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Capitolo 6 - We can't figure out if it's hate or it's love


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«Hai fatto bene a lasciare la guida a Denaun, vedrai che tratterà bene la tua queen

«So che posso fidarmi di voi, Swift, non sono davvero geloso di uno stupido pick-up.»

Era palesemente una bugia e Proof sapeva fingere, poche ore prima lo aveva dimostrato convincendo Junko a seguirlo con la sua combriccola per la 8 Mile Road. Stringersi attorno una felpa della Adidas vecchia non era il massimo, se ci si voleva nascondere dagli occhi della sporca dozzina e di Marshall. Quest'ultimo la guardava di sottecchi, mentre scriveva su fogli di carta ingialliti con le cuffie nascoste sotto il suo cappello da baseball bianco e il cappuccio della felpa alzato.

Nella cabina abitacolo c'erano Bizarre e Kon Artis, quest'ultimo al posto di guida, mentre sul cassone posteriore erano in cinque. Marshall era in un angolino, lei fra Proof e Swift, mentre Kuniva era davanti a loro con la schiena appoggiata sul lato. Il pick-up non stava correndo sulla strada, il limite era di cinquanta e conoscendo la puntigliosità di Denaun, non ci sarebbero state multe da pagare. L'hard top era arrotolato dietro la cabina, anche se avrebbe ostruito un po' la visuale posteriore.

Junko non ascoltò i loro discorsi, si guardò soltanto le mani appena coperte dai polsini della felpa. Non riuscì a formulare un pensiero lucido, da un lato era anche il freddo della sera che la colpiva in piena faccia. Passassero i discorsi legati alle droghe leggere, stupidaggini... ma in loro compagnia si sentiva di troppo. Doveva essere lusingata all'idea di stare in compagnia di soli uomini, ma il solo fatto che la conoscessero era già tanto per lei.

Fossi in te, mi tufferei in quel mare di pesci senza pensarci due volte, avrebbe detto Kinsley. Lei, a differenza sua, le piaceva socializzare e non dava peso al colore di nessuno. A volte si chiedeva come facesse una persona a non avere ansia e stress nel conoscere qualcuno – non binario, europeo... un qualunque essere umano, insomma.

«Oh, no, lo hai portato di nuovo!» La voce di Swift la risvegliò, costringendola ad alzare la testa.

«Tirato a lucido!» esclamò Kuniva, mostrando un fucile nero apparentemente pericoloso. «Dodici anni ed è ancora nuovo di zecca.»

«Che cos'è?» domandò Junko.

«Un misero giocattolino: fucile da paintball ad aria compressa. L'ho usato per fare scherzetti ai miei ex professori di liceo per tutte le insufficienze che mi hanno sbattuto in faccia.»

Quello che volgarmente Kuniva chiamava giocattolino aveva una canna lunga, il manico sodo e scolorito. Lo maneggiava spavaldamente, come se fare soft air fosse come partecipare ad una guerra civile. Lei tuttavia non sapeva che quel paragone rappresentava l'amara realtà, quella che i suoi occhi da bambina aveva soltanto visto e non vissuto.

«Jun, hai paura di un giocattolo?»

La ragazza si strinse nelle spalle, timida. «Paura? No.»

Con la coda dell'occhio, vide Kuniva puntare la canna del fucile al distributore di fianco, dove sedeva di schiena un tizio che fumava. Fece partire un colpo di fucile e lo centrò in piene spalle sporcando la sua tuta di rosso fuoco – in pieno contrasto col nero e bianco della fantasia. Il tizio sobbalzò e dopo aver identificato l'origine di quel colpo di painting, imprecò da lontano.

«Questo è per i cinque dollari che mi hai fottuto sabato, pezzo di merda!»

«Dallo a me, ora! Guardate e imparate.» Swift se lo fece passare delicatamente, lui invece mirò ad una berlina bianca a pochi metri da loro. Sparò quattro colpi sulla portiera e uno sul finestrino semiaperto, per poi nascondere il fucile fra le risate dei ragazzi. La portiera era macchiata di turchese, mentre il vetro abbassato di verde. Le palline avevano colori diversi.

