9. La tua più grande paura
È colpa mia. È colpa mia, mi fido sempre delle persone sbagliate. È colpa mia, non sarei dovuto venire qui. Non avrei dovuto accettare questo lavoro.
È solo colpa mia.
Morirò perché me lo sono meritato. Mads morirà. Ogni persona su questa nave morirà.
Morirà perché, ancora una volta, mi sono fidato quando non avrei mai dovuto farlo.
«Mi dispiace.»
Lui mi guarda, steso su un fianco. Siamo di nuovo soli. Io sono seduto vicino a lui sul materasso. Avevo deciso di fare il risentito, anche se forse non ha tanto senso. Del resto, ci siamo raccontati cazzate a vicenda… che colpa è quella di essere un bugiardo più bravo di me?
Comunque sia, ormai non cambia più niente. Tra neanche dodici ore inizieremo a boccheggiare, non voglio fingere di essere arrabbiato.
Non mi serviva la Terra, mi sarei accontentato di poco. Il deserto di Atlante bastava. Alcol al sapore di licheni, un pezzo di roccia mezzo deserto, aria rarefatta, non mi importava.
I miei stupidi sensi di colpa e una donna di Nettuno mi hanno fatto tornare qua dentro, e adesso…
«Mi dispiace.»
Lo so, l’ho già detto. So anche che non serve ripeterlo, non si può disfare ciò che è stato fatto.
«Sai che non è colpa tua, vero?»
Mi viene da ridere. «E di chi è, allora?»
«Di Cillian che vuole costruire una bomba di distruzione di massa, per esempio. Dei tuoi che l’hanno rubata e per non lasciare prove hanno deciso di mandare in avaria una nave con migliaia di persone al suo interno.»
Può essere che abbia ragione, eppure mi sento responsabile lo stesso. Più di tutto mi sento un ingenuo. «Non importa, comunque. Alla fine moriremo oggi lo stesso.»
Nel modo peggiore. Più brutale. Soffocati lentamente, lasciati ad annaspare.
Non voglio.
È proprio bello, e come fa essere così calmo? A me gira la testa, mi fa già male il petto. Mi sfrego le mani nell’illusione che i tremori smetteranno, lo so che non funziona ma ci provo lo stesso.
«Grazie di esserti sparato a una spalla per me.»
Sorride. Il cuore mi brucia tanto che non riesco ad apprezzarlo. «Mossa del tutto inutile, per quanto scenografica, tra l’altro.»
Sono stato io a dirlo, non troppo tempo fa, eppure non sono d’accordo. Almeno una persona ha avuto un minimo a cuore la mia esistenza, anche se non è servito a niente, anche solo per un attimo.
«Se può esserti d’aiuto, sarai l’ultima cosa a cui penso prima di morire.» Sono sincero, intendo farlo. Un singolo, solitario atto di gentilezza ricevuta, questo è quello a cui mi aggrappo. «Com’è fatta una giraffa?»
Lo vedo accigliarsi. «È un quadrupede più grande dell’uomo, di colore giallo e dal collo lunghissimo.»
Non so come faccio a riuscire a sorridere anche con questo nodo in gola da cui non passa che un filo d’aria. «Non è vero, stai scherzando.»
«No no, lo giuro! È fatta così per riuscire a prendere le foglie dagli alberi più alti.»
Ecco, ora capisco quello di cui sta parlando. «Sai che una volta l’ho visto, un albero?»
Forse ho detto la cosa sbagliata, perché il sorriso sfuma dal suo volto. «Non te la meritavi questa vita, Kay. Posso giurarti anche questo.»
«Quello che mi merito non importa più.»
«Sì che importa.»
No. Non importa affatto. Provo a immaginarmi un quadrupede giallo con il collo alto. Chissà quanto dev’essere grosso, per reggerlo. Mi alzo.
«Dove vai?»
Non rispondo. Mi formicolano le gambe, mentre ci penso. Chissà se qualcuno sulla terra sta guardando il mare in questo momento. Spero che in qualche modo senta che lo sta facendo anche per me.
«Kay, dove stai andando?»
«Sono contento che ci siamo incontrati. Sarebbe finita così lo stesso, ma non avrei avuto da pensare a niente di bello.»
Quando Ivanka è uscita per cercare di contattare il mondo esterno, ho posato l’arma sul mobiletto. Spero di non essere scarso come lui, nel rivolgermi una pistola contro. Voleva ferirsi di striscio e si è quasi ammazzato, se facessi il contrario sarebbe davvero il colmo.
Allungo la mano per afferrarla, due braccia mi circondano da dietro e mi sollevano di peso.
