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3. L'Impenetrabile

«Kay?»

I sensori presenti in entrambe le orecchie mi trasmettono la voce di Neeve come se fosse nella mia testa. Con un gesto del dito, disattivo il padiglione sinistro per restare cosciente di ciò che mi circonda.

«Kay, mi ricevi?»

«Sono qui.»

«Novità di qualche tipo?»

Mi lascio andare a un sospiro. Sono sul letto, e la mia cabina ha appena chiuso i battenti. Basta clienti, per la giornata.

Neeve ha sempre avuto un ottimo tempismo.

Questa chiamata è un po’ strana, non era prevista, e il tono della donna al pronunciare quelle prime tre parole non mi è piaciuto affatto. Mi turba. «Non è giorno di rapporto.»

«No, infatti» sento la sua voce assottigliarsi. Sono stanco, e sudato, e ho davvero bisogno di una doccia e di provare a riposare. Ho raggranellato una settantina di crediti oggi, da quando mi sono affacciato in prima ho iniziato a guadagnare più del solito. «Ma sono passate due settimane e non ti sei fatto più sentire, alla base sono preoccupati.»

«Mi sono infiltrato in prima classe, vedrai che dieci giorni massimo e…»

«In prima classe? Hai approcciato Cillian?»

Ho bisogno di qualcosa da bere. So che quello che faccio è importante, ma questa pressione non aiuta. Anzi, rischia davvero di avere l’effetto opposto. 

«No.» chiarisco, e riesco quasi a vedere la sua espressione corrucciata attraverso la linea che passa nello spazio siderale che ci separa. «Ma sono stato invitato a una festa al suo piano. Ci sono quasi.»

Quella donna, Lakshmi, non è che mi abbia trattato peggio di tutti gli altri prima di lei… anzi, è stata più gentile di diversi di loro. Eppure non piace a Mads, lui non ha tentato nemmeno di nasconderlo, e devo ammettere che questo mi ha messo in allarme.

Mads è un tipo strano, ma è evidente che non vuole farmi del male.

«Quando?»

«Tre giorni.»

Silenzio. Una parte di me spera che mi dica di lasciar perdere, non ne vale la pena. Non voglio farlo, mi frutterà un bel po’ di crediti ma l’idea di una festa non mi piace, né mi piace l’idea di quella donna.

Rivedo lo sguardo di Mads, uno sguardo che urla disprezzo. Non mi torna. Lui non guarda nessuno così, neanche me che in genere ne sono l’oggetto.

«I tempi stanno iniziando a dilatarsi troppo, Kay. Ho bisogno di meno sogni e più concretezza.»

«Sogni? Di quelli non ne ho più da un pezzo.»

E, se pure li avessi, di certo non includerebbero Lakshmi e i festini dissoluti nella sua cabina. Al massimo, se proprio fossi costretto a sognare, sognerei il mare.

E magari un bicchiere di rosso.

Scuoto la testa per spazzare via quell’immagine e riprendere ad ascoltare il capo. «Se la nave attraccasse su Teti prima di impossessarti dei piani lo sai che succederebbe, non è vero?»

«Certo che lo so.»

«Non sembra.»

Mugugno una protesta che sarebbe una risposta scortese. «Se i piani arrivassero su Teti, Cillian farebbe partire la produzione della bomba H» ripeto, perché non sono uno sprovveduto come pensa.

«Convertirebbe l’idrogeno di Saturno in energia nucleare. Gli consegnerebbe una potenza di fuoco che non possiamo permetterci.»

«Lo so.»

«Sai quante tonnellate di idrogeno sono presenti su Saturno?»

«No» sospiro. «Ma scommetto che tu stai per dirmelo.»

«Quattrocentocinquantamila miliardi di miliardi.»

Sollevo entrambe le sopracciglia. «Beh, un numero considerevole.»

«Potrebbe spazzare via la vita su qualsiasi delle colonie. Potrebbe prendersi il controllo della Terra con un dito.»

«Lo so. È per questo che sono qui. Me lo ricordo benissimo.»

Sento un silenzio che si allunga carico di una pesantezza che mi stringe il petto sino a farmi scricchiolare le costole. 

«Se in dieci giorni non avrai trasmesso i piani, manderemo la nave in avaria.»