«Un po' di colore a quel bolide, che noia vederla sempre bianca!»

«Ora è il turno di Junko.»

La diretta interessata sbarrò gli occhi. «C-cosa?»

«Vai, Junnie Jun. Facci vedere cosa sai fare.»

Swift le passò il fucile ad aria compressa e lei, nonostante la benda bianca sul polso, riuscì a maneggiarlo tenendo le mani ferme. La ferita bruciava sotto le garze, ma cercò di sopportarlo. Uscì con metà busto dal bordo del cassone, indecisa su dove puntare. Stavano passando una concessionaria, avrebbe potuto imbrattare il vetro lucido dell'edificio, ma passò oltre.

Proof si appostò dietro le sue spalle, aiutandola a maneggiare il manico e posizionando l'indice sul grilletto. Il suo tocco la fece rabbrividire, aveva le mani caldissime rispetto a lei. «Prova a mirare a quel tizio laggiù, quello con la giacca verde.»

Lo individuò a fatica e nonostante la luce intorno la careggiata, con lui ce n'era un altro e fumavano tranquilli. Arricciò di più l'indice per spingere il grilletto e far partire un colpo, colpendo il tizio sulla spalla. Presa da un'improvvisa adrenalina, mirò anche l'altro e lo prese in pieno. I due corsero dietro il pick-up, ma si fermarono poco dopo con l'affanno e alzarono diti medi a raffica. Fortuna che il trambusto della città era abbastanza forte da camuffare le loro parolacce.

«Three-one-three, stronzi!» esclamò Proof, alzando il dito medio per ricambiare il saluto.

«S-scusatelo, pagherò la lavanderia!» replicò Junko, nascondendo il fucile sotto le sue cosce.

«Pagatevela da soli, tanto avete lo sconto sui gettoni!»

Tornando seduti, la ragazza restituì il giocattolino a Kuniva. Ridevano tutti tranne Marshall, che si limitava a guardare con le cuffie alle orecchie e i fogli ingialliti fra le mani. L'adrenalina era ancora dentro di lei, riuscì però a calmarla con l'inalatore. Non negò che l'esperienza le era piaciuta, ma di certo non lo avrebbe rifatto una seconda volta.

«Forse abbiamo esagerato un po'» brontolò lei, stringendosi di più dentro la felpa.

«Siamo solo dei burloni. Non saremmo la scatenata e sporca dozzina del 313, se rinunciassimo agli scherzetti» sbuffò Kuniva, tenendo il fucile sulle sue ginocchia.

«L'unica ad avere una gnocca nel gruppo» ammiccò Swift, sistemandosi il colletto della sua maglietta nera dalle scritte grunge. La collana che portava al collo era ben in vista sotto quei colori. Come faceva a non avere freddo con solo quella roba addosso?

«Per l'ultima volta: non voglio essere vostra complice!»

«Tante ragazze vorrebbero essere circondate da uomini sexy come noi.»

Proof si inumidì le labbra. «Se tu sei "sexy", allora io sono Lenny Kravitz.»

Risata generale, Swift però non la prese tanto bene. Jun liberò un dolce sogghignò, e all'improvviso un braccio le circondò i fianchi. Alzò la testa per inquadrare il volto tondo di Proof, non aveva mai notato che avesse un diastema. Non era tanto invasivo e con quegli incisivi a castoro, era ancora più tenero quando sorrideva. «E comunque lei è mia.»

«Da quando sarei tua, Deshaun?»

«Dal giorno in cui mi hai rubato l'altalena all'asilo, è stato un colpo di fulmine. "No, ora l'altalena è mia. Avresti dovuto correre più veloce".»

«Non ci avevi mai parlato di lei» intervenne Kuniva, facendosi passare la sigaretta da Swift. «Avevamo dato per scontato fosse una tua amica di penna.»

«In un certo senso lo è, ci scambiavamo lettere.»

Jun si liberò dalla presa di Proof, anche se malvolentieri e senza sapere bene perché, sentì una fitta allo stomaco quando lui la guardò, inclinando il capo da un lato. «Sono... per caso un segreto di stato?»

