2. Quello che si fa con i cani
«Com’è andata?» Ivanka, alla toeletta, si sta liberando dai due pesanti orecchini con pendente che le incorniciavano il volto.
«A te? Quel droide è stato di tuo gradimento?»
Sorride e mi lancia un’occhiatina attraverso lo specchio. «Eh no, l’ho chiesto prima io.»
Sto sdraiato sul matrimoniale spazioso della prima classe, distolgo lo sguardo dalla donna imbellettata e osservo gli ologrammi che ruotano sul soffitto. La mia attenzione è catturata dalla costellazione del Cigno. «È andata bene. Tutto secondo i piani.»
«Ha abboccato?»
«Il coglione se l’è bevuta. Letteralmente, aggiungerei. Ho perso quasi mille crediti tra mangiare, bere, e il privilegio della sua compagnia.»
«Non avrai esagerato un po’?»
«Ho dovuto. Dovevo assicurarmi che continuasse a ronzarmi intorno come programmato.»
«Ha funzionato?»
Mi sfugge un soffio divertito. «Secondo te ha funzionato? Sono bello, viaggio in prima, e l’ho coperto di crediti senza nemmeno scoparmelo.»
«Sarà meglio. Cillian ci sta addosso, se non riusciamo a tenere il ragazzo sotto controllo…»
«Vanja, relax. Vieni qui, avanti.» Batto la mano sul posto vuoto accanto a me. «Sta andando tutto liscio.»
La sento sgonfiarsi in uno sbuffo. Volto gli occhi appena in tempo per vederla abbandonarsi sul lenzuolo sfatto. «Sarà meglio che questa tua sicurezza porti risultati» borbotta. «Lui com’è? Non l’ho ancora visto.»
«Com’è? Mh…» riesco ancora a vederlo, come se l’avessi di fronte in questo momento. Il collare borchiato che fascia la pelle pallida della sua gola, il completo in pizzo nero. «L’hanno scelto perché passasse per un servo del piacere. Come vuoi che sia? Bellissimo.»
«Già che ci sei, te lo potresti portare a letto.»
Quest’idea mi fa inorridire. Non perché non amerei mettergli le mani addosso, sono sicuro che sarebbe magnifico, ma… «Sai che non mi piace. Gliel’ho anche detto. Gli ho detto che quelli come lui non li toccherei nemmeno con un dito, che trovo mostruoso anche solo pensarci.»
«Mi sembra un ottimo modo per diventare suo cliente» sibila, senza neanche provare a tenere a bada il sarcasmo.
«Fidati, quel tipo non mi molla più. E si vede da lontano che non è uno di loro, tra l’altro.»
«Hai detto che è bello.»
«Cazzo, sì. Sembra finto. Ma quelli… quelli ci provano come squali, ti guardano e l’attimo dopo ti sono saltati addosso. Questo era più… più sul genere cucciolo bastonato.»
La bocca di Ivanka, ancora coperta di gloss, si piega in una smorfia. «Che brutta immagine.»
L’espressione di pura meraviglia di quello sfortunato, che aumentava per ogni dettaglio sulla vita terrestre di cui gli ho parlato, lampeggia davanti ai miei occhi e un scrupolo anomalo mi accartoccia il petto. «Un po’ quasi mi dispiace» ammetto.
«Che cosa?»
Ma che razza di domande. «Che dovremo abbatterlo come un cane.»
Non è turbata dalle mie parole, non che mi sorprenda. Ivanka è in questo mondo da molto più di me. «È questo che si fa con i cani? Si abbattono? Non ne ho mai visto uno.»
«No. Non sempre, almeno. Solo con quelli pericolosi.»
«E con gli altri? Cosa si fa?»
«I cani… i cani si amano. Si nutrono. Si educano. Si viziano.»
«Ne hai mai avuto uno?»
«Sì.» Una maltesina minuscola, mia sorella al tempo l’ha chiamata con il nome d’arte della sua cantante preferita: Babygirl. Ricordo ancora il giorno in cui è morta.
«Era bello?»
Era da tanto che non ci pensavo. Voglio smettere. Mi isso in piedi. «Vado a fare rapporto. Tu vieni?»
«Non ho trovato niente, al sopralluogo. Il tuo cucciolo bastonato sa tenere i segreti.»
«A Cillian non piacerà.»
«A Cillian non piace mai un cazzo.»
«Questo è… inappropriato quanto vero, temo.»
