Capitolo 7 - I try to keep this pain inside, but I will never be alright
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╚»★ 24 aprile 2001 ★«╝
"Ci sono cose che un genitore non potrà mai capire, specialmente se si ha la netta sensazione di conoscere molto bene la propria prole. Anche se lo mostri a gesti, non sempre sono in grado di cogliere i segnali. Usi lo sguardo e vieni frainteso, usi il linguaggio del corpo e non ne conoscono il significato. I demoni interiori non sono un gioco, nemmeno una cosa da prendere alla leggera. Può essere insicurezza, paura, angoscia... un derivato o un miscuglio fra questi. Io li ho tutti e tre, da anni cerco aiuto e non mi è stato concesso."
Era la terza volta che Marshall leggeva il diario di Junko, nonostante si fosse promesso di non toccarlo mai più. Involontariamente aveva aperto quello scrigno segreto proprio su quella pagina e non era riuscito a staccare gli occhi da quella calligrafia tenera e perfetta. Le macchioline sparse sui fogli – aveva pianto lacrime, scrivendo quel monologo – e i disegni di fianco erano una stretta al cuore.
"Cerco di tenermi questo dolore dentro e fingere che sia tutto normale, ma soffro sempre di più. Non starò mai bene. La mia mente è malata, non so più chi sono e ho costantemente paura di mostrare me stessa. Le parole mi feriscono e per ogni rimprovero mi sento sbagliata. Papà lo ha sempre fatto, ma mai con cattiveria. Non è il suo atteggiamento a farmi pensare certe cose, sono io che non so affrontare la vita. Ho paura di rimanere sola, perché mia madre presto se ne andrà da questo mondo e non la riavrò più indietro."
Girò pagina, un altro pensiero.
"Sai perché valgo zero, caro diario? Perché ogni giorno ricomincio da capo. Anche se la mia vita è un circolo vizioso, non mi vergogno di essere sempre l'ultima ruota del carro. Resto umile, anche con la merda delle tortore selvagge addosso."
Rilesse quel paragrafo più e più volte, notando i cuori d'inchiostro nero intorno. Ce n'erano solo un paio bianchi, ma con una croce disegnata sopra. Decifrando quei disegni, ebbe la conferma che Junko era una ragazza sensibile – forse più di lui. Il suo cuore era come un iceberg: la punta era il sorriso che vedeva tutti i giorni e in profondità le tenebre che la tenevano in gabbia, ciò che nessuno era in grado di vedere. Non si poteva andare oltre quell'oscurità leggendo solo un diario, ma Marshall non aveva alcuna intenzione di andare oltre con lei.
La odiava e non solo perché era ingenua, arrogante... piccola. Più lo allontanava, più quella violenza cresceva e detestava l'idea di non poterla sfogare nello stesso modo in cui lo aveva fatto con Kim. Tuttavia, quel legame che Junko aveva con Proof lo faceva arretrare e il solo fatto che avesse conquistato subito gli altri membri del gruppo lo innervosiva. Andò avanti di tre pagine, arrivando a leggere la prima metà di quello che sembrava essere un vero e proprio sfogo.
"11 febbraio 1991
Caro diario, sono scoppiata. Non sono riuscita a tenermi tutto dentro, ho sbottato davanti a tutti. Quando succede, è il punto di non ritorno. Perdi tutto e tutti, ripulirsi non è facile... ti senti sporca, vulnerabile. Ho mostrato le mie paure davanti a tutti e mi hanno presa per una psicopatica, solo perché ho alzato la voce e versato lacrime. Nessuno mi compatisce, mi giudicano senza avermi parlato e mi voltano le spalle. Perché la gente deve sempre pensarla in questo modo? Io non sono pazza, non cerco pietà. Voglio poter cambiare ed essere come tutti. Aver paura dei pregiudizi e di dire la cosa sbagliata non è affatto normale."
Rilesse l'ultima frase più e più volte, la chiave dei segreti di quella ragazza era racchiusa in quelle poche parole. Una chiave che mai avrebbe aperto una serratura, se non quella della libertà.
"La mia mente è malata."
Em non aveva idea che ci si potesse ammalare nella testa, non in quel modo almeno. Lui era sempre stato bravo nel nascondere il dolore nella rabbia delle sue parole, ma c'era chi si raggomitolava su se stesso in quanto incapace di sopportarlo. Junko era un armadillo dalla corazza fragile, mostrava la tenacia di un tasso del miele, ma quando entrava nel suo guscio si convertiva in coniglio. Un ibrido animale dalle mille sfaccettature, lo avrebbe descritto David Attenborough. Solo quando si chiudeva nella sua camera da letto, poteva vedere appieno la sua fragilità. Sapeva che era triste, anche quando sorrideva con Biz e gli altri, e anche ridendo.
Vederla ridere era una cosa positiva, ma ultimamente si stava lasciando troppo andare e nonostante la presenza degli altri – Deshaun al primo posto – non riusciva a non provare indignazione. Lo aveva capito quando l'aveva vista col fucile da paintball di Kuniva fra le mani; passare da perfettina a criminale era sbagliato, decisamente sbagliato.
"La mia mente è malata."
Avrebbe dovuto fare qualunque cosa pur di vedere Junko sorridere e non lo faceva. Quella ragazzina non era di certo sua figlia, né tantomeno il suo Superman. Tuttavia, dopo aver letto quelle parole, era riaffiorata un po' di umanità nel suo cuore. Quella che credeva fosse svanita. Aveva però bisogno di trovare un equilibrio e dei punti fermi che non lo avrebbero lasciato di nuovo col culo a terra, per anni non aveva fatto progressi. Per questo non si fidava mai di nessuno, nemmeno delle donne.