«Sì. Cioè, no. Non c'è stata occasione di presentarti.»

«Neanche di farti un regalo decente» borbottò, sentendosi le mani bucate.

«Per me va bene un bacio sulla guancia, anche se Dirty Harry lo avrebbe preferito da tutt'altra parte» sorrise e dal tono di voce che aveva usato, pareva un flirt. Junko lo aveva capito solo quando gli altri due ragazzi si erano guardati con aria complice. Si portò una mano sulla fronte, anche un chihuahua sarebbe stato capace di riconoscere un'avance.

«Non vale così, come minimo deve dartelo sulle labbra» ammiccò Swift, ottenendo un sorriso timido da parte della ragazza e uno sguardo imbarazzato da parte del leader del gruppo.  Odiava quel giochetto alla Obbligo e Verità, specialmente se era l'unica ragazza fra sei uomini. Ma se proprio doveva... "Facciamo questa cazzata."

«D'accordo, Doody. Chiudi gli occhi.»

Lui obbedì, girandosi verso di lei. La ragazza sentì caldo al petto, ma non abbastanza da coinvolgerla emotivamente. Lui, invece, sembrava teso – e anche un po' in imbarazzo. Abbassò la testa per essere più vicino alla punta del suo naso. Ebbe la bocca ad un soffio dalla sua, ma anziché baciarlo, abbassò la visiera del suo cappellino da baseball e lo respinse. I due ragazzi risero, mentre Marshall aveva alzato lo sguardo nel sentire quel frastuono nonostante le cuffie.

«Me lo dovevo aspettare.»

«Questa sì che è una bella sfida per te, Proof.»

Lui inarcò le labbra, sistemandosi il cappellino con la visiera al contrario. «Nah, mi va bene essere nella spirale delle amicizie eterne... per una volta

Junko si torturò il ponte degli occhiali con due dita, fingendo di rialzarseli in cima al naso. Poco dopo l'auto uscì dalla strada e l'asfalto da drenante diventò ruvido.


Avrebbero passato il resto della serata a rievocare i bei tempi, ancor prima che Proof ed Em lasciassero quella che per loro era stata casa. Il pick-up era fermo dall'altro lato della strada, più precisamente di fronte una casa dall'intonaco giallo ocra. Era appartenuta ad una vecchia signora e dopo la sua morte nessuno l'aveva comprata, il cartello "in vendita" era rimasto lì.

Per Junko era la prima volta sulla Dresden Street, era ridotta peggio di come si era immaginata. Dalle lettere di Proof non sembrava poi tanto degradante, ma non fino a quel punto. I lampioni erano distanti sessanta metri l'uno dall'altro, per di più non illuminavano abbastanza. Si trovavano alla fine della strada, fra la casa gialla ocra e bianca – un tempo la casa di Em.

«Doody aveva ragione: non è cambiato un cazzo.»

«Quei cartoni della pizza sono ancora lì?» Bizarre indicò un angolino del marciapiede, dove c'era un sacco della spazzatura enorme e qualche cartone sporco.

Lui sogghignò amaramente. «Quaggiù non vedi un netturbino neanche col binocolo.»

«E vedo che non fanno neanche la raccolta differenziata» indicò una serie di sacchi abbandonati vicino un pioppo nero dalle foglie giallastre. «Plastica mischiata con l'umido... e poi si lamentano che la città fa schifo.»

Nonostante la fredda aria di inizio ottobre, Junko si sentì morire di freddo. Sciolse la sua coda alta e si passò le mani fra i capelli lunghi e sottili, mettendosi l'elastico sul polso destro. Sentì un dolcissimo sollievo dietro il collo, finalmente un po' di calore.

«Comunque nessuno mi aveva detto che saremmo tornati a scuola.» Kon Artis indicò un edificio dietro le loro spalle, quella che a quanto pareva era una scuola elementare.

«Possiamo rimediare con le palline di vernice.» Tutti si girarono, notando Proof con il fucile da paintball fra le mani. Kuniva ebbe una scossa improvvisa, osservando la canna leggermente sporca di polvere.