Lei sorride. Tra tutte le persone che potevano affibbiarmi come matrimonio di copertura, Ivanka è di certo la migliore. È brava, non prova eccessivo rimorso, e possiede la rarissima capacità di comprendere il mio senso dell’umorismo.
Da bambino pensavo sul serio che mi sarei sposato. Non avrei mai immaginato di farlo per finta, con una donna che a malapena conosco, per riuscire a uccidere un poveraccio.
Aggiusto il fazzoletto che ho al collo, sono diretto verso la cabina del capo. Devo portargli buone notizie, ma proprio non riesco a essere soddisfatto di me stesso.
Non è che non abbia mai ucciso nessuno, ma di solito mi portano lo sfortunato davanti e non devo fare altro che premere il grilletto. Questa cosa dell’infiltrato, avvicinarmi a lui… cazzo, questo è diverso.
Soprattutto considerando che “lo sfortunato” non è un coglione del giro ma un servo del piacere che ha già una vita di merda e ci manca solo che la strappi via prima che riesca anche solo a pensare di tirarsi fuori dallo squallore in cui è invischiato.
A Cillian non piace mai un cazzo.
Quanto è vero. Il problema è che anche a me inizia a non piacere quello che ha da dire. Anzi, negli ultimi tempi mi sembra di portare a lui tante buone notizie quanto lui mi sommerge di problemi da risolvere.
Un droide impomatato mi passa accanto proprio mentre esco in corridoio e mi rivolge un’occhiata di sussiego. Un’occhiata di sussiego che, come sempre, non significa niente.
Questi aggeggi sono quasi identici a noi ma non provano nulla, non sono nemmeno vivi. Il rispetto che il droide appena passato prova per me è la mera manifestazione di un’impostazione di fabbrica, e non è in grado di apprezzare la mia compagnia più di quanto non lo sia il climatizzatore che tiene a ventitré gradi Celsius la mia stanza.
Li odio. Sono inquietanti. Guardo nei loro occhi e trovo un vuoto cosmico più grande di quello che al momento stiamo attraversando a velocità di crociera.
Ci sono persone che si affezionano a questi trabiccoli, che riescono a dimenticare di star guardando l’equivalente di un aspirapolvere che però riesce a sorridere. Diamine, c’è gente che si accoppia con loro.
Certo, sempre meglio che un essere umano fatto di carne, ossa, emozioni e desideri, ma…
“Ma” nulla. Devo entrare, adesso.
Cillian mi chiederà se il ragazzo ha abboccato all’amo, e io risponderò di sì. Mi offrirà un bicchiere della schifezza chimica che qui tutti trangugiano come cammelli, io fingerò che mi piaccia. Se anche sarà irritato dal mio dispendio di denaro, gli passerà perché gli assicurerò che presto ne sarà valsa la pena.
Sono fermo davanti alla porta della cabina più lussuosa della nave. A breve si aprirà e io fingerò di stare bene.
Concorderemo che sarà il ragazzo a venire da me almeno un’altra volta, poi io potrò cercare il contatto. Graviterà intorno a me in cerca del progetto e io lo depisterò facendogli credere che c’è andato vicino perché non si allontani mai dal mio giro.
Poi scenderemo a terra, lui sarà a mani vuote… e dovrà morire.
Mostro il volto allo scanner sulla sinistra. La spia si accende di verde, il pannello metallico scorre rivelando la mia meta.
È tutto perfetto. Allora perché sto così male?
🪐🪐🪐
Sto giocando con l’anello con la pietra di barite che porto all’anulare sinistro. Tra tutti è in assoluto il mio preferito. La gemma di scintillante colore giallastro incastonata sull’acciaio proviene dalla penisola del Sinis, mia madre è originaria della zona e ricordo ancora lampi d’infanzia che ho trascorso sulla spiaggia.
Su Titano non ci sono spiagge, la temperatura in superficie è troppo bassa per trovare acqua allo stato liquido. Sotto la crosta di ghiaccio ci sono oceani da cui con le trivelle estraggono il tanto che basta per permettere alle colonie di sopravvivere.
Sono più di quindici anni che non sento il verso di un gabbiano, eppure in qualche modo mi rigiro l’anello al dito e riesco a riviverlo nella mia testa.
È da tre giorni che bazzico i locali comuni della prima classe in cerca del mio cucciolo bastonato. È più sicuro che sia lui a tentare un approccio almeno una seconda volta, ma se tarderà dovrò avventurarmi ai piani bassi io stesso.