"Ti odio."
Marshall sentì improvvisamente il bisogno di serrare un pugno, l'altra sera ci era andato così vicino. Le aveva messo le mani addosso senza esitare, lo stesso identico gesto che aveva già fatto altre volte. Il suo faccino da ragazzina gli faceva formicolare le mani e per un solo istante – un brevissimo istante – avrebbe voluto strangolarla fino a farle perdere l'ossigeno e poi... e poi non lo sapeva. I suoi capelli avevano un profumo così forte da mandare in tilt ogni suo neurone. Piccole e tenere labbra, le gambe attaccate l'una di fianco all'altra e lo sguardo basso.
Quel genere di comportamento violento non era una novità; lui e la sua ex avevano sempre avuto i loro problemi, a parte le numerose rotture quando non erano sposati. Il formicolio alle braccia e alle dita aumentò, doveva prendere a pugni qualcosa. Di colpo qualcuno gli strappò il diario fra le mani e alzando la testa, inquadrò una tuta nera e un cappello da baseball bianco. Detestò ammetterlo, ma gli mancava vedere Proof coi dreadlocks.
«Lo sai che è vietato sbirciare i fatti privati di una donna, Doody?»
Lo chiuse con cura e lo rimise al suo posto, fra le cianfrusaglie di lei nel cassetto del comodino. Più che arrabbiato era infastidito, come se avesse appena sbirciato una delle sue rime sul suo quaderno e Marshall sapeva bene quanto Proof odiasse i ficcanaso. «Non ti chiederò cos'hai letto, ma sappi che la prossima volta farò la spia e le dirò tutto.»
«Sai che esiste un detto che dice "la curiosità uccise il gatto, ma la soddisfazione lo riportò in vita"?»
«Io penso che certe volte sia meglio essere orsi che gatti. Capisci?» Lui scosse la testa, intontito. «Insomma, fatti i cazzi tuoi.»
«Scusa, ero solo curioso.»
«Facevi prima a chiederglielo di persona, non credi?» si levò la felpa, rimanendo solo con la maglietta. «Impara a scioglierti un po'.»
«Te l'ho detto: non sono te.»
«Posso capire ti stia antipatica, ma almeno sforzati a farla sentire bene. In fin dei conti questa è anche casa sua.»
Anche la sua, avrebbe voluto aggiungere, ma finché c'era il suo nome sul contratto d'affitto non poteva protestare. Ora che ci pensava, era meglio convivere con una ragazzina dagli occhi a mandorla e i capelli sottili, piuttosto che tornare da una bionda psicopatica e ricominciare da capo.
«A proposito...» I suoi pensieri furono interrotti da un rumore sordo sul parquet. Marshall abbassò la testa e vide un paio di Air Jordan nere vicino alle punte sporche delle sue sneakers. «Mettile.»
«Perché?» chiese, arretrando d'istinto.
«Perché non ne posso più di vederti sempre con le stesse cazzo di scarpe puzzolenti» confutò severo, per poi aprire il suo armadio e cambiarsi maglietta – sempre bianca, ma con una decorazione grunge colorata. «E non te lo sto chiedendo, ti sto obbligando.»
Rassegnato, Marshall si sedette sulla poltrona e si cambiò le scarpe. Le sue decise di nasconderle, almeno Proof non le avrebbe gettate via. Era contento di portare il suo stesso numero. I lacci erano corti, ma si sarebbe abituato all'idea di camminare con delle scarpe nuove. E dire che in passato si erano anche scambiati i vestiti e le cassette, non buttavano mai niente.
Lui uscì dalla stanza con solo pantaloni lunghi e maglia oversize bianca. Era raro vederlo senza una bandana, una durag o un cappello da pescatore decorato – di quest'ultimi ne aveva una vasta collezione, vista la sua ossessione per l'abbinamento dei colori – e difficilmente usciva senza un cappello sulla testa. Se il suo outfit non prevedeva qualcosa di bianco – anche l'accessorio più banale – non era Big Proof.
«Al posto tuo mi sarei rifatto il guardaroba e comprato una macchina nuova, ma tu vai ancora in giro con una felpa smessa e un pericolo ambulante.»
La verità era che lui aveva il terrore di spenderli tutti e rimanere senza un quattrino. Non era come Proof, che sapeva gestire quei pochi spiccioli che aveva e guadagnava allo Shelter. Si era rifiutato diverse volte di non prendere soldi da altri e rimanere nel suo piccolo, a Marshall dispiaceva non potergliene passare un po' o pagare almeno un quarto dell'affitto. La casa dove abitava aveva un costo mensile abbastanza alto, essendo grande e con un capanno sul retro, ma se lui diceva che i suoi spiccioli erano abbastanza e gli bastava avere solo un letto...
«La mia Delta funziona ancora, perché dovrei cambiarla?»
«Mi fa paura quel pezzo di ferro, porca troia.»
Lui inarcò leggermente un angolo delle labbra. «Non ci lascerà in mezzo alla strada.»
«Se il tuo prossimo lavoro spaccherà, comprerai una bella Rolls-Royce. Voglio fare lo spavaldo sulla 8 Mile alla faccia di chi ci ha dato degli sfigati!»