«Non consumare altri colpi, mi sono rimasti solo questi.»

«Peccato, volevo vendicare quella stronza di Mrs. Goldfried con la sua decima F in matematica.» Si portò il fucile sulla spalla, come un anziano che portava una 44 Magnum per allontanare i ladri dal giardino. «Dai, solo un colpetto.»

«No, hey! Ridammelo!»

I due si rincorsero lungo quella curva che delineava Dresden da Linnhurst, mentre gli altri si erano allontanati per poter fumare indisturbati. Guardavano comunque la scena, chi sogghignando sotto i baffi e chi scuotendo leggermente la testa.

Junko poggiò gli avambracci sul bordo del cassone. La maglietta a tripla taglia che indossava Proof si muoveva flebilmente con lui, mentre si faceva ricorrere da Kuniva col fucile da paintball fra le mani, il torace si alzava e abbassava a ritmo del suo respiro, accelerando poco alla volta. Sembrava di guardare un seienne, e lei sapeva bene quanto Deshaun fosse bambino dentro ma uomo fuori. Il perfetto equilibrio fra la fanciullezza e la maturità.

Si rese conto di essere rimasta in silenzio a fissarlo. Si sentiva così confusa che faceva fatica a ragionare e il primo pensiero che le venne in mente, mentre lo fissava, fu che fosse... bello. Il suo corpo non reagiva mai positivamente a quei pensieri, non era mai d'accordo con la sua coscienza e non sentiva mai quegli impulsi. Eppure non riusciva a sganciare gli occhi dalle sue braccia tatuate, quelle spalle larghe coperte dalla maglia oversize. Aveva sex appeal, oggettivamente parlando.

Avrebbe voluto che il suo stomaco si torcesse, ma non di quel disagio che la faceva sentire priva di vita. Avrebbe voluto guardarlo senza quel pressante pensiero di essere nessuna per uno come lui, di credere – anche solo per una frazione di secondo – che sarebbe potuto essere il suo salvatore. Salvatori... che stronzata! Esistevano soltanto in quelle brutte telenovelas argentine che guardava sua madre.

Gli eroi non esistevano, né tantomeno i principi azzurri. Uno come lui non avrebbe potuto fare nient'altro, se non darle sostegno. Il potere dell'amore era solo una fantasia da ragazzine e lei aveva già passato quella fase. Non sentendo più quelle sensazioni dopo la pubertà, aveva capito di essere diventata come suo padre – noncurante delle emozioni, attaccata al passato.

Una mano le toccò la spalla e lei saltò spaventata, cacciando un forte sussulto da farle perdere il fiato. Lo recuperò con difficoltà, afferrando l'inalatore dalla tasca. «Respiri ogni tanto?»

Si voltò e vide Occhi di Ghiaccio. «Slim fucking Shady, fallo un'altra volta e giuro che io–»

«Mi butti giù dal pick-up?» la punzecchiò con tono fermo. Lo avrebbe sicuramente fatto, se avesse avuto i suoi muscoli. Anche da sotto la felpa slacciata che aveva addosso si vedevano, la maglia ne disegnava leggermente le forme. «Provaci, se ci riesci.»

«Perché non vai a sballarti, anziché rompermi le scatole?»

«Dovrei dire la stessa cosa» la canzonò, assottigliando di più lo sguardo. «Perché non stai appiccicata a Doody come al tuo solito?»

«E tu perché stai appiccicato a me?» controbatté più determinata che mai, ma stavolta lui non rispose. La fissò come un lupo pronto ad azzannare un cerbiatto, due occhi glaciali così chiari da fare paura. Perché non c'era nessuno con cui parlare a parte lei. – «Lascia perdere, è uno spreco di tempo parlare con uno che ha evidenti problemi di socialità.»

«Sarò anche asociale, ma non sono un lecchino.» Stava alludendo a Proof, come se la sua ospitalità fosse stata una messinscena per approfittarsi della sua gentilezza. Non era il primo a dirle una cosa simile, ne aveva sentite di peggio. – «Non parli più ora, eh, stronzetta?»