Con Ivanka mi sono mostrato ottimista, e in effetti ammetto di averci creduto anch’io. A quanto pare, i duecento crediti che gli ho dato non sono stati sufficienti a catturare la sua attenzione, e neanche io.
È strano, ma una parte di me è sollevata.
La vetrata di prua copre l’intera parete del ponte panoramico. Se tutto va secondo i piani, domani dovremmo attraccare su Mimas e la maggior parte degli ospiti scenderà per acquistare inutili suppellettili nella speranza di tornare a casa con una storia da raccontare.
La mia speranza è che anche lui decida di spassarsela sulla terraferma e ciò mi permetta di ispezionare la sua cabina come Ivanka ha tentato di fare giorni fa. Magari io avrò più fortuna.
È difficile, i servi del piacere non hanno così tanto tempo libero. L’unica ragione per cui la mia dolce mogliettina è riuscita a ficcanasare è che io lo tenevo occupato quassù.
«Disturbo?»
Non mi ritengo un grande fisionomista, ma è sufficiente una sola parola per farmi capire chi è spuntato al mio fianco.
Sposto lo sguardo dallo sfocato anello di satelliti, roccia e ghiaccio che gravita intorno al pianeta madre.
È qui, non ci prova nemmeno a fare lo smaliziato. Mi chiedo come facciano i suoi veri clienti a credere a questa stronzata del servo del piacere, ma mi rendo conto che certi trogloditi partano da un livello neuronale molto basso.
«Certo che disturbi. Non lo vedi quanto sono impegnato?»
Non credo abbia colto il sarcasmo, perché solleva le sopracciglia e schiude le labbra, balbettando una scusa.
«Sto scherzando» metto in chiaro. Mi chiedo cos’abbia fatto di male per meritarmi questo povero sfortunato tra i piedi che alimenta i miei sensi di colpa ogni volta che apre bocca.
Beh, a parte il traffico d’armi, le esecuzioni, e l’insabbiamento di flussi dall’ammontare di qualche centinaio di milioni di crediti. Questo è ovvio.
«Tua moglie? Giù da qualche droide?»
«Se non erro, oggi si è data alla piscina.» Il che, tra parentesi, corrisponde alla verità.
«Non ti piace la piscina?»
«Sono più tipo da mare» rispondo, anche questa è la verità. Non ho bisogno che mi dica che al mare non c’è mai stato, e non credo di riuscire a sopportare di sentirlo. «Se intendi convincermi a giacere con te nella tua cabina, mi trovo costretto a rifiutare. Il passare dei giorni temo non abbia sortito effetto alcuno riguardo a un eventuale cambio di posizione.»
«Non intendevo–»
«Pur tuttavia» aggiungo, e come ogni volta che interrompo una sua frase a metà i suoi occhi si accendono di irritazione. Sono maleducato, so che lo pensa. So che pensa che mi sento più importante di lui e che attribuisco a quello che dice una minima se non nulla importanza. La cosa buffa è che è proprio il contrario. Trovo le sue parole laceranti sino all’insopportabile, per questo faccio di tutto per evitare di ascoltarle. «Se avrai piacere, posso offrirti altri duecento crediti per una veloce incursione al ponte ristorante.»
Se questa non fosse una copertura, alzerebbe almeno a due e cinquanta. Ha capito che per me è importante, e ha capito anche perché. Sa di farmi pena.
Non sa che mi fa pena per il motivo sbagliato. Mi fa pena perché, la prima e unica volta che riuscirà a inginocchiarsi davanti a me, non mi abbasserò i pantaloni come si aspetta ma gli pianterò un proiettile nel cranio.
Non contratterà, però. Anzi, penserà di rifiutare… solo che non se lo può permettere, quindi cederà.
«Certo.»
Un po’ quasi mi dispiace.
L’ho detto a Ivanka pochi giorni fa. Non mi ha preso sul serio, è stato un errore che per sua fortuna non pagherà. Sono abituato a ingoiare rospi, ingoierò anche questo.
«Giornata piena?» domando, comincio a camminare. Ha l’aria più sbattuta dell’ultima volta che l’ho visto.
Il collare che ha al collo è diverso dall’altro, di raso rosso, e stringe appena sulla carne del suo collo.
«Diciamo che mi sono divertito parecchio.»
Se era un tentativo di farmelo immaginare ingarbugliato in più posizioni possibili sulle lenzuola umide, c’è riuscito. Purtroppo, per quanto trovi l’immagine allettante, diciamo che quello che provo è più vicino all’idea che ho dello squallore.
