VII. FAMILY
\ - 89 giorni \
it was dark and I was over
until you kissed my lips and you saved me
▶️Set fire to the rain, Adele
Una leggera tensione inizia a diffondersi nel mio petto, accelerando di conseguenza anche il mio respiro e il mio battito. I passi che mi separano dal sontuoso ingresso di casa Leclerc sono sempre di meno, ma paradossalmente quando bussiamo alla porta sento che tutta l'ansia fluisce via, privandomi di un peso che non sarei riuscita a trattenere ancora a lungo.
Sentiamo un urlo provenire da dentro la casa, che ci sembra un "Lolo, vai tu", e poco dopo la porta si spalanca davanti a noi.
Lorenzo, il fratello maggiore di Charles, ci accoglie con un sorrisone ed un abbraccio che da conforto sia a me che al ragazzo al mio fianco.
<<Sono felice che siate venuti, mamma si è impegnata tanto per cucinare.>>ci dice Lorenzo mentre varchiamo la soglia della villa, chiudendo poi la porta alle nostre spalle.
All'interno la casa è molto accogliente, grazie alle pareti color corallo che le attribuiscono un'aria serena e pacifica e ai mobili che si intonano perfettamente tra di loro. La tv appesa al muro proietta una partita di qualche videogioco di guerra e dalle pentole lasciate sul fuoco fuoriesce una nuvola di fumo, che si disperde poi nel caldo ambiente della casa.
Sul divano in velluto grigio è sdraiato Arthur, il più piccolo della famiglia, intento a giocare alla Play Station. Quando ci vede, interrompe immediatamente la partita e ci corre incontro saltellando, per poi avvolgere sia me che Charles in uno strambo ma tenero abbraccio.
Quando si divide da noi, posa il suo sguardo su di me e, sorridendomi, mi tende la mano.<<Piacere io sono Arthur, il fratello minore di Charles.>>
<<Rachel, piacere mio.>>rispondo, ricambiando la sua stretta con un sorriso altrettanto sincero.
<<Mamma come sta?>>è la prima cosa che dice Charles da quando abbiamo messo piede qui dentro. Il suo tono è serio e intriso di dolore e basso, appena percettibile.
Noto immediatamente che gli sguardi dei suoi due fratelli si incupiscono notevolmente, ma nessuno ha il tempo di dire nulla poiché sentiamo dei passi farsi sempre più vicini, e successivamente una donna fa il suo ingresso nel salone.
<<Ragazzi, quanto siete belli. Sono così contenta di vedervi.>>esordisce Pascale, la madre di Charles. Ci corre incontro con aria euforica e mi avvolge a sua volta in un caldo abbraccio, che apprezzo molto.
Quando è il turno del figlio, sento che gli dice:<<Charles tesoro, te lo chiedo per favore: tagliati questa barba. Te l'ho detto mille volte che ti fa assomigliare ad uno scappato di casa.>>
<<Secondo me mi sta benissimo, mi fa sembrare più adulto.>>si oppone Charles, non riuscendo tuttavia a trattenere un sorrisino. Guarda la madre dritto negli occhi, molto simili ai suoi, esattamente come si guarda il proprio idolo: con ammirazione, dedizione e affetto incondizionati.
<<Non illuderti, tu per me sarai sempre mon petit Charlie.>>afferma Pascale, scuotendo la testa e stringendo per un'ultima volta il figlio, per poi lasciarlo andare.
<<Sei uno splendore Rachel, davvero. Sono felicissima di conoscerti finalmente.>>mi dice poi la donna, regalandomi il più solare e ampio dei suoi sorrisi.
Con la coda dell'occhio, noto che i tre fratelli si scambiano sguardi tristi, accompagnati da vaghi cenni del capo che non mi fanno ben sperare. Infatti successivamente, quando siamo seduti a tavola e intenti a gustarci la crostata ai mirtilli di Pascale, la donna esordisce di colpo:<<Ragazzi, vi ho riuniti tutti qui per un motivo preciso.>>
Ci zittiamo immediatamente, mentre i tre fratelli impallidiscono d'improvviso.
