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4. Pezzo d'asta

«Ricordami chi me l’ha fatto fare.» Ivanka osserva il fondo del suo bicchiere, pieno per metà di un torbido drink al sapore di zolfo.

Lakshmi e Shanti hanno aperto le porte della cabina di lusso per il loro festino di cui non potrebbe davvero importarmi meno di così.

Faccio scorrere lo sguardo lungo il degrado che impera per la stanza.

Siamo appena arrivati, la maggior parte degli ospiti è già strafatta o ubriaca, e il pavimento in lastroni di gomma e metallo è stato coperto di tappeti e cuscini di raso imbottiti, su cui ospiti collassati si sono afflosciati senza tanto ritegno.

Lungi da me criticare chi si lascia andare per una buona bevuta, ma sono ancora troppo sobrio per questo.

«Cillian» le ricordo, la mia attenzione catturata da un uomo con un abito importante che, sdraiato sul pavimento con gli occhi chiusi, intinge le dita in un bicchiere mezzo vuoto.

«Ricordami perché ho fatto quello che mi ha chiesto, allora» incalza, porta il cocktail affumicato alla bocca e non riesco a trattenere una smorfia solo a vederlo.

«Perché ha il coltello dalla parte del manico.»

La sento sbuffare, distolgo ancora lo sguardo e lo fisso sull’oblò che ho di fronte. Da bambino non avrei mai creduto che avrei osservato lo spazio così da vicino.

Che idea sciocca, a ben pensarci.

La Terra è nello spazio quanto Titano… né più né meno. In realtà nello spazio ci sono sempre stato.

Questa semplice informazione è stata lo shock culturale più prepotente che ho subìto da quando ho lasciato casa mia. Sulla Terra abbiamo l’illusione di essere altro, che il terreno su cui poggiamo i piedi sia il centro esatto del cosmo da cui si può partire a raggiera “nello spazio”. Invece non siamo che un pianeta che gira intorno al sole come qualunque altro.

Il solo concetto di “andare nello spazio” è così buffo. Nessuno degli abitanti di Marte pensa al viaggio interplanetario come “andare nello spazio”, sanno benissimo che nello spazio già ci stanno.

«Secondo te quanto a lungo dobbiamo restare per fare almeno finta di aver provato a socializzare?»

Sistemo una ciocca di capelli sfuggita alla coda, la torturo tra le dita. «Non so, un’ora?»

«Così tanto?»

Sto per risponderle che sono disposto anche a scendere a tre quarti d’ora, mi sento già male in questo posto, quando vedo il suo sguardo affilarsi e le sue labbra allungarsi in un sorriso felino. 

«Che succede? Devo preoccuparmi?»

«Indovina chi c’è.»

Trattengo l’istinto a non alzare gli occhi al cielo. «Non mi interessa.»

«Scommetti?»

Io non so perché volto la testa a guardare persino con la consapevolezza che potrebbe essere un’idea del cazzo.

Fatto sta che lo faccio.

La prima cosa che vedo sono le mani. Non le sue, quelle che gli stanno addosso. Sono quattro: due sui fianchi lo immobilizzano, una gli stringe i capelli per tirargli la testa all’indietro, e l’ultima sotto il mento che lo tiene appena alzato.

Ha Shanti dietro, che l’ha afferrato e si struscia come se fossero soli, e uno del piano che non conosco gli tiene la testa ferma e ha il volto vicino, le labbra a qualche centimetro dalle sue.

Porta un completo piuttosto svolazzante che gli lascia scoperta la schiena e le gambe, di un indaco intenso, uno stramaledetto collare abbinato con tanto di fiocco e sta sorridendo.

Sì, sorride.

Ho voglia di vomitare.

«Non guardarli così.»

«Io non guardo, agisco» rispondo, ma prima che possa anche fare un solo passo la mia dolce mogliettina mi afferra il polso. «Vanja, levami le mani di dosso.»

«Non puoi metterti a fare spettacolo adesso. Ci farai saltare la copertura.»

«Cosa c’entra la copertura? Se rispetto la dignità umana allora ho qualcosa da nascondere?»

«Sta sorridendo! Il tuo amichetto si sta divertendo un mondo.»

Io davvero mi chiedo se le persone intorno a me non pensano perché sono stupide o perché scelgono di non farlo.

Oppure, ancora peggio, pensano ma non lo ammettono per non essere giudicate da chi sta loro intorno.

«Perché allora non ti fai mettere tu le mani addosso da chiunque per sessanta crediti l’ora?»