Non sono sicuro di aver sentito bene. «Scusa, non ho capito.»

«Siamo nei sistemi del Titan da prima che ci mettessi piede. Abbiamo mandato te come soluzione non violenta, ma se dovremo sacrificare qualche vita per salvare l’equilibrio del sistema solare lo faremo.»

«Qualche vita?» sibilo. «La mia vita?»

«Ci sono sempre le capsule di salvataggio.»

«Le capsule di salvataggio non serviranno tra dieci giorni, saremo troppo lontani da qualsiasi satellite di approdo.»

«Mi dispiace.»

«Ti… dispiace?» mi manca l’aria. Ci sono diecimila persone su questa nave, tra cui me. Un respiro strozzato mi raschia la gola. «Stai bluffando. Non sei nel sistema. Il Titan… il Titan è impenetrabile. Non si può accedere, non… è scritto anche sulla fiancata.»

«Mi dispiace. Davvero. Se può consolarti, continuo a credere che ce la farai.»

Bugiarda. Mi ha chiamato proprio perché si è arresa. Ha già deciso che fallirò, che sono sacrificabile.

Cazzo, aveva deciso che sono sacrificabile già da prima di spedirmi qui dentro.

«Non ti credo. Stai bluffando» ripeto, perché non può essere vero. Non posso crederci.

Con la coda dell’occhio, vedo qualcosa luccicare di rosso. Mi alzo a sedere, in allerta. Il pannello che mi consente l’uscita dalla cabina ha acceso la spia che segnala la chiusura ermetica.

Saltò giù dal letto a piedi scalzi. Mi avvicino, in teoria dovrebbe scorrere su un lato e lasciarmi uscire in corridoio. Non lo fa.

Sento il cuore che, pesante come un sasso, crolla giù schiantandosi sullo stomaco. «Sei stata tu?»

«A fare cosa? Sigillarti in cabina? Alzare la temperatura a trenta gradi?»

Sposto lo sguardo al condizionatore. Da diciotto, i gradi di mantenimento della stanza sono saliti a trenta. Non me n’ero nemmeno accorto.

«Come hai fatto?»

«Non c’è niente di impenetrabile, Kay. Confido che ne farai presto tesoro e metterai le mani sui piani che ti ho chiesto. Chiudo

Continuo a osservare la spia rossa sul pannello. Non sono mai stato claustrofobico, ma mi sento soffocare. La mia cabina di terza classe consiste in un letto matrimoniale che mi serve per lavoro e occupa quasi tutto lo spazio disponibile nella stanza, un piccolo armadio, lo stipetto refrigerato, e la porta che dà sul bagno. Non ha neanche un oblò e mi rendo conto di essere sul punto di sentirmi male.

Le ginocchia mi cedono, mi accascio seduto sul letto e inspiro un filo d’aria che mi straccia i polmoni.

Porto solo una veste da camera che mi copre a malapena le braccia, la schiena e le parti intime, eppure, già accaldato dall’ultima sessione di lavoro piuttosto intensa, ho ripreso a sudare.

Su Titano non fanno mai trenta gradi, ho impostato la temperatura interna a diciotto perché, anche con i lastroni di riscaldamento, non ho mai provato niente più caldo di questo.

Boccheggio, sto per soffocare. La vista si appanna, e forse neanche ci arrivo tra dieci giorni. Forse morirò ora, adesso, intrappolato nella mia cabina senz’aria e a morire di caldo.

Devo calmarmi. Devo calmarmi, pensare a come uscire da qui. Devo farlo perché se non riprendo in mano questa missione ammazzeranno me e tutti i passeggeri qua dentro.

Ho visto dei bambini, qua in giro. Cazzo.

Cazzo.

Come esco di qui? Non penserà davvero di lasciarmi chiuso dentro.

Mi bruciano gli occhi, non voglio andare nel panico ma mi rendo conto che non riuscirò a evitarlo.

Mi dispiace.

Non ci credo. Non credo più a nulla di quello che dice. Pensavo che le importasse della vita delle persone, pensavo le importasse di me, ma non era vero. Non era vero niente.

Il sensore sulla porta luccica di verde. Sbatto le palpebre perché non riesco bene a mettere a fuoco. Qualcuno l’ha aperta dall’esterno, qualcuno–

«So che è tardi, ma ho visto che era ancora aperto.»