Lui sogghignò. La fantasia di Proof riservava un mucchio di sorprese. Afferrò le chiavi della macchina e dopo aver fatto volteggiare il portachiavi a forma di corno, si accorse del pacchetto di Lucky Strike vuoto sopra il tavolo. La sera prima aveva fumato tutto il pacchetto preso dal nervosismo, dopo che un'arpia si era presentata davanti la porta di casa. Era stato fortunato ad aver avuto la casa libera, almeno né Proof né Junko avrebbero potuto sentire gli starnazzi di un'oca e i ruggiti di un leone dopo mezzanotte.
«Devo fare rifornimento di sigarette, mi fai compagnia?»
Proof ci pensò su per un attimo, poi annuì e gli circondò le spalle con un braccio. Era una fortuna che fosse alto quanto lui, vicino sembravano davvero fratelli. «Perché no? Approfittiamone anche per comprare qualche birra, stasera ho voglia di una bella pizza ai peperoni.»
Lui finalmente ritrovò il sorriso. Due sole bottiglie da mezzo litro erano troppo poche per lui, una cassa o due lo avrebbero sicuramente tranquillizzato più del Lexotan – ironicamente parlando. Fuori pioveva, la strada era praticamente immersa nel fango e se non avesse smesso di piovere, nel giro di due giorni tutta Detroit si sarebbe ritrovata sommersa e sotto la vigilanza di Aquaman. Em detestava la pioggia; le pozzanghere di fango che gli sporcavano le sneakers e il ticchettio infernale delle gocce sull'asfalto o contro i vetri delle finestre.
Lasciò la guida della sua Delta a Proof, avrebbe saputo trainarla bene fino alla 7th Mile. Mentre lui accendeva l'autoradio, Marshall ne approfittò per tirare fuori i suoi fogli e scrivere qualcosa di getto che poi avrebbe cancellato più tardi. Era sempre un bene portarseli dietro, le idee arrivavano nella testa quando meno se lo aspettava e non voleva dimenticarle. Lo faceva da quando aveva conosciuto Deshaun al liceo, in quei lunghi giorni dove voleva semplicemente mollare. Per lui era già abbastanza difficile anche solo affrontare la vita reale, a volte si sentiva arrabbiato e deluso al punto di odiare la sua stessa esistenza.
La musica dell'autoradio e il frastuono della strada si fusero, facendo spazio ad un frastornante ronzio che gli fece venire il capogiro. Stava cominciando a sentire l'astinenza. Poco gli importava, avrebbe continuato a scrivere fin quando non sarebbe collassato.
Durante il tragitto la pioggia aveva finalmente dato un po' di tregua, ma le nuvole nere non accennavano a lasciare spazio ai raggi del sole. Nell'istante in cui il motore della Delta si era spento, Marshall capì di essere arrivato. Proof si stava rollando una canna, prima di entrare avrebbe fumato per riprendere un po' di energie – la mattinata era stata sfiancante, tra accompagnare Denaun in studio con Obie e restituire i trecento dollari che Swifty gli aveva prestato mesi prima. Come biasimarlo.
Marshall lo seguì poco dopo, fumando l'ultima sigaretta rimasta nelle tasche dei suoi pantaloni. Mentre ciccava, la sua attenzione cadde su una figura bassa e minuta che buttava fumo dall'altro lato del parcheggio. Restò impalato a guardarla trasportare quella che sembrava essere una cassa di plastica nera insieme ad un'altra persona, leggermente più alta e con un ciuffo nero sul lato.
Proof si accorse del suo stato di trance e gli scosse una spalla per richiamarlo, ma lui emise solo un leggero mugugno. «Che ti succede, bro?» gli domandò in seguito.
«I fratellini stanno facendo scorta di whisky.» Osservò uno di loro sollevare la cassa con non poca fatica e dal nome scritto sul lato, si fece scappare un risolino strafottente. «Mettermalt. Certo che hanno dei gusti di merda.»
«Non capiscono un cazzo di moda, figuriamoci di alcolici» sbuffò lui sorridendo, gettando il filtro della canna sull'asfalto bagnato sotto le sue scarpe. «Comunque, io penso alle birre e tu alle sigarette. Ci ritroviamo qui davanti.»
Lui fece cenno di sì col capo e appena entrati, si divisero. Il proprietario del negozio di liquori conosceva bene i suoi clienti, specialmente loro, ed era una persona estremamente severa. Un motivo c'era se tutti lo rispettavano. Faceva sempre trovare il loro whisky preferito sullo scaffale e aveva la battuta pronta. Girando fra le varie corsie, ne approfittò per prendere una bottiglia di sambuca. Le Malboro erano le più costose, ma avrebbe fatto un'eccezione. Non le aveva mai provate e di solito fumava qualunque cosa, anche la marca più economica di erba. Prese sette pacchetti, se li sarebbe fatti bastare almeno per un po'.
«Yo! Come butta, Elvis? Hai deciso di cambiare sigarette? Devo dedurre che il tuo EP sia andato bene.» Se c'era una cosa che odiava oltre alla presenza di Kim, era la voce di Roger "Hyde" Mackenzie. Non si chiese perché fosse lì insieme a quella cozza di suo fratello. «Hey, si saluta un amico.»
«Io e te non siamo amici» replicò con fermezza, tirando fuori una banconota da cento dollari per pagare il tutto. Proof, invece, non degnò loro uno sguardo, poggiò solo le due casse di Stella Artois sul bancone e qualche lattina di Red Bull – il suo peccato di gola più grande dopo le barrette di cioccolato al caramello.
