nome? Nessuna.
Che differenza avrebbe fatto trovare la sua parte di mancia all'interno della busta? Nessuna, perché alla fine a che servivano i soldi se si era appena persa una persona cara? A niente.
Nessuna somma di denaro sarebbe riuscita a ripagare la mancanza di Wendy nella sua vita, non si trattava mica di un giocattolo.

Sbuffò rassegnato, ormai convinto che restare col posteriore per terra e rimuginare su cose ormai irrealizzabili sul pavimento del bagno non fosse una delle migliori idee per completare quel che restava della sua misera vita. Così fece leva sulle gambe per mettersi in piedi.
Chiuse dolorosamente gli occhi e trattenne il respiro per vari secondi non appena riconobbe il suo riflesso nello specchio.
Senza gli occhiali che gli coprivano lo sguardo si sentiva tremendamente nudo e troppo scoperto alle supposizioni della gente.
Quegli occhi non erano suoi, degli occhi così potevano appartenere solo ad un'anima condannata proveniente dall'inferno di Dante, non ad un giovane ragazzo sull'orlo dei ventitré anni la cui vita dovrebbe già essere organizzata e programmata al meglio.
Quelle occhiaie poi...sarebbero potute arrivare benissimo alle ginocchia se avesse continuato così.
E quei lividi...Dio meglio non parlarne.

Raggiunse il salotto e alla vista degli occhiali da sole gettati sul divano fu tentato dal prenderlo ed infilarseli, ripensando al riflesso in cui si è imbattuto davanti lo specchio.
Rinunciò alla tentazione però, ammettendo che sarebbe bastato restare lontano dai riflessi, dato che non c'era nessuno oltre a lui a vederlo.
Prese una tacchipirina per calmare il dolore alla testa e, dato l'umore a terra, come di consueto l'accompagnò con il solito antidepressivo, non molto efficace a detta sua.

Ogni volta finiva per paragonarlo all'alcol: ti faceva sentire bene per un paio d'ore, magari questo a durata più lunga, ma sarebbe finito sempre per ricordarti quanto l'effetto potesse essere breve e farti sentire nuovamente una merda in un millisecondo, magari anche peggio di come eri messo prima.

Saltò la colazione ed entrò nella stanza del pianoforte, il quale gli faceva alzare la voglia di vivere per delle ore, solo che a differenza delle cose elencate in precedenza, questo non lo faceva mai cadere nel dolore, anzi, lo considerava come la chiave del paradiso, dove solo accarezzando i tasti e sfiorando lo sgabello riuscivi a dimenticarti delle torture psicologiche che il tuo subconscio ti faceva vivere quotidianamente.
Come tutte le cose presenti sulla faccia della terra però, anche questa stanza, oltre ad avere un lato positivo, ne possedeva anche uno negativo, e ogni volta che notava questo particolare Niccolò si pentiva di aver tappezzato le pareti e occupato la superficie del pianoforte con foto rappresentanti la sua, ormai vecchia, ragazza.
Eppure gli bastava abbinare le due cose insieme, musica e lei, per creare una di quelle  sinfonie su cui passava le giornate. Gli bastava incrociare quei due occhi azzurri e tornava tutto, tornava il cuore, al suo posto dove c'è calore.
Quei famosi occhi azzurri poi da una minima frase con cui avevano partecipato, erano diventati protagonisti di ogni sua canzone.
Spesso si rifugiava tra le corde bianche di quello strumento;sia per sfogarsi o sia per nostalgia, solo il pianoforte riusciva a dargli il rifugio che il grande sorriso di Wendy purtroppo non poteva più dare.
Una addirittura portava il suo nome, ma decise di tenerla chiusa in quella stanza assieme alle altre, trovandole troppo intime per mostrarle al mondo esterno.

-Resti stasera, resti di sera, che il mondo è strano e non lo voglio incontrare stasera- concluse l'ultima strofa della canzone a cui la sua affidata penna e un semplice foglio di carta avevano appena dato vita, di fronte gli occhioni emozionati della rossa che cominciò ad applaudire come se si trovasse in uno degli stadi più grandi dell'Italia.