Junko gli mollò uno schiaffo, Marshall voltò la testa di lato e senza dire una parola, restò immobile.

Preso da un moto di fastidio, la spinse in malo modo contro il cassone. Il suo sguardo si assottigliò, sembrava pronto a ricambiare quello schiaffo e invece le afferrò la gola con la mano libera, premendola di più contro la superficie dura del pick-up. Jun cercò di liberarsi, anche di colpirlo di nuovo, ma lui le storse il braccio e aumentò di più quel contatto fisico.

«Non ci provare mai più» ringhiò contro il suo padiglione auricolare.

Lui era completamente appoggiato addosso a lei, il bacino contro il suo, un ginocchio fra le sue gambe per impedirle qualunque via di fuga. Junko batté le palpebre e mise a fuoco lo sguardo infuocato di Marshall, la visuale annebbiata dalla quasi totale mancanza di ossigeno. L'impatto con il duro del cassone era stato talmente forte che il fiato le si era mozzato nel petto.

«M-Marsh...» sibilò quasi piagnucolante, tremante e ansimante.

«Ricorda che la mia pazienza ha un limite» grugnì, chinandosi su di lei con fare torvo. «Sei ad un passo dal passare quel confine e credimi, non vorresti mai vedere uno Slim incazzato.»

La ragazza faticò a tenere gli occhi aperti, l'aria le sembrò asfissiante e la testa pulsava dolorosamente. Tentò di voltarla per evitare il suo sguardo, ma era impossibile. La presa sulla gola si era ammorbidita, ma non accennava a lasciarla. «T-ti odio» pigolò ormai senza voce.

«Anch'io ti odio, come odio il tuo faccino da fanciullina del cazzo.»

Senza pensare, appoggiò il naso sulla sua tempia destra e respirò quel dolce sapore di cannella. Un brivido gelido le attraversò la spina dorsale e s'irrigidì sotto di lui, trattenendo il respiro. Sentì il cuore palpitare, il bassoventre leggermente dolorante e lo stomaco attorcigliato – segnali che fino a quel momento non aveva mai ricevuto.

«Se volevate fare una sveltina, potevate dircelo e toglievamo il disturbo.»

A sentire la voce di Bizarre, Marshall si scostò da lei con un tale scatto che si ritrovò a sbattere le spalle contro il bordo del cassone posteriore. Junko tossì e ansimò in cerca d'aria, recuperò l'inalatore dalla tasca e se lo portò velocemente in bocca. Si mise seduta di lato, un braccio appoggiato sul bordo del cassone e il polso ciondolante.

«Lascia perdere, Biz. Mi è passata la voglia.»

«Vi siete persi il colpo di Proof e Kuniva, il festeggiato si è preso le ultime tre palline di vernice sulla maglia e l'ultima è finita sulla finestra della scuola.»

«Beh, un bel modo per inaugurare la seconda fase dei vent'anni? Ormai Deshaun è prossimo all'ospizio.»

In tutta risposta, lui gli diede uno spintone. «Ha parlato il ragazzino.»

Jun ritrovò ossigeno, ma il corpo era ancora scosso e in balia del dolore. Si era placato un po' sul letto, ma le gambe e le braccia sembravano indolenzite. Il ventre doleva ancora. «Denaun, c'è... c'è un bagno nei paraggi? Dovrei...»

«L'unica soluzione è quel cespuglio» indicò lui dietro l'albero. «Vuoi che ti copra le spalle?»

La ragazza scosse la testa, ma lui l'avvertì comunque. Non essendoci abbastanza luce era facile che si smarrisse, la soluzione ideale era seguire le crepe sull'asfalto e le luci all'orizzonte che facevano da riflesso sull'asfalto ruvido. Si allontanò dopo che lui le aveva dato le spalle, scrutando con lo sguardo il prato di fronte. Non c'era davvero nulla, a parte qualche albero morto o altre che già iniziavano a perdere le foglie.