«Potevate prendere una marca migliore» soggiunse suo fratello, avvicinandosi a quest'ultimo.
«Sono cazzi nostri, Terence» rispose lui gelido. «Andate nel vostro quartiere.»
«La 7th Mile è il nostro quartiere» lo corresse, trasformando la sua espressione.
Era una bugia, i Mackenzie e gli altri quattro si trovavano sempre dall'altra parte. La cosa più assurda era che quei due polli vestiti di borchie abitavano in una villetta ben tenuta fra Penrose e Chaldean Town, appartenevano ad una famiglia evangelista che dire 'benestante' era come dar loro degli straccioni. Quei sette ragazzotti facevano i duri tanto per farlo, come principio di onnipotenza, e avevano solo da imparare da loro due.
«Che vuoi fare, nanetto? Cacciarci via?» sbuffò Marshall, ignorando le loro smorfiette da bulletti da scuola media.
«E tu osi sfidarmi, scimmione?»
Si girò e assottigliò le palpebre, lanciando scariche di fulmini. Un vero peccato che Terence "Wade" Mackenzie non avesse la stessa faccia del coglione che aveva baciato la sua ex moglie, avrebbe potuto ucciderlo davanti al cassiere fregandosene delle conseguenze. Stupido emo-gotico del cazzo.
«Sloggia, se non vuoi due pallottole in testa.»
«Come siamo aggressivi! Hai finito la tua scorta di Tylenol?»
La risposta di Hyde gli fece salire la bile, i piercing che aveva in faccia ancora di più. Oltre a quello sul sopracciglio, se n'era fatto uno sulla narice sinistra. Si era ripromesso di non cedere ai suoi istinti violenti, non aveva intenzione di sopportare un altro anno di libertà vigilata.
Non metterti contro di loro, Mathers, non metterti contro di loro.
«Lasciamo perdere queste stronzate, Wade. Non siamo qui per umiliarli.» Di colpo sia Marshall che Proof volsero lo sguardo su di loro. Che altro volevano? «Sabato ci sarà una battaglia allo Shelter, vogliamo combattere in un due contro due. Una semplice sfida fra leader.»
«Volete battervi con me e Slim dopo la sconfitta di tre anni fa?»
Spostò successivamente lo sguardo verso l'altro, dopo aver sentito la sua risposta. «Non vogliamo lui, ma la tua amica cinesina.»
«Quella ragazzina non sa chiudere una rima in tre secondi, figuriamoci in quarantacinque.»
Wade fece un passo avanti, non prima di esseri passato una mano fra il ciuffo ribelle. «Chi vuoi prendere in giro, Slim? L'abbiamo vista battersi contro Gray.»
«E non eri tu con lei quella sera?» soggiunse Hyde, fulminando Proof come se volesse alludere a qualcosa. Non avrebbe dovuto esserne sorpreso, visto che non si perdevano nessuna battaglia.
«Junko non vuole avere a che fare con lo Shelter» replicò lui più fermo che mai.
«Allora perché l'avete segnata a combattere contro un ragazzino?»
La verità era che era stato proprio Marshall a segnarla, aveva voluto solo metterla alla prova. Alla fine Gray non se l'era presa per la figuraccia che aveva fatto. Anzi, era rimasto sorpreso nel vedere una ragazza capace di tenergli testa nonostante il terrore iniziale.
«Non sono questioni che vi riguardano» rispose infine Proof, prendendo una delle casse di birra. Marshall lo seguì con l'altra e le lattine di Red Bull, dopo averle sistemate in un sacchetto di plastica insieme alle sigarette. Con la coda dell'occhio, capì che i due fratelli emo li stavano seguendo. «Avete sbagliato macchina.»
«No, è quella giusta. Perché non avete risposto alla nostra domanda?»
«Sì che l'ho fatto. Se vuoi te lo ripeto in un'altra lingua: fuori dai coglioni.»
Prima che Hyde e Wade entrassero a far parte del Mob Clan, erano due liceali come tutti. La curiosità nel mondo dell'hip-hop e la criminalità organizzata era stata più forte di loro e da allora, avevano cominciato a sfidarsi a colpi di freestyle. Da quelle che erano state battaglie amichevoli, si erano trasformate in sangue e violenza. Marshall serrò leggermente le labbra. La storia di Bugz non doveva ripetersi.
«Non ti conviene usare queste parole con noi, Holton» minacciò Hyde, infilando una mano sotto la felpa nera che indossava. I due ragazzi alzarono di più la guardia, tenendo salde le proprie pistole sotto i propri vestiti. «Possiamo farvi fuori anche subito e poco importa se il tuo amico è protetto da Dr. Dre.»
Quei due non mollavano la presa. Non volevano proprio accettare di essere secondi.
«Non ci battiamo con voi e Junko non è merce di scambio. Sparite!»
Wade soppresse un sogghigno divertito. Cos'aveva da ridere quel figlio di una buona madre? «Visto che la proteggete così tanto, perché non concederla anche a noi? Possiamo farlo gratis.»
Stavolta Marshall decise di intervenire, mettendosi fra Hyde e Proof. Quale idiota avrebbe scommesso su una donna? Solo dei morti di passera come loro. «Provate solo a guardarla e ve la vedrete con noi.»
Hyde cominciò a ridere. «Cos'è questo plurale? Condividi la tua ragazza col tuo migliore amico?»
«I Soul Intent non erano così pallemosce anni fa. Vi siete rammolliti per una femmina?»
