PRESENT
how am I supposed to think about anything else?
how am I to go on keeping this to myself?
▶️Anyone else, Joshua Bassett
Il cielo è particolarmente terso questa mattina sopra al tracciato di Spielberg, che ci accoglie con la tipica atmosfera delle ore che precedono la gara.
Charles è particolarmente agitato quest'oggi, più del solito. Riesco a percepirlo da come cammina e da come muove nervosamente le mani, mordendosi qualche pellicina di tanto in tanto.
Partirà dalla seconda casella, al fianco di Max Verstappen, e questa rivalità tra i due non può che acuire ancor di più la sua solita ansia da prestazione.
Charles, arrivati all'hospitality, si accomoda ad un tavolo, facendomi cenno di sistemarmi di fronte a lui. Aspetta che anche il suo personal trainer Andrea si sieda al tavolo con noi per chiedere:<<Come sono le previsioni per questo gran premio?>>
<<Se intendi metereologiche, abbastanza brutte. Dicono che pioverà praticamente per tutta la gara. Se invece intendi riguardo alla macchina, ieri sera abbiamo lavorato sui freni e abbiamo modificato quella componente di cui avevamo già discusso venerdì, con cui avevi detto che ti trovi meglio.>>spiego, narrandogli poi più nel dettaglio in cosa consiste la modifica che abbiamo effettuato.
Lui annuisce ad ogni frase, guardandomi incantato come se stessi parlando dell'argomento che gli sta più a cuore. E sono certa che sia proprio così.
<<Quindi concretamente quante probabilità abbiamo di arrivare davanti a Max?>>chiede poi, dopo che io ho finito di parlare.
Andrea ridacchia, inclinando leggermente la testa di lato per poi rispondergli:<<Su quello non sarei molto ottimista. Anche la Red Bull ha fatto dei cambiamenti importanti durante questo weekend, da loro non mi aspetterei meno di un secondo posto. E poi bisogna anche includere il fattore Mercedes, che non è assolutamente da sottovalutare.>>
Charles fa cenno di sì con la testa, per poi rivolgere la sua attenzione a me, come per chiedermi il mio parere sull'argomento. Io mi limito ad annuire, dimostrandogli che sono d'accordo con tutto quello che ha detto Andrea.
Mangiamo pranzo velocemente, per poi separarci una volta finito. Andrea va a ricontrollare il piano di allenamento della prossima settimana, mentre io e Charles ci ritiriamo nel suo stanzino, come prima di ogni gara.
<<Ti vedo più agitato del solito.>>esordisco di botto, sistemandomi meglio sul divanetto presente nella stanza, tra le sue braccia. Rimango girata in modo da riuscire comunque a vedere i suoi occhi, anche per domandargli:<<C'è qualcosa che non va?>>
Charles scuote la testa, sorridendo per tranquillizzarmi. Ma il suo silenzio iniziale e in seguito il suo repentino cambio d'argomento hanno totalmente l'effetto opposto su di me.
Parliamo in modo disinvolto di altri argomenti che non riguardino la Formula Uno, fino a che, gettata un'occhiata all'orologio che porta al polso, non ci rendiamo conto che manca mezz'ora esatta alla gara.
Ci alziamo entrambi dal divanetto, con la solita lieve ma fastidiosa ansia addosso.
Prendo i suoi guanti e la mia attrezzatura per monitorare i dati della vettura durante la gara, mentre lui afferra il casco e la balaclava con un movimento secco, che sfiora quasi lo stizzito.
Dopo pochi minuti, i nostri sguardi tornano ad incrociarsi.
Nel suo vedo una strana agitazione, come se fosse particolarmente preoccupato per qualcosa, come avevo già vagamente notato a pranzo.
<<Sicuro che vada tutto bene?>>chiedo ancora, sapendo già che però celerà i suoi sentimenti come al solito, trasformandoli in qualcosa di più proficuo per poi sfoderarli in gara.
Ma, al contrario di ciò che avevo previsto, ha esattamente la reazione opposta.
<<Perché mi hai mentito?>>
Il sangue mi si gela nelle vene.
Non so minimamente cosa rispondergli, il panico sale in me e non mi sento più in grado di formulare una frase intera. Alzo soltanto un sopracciglio, fingendo di essere totalmente ignara del soggetto del suo discorso.
<<Stamattina ho visto il test di gravidanza in bagno. Cazzo Rach, devi dirmele queste cose. Che cosa pensavi? Che non me ne sarei mai accorto?>>sbotta, allargando le braccia con rabbia ed esasperazione. Poi aggiunge, abbassando la voce:<<È mio?>>
Annuisco.
Anche lui annuisce, prima di mettersi le mani tra i capelli e far fuoriuscire un intenso sbuffo dalle sue labbra.