«Zuccherino, io per sessanta crediti l’ora non mi alzo nemmeno dal letto.»

«Ti sei risposta da sola» mugugno. È allora che mi lascia libero, e rigiro il mio anello di barite tra le mani tremanti. «Ho bisogno di bere qualcosa.»

Il sorrisetto della donna con cui mi accompagno, per la prima volta dacché la conosco, mi provoca un fastidio insopportabile.

«Pensavo che odiassi gli alcolici di Venere. Dici sempre che puzzano di zolfo.»

«Vorrà dire che farò uno sforzo.»

Sta ridendo, la stronza. Mi prudono le mani, le gambe mi formicolano e devo tenere a bada l’istinto, altrimenti non lo so cosa faccio.

«Giustiziare a sangue freddo va bene, ma un servo del piacere diventa troppo?»

Che cosa c’entra ora questo? «È diverso.»

«Perché? Perché questo è giovane e bello?»

«Che razza di persona squallida credi che io sia?»

«Non sto insinuando nulla, solo che non capisco.»

Chiudo gli occhi. I suoni delle risate sguaiate degli ubriachi e della musica da camera svaniscono. Devo calmarmi, Ivanka ha ragione, altrimenti attireremo troppo l’attenzione e non voglio. Quando riprendo a vederla, il mondo è più nitido. «È diverso perché quelli sono come noi, se non li facessimo saltare ci starebbero addosso. È una guerra, quasi legittima difesa, okay? Uccidere è concesso.»

Continua a sorridere, come io continuo a giocare col mio anello per tenere le mani occupate. «Mh. Mi dispiace, non mi hai convinta.»

«Noi siamo nel nostro mondo. Smerciamo la merda e ci ammazziamo a vicenda… qua fuori è il mondo reale, con persone normali. Loro sono l’umanità. O almeno, dovrebbero esserlo. E il modo in cui sono viscidi, guarda come lo toccano…»

Vorrei tornare a osservarlo. Voglio monitorare la situazione, se degenerasse sarei costretto a intervenire.

Non lo faccio. Quello che provo mi si legge in faccia, non devo farmi notare. Non devo farlo.

«Sei buffo.»

«Mi disgusti.»

Non lo pensavo sino a qualche minuto fa, ora lo penso. Non ha mai nascosto di trovare le mie opinioni riguardo i servi del piacere troppo radicali, ma non credevo che mi trovasse buffo.

Fingere di sorridere mentre ti palpano non è buffo. Non è buffo quando i tuoi occhi urlano e tutti lo sanno ma è più comodo fare finta che anche tu ti stai divertendo.

«Mezz’ora e ce ne andiamo. Non la reggi un’ora qua dentro.»

Quello che mi fa male è che, per quanto ci provi, non sono diverso da loro. Anche io mi convinco di credere alla sua sceneggiata, quando mi fa comodo.

Sbatto le palpebre e riesco a vederlo accanto a me sul letto. La sua voce si era fatta così dolce, e lo sguardo languido.

Lo so che ci prova perché è costretto, eppure ci sono cascato lo stesso.

«No, andiamo adesso. Fingerò di aver avuto un malore, qualcosa mi invento.»

Non saprò mai cosa avrebbe risposto.

«Vanja! Mads!»

La voce squillante mi porta a voltarmi. Lakshmi tiene un bicchiere sollevato come a brindare, e si avvicina con un bel sorriso ampio. Non mi stupisce che sia tanto di buonumore, il suo festino è un successo.

Questo livello di ubriachezza molesta e la partecipazione così coinvolta era proprio quello che lei e sua moglie desideravano.

«Avevo davvero paura che ci aveste dato buca! Come mai avete tardato tanto?»

«Il signorino non riusciva a decidere cosa mettere» sogghigna, mi dà un colpetto al fianco.

«Colpevole!» ammetto.

In realtà, abbiamo passato le ultime due ore a lamentarci. Cillian negli ultimi tempi si è fatto più pressante, sta chiedendo sempre di più anche solo per il puro gusto di umiliarci.

Del resto, se siamo qui è proprio per questo.

«Perché non hai un bicchiere in mano? Chiamo subito il droide per rimediare!»

La biondona che sta servendo i cocktail, un droide di bell’aspetto, è proprio ciò che sto cercando di ignorare da quando ho messo piede qui dentro.

«Non preoccuparti, non c’è bisogno.»

«Ma sì, amore, tu fattelo portare che al massimo lo bevo io!»