Proof stava linciando Ciuffetto Nero con lo sguardo, Marshall rimase neutrale e immobile a fissare Hyde con aria di sfida. Non seppe per quanto ancora sarebbe riuscito all'impulso di prenderlo di strappargli le borchie, era ad un passo da superare quel confine – complice anche l'astinenza. Se proprio volevano l'umiliazione pubblica come tre anni prima, tanto valeva alzare la testa.
«E va bene, accettiamo la sfida» sputò con voce dura. Non si preoccupò minimamente delle conseguenze, non gliene fregava nulla. Non sopportava più di guardare quelle due facce da schiaffi burlarsi di lui e dei suoi amici. «Ma se la ragazza vi sconfiggerà, non dovete far vedere il vostro culo qui nei dintorni.»
«Non possiamo garantirvelo, ma possiamo darvi le nostre pistole: una Colt e una Luger.»
«Non ce ne facciamo niente.»
«Vi daremo le nostre pistole cariche solo se accetterete le nostre condizioni, prendere o lasciare.»
La tensione fra Hyde e Slim Shady divenne sempre più accesa. Si guardavano negli occhi con fare predatorio, come due lupi pronti ad azzannarsi per aggiudicarsi il titolo di capo del branco. Se il primo l'aveva accesa per riscattare il suo nome, l'altro aveva messo la benzina sul fuoco e ci si era buttato a capofitto.
«Affare fatto. Ora toglietevi dai piedi» chiuse con forza il cofano e aprì la portiera per salire, ma i due emo non accennarono ad andarsene.
«Vi conviene farle fare un po' di pratica se non volete che si strozzi. Mi ricorda molto te, sai?» lo sfotté Hyde, ricordando le ultime sfide all'Hip Hop Shop. «Quella volta eri paralizzato e ti hanno cacciato a "buu" dal palco.»
Proof lo prese per un braccio e lo tirò verso di sé ancor prima che Marshall potesse accelerare il passo e stringere un pugno. Quel deficiente avrebbe dovuto farsi una bella scorta di cerotti per il naso, un giorno glielo avrebbe rotto. Quel pensiero violento gli fece salire l'adrenalina, si ritrovò ad allargare e stringere le mani in cerca di sollievo da quel brutto formicolio.
«Ci vediamo allo Shelter, sfigati del cazzo.»
Finalmente i due fratelli si congedarono, sparendo dall'altro lato del parcheggio del negozio di liquori. Crogiolarsi nella violenza era stupido e Marshall lo sapeva, ma non poteva farne a meno. La cosa gli era sfuggita di mano e voleva solamente liberarsi della presenza di quei due. Quando salì sul sedile del passeggero, vide Proof trattenere un'espressione infastidita.
«Sei impazzito? Non dovevi provocarli, è la prima regola per non mettersi contro i Mobs.»
«Non ne potevo più, Doody. Odio le loro faccette da cazzo.»
«Junnie non ci andrà, e nemmeno noi.»
«Se non ci presentiamo, che figura ci facciamo?»
Lui non rispose, si limitò a guidare con fare nervoso. Marshall iniziò ad irritarsi, detestava quando qualcuno non gli dava risposte. «Adesso non vuoi più segnarla? Perché l'hai portata al Saint Andrew's quella sera?»
«Perché...» Proof cominciò ad agitarsi e smise di parlare, strinse le mani sul volante e sospirò, cercando di mantenere la calma. «Hai anche la faccia tosta di chiedermi il perché? Hyde le ha messo gli occhi addosso e non ha affatto buone intenzioni. Non posso permettere che le accada qualcosa.»
«Se la caverà» sbuffò inespressivamente, stappò la bottiglia di sambuca e dopo essersi messo in bocca due pillole di Valium, iniziò a bere dal becco. Avrebbero potuto fare anche di peggio, quei due non erano tipi di cui fidarsi. «Non dicevo sul serio poco fa. Le spine sa tirarle fuori.»
«Stai prendendo la cosa troppo alla leggera! Junko sarà anche nata su queste strade, ma non le ha vissute come noi. Non sarebbe capace di sopportare il sangue e la violenza, potrebbe addirittura morire per mano di qualche farabutto.»
«Cazzo, bro, sembra che dobbiamo salvare la principessa Peach. Io che dovrei dire, allora, che sono finito in coma per mano di un bullo?»
La pazienza di Proof iniziò ad esaurirsi e assottigliò leggermente le palpebre, abbassando con forza il parasole sopra di lui. Stava iniziando ad uscire il sole. «Sei sempre tu al centro di tutto, eh?»
«Solo perché viene dai quartieri alti ed è femmina, allora è un bersaglio facile.»
«Ed io preferirei farmi uccidere, piuttosto che darla in pasto ai lupi.»
Girandosi verso di lui, vide che era serio, mortalmente serio – forse per la prima volta in ventisette anni. Era dai tempi della Lincoln che non lo vedeva così determinato e all'epoca era stato per convincerlo ad andare all'Hip Hop Shop per presentare la sua prima demo. Non si comportava in quel modo quando si trattava di donne, lui le usava una notte e basta.
«Doody... non ti sei preso una cotta per lei, vero?»
Per un po' ci fu un silenzio inquietante e lui si sentì improvvisamente in imbarazzo per avergli fatto quella domanda, poi Proof scoppiò a ridere. La sua era una risata un po' sguaiata, ma genuina. Dopo anche Marshall si unì, sentendo l'effetto rilassante del Valium nelle vene. «Hai ragione, è una domanda stupida.»