Chissà quante volte si farà usare come un oggetto per un obiettivo che non porterà mai a termine per colpa mia.
«Oh, lo immagino.»
Uno sfarfallare di ciglia e l’espressione per un attimo si increspa in una smorfia imbronciata.
Adesso sì che ha colto il sarcasmo.
«Non te la prendere, è il mio modo di sdrammatizzare.»
In queste parole c’è molta più verità di quello che voglio fare credere.
Lui mi guarda. Gli occhi turchesi riflettono le sfumature del vuoto infinito. Anche lui è abituato a ingoiare rospi, forse più di me.
Cazzo, altro che rospi, lui dev’essere abituato a ingoiare di tutto. Mi piacerebbe vederlo arrabbiarsi con me. Mi piacerebbe che avesse la libertà di dirmi che sto esagerando.
Non ce l’ha, e mi rendo conto di essere almeno tanto sporco quanto quelli che si approfittano del suo corpo. Del resto, non vorrebbe essere davvero nemmeno qui con me.
«Com’è il mare?»
Cambia argomento perché ho ragione. Si vergogna, odia stare qui, ed entrambi dobbiamo fare finta che non sia così per il solo fatto che sono una brutta persona.
«Il mare… il mare» mugugno, tra me e me. Come si fa a spiegare il mare a chi non l’ha mai visto? «Hai presente quando guardi nel vuoto siderale dello spazio infinito e pensi di essere così piccolo da non esistere? Anzi, no, non lo pensi… lo senti. Senti di essere tanto piccolo che forse nemmeno esisti, ed è sia spaventoso che bellissimo e nemmeno sai perché.»
Un guizzo di interesse nel suo sguardo. «Sì.»
Per qualche motivo, provo l’illusione che sia la verità. «Il mare ti fa sentire così, ma anziché essere vuoto è pieno e in più ti dà un senso come di… libertà. Lo spazio separa, il mare connette. Mi spiego?»
«Mhm.»
Ecco, questo sembra già meno la verità.
«Perdonami, quello che dico non ha senso.»
«Non è vero.»
Accenno un sorriso. Lo dice solo per compiacermi, perché deve farlo. Sono diventato un animale e mi detesto per questo. «Hai fame?»
Tanto vale essergli un po’ utile, che si mangi qualcosa di buono. Al ponte ristorante ci sono così tanti posti tra cui scegliere, sono certo che ne troverà qualcuno di suo gradimento.
Cazzo, che sto dicendo? Mi sembra di parlare di un manzo di Kobe, lo rimpinzo perché sia più mansueto quando sarò costretto a–
Ucciderlo. Quando sarò costretto a ucciderlo.
Lo vedo di nuovo in ginocchio e sento la lingua annodarsi.
«In realtà un po’ sì.»
«Beh, io no!» esclamo, e mi fermo tanto di scatto che per non sbattermi addosso ancora un po’ e inciampa sui suoi stessi piedi. «Andiamo a bere qualcosa, hai bisogno di un altro po’ di rosso. Il gusto acquisito va allenato, ne abbiamo già parlato.»
«Hai detto…»
«Ho cambiato idea.» Chissà che razza di personaggio improbabile pensa che io sia. Nulla che comunque si avvicina alla verità. «Noi terrestri siamo un po’ lunatici. Lo imparerai.»
Eccolo, quel lampo. Eccolo di nuovo. Stavolta non riesco a capire perché.
«Mads!»
Questa voce non rientra tra quelle che mi interessano, devo voltarmi per scoprire a chi appartiene.
Lakshmi, una donna della prima che fa parte della noiosa rete sociale in cui mi sono dovuto inserire per non dare nell’occhio, si avvicina con un cocktail giallo neon di cui non voglio neanche immaginare il contenuto. È abbinato alla sua borsa, chissà se l’ha fatto apposta.
«Lakshmi» le mie labbra si distendono in un sorriso. È una bella donna, curata. In prima sono tutte belle donne curate, perché possono permetterselo.
Ha un vestito rosso e oro intricato e svolazzante e sembra troppo brilla e di buonumore perché riesca a sopportarla più del minimo necessario.
«Non c’eri in piscina?»
«Se ci fossi stato mi avresti visto, so farmi notare.»