Una brezza fresca le sfiorò la pelle e i capelli, facendoli svolazzare delicatamente. Si lasciò coccolare da quella piacevole sensazione di freschezza, i lampioni non erano accesi e il buio regnava per tutta quella grande distesa di erba morta. Si chiese come avesse fatto a focalizzare il campo da football dietro le sue spalle. In lontananza c'era un gruppo di ragazzi, anche loro che fumavano sigarette. Non ci fece caso e cercò un cespuglio. Ne trovò uno fortunatamente non spoglio, spostò i rametti senza guardarsi troppo intorno e si piegò molto lentamente, abbassandosi pantaloni e slip.

Sentì un dolore lancinante dentro la gola, come se tante dita le ostruissero le condotte aeree, e si trovò a sfiorarsi la zona fra la mascella e l'inizio del collo. La sua stretta non era stata tanto forte, ma abbastanza da permettergli di sentire le pulsazioni della carotide. Si morse il labbro, rendendosi conto di aver appena stretto le cosce. Nonostante le numerose volte che aveva fatto sesso con qualcuno, le tantissime notti concluse fra le lenzuola, per la prima volta aveva sentito qualcosa.

Pulendosi con un fazzoletto e rialzandosi, la sensazione tornò a farsi sentire. Quello non era stato languore, quelle morse piacevoli ed eccitanti che si provavano se si era sessualmente attratti da una persona. Ricordando quel brivido freddo, le sfuggì un ansito silenzioso. No, era paura. La paura di vedere un livido, una sbucciatura o anche solo una goccia di sangue. Un conto era l'autodistruzione, un altro era vedere un'altra mano fare quello stesso gesto.

«Serve una mano, dolcezza?»

Fermò improvvisamente il passo e rimase pietrificarla, non riconoscendo la voce che l'aveva appena chiamata. Il buio non aiutava, ma la luce fioca all'orizzonte riuscì ad inquadrare un tizio con una capigliatura a trecce, un piercing sul sopracciglio e una giacca di borchie. Non aveva l'aria di essere amichevole. 

«N-no, grazie. Ho già fatto» rispose cortese, cercando di non farsi sopraffare dall'ansia.

«Sei libera? Io e i miei amici volevamo andare al Tiki.»

«Non posso accettare, grazie lo stesso.»

Qualcuno le afferrò le spalle, più precisamente un ragazzetto con un berretto blu sulla testa e un cerotto sul naso. Le sue mani erano piene di tatuaggi, anelli d'oro e puzzava di hashish. Un odore così forte da farle venire il mal di testa. Aveva la stessa voce graffiante del gotico. «Hey, bambolina, non si rifiuta un invito da Hyde.»

«Le passeggiate sono noiose, meglio divertirsi con tre bei ragazzi. Non credi, dolcezza?»

Si fece venire un tic nervoso all'occhio sinistro, era la seconda volta che quel tizio con le treccine la chiamava con quel nomignolo del cavolo. Cercò d'infilarsi una mano dietro la schiena, cercando con la punta delle dita la sua glock. L'altra cercava l'inalatore, avrebbe perso il respiro da un momento all'altro. «M-magari la prossima volta.»

«Neanche sballarti? Abbiamo roba buona.»

«Sono lusingata, ma... un'altra volta. Pe... per favore...»

«Ha detto "per favore", che carina» ridacchiò Hyde, facendo un passo in avanti. «Su, Larry, dalle un po' di mescalina. Facciamola divertire.»

Berretto Blu si chiamava Larry, dunque. Nessuno di era presentato, fortuna che non le avevano chiesto il suo nome. L'altro membro di quel trio somigliava molto al ragazzo gotico, ma portava la stessa felpa incappucciata che aveva anche Marshall – meno malandata e apparentemente costosa. Qualcuno di colpo gli puntò la pistola contro la tempia e il respiro di Larry si bloccò. Riconobbe all'istante la mano che la teneva salda, il tatuaggio sull'avambraccio era inconfondibile.

«Lasciatela andare» lo minacciò una voce profonda, riconducibile a Bizarre.