Mi basta questo per capire due cose. La prima: che Neeve ha invertito la chiusura della porta che era sigillata dall’interno verso l’esterno e non più il contrario. 

La seconda: che lui è qui.

Alzo gli occhi, ritrovando una forza che avevo perso.

Che abbia cambiato idea?

Non so se questo mi fa sentire meglio o peggio.

Preferisco stare con lui che con gli altri che vengono a farmi visita qua sotto, ma devo ammettere che mi piaceva che fosse diverso. Che non volesse questo da me, che volesse... altro.

«Per te è sempre aperto.»

L’ho detto perché è il mio miglior cliente? Perché è quello che mi ha fatto guadagnare di più sino a questo momento? Perché devo tenermelo buono? Certo.

L’ho detto perché è quello che penso? Vero anche questo.

Resta fermo sull’uscio. «Che caldo fa qua dentro?»

«Problemi al clima.»

«Ti chiamo qualcuno?»

«Non c’è bisogno.»

Per la prima volta in assoluto, la sua pena lascia il posto a qualcos’altro. Sento i suoi occhi addosso e ricordo solo adesso di essere parecchio… scoperto.

Che sia uno spiraglio? Mi alzo in piedi, segue ogni minimo movimento con attenzione. «Ti va di stare un po’ con me?»

L’ho a malapena soffiato. Riesco a vederlo trattenere un respiro, pietrificato.

Odio quando mi compatisce. Non posso sopportarlo. Questo, d’altro canto… non mi sento minacciato dal desiderio che dardeggia nel suo sguardo.

Forse è perché è diventato davvero l’unica persona in tutto l’universo che non sembra intenzionato a farmi alcun male, ma credo che giacere con lui potrebbe essere persino bello.

«No.»

La risposta mi arriva addosso come uno schiaffo. Vorrei dirgli che sono io che lo voglio. Che moriremo tutti molto presto e voglio almeno questo, almeno un’ora con qualcuno che non mi considera un mezzo.

«Sei bellissimo, lo penso sul serio» continua, è tanto rigido che sembra stia trattenendo apposta qualsiasi movimento. «Sono sicuro che sei anche molto bravo, e in un altro contesto… non importa. Sai che non voglio e sai anche il perché. In realtà… in realtà sono venuto qui per comprare dell’alcol.»

Tra tutte quelle possibili, questa era l’ultima richiesta che mi aspettavo.

«Alcol?»

«Non ne hai neanche un goccio?»

«Ho un po’ di etanolo con sciroppo di zucchero.»

Sta sorridendo, individuo un minuscolo spasmo delle sue labbra. «Andrà benissimo. Ti bastano ottanta crediti?»

La bottiglia, che al momento sta allo zero assoluto, è a malapena piena per due terzi e, persino sigillata, di crediti ne valeva appena quindici.

«Hanno finito tutto l’alcol ai piani superiori?»

Accenna una smorfia. «Lo prendo come un no?»

Perché non dovrei vendergli un po’ di etanolo per ottanta crediti? Cos’ho da perdere?

«Te lo porto subito.»

Al caldo sulla pelle si sono aggiunti il caldo allo stomaco e quello al centro del petto. Neeve mi ha fatto crollare il mondo addosso, ora questo.

«Tutto bene?»

«Certo. Perché?»

«Stai tremando.»

Ha ragione. Non mi sono ancora ripreso dalla deliziosa e gradevolissima notizia che il mio fallimento porterà alla mia morte e quella di migliaia di persone.

«Se dicessi che è colpa del freddo ci crederesti?»

«Un titanico al freddo con trenta gradi?» lo sento sbuffare una risata nel momento in cui estraggo la bottiglia e mi assicuro che lo stipetto sia ben chiuso. «Sarebbe allarmante, dovrei chiamare il medico.»

«Tieni.»

Afferra quello che gli offro senza neanche curarsi di guardarlo. Non si neanche se si è accorto che ho già bevuto dal suo contenuto. «Ti hanno fatto del male? Posso occuparmene io.»

Neanche i miei si curano di cosa o chi mi fa del male, non vedo perché dovrebbe curarsene un terrestre che viaggia in prima classe e non ha neanche intenzione di toccarmi con un dito.