-questa è da mettere assolutamente in scaletta! As so lu ta men te- scandí con fierezza facendo riferimento al grande sogno che il moro custodiva ancora nel cassetto.

-sempre se ce sarà na scaletta- scherzò con una punta di amarezza nella voce.

Non lo disse perché non ci credeva, anzi, lui era il primo a crederci e a sperarci con tutte le sue forze, ed era anche il primo ad immaginarsi sopra un palco circondato da milioni e miliardi di persone a fargli da coro ogni volta che ne aveva l'occasione, il problema non era quello. Il problema era la situazione che entrambi stavano vivendo e quella da cui erano appena usciti.
Wendy era stata da poco dimessa dall'ospedale con la felice notizia di aver sconfitto uno dei suoi primi malori, ancora ignara che ce ne sarebbero stati dei nuovi...
Da quel giorno seguì un lungo periodo di  gioia e spensieratezza, periodo che per Niccolò finiva ogni volta che riguardando le carte dell'ospedale gli sorgeva la domanda: e se riacadesse di nuovo?
Spesso passava notti insonne a causa di ciò, notti in cui passava le ore a stringere e coccolare la ragazza che dormiva beatamente fra le sue braccia, per paura che da un giorno all'altro non l'avrebbe più potuto fare.

-ci sarà invece e assieme a questa ci saranno migliaia e migliaia di persone provenienti da tutta Italia a cantare con te!- rispose immaginandosi tutta la scena davanti agli occhi, accompagnata dal sorriso del ragazzo che adorava quelle immagini costruite insieme su un qualcosa che per lui era fondamentale.

-ne sei proprio convinta tu eh- scherzò chiudendo lo strumento e voltarsi completamente verso di lei

-ah perché tu no?- lo canzonò inarcando un sopracciglio, consapevole di quanto anche lui credesse fermamente in quel che faceva, facendosi contagiare da una risata

-canteranno tutti quanti questa bella canzone che tu hai scritto, ed io con loro.- aggiunse convinta facendogli venire immediatamente gli occhi lucidi

-tu...tu con loro? Mi aspettavo mi accompagnassi col pianoforte!- disse mascherando la domanda iniziale

-ma faremo a serate! Il palco sarà tutto tuo, se vorrai poi mi concederai un duetto, ma per tutta la sera il palco sarà tuo ed io starò lì in mezzo a loro a fotografarti dal basso, così le foto da scartare potrò tenermele io e avrò il materiale giusto per vendicarmi quando mi sputtanerai da qualche parte come tuo solito fare- raccontò seria facendogli spalancare la bocca sorpreso

-sadica!- l'accusò vedendola nascondere un sorriso fiero

-dovrai farmi anche da manager allora, dovrai restarmi vicino ogni volta che andrò in panico prima di salire sul palco e..- iniziò ad elencare reggendole il gioco, venendo però interrotto da lei stessa

-e ti misurerò la pressione ogni volta che penserai di necessitarlo, te la farò alzare e abbassare in base ai numeri che saranno visibili sulla macchinetta- concluse prendendo posto sulle sue gambe

-per farmela alza' nun c'avrai bisogno de impeganrte- la stuzzicò uscendosene con le sue solite battutine fuori luogo. Non che le facesse sempre, semplicemente quando si trovava in compagnia dei suoi amici o della sua ragazza tutta quella timidezza che lo nascondeva in pubblico sembrava non esistere.

-e scommetto che non stavi pensando solo a quella- ci mise il suo ed entrambi scoppiarono a ridere, consapevoli che visti da fuori potessero sembrare semplicemente due poveri cretini, due poveri cretini che però si amavano alla follia.

-cazzate a parte...ti resterò sempre accanto, ogni volta che ne avrò l'occasione. Sarò la prima a fare la fila per sentirti cantare e sarò l'ultima ad andarsene per venirti a salutare- promise mentre il moro le baciava il collo.

-restami vicino che prima o poi perdo il controllo- supplicò a fil di voce, senza aumentare la distanza tra le due labbra e la pelle di lei.

-ho perso il controllo- sbuffò sconfitto sentendosi una merda ogni giorno di più.
Non sarebbe potuto andare avanti così ancora per molto.

Ciao ciao ❤️
-Fla :)

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