«Decisamente stupida! Sai benissimo come sono fatto, bello.»
A sentire quella frase si sentì sollevato, ma allo stesso tempo spaventato. Sollevato perché finalmente si era deciso di mettere da parte il suo alter ego parlando di Junko, ma spaventato per quello che sarebbe potuto succedere dopo lo Shelter. I ragazzi del Mob Clan erano spietatissimi e non guardavano in faccia nessuno, ma era ottimista. Finché c'erano lui e il resto dei D12 a farle da scorta, non dovevano temere.
Il tempo passò e Marshall osservò la 7th Mile alla sua destra e di tanto in tanto anche Proof; nel loro ambiente i pestaggi, le risse, persino le sparatorie, erano cose di tutti i giorni. Doody aveva ragione: Junko non avrebbe retto quel genere di violenza, gli era bastato afferrarle la gola per capirlo. Se non sopportava quella fisica, non sarebbe di certo sopravvissuta a quella psicologica – la peggiore delle violenze.
Alzando la testa si rese conto che il tragitto era più lungo del solito. Avrebbe voluto fare mille domande, ma osservando d'un tratto un intonaco consumato e pieno di scritte alla sua destra, un'onda di ricordi lo investì in pieno viso. La battaglia contro Kuniva nel '96, le prime serate dove si era guadagnato il rispetto di tutti nel quartiere e l'anno successivo il contratto con Doc. Sembrava ieri, un vero peccato che fosse tutto finito.
«Bro... perché ci siamo fermati davanti all'Hip Hop Shop?»
«Mudd è il nostro asso nella manica. Abbiamo bisogno di rinforzi per la battaglia allo Shelter, io non basterò di certo. Più siamo ad aiutare Junko, più lei avrà meno paura.»
«Deve cavarsela da sola.»
«Sei stato tu ad accettare la sfida, perciò scendi quel culo da lì e vieni con me. Tu e quei tuoi brutti stracci del '91!»
Marshall sbuffò scocciato e scese dalla macchina. Sarebbe stata una lunghissima giornata.
Le parlantine della nonna di Bizarre non volevano più finire, e per fortuna il trillo del forno era venuto in loro soccorso. Ancora un aneddoto sulla sua gioventù e Proof sarebbe svenuto dalla noia. Lui guidava nel buio della strada, Marshall non distoglieva lo sguardo dalle strisce sull'asfalto; le stava contando per distrarsi e non prestare attenzione alla valanga di pensieri che gli affollavano la mente. Neanche stava facendo caso al silenzio pesante che si era creato intorno a loro. La canna che aveva fumato poco prima lo avevano rilassato, fortuna che Biz ne aveva ancora un po' da offrirne.
Mudd aveva dato il suo contributo per quel sabato, così come il resto dei D12. Arrivati sulla Prescott Avenue, il silenzio fra lui e Marshall divenne insopportabile. Avrebbe dovuto dire qualcosa, dopotutto era il suo migliore amico, ma si rese conto che certi pensieri era meglio tenerli per sé. Un giorno lo avrebbe fatto, quando si sarebbe sentito più sicuro di sé. Nonostante i lunghi anni di amicizia, c'erano tante cose che non gli aveva mai confidato e non perché non si fidasse.
Prima sconfiggi i tuoi demoni, poi potrai sfogarti.
Arrivarono davanti casa e scesero con aria stanca, scaricando le birre e le lattine che avevano comprato. A quell'ora le pizzerie erano ancora aperte, erano tornati giusto in tempo per l'ora di cena. «Siamo a cas— oh, salve.»
Seduta dallo sgabello di metallo di fronte l'angolo della cucina c'era una ragazza di colore con le treccine, quasi come quelle di Hyde. Guardando bene i suoi occhi nocciola, Proof la riconobbe e tirò un sospiro di sollievo, poggiando la cassa di birre vicino la poltrona. Junko non avrebbe mai fatto entrare un completo sconosciuto a casa.
«Dirty Harry e Slim Shady, giusto? Scusate se me la sono presa comoda, l'ho fatto per non lasciare Jun da sola.» Saltò giù dallo sgabello, mostrando di più la vita scoperta. I jeans a vita bassa a zampa di elefante andavano ancora di moda?
«Piacere, Kinsley Scott.» Mentre tendeva la mano per stringere quella di Marshall, il suddetto stava trattenendo una smorfia. Non era possibile, un'altra Scott! – «Lavoro all'Escape Lounge con Junko, mi sono offerta di riaccompagnarla a casa. Spero non sia stato un problema.»
Proof lo conosceva, era il bar sulla Sherwood frequentato dai rissaioli. L'unico motivo per cui era stata assunta insieme a quella ragazza era per il nome di Swifty, altrimenti chiunque avrebbe potuto farle la festa. Siccome entrambi conoscevano JR, il proprietario di quel posto, fra quelle mura strette era ben protetta.
«Ma figurati. Anzi, ti ringrazio di cuore.»
«Siete imparentati voi due, vero?» domandò Marshall a bruciapelo.
Kinsley non ci pensò due volte prima di rispondergli con il tono più sincero di sempre. «Non conosco la tua ex. Scusa, Slim.»
Junko uscì dal bagno col pigiama addosso. Proof detestò dover dire che il bianco le stava benissimo, se non più del nero. Gli veniva quasi da ridere. I suoi lineamenti asiatici la facevano apparire ancora più adorabile. Si diede uno schiaffo sulla guancia. Smettila, Deshaun!