Lakshmi esagera una smorfia afflitta.

Smorfiosa, ecco il termine perfetto per definirla. 

«Come mai oggi astemio?»

Ivanka mi passa un braccio intorno al fianco. «Sai come sono i terrestri! È uno schizzinoso…»

Accenno un sorriso. «Noto che hai solo complimenti per me oggi, tesoro.»

«Non fare il permaloso, lo sai che ti adoro!»

«Aw» il tono civettuolo mi irrita, eppure sorrido. «Che coppietta carina. Shanti mi fa davvero impazzire, invece…» lancia un’occhiata furtiva alla moglie e i suoi occhi si illuminano. «Oh, Mads, non ti ho ancora ringraziato per avermi presentato quel servo! È delizioso. Pulito, ubbidiente, atletico...»

La mano di Ivanka artiglia il mio fianco in un monito silenzioso quanto eloquente. Deglutisco. «Sì, lo è parecchio.»

«Insomma, sessanta crediti l’ora… non è proprio così economico. Però soldi ben spesi, sul serio.»

Il fianco comincia a farmi male. È una fortuna, il dolore mi distrae abbastanza da restare almeno un po’ lucido.

Non è proprio così economico.

È una persona, una persona vera. Una persona vera per sessanta crediti. Quanto cazzo avrebbe voluto pagare? Quale mai potrebbe essere un prezzo giusto per questo?

«Certo» continua, del tutto cieca davanti alla preoccupazione evidente di Ivanka e il mio meglio nascosto sguardo di puro disprezzo. «I droidi costano almeno la metà, però è diverso. Non hanno anima, capisci che intendo?»

«I droidi non hanno anima» ripeto, tra i denti, perché davvero non riesco a star zitto. «È una riflessione molto raffinata per un porco.»

Quando tornerò in cabina me la faranno pagare. Avrò rovinato i rapporti di buon vicinato, Ivanka farà rapporto, e verrò persino ammonito per questo.

Vaffanculo, non me ne pento.

Il sorriso di Lakshmi si fa più tirato. «Cos’è un porco?»

Ah, già. Non avevo considerato questo. «È un animale. Sta sulla terra.»

Non riesco a credere che le unghie ricostruite di mia moglie non mi abbiano ancora squarciato la giacca. Si schiarisce la gola e interviene: «Sono sicura che è un complimento.»

Annuisco. «Il maiale è uno degli animali più intelligenti che ci siano» chiarisco, non ho nemmeno bisogno di mentire per farlo. «Ed è anche uno dei più buoni da mangiare! I terrestri lo adorano.»

Il sorriso di Lakshmi si fa più genuino. «Oh, che pensiero carino!»

«Dovere. Sul serio.»

Quando si dilegua in cerca di altri ospiti da salutare, sento che Ivanka molla la presa. «In quale modo creativo l’hai insultata?»

«Se proprio ti interessa, sappi che tutto ciò che è uscito dalla mia bocca era vero»

«Certe volte davvero non ti capisco… vuoi ancora andar via?»

Prendo un profondo respiro. «Credo di stare un po’ meglio.»

«Dai, almeno qualche stuzzichino concedimelo!»

La parola “stuzzichino” è una discreta esagerazione. Un velo di crostino fatto col riso rigenerato con sopra uno sbuffo di mousse proteica aromatizzata a qualcosa che ricorda il granchio e non ne porta più nemmeno il nome è più vicina alla mia idea di tortura che a quella di aperitivo. «Ti accompagno, ma sappi che io questa roba non la mangio.»

«Sai, ricordo che la prima volta che ti ho visto mi hai sorpresa, ho pensato che allora non tutti i terrestri sono per forza degli snob con la scopa nel culo. Sappi che mi hai appena fatta ricredere di nuovo.»

«Non sono io snob, siete voi che vi strafogate di merda.»

«Come la fai lunga…»

Cerco il tavolo delle cibarie con lo sguardo, ma appena l’attimo dopo mi dimentico di quel che sto facendo.

Shanti non si vede più da nessuna parte, e neanche quell’uomo che non conosco.

Ce n’è un altro però, un certo Helcar che è in prima classe per miracolo e per ottenere un biglietto deve avere venduto pure sua nonna.

Ha una coda di cavallo che regge i lunghi capelli blu, lo sta toccando tra le gambe e, tenendolo premuto al muro col suo corpo, gli ha infilato due metri di lingua in bocca.