Pascale non smette mai di sorridere, nemmeno quando dice:<<I dottori mi hanno detto che sono peggiorata, e dovranno tenermi in ospedale a partire da domani per monitorarmi.>>
La mano di Charles va subito a posarsi su quella della madre, mentre Arthur e Lorenzo, seduti rispettivamente a destra e a sinistra di Pascale, appoggiano le loro braccia sulle spalle della donna, circondandogliele. Successivamente lei li attira tutti e tre in un abbraccio scomposto, per poi posare sorprendentemente il suo sguardo su di me.
<<Prenditi cura di loro.>>mi mima con le labbra, assicurandosi che i figli non se ne accorgano.
Annuisco.
È una promessa che ci facciamo implicitamente io e lei, senza dirci niente, con i suoi figli che sono sull'orlo delle lacrime inconsapevoli del nostro piccolo accordo.
E così dovrà rimanere.
Nessuno verrà mai a sapere di questa nostra promessa, quasi fosse un segreto di cui il resto del mondo non deve essere messo al corrente.
<<Starai qui a Monaco?>>domanda Arthur, senza mai staccare il viso dal grembo della madre.
Quest'ultima annuisce placidamente, senza mai perdere la calma né il sorriso.<<Si, mi hanno caldamente consigliato di farmi curare dagli stessi medici che mi hanno sempre seguita. Però questa volta non dovrò rimanere soltanto due ore, purtroppo.>>
Tutti e tre restano in silenzio, rimanendo nella medesima posizione, mentre io abbasso lentamente il capo, sfregandomi gli occhi in modo stanco.
Indubbiamente non era la notizia che mi aspettavo, ma avevo capito anch'io che le condizioni di Pascale stavano peggiorando a vista d'occhio, per quanto poco io la veda.
Charles ha sempre cercato di mascherare il suo dolore, o almeno in mia presenza, ma mi rendo conto che soffre tanto. Quando mi accompagnava a casa dopo aver incontrato la madre, vedevo dalla finestra che stava sempre un quarto d'ora nella sua macchina, con la testa appoggiata sul volante e il corpo scosso dai singhiozzi.
Però non ha mai pianto in mia presenza.
Sarei potuta anche scendere un istante dopo averlo visto piangere in macchina, e l'avrei sicuramente trovato raggiante come cerca sempre di esserlo con me.
Non si sarebbe mai fatto vedere in lacrime, non da me.
Sarà perché forse non vuole la mia pietà, o forse perché il suo orgoglio gli impone di non mostrarsi fragile ai miei occhi.
Eppure in questo momento si è lasciato andare, senza curarsi della mia presenza.
Da lì in poi Pascale devia il discorso e parliamo di altri argomenti, quali le gare dei figli, il mio lavoro e i progetti per eventuali future vacanze.
Solo una volta in macchina, quando siamo soltanto io e Charles, torno a sfiorare implicitamente e nel modo più delicato possibile l'argomento.<<Tutto bene?>>domando.
Charles distoglie per un secondo gli occhi dalla strada per fissarmi dritto negli occhi e regalarmi uno di quei suoi mezzi sorrisi con le fossette in bella mostra.
Non dice niente, tace.
Quello sguardo significa più di quanto le parole possano mai esprimere, e a noi basta così.
Ci siamo già intesi.
Perfino se fossimo al telefono a centinaia di chilometri di distanza, sapremmo subito intenderci anche senza parlare.
<<Stai da me?>>mi chiede, quando arriviamo alla rotonda dove normalmente dovrebbe girare a destra, per andare verso casa mia.
Annuisco, perché in fondo è quello che implicitamente mi ha chiesto. Se non avesse avuto davvero bisogno di me, mi avrebbe semplicemente portata a casa senza domandarmi di rimanere da lui.