La proposta genuina mi annoda una protesta in gola. Potrebbe morire per colpa mia e non posso neanche dirglielo. Non ha fatto che aiutarmi e l’ho ripagato con una bugia.

Neanche rispondo, perché non può salvarmi ma anche perché se potesse non avrei diritto a chiederlo.

«Hai detto di odiare l’alcol delle colonie.»

«Anche tu hai odiato il mio rosso, però l’hai bevuto lo stesso.»

È diverso. È ovvio che è diverso, lo sa lui come lo so anch’io. È diverso perché mi ha riempito di crediti e devo cercare di compiacerlo, non siamo allo stesso livello e non lo saremo mai.

Mi dà fastidio, sembra che dia fastidio anche a lui per motivi che non comprendo, ma resta comunque la verità.

«Quello è fatto apposta per non piacere la prima volta, l’hai detto tu.»

Solleva la bottiglia che regge per il collo. «Beh, ho appena comprato questa per ottanta crediti e non posso scolarmela da solo, ti va un goccetto?»

Mi siedo sul letto, divarico appena le gambe e lo vedo occhieggiare sotto per un minuscolo istante. Il pomo d’adamo si abbassa, deglutisce.

Gli sorrido. «Siediti pure accanto a me, avanti.»

«Sul materasso?»

«Beh, qui sedie non ce ne sono, quindi…»

Entra nella stanza e la porta si chiude al suo passaggio. Tra un po’ qua dentro sarà una fornace, forse sto per morire e odio ogni scelta che mi ha portato in questo momento.

Ogni cosa perde d’un tratto importanza, sento il letto abbassarsi e lui è seduto accanto a me.

«Hai un bicchiere?»

«No.»

Non è vero, ho più di un bicchiere, è capitato altre volte che un cliente arrivasse qui con qualcosa di forte da mandare giù.

Eppure sento che voglio stuzzicarlo un po’. Mi piace come mi guarda.

Chiunque altro mi guarda e vede qualcosa che gli piace. Lui mi guarda, e ho la assurda e inappropriata sensazione che veda qualcuno che gli piace.

Lo vedo, che si sta sforzando di non fissarmi, che scrupolo bizzarro.

È carino.

Cioè, è davvero uno stupendo esemplare da combattimento con cui vorrei tanto rotolarmi sul letto, ma è anche carino.

Mi passa la bottiglia, la afferro, svito il tappo. Non posso ubriacarmi in servizio, in teoria non potrei mai farlo, devo essere lucido per portare a termine il mio compito.

Sto per morire, non mi interessa.

No. Devo reagire, non posso arrendermi così. Devo reagire, devo farcela, altrimenti… 

Mando giù un grosso sorso per sfuggire dai miei pensieri.

«Devo preoccuparmi?»

Allungo la bottiglia e la afferra. «Abbiamo tutti un problema da annegare sul fondo di un bicchiere.»

«Qual è il tuo?»

Sorrido. Vorrei che lo assaggiasse dalle mie labbra. Vorrei voltarmi, salirgli su a cavalcioni, azzerare i pensieri mentre mi esplora la bocca con la lingua. 

«Ti dico il mio se tu mi dici il tuo.»

Accenna un ghigno. «Bella risposta.»

Trangugia anche lui un sorso, il volto corrucciato in una smorfia di disgusto. 

«Vedo che hai speso bene i tuoi ottanta crediti. Si vede che ti piace tantissimo.»

«Poteva andare peggio» sospira. «Potevo essere con qualcun altro.»

Trovo questa frase un po’ offensiva nei confronti della moglie. Il primo giorno che ci siamo conosciuti mi ha detto di essere in viaggio di nozze, che si sia già pentito?

Non rispondo. I suoi occhi addosso mi bucano il petto.

«Lo togli mai?» insiste, riempiendo il silenzio.

So a cosa si riferisce, al motivo per cui deglutire si è fatto doloroso. Il nastrino di stoffa che mi stringe il collo.

«Solo quando devo metterne uno nuovo.»

«Neanche per dormire?»

«Non mi è concesso.»

Mi ha passato la bottiglia, ma anziché bere la appoggio al mobiletto per metterla via. Lo vedo accigliarsi, confuso, è allora che gli prendo la mano.