«Ehi! Che cazzo stai facendo?»
Agito le gambe nel tentativo di liberarmi. Porto le braccia all’indietro, afferro alla cieca quelli che sembrano i capelli e do uno strattone forte.
Nell'orecchio mi ringhia a denti stretti un lamento, ma la presa su di me anziché allentarsi si stringe, mi mozza il fiato. «No, tu che cazzo stai facendo.»
«Mi do una morte dignitosa. Non mi è rimasto altro.»
«Abbiamo ancora tempo.»
Mi dimeno, ma non molla l’osso. «Sì, tempo di soffocare in modo atroce. Tu avrai paura dell’orbita caotica, io ho paura di questo.»
«Almeno qualche ora. Solo qualche ora.»
Proprio quando ho deciso di smetterla di lottare, allenta la presa. Sospiro. «Se non lo faccio adesso non lo faccio più.»
«Lo farò io.»
Ho di nuovo i piedi per terra, ma non provo più a sfuggire dalle sue braccia. «Sì, certo.»
«Davvero. Mezz’ora prima che l’ossigeno inizi a scarseggiare ti ammazzo nel modo meno doloroso possibile. Promesso.»
«Disse quello che si è sparato da solo e ha sbagliato mira.»
Lo sento sbuffare nel mio orecchio. «Da soli è più difficile.»
«Raccontatelo pure, se ti fa sentire meglio.»
Mi appoggio all’indietro e lui mi sostiene, fermo. Strofina il volto sul mio collo. «Anche tu sarai l’ultima cosa a cui penso… e io il mare l’ho visto.»
Mi concedo il lusso di crederci. Ho creduto a sin troppe cose impossibili nelle ultime settimane, forse è sciocco, ma non ho altro che questa speranza, questo momento.
Le sue labbra sfiorano la pelle all’altezza del chocker. Le preme tanto piano che vengo scosso da un brivido. «Che ne dici se quest’affare lo togliamo, per cominciare?»
Sono costretto a chiudere gli occhi perché voglio sentirlo. «Per favore, vai avanti solo se vuoi arrivare sino in fondo.»
Altro bacio più in alto. «Perché non dovrei volerlo?»
«Hai detto tu che non l’avresti fatto.»
«Ora è diverso.»
Porto le mani dietro il collo, trovo il gancetto che lo tiene stretto e lo sciolgo. Il nastrino in pizzo scivola leggero sul pavimento e prendo una boccata d’aria a pieni polmoni che mi espande il petto. «Respiro.»
«Molto meglio» soffia, poi sento la sua lingua leccare nel punto prima nascosto dalla stoffa.
«Ah.»
Abbandono la testa sulla sua spalla ed espongo la gola. Le sue mani addosso sono l’unica cosa che mi tiene in piedi.
«Aspetta, vieni qui.» Mi incoraggia a voltarmi, tenendomi stretto, e quando mi ritrovo di fronte a lui non perde tempo.
Cerca le mie labbra con le sue e io lo assecondo. Non ho paura, adesso. Adesso voglio solo che la sua bocca continui a spegnermi il cervello.
Mi tira ancora a sé e sento i nostri corpi che sfregano l’uno sull’altro. Era da troppo che non mi piaceva farlo.
Infilo le mani tra noi e lo tocco. Gli piace, lo sento anche attraverso i vestiti, me lo conferma il suo sospiro che ingoio.
Mi sottraggo a quel bacio affannoso, riapro gli occhi, sto ansimando. Ci separa qualche centimetro, sempre qualche centimetro di troppo.
Mi abbasso, faccio per cadere in ginocchio.
«No.»
«No?»
«Quante volte nelle ultime due settimane ti sei inginocchiato per prenderlo in bocca?»
Aggrotto la fronte. «Non ne ho idea.» Sono troppe per contarle, ma che importa? È stato lui a dirlo: ora è diverso.
«Quante volte l’hanno fatto per te?»
Questa è facile. «Nemmeno una.»
Continua a guardarmi negli occhi, e si inginocchia al mio cospetto. Non ricordo neanche l’ultima volta che mi è successo.
«Non c’è bisogno…»
Tira appena il laccio dei pantaloncini che indosso, e finiscono sul pavimento. Abbassa l’intimo scomodo che copre solo lo stretto indispensabile senza neanche guardarlo.
«Sssh» sento il soffio della sua protesta tra le gambe. «Lo faccio perché voglio farlo.»
Poi schiude le labbra e mi guardo sparire nella sua bocca. Strizzo gli occhi e serro i denti per non emettere fiato.