<<Charles...>>inizio, avvicinandomi a lui per tentare di calmarlo.
<<Charles un cazzo, mi avevi detto che stavi prendendo la pillola. Era una stronzata pure quella?>>chiede, arrabbiato come non l'ho mai visto da quando ci conosciamo.
<<Quindi questo dimostra quanto ti fidi di me. Secondo te sarei mai stata capace di mentire su una cosa del genere?>>domando retorica, alzando a mia volta il tono di voce.
<<L'hai fatto, e avresti continuato a farlo se io non avessi scoperto la verità da solo.>>mi rinfaccia, le gote rosse e gli occhi intrisi di rabbia.
<<Mentire e omettere sono due cose completamente diverse.>>ribatto, incrociando le braccia al petto e tentando spudoratamente di portare avanti le mie ragioni, evidentemente indifendibili.
<<Non ci provare. Questa volta non hai ragione tu, anzi sei nel torto marcio. Almeno abbi il coraggio di ammetterlo.>>afferma lui, deciso e spavaldo.
I nostri sguardi non si staccano nemmeno per un secondo, anzi. Si fronteggiano e cercano ognuno nelle iridi dell'altro un buco, un'apertura, una ferita non ancora rimarginata dove sferrare l'attacco decisivo, quello che farà davvero male.
Il primo a trovarlo, mio malgrado, è lui.
<<Almeno dimmi che lo terrai.>>dice, il tono triste ma anche rassegnato.
A quel punto abbasso il capo, decisa a non proferire parola sui pensieri riguardo all'argomento che mi popolano la mente.
Non ho ancora avuto molto tempo per rifletterci, ma ho questa strana convinzione che mi lampeggia nella mente, e non è per niente intenzionata a spegnersi. E' come un'intuizione, un presentimento, una sensazione che mi dice che questo è stato un profondo sbaglio, a cui però posso ancora rimediare.
In un solo modo, però. In un solo straziante e atroce e brutale modo.
Lui coglie subito la risposta alla sua domanda, anche senza che io dica nulla, e sbotta:<<Mi vuoi dire che cazzo ti passa per la testa, Rachel? Ti sei fatta mettere incinta per poi abortire? Tu sei pazza.>>
<<È una responsabilità troppo grande, e non me la sento di prendermela tutta io.>>ribatto, forse più acida di quanto avrei voluto. Al momento sto inventando, sto disperatamente cercando un appiglio a cui aggrapparmi per salvarmi e togliermi il più velocemente possibile da questa scomoda situazione, in attesa di avere il tempo per riflettere più a fondo sulla questione.
Una cosa che non sono mai stata in grado di fare, tuttavia, è proprio dare il meglio di me quando sono sotto pressione.
Charles sbarra gli occhi, chiudendoli per un secondo per poi riaprirli di scatto e puntarli su di me, come due accecanti fari che spiccano nel buio della notte.<<E io allora chi sono?>>
<<Io posso mettermi in maternità, ma tu non puoi saltare le gare e passi la maggior parte dell'anno fuori casa. Tutto andrà a ricadere su di me, dato che tu non sarai mai a casa.>>gli rinfaccio.
Charles scoppia in una risata isterica, che mi mette letteralmente i brividi.<<Tu invece sei la santa di turno, che è sempre perfetta e non sbaglia mai niente, giusto? Sei talmente matura che credi di poter prendere decisioni di questo calibro da sola e poter gestire tutto per conto tuo, ma forse non hai riflettuto sul fatto che questa situazione ci accomuna. Ne siamo entrambi parte e tu non hai alcun diritto di escludermi, perché io non lo accetto.>>
<<Ora hai una gara da correre.>>taglio corto, gelida e intenzionata a non protrarre oltre questa conversazione.
Non è il momento, non prima che salga in macchina.
Conosco bene gli effetti della poca concentrazione di un pilota sulla sua prestazione, e non porta mai a nulla di buono. Anche se devo ammettere che Charles ha lavorato tanto sulle sue emozioni, di modo da non trasferire in pista ciò che gli succede nella vita quotidiana.
Ha impiegato parecchi anni a diventare com'è ora, a chiudere la visiera del casco e allo stesso tempo sbarrare la strada ai pensieri, impedendo loro di influenzarlo in qualsiasi modo. E io non posso addossargli un peso così grande, specialmente se tra meno di mezz'ora deve entrare nell'abitacolo della sua monoposto e gareggiare per due ore, a trecento chilometri orari e costantemente al limite.
<<Hai ragione, qundo torno ne riparliamo. Non fare niente di stupido mentre sono in macchina, anzi limitati a fare il tuo lavoro. È sicuramente più utile.>>mi liquida lui, strappandomi i suoi guanti di mano e uscendo a grandi passi dalla stanza.