Lo so che è sciocco. Non potevo aspettarmi niente di diverso. È qui apposta per farsi strapazzare, anzi, forse qualcuno a cui piacerà gli chiederà di passare la notte insieme per un sovrapprezzo.

Così, decido che quel qualcuno sono io e quel momento è adesso.

«Non farmi fare brutte figure» sibila Ivanka, che mi corre dietro coi suoi tacchi a stiletto mentre procedo verso quella specie di orribile amplesso.

«Taci e stai al gioco.»

«Non puoi interromperli così come se nulla fosse!»

«Già, sta’ un po’ a vedere.» Attraverso lo spazio che ci separa in passi veloci. Prendo un profondo respiro, perché benché non abbia il minimo problema a frantumare setti nasali, il capo non ne sarebbe affatto contento.

Appoggio il fianco al muro con noncuranza, non sembra che si siano accorti della mia presenza. Il suono dei sospiri di Kieran, affannato mentre tenta di reggere il ritmo di quel bacio che lo sta consumando, mi fa male al petto. «Helcar» lo chiamo, abbasso il tono di voce per restare calmo. «Ti stai dando alla pazza gioia, vedo.»

Si separano, non mi spreco neanche a dare attenzione al coglione che lo tiene stretto. È stravolto, lo sguardo annebbiato, e se salta fuori che l’hanno fatto ubriacare riconsidero prima di subito i miei propositi sul setto nasale frantumato.

«Mads!» mio malgrado, sono costretto a guardarlo. «Oh, Vanja! Siete qui da tanto?»

Ivanka si è come materializzata qua accanto. «No, siamo arrivati un po’ in ritardo.»

«Che c’è? Ne volete anche voi un pezzetto?»

Un pezzetto.

L’ha detto davvero. Ha detto “un pezzetto”.

È questo che ha detto.

Gli afferra un braccio e lo strattona verso di noi. «Vale la pena, fidatevi, io me ne intendo!»

«Già. Lo so, a Lakshmi l’ho suggerito io. Non è vero, Kieran?»

«Sì.»

Non mi volto più a guardarlo. Non ce la faccio, sentirne la voce è già più che abbastanza.

«Davvero? Shanti non me l’ha detto!»

Continuare a fissare l’idiota mentre parlo a qualcun altro finirebbe per essere troppo bizzarro. Mi cade l’occhio di nuovo verso l’oblò, attraccheremo su Atlante tra qualche giorno, magari riesco a vederlo. «Quante ore ti mancano di turno, ragazzo?»

«Una e mezza.»

Helcar si lascia andare a uno sbuffo divertito. «Ve lo volete portare a casa, huh?»

Ivanka mi viene in soccorso. «Mads si è trovato bene l’ultima volta, che per lui è una specie di miracolo. Un bis mi sembra il minimo.»

«Un’ora e mezza sono novanta crediti, mi sbaglio?» incalzo, ho abbassato lo sguardo sulle mie mani, mi osservo gli anelli e inizio a contarli per perdere tempo.

«Sì, esatto.»

«Il doppio per venire con me e mia moglie nella nostra cabina adesso.»

Attimo di silenzio.

«Non credo funzioni così» risponde Helcar al suo posto.

È molto più grande di lui, è più grande anche di me. Si massaggia la barbetta blu con due dita e sorride di un sorriso di scherno.

Stringo i denti. «Funziona così perché ho deciso che funziona così in questo momento.»

Sento Ivanka tossicchiare per intimarmi di stare zitto.

«È un servo del piacere, non un pezzo d’asta. Ormai l’hanno prenotato, non importa se alzi il prezzo.»

«Sono sicura che Lakshmi e Shanti saranno–» non le permetto di finire la frase, mi butto in mezzo.

«Non è nessuna delle due cose. È solo un ragazzo.»

Lo sguardo di Helcar si fa perplesso. «C’è qualche problema?»

«Nessuno!» devo ricordarmi di ringraziare mia moglie quando saremo da soli. È chiaro che sa gestire questa situazione molto meglio di me. «Sai Mads com’è fatto, ha le sue fisse. È un tipo selettivo…»

«Vanja, amore mio» butto fuori, col fiato che mi è rimasto. «Perché non vai a dire alle nostre ospiti che andiamo a spassarcela?» per la prima volta da quando abbiamo iniziato a parlare, incrocio anche il suo sguardo. «Tu… seguimi.»

Non so con quale rimasuglio di forza di volontà mi volto e me ne vado senza nemmeno un saluto. Evito con la massima cura di incrociare gli occhi di qualcuno, per non rischiare di essere fermato.