Voglio sentirlo, mi concentro solo su questo. Le mie dita si insinuano tra i suoi capelli e sento il suono umido delle sue labbra, il calore e il gioco della sua lingua.
Devo aprire la bocca perché respirare col naso non mi basta.
Non ho neanche bisogno di incoraggiarlo con la mano dietro la nuca. Si muove lento ma sino in fondo, e ogni volta che arriva alla fine la sua gola si contrae appena e mi arriva alle orecchie un flebile verso contrariato.
Continua a leccarmi, le sue mani mi toccano l’interno coscia e mi sento bagnato dappertutto.
Non posso muovermi. Non voglio muovermi. Sentirlo. È tutto quello che voglio.
Riapro gli occhi per osservarlo. I suoi sono lucidi, ha il mento bagnato, qualche ciuffo di capelli gli è uscito dalla coda forse per come lo sto tenendo. Quando vede che lo sto guardando, interrompe un attimo quello che sta facendo e dà una leccata dalla base alla punta con un certo entusiasmo.
Ora sono io che svengo.
«Aspetta.»
Non lo so come ho trovato il fiato per dirlo, ma non voglio venire adesso.
«Non ti piace? O ti piace troppo?»
La domanda è così superflua che non si cura di aspettare una risposta. Si solleva, mi afferra per i fianchi e porta le labbra umide al mio orecchio.
Ogni volta che è così vicino mi si incastrano tutti i pensieri nel cervello.
«Andiamo sul letto?»
«Sì» ansimo, poi unisco le nostre labbra di nuovo perché senza non ce la faccio.
Mi aiuta a spogliarmi, io aiuto lui, e quando mi ritrovo sul materasso sono ancora bagnato dove è passato con la lingua e ogni volta che mi sfrego a lui il mondo si ferma.
«Come preferisci?»
Me lo domanda in tono basso, all’orecchio, poco più di un sussurro.
Non mi importa come. Lo voglio, lo voglio, lo voglio, tutto brucia e sto tremando e lo voglio dentro e lo voglio addosso.
«Tu–»
«L’ho chiesto prima io.»
Okay, ha ragione, glielo concedo. «Mi basta che posso vederti.»
Non voglio rischiare di potermi dimenticare con chi sono neanche soltanto per un attimo.
«Anche così va bene?»
È sopra di me, ma si sta reggendo al letto forse per non scaricare tutto il peso. «Sì. Sì, va bene.»
Si struscia ancora. I nostri corpi nudi si riconoscono. Lo tocco ovunque, ogni parte di me tocca ogni parte di lui, pelle su pelle, creando un attrito che manda scariche di piacere al cervello. Sento che è eccitato, i suoi sospiri mi bucano il petto.
Dalle mie labbra scappa un ennesimo verso disperato.
Come se fossi riuscito a chiederlo, infila due dita in bocca, poi si solleva appena e allargo le gambe. «Va bene?»
L’ha chiesto di nuovo, lo trovo buffo. Credo che nessuno prima di adesso l’abbia mai fatto.
Tra tutti i momenti in cui avrei potuto rispondere in modo diverso, proprio ora voglio solo che chiuda la bocca e–
«Va bene, Mads, ti prego, prendimi e basta.»
Le infila entrambe nello stesso momento, mi abbandono al materasso in un gemito involontario.
Sa quello che fa, perché gli basta qualche tocco e io già non capisco più un cazzo. Mi ritrovo con le mani alla bocca per darmi un contegno.
Ha detto qualcosa, ma non riesco a sentirlo. Sento solo il suono dei miei sospiri spezzati, una mano che mi tiene immobile e l’altra che mi sta torturando.
Voglio toccarmi. Voglio toccarmi ma so che non devo farlo, perché sto già godendo troppo e va a finire che se mi tocco–
Preme più forte e un mugolio osceno trapela persino dalle mani che mi tappano la bocca.
Ne sacrifico una e allungo il braccio verso di lui, lo prendo in mano. «Aspetta… voglio che anche per te sia bello.»
«Cosa ti fa pensare che non lo sia?»
In effetti vedo quanto gli piace, sento le reazioni immediate a ogni mio sospiro.
«Ti voglio adesso.»
Mi allarga ancora le gambe, poi si abbassa di nuovo su di me. Spalanco gli occhi, ha avvicinato il volto al mio, e nell’esatto istante in cui mi bacia mi prende con un gesto secco.
È ovunque. Nei polmoni, sulla pelle, persino sotto le unghie che gli artigliano i fianchi. Sono costretto a gemere nella sua bocca, affonda tra le mie gambe e con la lingua e ne voglio ancora, non voglio che finisca, voglio affogare qui tra le sue braccia.