<<Certo, come ho sempre fatto.>>mormoro, conscia che però lui non mi sentirà.
La porta sbatte, facendomi sussultare.
Senza indugio, recupero la mia roba ed esco a mia volta dalla stanza, ritrovandomi nell'atmosfera frenetica del paddock.
Tutti attorno a me sorridono, girovagano a destra e sinistra, palesemente felici di farlo, con un'espressione solare e luminosa in volto.
Sono io però che sono spenta.
Cammino come un automa lungo la via principale del paddock e raggiungo il box della Ferrari in pochi metri, con lo sguardo sempre fisso a terra.
<<Cos'è successo con Charles?>>mi aggredisce Andrea non appena metto piede nel garage, con tono ammonitorio e sguardo altrettanto serio.
Aggrotto le sopracciglia e fingo ingenuamente di non afferrare ciò che dice, mentre stringo nervosamente le labbra.
Che poi un fondo di verità nella mia reazione c'è, perché non vedo come lui possa sapere della discussione tra me e il monegasco.
<<Charles è particolarmente incazzato, e di solito fa così solo quando litiga con qualcuno.>>mi spiega lui, rimanendo poi in silenzio in attesa di sentire le mie ragioni.
Rido nervosamente, fingendomi divertita dalla situazione quando in realtà so che la rabbia di Charles non può essere di certo un bene.<<Tranquillo, va tutto bene.>>
Andrea annuisce, apparentemente convinto delle mie parole, e finalmente si dilegua per andare in griglia di partenza da Charles.
Attraverso il box e vado a sistemarmi nella postazione riservata esclusivamente a me -in quanto capo telemetrista-, per revisionare gli ultimi dettagli in vista della gara che partirà tra meno di cinque minuti.
Posso dire tranquillamente che questo weekend tutto il team ha fatto davvero un ottimo lavoro, preciso e dettagliato come da manuale. Abbiamo migliorato ogni cosa possibile e la macchina sembra davvero buona, sotto pressoché tutti gli aspetti. Siamo tutti molto soddisfatti del lavoro svolto, e non vediamo l'ora che dia i frutti sperati.
Appoggio il tablet sul ripiano davanti a me e gli getto un'ultima occhiata per controllare che sia tutto a posto. Annuisco e, dopo aver confermato che tutto è in ordine, faccio un cenno ai meccanici, che a loro volta lo comunicheranno poi al pilota.
È tutto pronto, si può partire.
Quando le macchine tornano ad allinearsi nelle rispettive caselle in cui erano prima di effettuare il consueto giro di formazione, la solita ansia mi aggroviglia lo stomaco, contorcendolo fino a farmi quasi male. Per fortuna riesco a tranquillizzarmi almeno in parte non appena, una volta spenti i semafori, mi concentro unicamente sul mio lavoro senza farmi distrarre da nient'altro, complici anche le cuffie che indosso.
All'improvviso, a circa diciotto giri dalla partenza, sul dispositivo elettronico che ho davanti rilevo nei dati un valore in particolare nel cambio che non è uguale al solito, e che non dovrebbe assolutamente essere così.
Abbandono immediatamente il tablet all'interno del box, dirigendomi all'esterno per andare a comunicarlo al team principal. La pioggia battente mi investe non appena metto piede fuori dal box, tuttavia non è quello a farmi fermare nel bel mezzo della pit lane.
Ma è l'immagine di una macchina a muro proiettata sui maxischermi a farmi bloccare sul posto.
Un'auto rossa. Numero sedici.
Aumento notevolmente il passo, mentre sento nelle cuffie che l'ingegnere di pista chiama disperatamente Charles.
Non appena arrivo di fianco a Mattia, il muretto box cala in un silenzio tombale. Ci limitiamo tutti ad osservare gli schermi che abbiamo davanti, mentre nelle orecchie risuona lontana la voce di Xavier che continua a chiamare il nostro pilota.
Anche nelle cuffie, poi, segue il silenzio.
Nessuna risposta.
Nessun segnale.
Assolutamente niente.
Il vuoto che sentiamo attorno a noi è lo stesso che proviamo anche dentro di noi.
Nemmeno dagli altri garage arriva il minimo rumore. Tutti tacciono, in attesa di un cenno, di un gesto, di una parola.
Ma continua a non arrivare nulla.
La prima cosa che mi viene istintiva fare, sebbene so che non sarà di grande aiuto, è esclamare:<<Apritemi l'audio con lui.>>
Mattia lo fa immediatamente.