Non appena mi ritrovo sul ponte, la musica da camera e il vociare svaniscono in un rumore indistinto. Prendo una boccata d’aria che mi espande il petto. «Scusa. Se preferivi stare là dentro puoi tornare, ti pago lo stesso.»

Non risponde, come se non avessi parlato affatto. «Tua moglie è davvero bellissima.»

«Sì, è vero.»

«Anche lei trova che i miei clienti siano mostri senza cervello?»

La prima volta che gliene ho parlato, non l’ha presa tanto bene. In questo momento, invece, ha posto la domanda con la naturalezza di chi mi sta dando ragione senza molto risentimento.

«No. Però mi ama, quindi rispetta quello che penso.»

«Sei un uomo molto fortunato.»

Mi sfugge un sorriso. Da quando ho perso tutto e mi sono dovuto piegare a questa vita del cazzo, non mi sono mai ritenuto un uomo fortunato.

Invece lo sono. Tanto per cominciare, quando tra noi ci sarà un’arma puntata io sarà dal lato giusto e lui da quello sbagliato.

«Già, talvolta me ne dimentico.»

«Dai l’elemosina a tutti i servi del piacere che stanno ai piani di sotto?»

La domanda mi prende così alla sprovvista che smetto di respirare per un attimo. Quando ci siamo conosciuti non me l’avrebbe mai chiesto. Mi piace che si prenda la libertà di essere maleducato, ogni tanto. Con me si sente al sicuro.

Con me si sente al sicuro. Farebbe ridere se non mi rendesse il più mostro di tutti, qua dentro.

Non so se posso farlo. Non so se ci riesco. Forse dovrei chiedere a Ivanka, so che lo farebbe senza dirlo a nessuno.

Eppure, mi sembra ancora peggio.

Merito di guardarlo negli occhi sino alla fine e sentirmi quanto più male possibile mentre faccio ciò che va fatto.

«Non ti do l’elemosina.»

«Mi dai i tuoi soldi senza che io faccia nulla perché la mia esistenza ti rende triste: è elemosina.»

«La tua esistenza non mi rende triste, e non è neanche vero che non fai niente… mi fai un’ottima compagnia, per esempio. Davvero gradevole. Gli individui che girano qua ai piani alti, al contrario… diciamo che non amo associarmi a personalità di quel tipo.»

«Ti prego…»

«È vero. E qualche sera fa mi hai venduto una bottiglia di etanolo, anche quello è un servizio.»

«Ti ho venduto una bottiglia di etanolo che hai lasciato nella mia cabina.»

Lascio andare un sospiro, mi stringo nelle spalle. «Non andrò in bancarotta per questo.»

«Non mi hai risposto.»

«Mh?» lo guardo di sottecchi, sembra più in sé di qualche minuto fa. Anche lui mi sta osservando. Imbocchiamo le scale mobili, tento disperato di non farmi ingoiare dal turchese intenso delle sue iridi senza successo.

«Ti ho chiesto se riservi questo trattamento a ogni mio collega.»

Faccio una smorfia. «Non sono così ricco.»

«Io non sono così speciale.»

Non è vero. È speciale per tanti motivi, che se rivelassi non lo renderebbero affatto contento.

Quasi tutti, quantomeno. Alcuni forse sì. Alcuni gli piacerebbero.

Solo che… «Tu ti sei seduto al mio tavolo, quel giorno. Sei tu che mi hai scelto.»

Solo che mi sono affezionato. Mi sono affezionato e non so più cosa fare.

«Ho scelto bene» mormora, così piano che non riesco neanche a capire se volesse essere sentito. «Sono felice di averlo fatto.»

Tutto quello che riesco a pensare è a quanto si pentirà di averlo detto.

E mi sento affogare.

Note autrice
Le turbe mentali di Mads, gente.
Insomma, riuscirà a farlo fuori oppure i sensi di colpa avranno la meglio?
So che attendete con trepidazione (cioè mi odiate da morire) il momento in cui salterà fuori il segreto di Mads e il DRAMMA andrà in scena, lol.
Temo che avrete ancora da aspettare, per quello.
Il prossimo capitolo, però, devo dire che mi piace parecchio. È dal punto di vista di Kieran e succederanno... cose. Diciamo che da ora in poi ogni capitolo sarà parecchio parecchio intenso.
La prossima volta che volete fare un complimento a qualcuno, mi raccomando, ricordatevi di dargli del porco!
A venerdì :*

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