«Vanja ha parlato di te tutta la sera! Sai che ti adoro, ma è stata di una pesantezza che non ti sto a raccontare…»
Già. Ivanka si è calata nella parte della mogliettina in luna di miele con un po’ troppo fervore. L’idea la fa ridere, si diverte un mondo.
Non ho il tempo di rispondere. Gli occhi neri approfonditi dal mascara si piantano sul mio compagno. Allunga il braccio, fa scivolare la mano lungo la sua schiena e si ferma appena un attimo prima che diventi inaccettabile per un luogo pubblico.
Odio – odio – quando qualcuno mette le mani addosso senza permesso.
«Ciao, tesoro. Che ci fai quassù?»
Lui si è irrigidito, e posso percepire il mio stesso sorriso affilarsi. Soffio dalle narici un respiro che mi si è formato nei polmoni per pronunciare una risposta di cui non andrei fiero. O forse sì. Forse è del silenzio, che non vado fiero. «È con me.»
«Carino» commenta, gli sorride e poi sposta la mano dal suo fondoschiena per arruffargli i capelli rosa pastello sulla testa. «Come si chiama?»
È questo che si fa con i cani?
La domanda di Ivanka mi raggela più della volta in cui l’ho sentita con le mie orecchie qualche sera fa.
«Perché non lo chiedi a lui?»
Lakshmi mi guarda come se avessi appena pronunciato delle parole prive di senso logico, poi alza un sopracciglio e si volta verso di lui.
Lo vedo deglutire. «Kieran.»
«Non sono ancora scesa giù a prenderne qualcuno» sospira, malinconica.
Sento l’aria soffiare fuori dalle narici di nuovo. «Davvero un gran peccato.»
«Per quanto hai detto che l’hai prenotato?»
«Non l’ho detto.»
«Tra quanto sei libero, tesoro?»
Stronza, ora che ho smesso di essere collaborativo sì che lo interpella. «Un’ora.»
«A quanto?»
Se fossi in lui, alzerei il prezzo. In prima il valore di mercato lievita, lo sanno tutti. «Sessanta crediti.»
Novellino. Riesco a vedere le mani di Lakshmi e di sua moglie Shanti che risalgono lungo la sua gamba, che gli sfiorano il collo.
Riesco a vedere i suoi occhi in tumulto che bruciano quando vorrebbe scostarsi per sottrarsi al tocco senza poter fare nulla per evitarlo.
Che schifo. Che schifo, com’è possibile? Che razza di persona devi essere per scendere a patti con questo?
«Cabina 189. Ci vediamo tra un’ora» cinguetta. «E tu di’ a Vanja di trovarsi un hobby, se sento un altro sospiro sui tuoi occhi blu mi faccio eiettare in una capsula di salvataggio.»
Dovrebbe farsi eiettare senza una capsula di salvataggio. Non lo dico, ma ho paura che il mio sguardo sia più eloquente di qualsiasi suono abbia appena soffocato in gola. Non importa, non mi sta più guardando, sorseggia il suo drink e se ne va.
Lui è rimasto immobile per tutto questo tempo. Io schiudo le labbra, inspiro un po’ d'aria che mi gonfia il petto.
«Kieran?»
Mi guarda. Non ha bisogno di dire nulla. Non serve che neanch’io commenti quello che ho appena visto, sa come la penso a riguardo. Per un attimo sembra che mi sfidi ad affrontare l’argomento, poi i suoi occhi lampeggiano della supplica di non farlo. «Sì?»
«Andiamo. Non abbiamo molto tempo.»
Mi avvio verso il ponte aperitivo, il cinquantadue, e mi chiedo come si fa a spendere trecento crediti per un bicchiere di spazzatura e sessanta per disporre a tuo piacimento di un essere umano.
Note autrice
Ma!? Eravamo rimasti a una spia e ora ce ne sono due? Che storia è mai questa?
Ebbene... sì, le spie sono due. Peccato che soltanto una di loro sia arrivata a saperlo.
Mads lavora per Cillian, l’uomo su cui Kieran deve mettere le mani, che l’ha mandato a depistarlo e tenerlo d’occhio. Non solo, quando non avranno più il limite della nave e saranno liberi di filarsela dovrà ucciderlo.
Insomma, in qualche modo mantiene una sua morale, ma diciamo che non è esattamente quello che definirei un pezzo di pane.
Chissà se Kieran lo scoprirà prima di ritrovarsi in ginocchio con una pallottola nel cervello, o solo una volta che sarà troppo tardi.
Non vi resta che continuare a leggere per scoprirlo!
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