«Sai che sabato combatterai allo Shelter?»
La ragazza sbarrò gli occhi. «M-ma io non mi sono fatta segna— Sei stato tu, Mathers?»
Lui non esitò a confermarlo. «Sì, e allora?»
«Ti ho detto che non voglio avere a che fare con le vostre cazzate.»
«Se fare rap lo chiami "cazzata", allora scrivere poesie deprimenti è da lagnosi.»
Proof ebbe l'istinto di tapparsi le orecchie, ma si limitò a portarsi le mani sulla fronte e sospirare. Oh, no, ecco che ricominciano!
«Ho accettato di farlo quella volta solo perché Doody è stato dalla mia parte, ma non stavolta! Veditela tu, io mi ritiro.»
«Non fare la bambina, mandorla. Tirarsi indietro è da deboli!»
«Se vuoi saperlo, non m'importa di esserlo! Come se la mia vita non facesse già schifo! Non ho più niente, cazzo! Non ho più una famiglia, sono stata ingannata da coloro che credevo miei amici» singhiozzò in preda alla rabbia, il respiro mozzato e le lacrime che scorrevano lungo le guance. «Perché devi peggiorarla ulteriormente? Che cosa ti ho fatto di male?»
Ci fu una lunga pausa, solo loro che si guardavano; il primo passivo e insensibile, l'altra in preda alle lacrime e respirando faticosamente con la bocca nel tentativo di calmarsi.
«Almeno tu puoi dire di aver conosciuto tuo padre. Io convivo ancora con la favoletta dei viaggi in giro per il mondo, quando in realtà mi ha abbandonato. Sono stato costretto a vivere con una... una...» Si bloccò per qualche secondo, poi spalancò la porta della camera di Proof – dove si era stabilito definitivamente – e fronteggiò la ragazza. «Sai una cosa? Lo avevo fatto per te, invece mi ripaghi in questo modo. Arrangiati, allora.»
«Nessuno ti ha mai chiesto qualcosa, Marshall. Vai a fare da paparino alla tua ex.»
«Vai a fare in culo» alzò il dito medio con arroganza.
«Vacci tu!» ricambiò lei con altrettanta irascibilità ed entrambe le porte si chiusero violentemente.
Proof si gettò sul divano a pancia in su e sospirò disperatamente. Quei bisticci in casa sembravano una situazione alla Seinfeld e avrebbe dovuto prenderla sul ridere, peccato che per accendere la scintilla fra di loro era come buttare un fiammifero su un cumulo di paglia. Stava cominciando a non sopportarlo più.
«Immagino che vivere con Mr. Non-Me-Ne-Frega-Un-Cazzo ti faccia dormire piuttosto profondamente» sogghignò Kinsley non sapendo se essere divertita o no. «Beh, buona serata, Deshaun.»
Alla faccia della 'buona serata', avrebbe voluto dire, ma restò a guardare il soffitto lasciando che l'incomodo se ne andasse. Non c'era verso di farli andare d'accordo. "Lo avevo fatto per te"... che accidenti significava? Che forse Marshall avesse avuto realmente buone intenzioni per accettare la sfida dei fratelli Mackenzie? Ne dubitò. Conoscendolo, amava infilarsi in sfide del genere pur sapendo che avrebbe vinto a mani basse. Dopotutto era diventato il numero uno.
Eppure Proof non era affatto tranquillo nel sapere che nella faccenda era coinvolta anche Junko. Voleva troppo bene a quella ragazza e sapeva che prima o poi qualcuno l'avrebbe presa nel mirino per farle del male. In macchina aveva perso il controllo delle sue emozioni, aveva rischiato grosso. La cosa peggiore era che Marshall se n'era lavato le mani, come se la storia di Bugz non gli avesse insegnato niente. E se fosse successo di nuovo? No, non doveva.
Si alzò dal divano e vide le porte delle camere da letto chiuse; Marshall probabilmente era immerso nei suoi pensieri e non valeva la pena disturbarlo. Decise di bussare alla porta di Junko che, stranamente, lo lasciò entrare. Proof la richiuse alle spalle con estrema lentezza, guardandola sedersi ai piedi del letto. Aveva un'espressione fredda, il volto pallido, il trucco un po' sbavato e gli occhi rossi di lacrime – aveva da poco recuperato il fiato con l'inalatore.
Teneva in mano un peluche a forma di giraffa con un abitino pieno di fragoline, con le dita sfiorava la cucitura scoordinata che aveva sulla zampa posteriore. La coroncina rosa pendeva leggermente sul lato, non aveva più un corno e l'occhio destro era stato sostituito da un bottone blu. «Ti ricordi di Hime? Sei stato tu a ricucirle la zampetta.»
Sentire quel nome gli regalò un sorriso malinconico. Una bambina glielo aveva strappato a furia di tirarlo, poiché voleva giocarci lei. Ogni tanto gli capitava di ricordarlo nei sogni, una buona azione che aveva fatto nascere il suo lato pacifista e generoso. Quando l'aveva vista piangere con il braccio in mano e il pupazzo abbandonato sull'erba, non si era tirato indietro e aveva cercato un kit da cucito in giro per l'asilo. Pur conoscendo le regole, aveva preso ago e filo per ricucire sia il braccio che uno strappo dietro il collo. Erano ancora lì, dopo ben tredici anni.