<<Non avrei mai pensato che mia madre finisse così, ti giuro che stava benissimo fino a poco tempo fa.>>mi confessa una volta entrati nel suo appartamento. Entrambi abbiamo davanti una tazza di tè fumante e siamo io seduta su una poltrona e lui sul divano, ad osservarci.
Resto in silenzio, dandogli la possibilità di sfogarsi senza interromperlo.
<<Mia madre è sempre stata una donna super attiva. Guidava per Monaco, andava a trovare le sue amiche a Nizza e andava perfino in Italia da sola. Non che ora non lo faccia più, ma da quando le hanno diagnosticato la malattia non è più la stessa. Si è come spenta, ha perso tutte le sue energie. Si mostra forte di fronte a me, ma ho parlato con Arthur che vive sempre con lei e mi ha detto che sta per la maggior parte del giorno rannicchiata sul divano a piangere o fissare il vuoto.>>spiega Charles, facendo una pausa per prendere un ampio sorso di tè, o più probabilmente per nascondere gli occhi velati di lacrime dietro la tazza.
Quando incrocio nuovamente il suo sguardo, le lacrime che avevo captato prima nei suoi occhi sono ormai sparite, e resta soltanto il vuoto.
Quel vuoto che conosco bene, perché è stato a lungo parte di me. Quel vuoto che ti mangia da dentro, che ti priva di tutte le tue energie e che ti lascia lì inerme, a terra, a tormentarti e ad annegare nelle tue stesse paure.
Quando ho saputo che mio padre era gravemente malato, ho passato uno dei periodi più brutti della mia vita. Mia madre si rifugiava nell'alcool, mio fratello era chissà dove a fare qualche servizio fotografico che credeva potesse dargli qualche nuova opportunità, ed io ero completamente sola. Passavo il giorno in ospedale accanto al letto di mio padre, a studiare e prepararmi per la laurea imminente. Laurea alla quale, purtroppo, mio padre non ha più potuto assistere perché se n'è andato proprio una settimana prima.
Mi diceva sempre Io sarò lì tra il pubblico ad applaudirti anche quando tutti saranno in silenzio, ed io ci credevo. Ci credevo davvero.
Per tutta la vita avevo sognato quel momento, in cui avrei discusso la mia tesi e avrei scorto tra il pubblico gli occhi di mio padre che mi guardavano fieri ed orgogliosi della donna che ero diventata, dei progressi che avevo compiuto, dei sacrifici che ero stata costretta a fare per essere lì.
Ma lui quel giorno non c'era, o almeno non fisicamente.
E so che in questo momento Charles sta pensando proprio a questo, al fatto che quando conquisterà il suo primo titolo mondiale sua madre potrebbe non esserci più, potrebbe non avere più il punto di riferimento che ha avuto fino ad ora.
Potrebbe finire tutto, da un momento all'altro.
Nel lasso di tempo di uno schiocco di dita, potrebbe ridursi tutto in macerie.
E la sola cosa che puoi fare è restare a guardare il tuo mondo che cade a pezzi, trascinandoti giù con lui.
Tenti di aggrapparti a qualcosa, qualsiasi cosa, ma inevitabilmente fallisci.
E quando cadi, fa terribilmente male.
Ti viene sbattuta in faccia la realtà, come uno schiaffo in pieno viso, che tu puoi soltanto accogliere in silenzio senza protestare.
Andrà meglio, ti ripeti, col tempo tutto si aggiusterà.
Tempo.
Si, inizialmente aiuta fissarsi su questo presupposto, che è sufficiente che il tempo passi per rimettere le cose a posto.
Ma poi, alcuni mesi dopo, un altro schiaffo in pieno viso.
Solo lì ti rendi conto che la tua vita fino a quel momento si è basata su una menzogna, sulla falsa convinzione che solo il tempo potesse lenire il dolore.