Si solleva ancora, mi guarda. Non ne ho ancora abbastanza. Ho bisogno che mi baci sino a morire, per questo l’ansito che mi strappa con una spinta si trasforma in un lamento.
«Sei bello.» Me lo dicono spesso, ma non ci credo mai. Ci sto credendo adesso. «Vorrei darti tutto.»
Questo no. Questo non me l’aveva ancora detto nessuno.
Sollevo il bacino per incontrare un’ennesima spinta. I suoi occhi, le sue mani mi vogliono.
È dentro di me e comunque mi manca.
«Baciami.» Riesco a dirlo solo perché ne ho bisogno, è sia una supplica che un ordine nello stesso momento.
Obbedisce senza aggiungere altro. Ho sete delle sue labbra, sto tremando, voglio tutto e lo voglio ora, lo voglio sino al mio ultimo respiro.
Le sue spinte si fanno disordinate, veloci, profonde, il bacio diventa affamato.
È vicino, lo sono anch’io, ho l’erezione che sfrega tra i due corpi che si strusciano.
Ancora. Ti prego, ancora.
Non posso dirlo, ho la bocca impegnata, è tutto quello a cui penso. Continua lui, continuo anch’io, lo voglio. Cazzo, lo voglio come non ho mai voluto nient’altro.
Quando la scarica di piacere mi investe, lo fa senza chiedermi il permesso. Mi attraversa e mi pietrifica, i miei versi attutiti dalle sue labbra.
Non si ferma ancora, ma si separa da me per permettermi di riprendere fiato. Non tarda molto. Lo sento imprecare tra i denti, poi si abbandona su di me.
Lo sento ridere. Sorrido anch’io. Lo copro di baci sul volto. «Non avrò visto una giraffa prima di morire, ma almeno ho fatto questo.»
Anche lui mi bacia. Non come prima, un semplice gesto affettuoso che mi toglie il fiato.
«Questo non era niente che non avessi già fatto.»
«Niente di più falso.»
Perché non possiamo restare qui nudi a coprirci di baci sinché l’universo alla fine dei tempi non sarà un infinito deserto ghiacciato?
Allarme numero uno – ter.
Tutte le comunicazioni con l’esterno sono interrotte. I filtri dell’ossigeno sono andati in arresto. Totale incompatibilità della vita a bordo: nove ore.
Sospiro. «Sarà così ogni ora sino alla fine?»
«Può darsi. Possiamo disabilitare l’altoparlante in cabina, però.»
«No» non considero l’opzione neanche per un attimo. «Il conto alla rovescia ci serve.»
Sa a cosa mi riferisco. Quando sarà tempo, dovrà fare ciò che mi ha promesso.
Da fuori la cabina, talvolta filtrano urla e pianti attutiti.
«Vuoi che andiamo al ponte panoramico prima che sia finita?»
«L’universo l’ho già visto.»
«Hai già visto anche me.»
Non mi basta. Non mi basta, non mi basta, non mi basta. Vorrei dirlo, ma non avrebbe tanto senso, non arrivati a questo punto.
«Scusa, ti peso. Ora mi sposto.»
Non so come è arrivato a questa conclusione solo perché non gli ho risposto. Quello che so è che il momento dopo non è più sopra di me ed è rotolato sul materasso.
Faccio una smorfia. Sono sudato, e appiccicoso, ma del resto forse non mi vestirò mai più. Perché sforzarmi a rimettermi a posto?
Chissà se mi ammazzerebbe anche senza vestiti addosso.
Forse dovrei chiederglielo.
«Vuoi che mi vesta prima–»
«Scusa.»
Odio quando mi interrompe quando parlo. Prima non credevo di essere nella posizione di discutere, ora non mi va di sprecare tempo prezioso per farlo. «Scusa…?» ripeto, mentre lo guardo.
Non l’avevo mai visto senza vestiti. Accarezzo con le dita il corpo snello, i muscoli che guizzano al passare del polpastrello.
«Scusa. Ti ho proposto di restare su Atlante e poi mi sono tirato indietro. Non sono riuscito a impormi come avrei dovuto.»
«Almeno l’hai proposto.»
«Non è bastato.»
«Però ho pensato… è stata la prima volta che ho pensato che forse non ti facevo solo pena, forse tenevi a me.»
«Non sopportavo l’idea di ucciderti. È ancora così. È ancora così, non la sopporto, lo farò solo perché me l’hai chiesto.»
Lo so che l’idea non gli piace, come so che lo farà lo stesso. «Se c’è un modo bello di morire è questo.»
«Su una nave da crociera, lontano da casa, a vent’anni e senza un soldo?»