Trasalisce, trattengo il fiato anch’io. È la prima volta in assoluto che i nostri corpi si toccano.

La porto alla mia gola. Sfiora il chocker con le dita fresche, sento il rizzarsi della pelle d’oca. Non è più rigido, si è sciolto, mi accarezza il collo e sale al volto.

La temperatura nella stanza continua ad alzarsi. Vorrei spogliarmi, sarebbe troppo. Non voglio che vada via. La sua mano arriva alla nuca passando dietro l’orecchio.

Non voglio uccidere questo innocente. Voglio annegare in lui sino a scordarmi persino di respirare.

Il suo indice accarezza le mie labbra umide. Le schiudo, mi sporgo appena in avanti perché le insinui nella mia bocca.

Si ritrae, riporta la mano sul materasso. «Non posso.»

«Non fa niente. Non devi fare nulla che non vuoi, mai.»

Mi rendo conto che, detto da me, suona ipocrita e quasi un controsenso. È per questo che è importante. Non voglio che viva neanche un attimo di quello che provo, non voglio che provi quello che vivo. Non lo merita.

«Vorrei che fosse vero.»

Darei ogni singolo credito che ho accumulato, per sapere cosa lo turba. Non riesco neanche ad aiutare me stesso, ma lui… 

Si alza in piedi. «Devo andare, sarai stanco.»

Non voglio che vada. Non voglio restare solo dopo quello che è successo. Non lo dico, ma sono certo che i miei occhi parlano per me.

Con la mano destra, giocherella con l’anello sulla sinistra. Non è la prima volta che lo vedo farlo.

«Non devi per forza…»

«Invece sì. Ti mando qualcuno per il clima. Non preoccuparti del prezzo.»

A volte non lo capisco. Mi sembra che tenga il mio volere di conto, ma ogni tanto dà l’idea che non abbia nessuna intenzione di stare a sentire quello che penso.

«La bottiglia, prendila. È tua.»

«Te la regalo. Piace più a te che a me.»

Mi rendo conto di fargli pena. L’ho capito dalla prima volta che l’ho visto. Eppure, non è la sola ragione che l’ha portato qui.

«Buona notte, Mads.»

«Buona notte. Grazie di avermi concesso la tua compagnia.»

Non voglio che mi ringrazi di questo. Non faccio in tempo a dirglielo, che il pannello si chiude e lui è scomparso. 

Le labbra bruciano là dove le ha sfiorate con le dita. Riesco ancora a sentire il suo tocco.

Mi assicuro che la bottiglia sia chiusa a dovere, poi mi accascio sul letto e la appoggio, gelata, sulla fronte.

Non voglio che si prodighi tanto per me, ma non avrei retto una notte intera con questo caldo.

Neeve.

La sua voce continua a infestarmi nel profondo.

Se in dieci giorni non avrai trasmesso i piani, manderemo la nave in avaria.

Dieci giorni. Cosa sono, in fondo?

Non sono niente. Solo tutto quello che mi è rimasto.

Note autrice
Abbiamo iniziato il conto alla rovescia!
Il Titan, presunto “impenetrabile”, è stato hackerato da Neeve, la referente di Kieran, e tutti i civili verrano sacrificati nel nome di un bene superiore... a meno che lui non si impegni per evitarlo.
Abbiamo saputo di più e meglio cosa è successo e lo scopo per cui Kieran è lì. Cillian, l’uomo di Mads, trasporta i piani per una “bomba H” che attinge idrogeno da Saturno per incenerire colonie intere.
Robetta, insomma!
Intanto, sul versante ship, Mads si è mostrato un po’ meno ingessato. Che si stia ammorbidendo?
Nel prossimo capitolo ci sarà il festino di Shanti e Lakshmi, in cui Kieran farà da, ehm, “intrattenitore” e a cui chiaramente è invitato anche Mads.
Se provate almeno un po’ di curiosità, non avete che da aspettare qualche giorno! Le teorie, comunque, sono sempre apprezzate.

Infine, vi lascio queste cosine adorabili che sono una fanart di Mari_Blackstar e le moodboard dei personaggi principali di Frankie-03 che mi fanno sempre innamorare quando lo guardo!

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