Tempo.
Questa volta, l'unico su cui scaricare tutte le colpe è lui.
E' un riflesso incondizionato, spesso non spontaneo, che ci porta a stabilire che il tempo a volte possa ferire più di quanto guarisca.
Non ci rendiamo conto, però, che siamo noi a ferirci da soli. Usiamo pretesti e scuse e capri espiatori, ma alla fine la colpa è solo nostra, e non del tempo come ci piace credere.
<<Come pensi finirà?>>mi domanda Charles, sottovoce, come se quelle parole gli facessero troppo male per pronunciarle a voce alta.
Sollevo le spalle, regalandogli un sorrisino timido. Charles distoglie lo sguardo, gli occhi carichi di lacrime che prontamente nasconde dietro la tazza di tè.
Il suo sguardo continua a essere perso in un punto indefinito in direzione del terrazzo, mentre il mio non si stacca un attimo dal suo viso, al fine di cogliere ogni minima reazione da parte sua.
E qualcosa, dopo un quarto d'ora buono, lo colgo.
Il suo pomo d'Adamo inizia ad andare su e giù troppo velocemente per essere definito un movimento spontaneo, e la sua guancia sinistra viene rigata da una silenziosa lacrima, probabilmente sfuggita inconsciamente.
Dopo aver adagiato la mia tazza sul tavolino basso in vetro, mi alzo immediatamente e cammino verso di lui, con passo più silenzioso possibile. Mi siedo sulle sue gambe, cingendogli il collo con le braccia e incastrando la mia testa nell'incavo del suo collo.
Charles resta leggermente sbigottito dal mio gesto, tuttavia ricambia il mio abbraccio e mi stringe forte al suo petto, scosso dai singhiozzi che si stanno intensificando. La mia schiena duole lì dove lui sta aumentando la presa, eppure non riesco a farci caso.
Il suo dolore fa decisamente più male del mio.
Le sue braccia continuano a stringermi, mentre il mio capo è scosso dai singhiozzi ripetitivi provenienti dal suo corpo. Sento le sue lacrime bagnarmi i capelli, che lui prontamente accarezza con dolcezza, e continuo a tenere le braccia arpionate al suo collo finché lui non me le stacca dolcemente. Pone il viso davanti al mio e mi guarda dritto negli occhi. Poi mi bacia.
Mi bacia con furore, con ardore e con prepotenza, e mi morde le labbra e la lingua finché non sento il sapore metallico del sangue in bocca. Inizialmente ricambio per istinto il bacio, mettendoci tanta passione quanta ce ne mette lui, ma poi mi blocco e lo allontano appoggiando delicatamente la mano sul suo collo.
<<Non credo sia il caso, non ora.>>gli rammento, senza però alcuna traccia di rimprovero né nella voce né nello sguardo.
Charles non allontana gli occhi dai miei, quelle iridi cariche di sentimenti contrastanti ma mischiati tutti insieme che mi mettono i brividi, tanta è la loro potenza.
<<Dammi una distrazione, ti prego.>>mi implora, e si vede che ne ha davvero bisogno. Si vede che mi sta pregando di distogliere la sua attenzione dal dolore, e lo capisco. Lo capisco perché anch'io, come lui, nei momenti bui cerco disperatamente qualcosa che allontani i miei pensieri da quell'insistente sensazione di vuoto.
Cerco qualcosa che mi porti via dalla crudele realtà.
Senza dire più niente, mi fiondo nuovamente sulle sue labbra, questa volta con più calma ma con lo stesso desiderio di prima.
E così ci ritroviamo davvero in un altro mondo, solo nostro, che allontana entrambi dal dolore, da questa spietata realtà che sembra non voler altro che distruggerci.
Eppure siamo qui, insieme, di nuovo, immersi nel nostro idilliaco universo in cui possiamo finalmente essere mano nella mano, pelle contro pelle.
Insieme.
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