«Non avevo fatto proprio un buon lavoro, in realtà. Avevo solo cinque anni.»
Si avvicinò per sedersi vicino a lei con le ginocchia in gola, lei con le gambe sdraiate e i piedi coperti da un paio di calzini grigi smessi. All'improvviso un senso d'imbarazzo lo travolse.
«Sai, Doody, è un vero peccato che le nostre madri non siano mai state amiche.»
Proof si rabbuiò. Quella donna non lo aveva mai guardato in faccia, fin quando papà era morto. Il fatto che avesse avuto troppe libertà e poche attenzioni lo avevano reso instabile, nonostante all'apparenza fosse l'esatto opposto. Junko non conosceva quella sua personalità e non doveva scoprirla, o non lo avrebbe più visto allo stesso modo. Era l'ultima cosa che voleva.
«C'è una cosa di te che non ho mai capito» la sua voce catturò di nuovo la sua attenzione. «Il fatto che da piccolo avevi sempre le mani sporche e ti piaceva sdraiarti sull'erba.»
«Scavavo perché non sia mai se trovi una capsula del tempo o un forziere di monete d'oro, potrebbe capovolgerti la vita» rispose con occhi luminosi, sorridendo dolcemente. Poco importava se si sarebbero visti sia il diastema che i suoi incisivi grandi. «Lo faccio ancora adesso, anche sdraiarmi sull'erba secca nei dintorni. Mi piace stare a contatto con la natura.»
Proof si prese del tempo a guardarla. Si era appena sciolta le trecce laterali, i capelli scendevano leggiadri sulle spalle arrivando a sfiorare la parte alta del busto. Il pigiama che indossava era invernale, si chiese come facesse ad avere così freddo. Poggiando gli occhi dietro l'abat-jour, vide appeso il poster gigante di One Piece. Era nuovo di zecca, doveva averlo trovato in qualche libreria.
«Se un giorno dovessi trovare un tesoro, mi comprerò un cappello di paglia come quello di Luffy e diventerò il pirata più famoso dei sette mari!»
Lei si passò una mano fra i capelli con fare nervoso. «Senza... la spada?»
«A lui serve un frutto per essere invincibile.»
Il suo sorriso si allargò. «Sono felice che ti stia piacendo quel manga.»
«Devo solo abituarmi a leggere al contrario.»
«Come io dovrò abituarmi al brunch» sogghignò, marcando molto il suo "engrish" – così Junko definiva il suo accento inglese giapponese, lo aveva scritto in un paio delle sue lettere. Tuttavia era difficile notarlo, poiché cresciuta sul suolo americano.
La sua dolce risata lo costrinse a voltarsi nuovamente su di lei, o meglio... sulle sue gambe scoperte, salendo fin sopra il seno. Non credeva che due tette così piccole fossero così invitanti. La maglia del pigiama non l mostrava nella sua pienezza, ma le curve s'intravedevano. A differenza sua Dirty Harry avrebbe già allungato le mani per palparle, stringerle e... «Doody...?»
Si riscosse e si alzò da terra. «Ehm, è meglio sbrigarsi, se vogliamo prendere la pizza.»
«Sì, hai ragione. Scusa, ti ho rubato tempo.»
Lui scosse la testa, come per dire di star tranquilla. Prima che potesse varcare la soglia, si guardarono in silenzio. Nei suoi occhi a mandorla lesse esattamente la stessa allegria che aveva visto in sé parlando di tesori e ricordi d'infanzia. Non era successo fino a quell'istante.
Doody... non ti sei preso una cotta per lei, vero?
Lui non era da cotte, flirtava e basta. Se la bustina dorata faceva il suo dovere, ancora meglio. Metteva l'anima nell'inchiostro, su un pezzo di carta o sulla sua pelle, e poco importava se lasciava il segno o meno.
«Ti va di venire con me?»
Vide Junko ricambiare il sorriso e fare cenno di sì col capo, e chiuse lentamente la porta per lasciare che si cambiasse. Da quando era entrata in casa sua, l'istinto protettivo aveva cominciato a crescere sempre di più fino a diventare insostenibilmente pesante. Un miscuglio di emozioni che mai, a parte per Marshall, aveva sentito per qualcuno. Quel desiderio spasmodico di coprirle le spalle, tenerla fra le sue braccia e puntare la pistola a chiunque avesse solo cercato di farla piangere. Era più di una semplice responsabilità da pseudo-fratello maggiore.
Un piccolo uragano dagli occhi a mandorla.
Se in passato c'era stata sua madre ad asciugargliele quando tornava da scuola, ora quel compito spettava a lui. Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla e umiliarla. Nemmeno a quei bastardi del Mob Clan.
Ti proteggerò, Junnie. A qualunque costo.
N.A.
*blin blon* Buonsalve, pubblico di Wattpad e Stan scatenat*! La Direzione chiede di nuovo scusa per il ritardo, ma ne ha approfittato per migliorare ed espandere questo capitolo in occasione del compleanno di Em. Auguri al nostro Rap God! <3
So di averci messo parecchio, ma avevo bisogno di elaborare bene. La seconda parte non tarderà molto, devo solo perfezionare alcune parti. Spero di non metterci troppo (anche se gli impegni personali tenteranno di fermarmi). Ma non si deraglia! :P Non ho più nulla da dire, se non di restare sintonizzat* e tenere stretto il vostro pass per lo Shelter!
La battaglia fra le coppie Proof-Junko e Hyde-Wade è più vicina di quanto non sembri.
- Gloria -
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