«Per un atto di amore e rispetto. Credevo sarei morto per un atto di disprezzo.» Gli prendo la mano nella mia e appoggio il suo palmo sul petto. «Sarò un folle, ma a me piace anche questo momento.»
So dire quanto tempo è passato solo perché l’altoparlante continua a ripeterlo. Sono persino riuscito a ridere, nelle ultime ore, chi l’avrebbe mai detto.
Le urla si sono acquietate quasi del tutto. La nave è immersa nel silenzio. All’inizio, quando qualcuno terminava la sua vita proprio come farò io, suonava l’allarme in uno squillo molesto. Devono aver disattivato anche quello, adesso.
Quando sono state annunciate due ore alla fine gli ho detto che era arrivato il tempo ma lui ha insistito per continuare ad aspettare. “Ti racconto un po’ della Terra,” mi ha detto.
Allarme numero uno – ter.
Tutte le comunicazioni con l’esterno sono interrotte. I filtri dell’ossigeno sono andati in arresto. Totale incompatibilità della vita a bordo: trenta minuti.
«Mads… adesso.»
Chiude gli occhi Resto in attesa che li riapra. Sono esausto, ho passato la notte in bianco e per tutta la giornata non ho dormito un attimo.
Avrò tempo di riposare per sempre molto presto.
«Mads?»
È allora che si riscuote e mi guarda. «Sono pronto. Vuoi rivestirti?»
«Non c’è bisogno.»
Si alza dal letto senza aggiungere altro, va a piedi scalzi sino al mobiletto.
Mi fa male il petto, però rispetto a qualche ora fa sto meglio. «Grazie» tiro fuori, ma mi accorgo che il fiato comincia a mancarmi.
«Ti prego, non ringraziarmi per questo.»
Chissà se anche lui porrà fine alla sua vita. La prima volta che ha provato a farsi del male non è finita benissimo.
Forse non lo farà, forse per gli ultimi momenti lo sto lasciando da solo. Non voglio. Non se lo merita. Il pensiero di lui che resterà qui, terrorizzato, in attesa di morire agonizzante accanto al mio cadavere ancora tiepido mi fa stare peggio dell’idea che a breve sarò morto.
Ha preso l’arma. Lo farà qui, mentre sto steso sul letto? Dovrei chiedergli di mettermi in qualche altro posto?
«Guardami. Kay, guardami.»
Deglutisco un nodo che mi si è formato in gola. Sì, posso andarmene guardando lui. Posso andarmene nelle mani di qualcuno che mi vuole bene. Questo posso farlo.
Non sta sorridendo, ma non sembra neanche triste. Il suo volto è una maschera neutra, solo lo sguardo liquido e un leggero tremore alla mano destra lo tradiscono.
Si avvicina di un passo. «Guardami» ripete, soltanto. Solleva l’arma e me la punta contro.
Schiudo le labbra per ringraziarlo, anche se mi ha chiesto di non farlo.
Toglie la sicura.
Annuncio urgente rivolto a passeggeri ed equipaggio. Annuncio urgente rivolto a passeggeri ed equipaggio.
Iperione è stato avvistato in rotta di avvicinamento. È pertanto raggiungibile tramite le capsule di salvataggio.
Spalanco gli occhi. Lui resta pietrificato per un attimo, poi barcolla all’indietro e sbatte la pistola sul mobiletto in un gesto violento.
«Cazzo.» Prende una boccata d’aria. Io sto ancora cercando di capire che sta succedendo, lui appoggia la schiena alla parete e poi scivola verso il basso. «Stavo per farlo. Cazzo.»
«Non può essere.» Mi ritrovo in piedi senza neanche capire come ci sono arrivato. «Non c’era niente che avrebbe potuto collidere con la nostra rotta. I miei avevano controllato.»
È allora che me lo ricordo.
L’orbita caotica. Prometeo, Pandora… persino Iperione. Ancora oggi, ricordo, mi sembra strano quando penso che ci sono persone vere che abitano su quei satelliti e non hanno idea di dove stanno andando.
L’orbita caotica.
Non potevano prevederlo.
Note autrice
Ebbene sì, Iperione, satellite a orbita caotica che dunque non si può prevedere in alcun modo, è passato accanto al Titan giusto in tempo.
Kieran e Mads hanno avuto qualche gioia, rotolandosi allegramente – okay, “allegramente” mica tanto – insieme sul letto, e ora... beh, sono salvi. Sempre che tutto vada liscio...
Il prossimo capitolo sarà l’epilogo, più corto del solito, quindi penso che lo posterò domani.
A presto!
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