<<Charles, amore, mi senti? Sono io, sono Rachel. Ti prego, torna da me. Mi avevi promesso che non mi avresti mai lasciata, ricordi? Ecco, questo è il momento di dimostrarlo. Ti prego Charles, torna da me, torna da noi.>>farfuglio, le lacrime che ormai mi appannano la vista. Me le asciugo con il dorso della mano, tenendo sempre gli occhi fissi sullo schermo davanti a me, che in questo momento sta inquadrando le altre auto in attesa di ricevere un segno di vita dal pilota della Rossa.
Mattia mi appoggia una mano sulla spalla destra, scuotendo la testa come a far intendere che è tutto inutile, che le mie parole verranno sentite da tutti meno che dalla persona che veramente mi interessa.
<<Ragazzi, sono andato un attimo in bagno, cos'è successo?>>esordisce Andrea, arrivando al nostro fianco mentre si sistema la cintura dei pantaloni. Osserva per un secondo gli schermi, poi i nostri sguardi, e infine aggiunge:<<Perché c'è bandiera ros...oh merda.>>
E anche i suoi discorsi vengono troncati lì.
I secondi trascorrono senza ricevere nessun cenno, e sembrano davvero infiniti.
Finché quel segno che tutti stavamo aspettando, finalmente arriva.
L'inquadratura si sposta sulla macchina rossa prevalentemente distrutta e, appena prima che venga coperta da un telo, captiamo un minimo movimento all'interno dell'abitacolo della monoposto di Charles, che, per quanto piccolo e insignificante sia, riaccende subito la speranza in noi. Il casco del pilota tenta debolmente di raddrizzarsi, di reagire, ma poi si appoggia a destra, e lì sembra destinato a rimanere.
Intanto tutte le macchine rientrano ai box, ma nemmeno il loro rumore riesce a distogliere il mio sguardo dagli schermi. Sono come priva di forze, in stato di shock, incantata ad osservare una scena che sono perfettamente conscia che non riuscirò mai più a rimuovere dalla mente, come un albero che fissa le sue radici in profondità nel terreno. Eppure allo stesso tempo non riesco ad allontanare gli occhi da quei teli che rivestono l'auto ferma a bordo pista e circondata da una miriade di pezzi, andati in frantumi durante lo schianto.
Nemmeno la mano calda e rassicurante di Carlos che si appoggia delicatamente sulla mia spalla riesce a distogliere la mia attenzione dalle immagini.
Sento che lo spagnolo parla con Mattia, ma sembrano voci lontane, come se fossimo agli antipodi della pit lane e sentissi appena un leggero sussurro, senza nemmeno riuscire ad afferrare ciò che dicono.
Sento come un vuoto dentro di me all'altezza dello stomaco che va propagandosi sempre più fino ad inglobare anche gli organi circostanti. Tutto il mio corpo diventa una voragine unica, mi sento come risucchiata da essa, e sono totalmente incapace di sfuggirne.
Nel frattempo scorgo un medico che si sporge per vedere lo stato di Charles, poi chiama anche i suoi colleghi, i quali gli slacciano le cinture e lo tirano fuori dalla monoposto.
Lì, e soltanto lì, mi rendo conto che la situazione è davvero grave.
Nel piccolo spazio che intercorre tra i teli, vediamo per una frazione di secondo il corpo di Charles ancora fasciato dalla tuta rossa che giace privo di sensi tra le braccia dei soccorritori. Viene cautamente adagiato sulla barella, di modo da non fargli fare movimenti troppo bruschi al fine di non danneggiarlo ulteriormente.
La mano bianca e cadaverica che pende da quel lettino provvisorio ha lo stesso effetto di una pugnalata su di me. Anzi, di una doccia fredda, come se mi fossi appena immersa nelle acque dell'oceano antartico, nel suo punto più gelido e profondo.
Sento che l'aria non mi arriva più ai polmoni, mi sembra come se si stiano svuotando, come se stessi perdendo ogni energia.
Infatti, poco dopo, l'ultima cosa che faccio è aggrapparmi al braccio di Carlos che mi sorregge con forza, prima di venire fagocitata dal buio.
⚡⚡⚡
Come avrete già notato, all'inizio di questo capitolo non è presente nessun conteggio dei giorni, a differenza di tutti gli altri. Questo perché, come vi ho già anticipato nel capitolo 4, questo è l'evento centrale di cui tanto vi ho parlato, da cui si diramano tutti gli altri.
In questo capitolo c'è tanto da metabolizzare, lo so, ma passo dopo passo ci arriveremo, e vi darò modo di trovare una risposta a tutte le vostre perplessità.
Per ora ci lasciamo così, con Rachel svenuta e Carlos che la sostiene eroicamente. Ah, ovviamente c'è un perché anche a questo svenimento, che da un lato va al di là dell'incidente e che potete già capire dai capitoli pubblicati. Io vi ho già detto troppo, mi dileguo
Baciii <3
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