Il tizio li conosceva, si vedeva dal modo in cui si fulminavano con lo sguardo. Junko stava trattenendo il fiato dalla paura, la mano sinistra si era fermata a pochi millimetri dal manico della sua glock.

«Guardate chi c'è, la drogata dozzina.» Il gotico mostrò un sorrisetto compiaciuto, inquadrando il gruppo al completo e colui che impugnava la pistola. «Questa puttanella è con te, Dirty Harry?»

«Sta con me, e quindi?» replicò lui, tentato dal premere il grilletto.

L'incappucciato si lasciò sfuggire un ghigno. «Allora non ti dispiacerà se te la rubiamo per un minuto.»

«Quale parte di "lasciatela andare" non avete capito?» soggiunse Swift.

Larry lasciò la presa dalle spalle di Junko, che non perse tempo a correre fra le braccia di Proof. Lui abbassò il ferro e l'abbracciò lasciando che si accoccolasse e stringesse la sua maglietta oversize, e le accarezzò i capelli. Quel momento di terrore le aveva tolto ogni forza per poter piangere.

«Se proprio avete voglia di donne, andate a cercare qualche escort, anziché importunare una ragazza indifesa.»

«Suvvia, Kon Artis, la vorresti scopare anche tu.»

Lui aggrottò la fronte e sganciò una bomba. «Chi, la ragazza di Slim?»

Tutti spalancarono gli occhi e lui si tappò la bocca. Una bomba enorme.

«Non eri sposato con quel cesso biondo di Scott?» sogghignò il più basso dei tre, attirando l'attenzione dei suoi coetanei. Larry trattenne una risatina, Roger un'espressione sospettosa. Non riusciva a crederci, guardando la ragazza dietro le spalle di Dirty Harry. Se era davvero la fidanzata di Slim Shady, perché non si era "rifugiata" da lui? Ma decise di stare al gioco e inarcò le labbra.

«Fossi in te cambierei partner, bambolina. I tedeschi sono tutti senza palle.» Alla battuta di Larry, tutti e tre scoppiarono a ridere. Marshall si limitò a tenere le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, mantenendo lo sguardo fermo e tagliente. Nessuno di quei mascalzoni parve prenderlo seriamente.

Roger fece un passo indietro, guardando tutti e sette. «Andiamo da un'altra parte, dai. Non sia mai che Elvis voglia cacciarci da Graceland a calci in culo.» Prima di voltare le spalle, mandò un bacio aereo a Junko. «Ci vediamo, bellezza.»

Lei non riuscì a non reprimere una smorfia disgustata. Ebbe la sensazione che quel gesto avrebbe significato qualcosa di non positivo, ma non sapeva cosa. Se questo significava ciò a cui stava pensando, sarebbe finita in guai molto grossi. O meglio... loro sarebbero finiti nei guai per colpa sua.

«Con tutti i posti che ci sono, proprio qui dovevano venire a farsi?» sogghignò Biz, finendo la sua canna. «Che branco di coglioni.»

«Swift, chi erano quei tre?» mormorò Jun, incrociando i suoi occhi scuri.

Lui non esitò a raccontare tutto, mentre tornavano al pick-up di Doody. I tre ragazzi dell'810, Roger Hyde, B-Larry e Wade, facevano parte del Mob Clan. Una gang molto pericolosa con numerosi precedenti penali, spacciavano e andavano allo Shelter per far vedere chi comandava nel Michigan. Il leader – quel tale Roger – portava uno stile simil-gotico che voleva sembrare spaventoso, ma che invece secondo lui e Bizarre era imbarazzante.

Mentre i ragazzi facevano ordine, Swift raccontò a Junko della loro rivalità. Loro e i D12 si sfidavano allo Shelter da anni e da quando Slim Shady aveva rovinato la loro reputazione, erano diventati ancora più spietati. A loro non piaceva affatto essere secondi e avrebbero fatto qualunque cosa pur di affossarli, ma fino a quel momento non era successo. Finché nascondevano le loro berette, non dovevano temere che qualcuno perdesse la faccia.

«Non rivolgere mai la parola ad uno di loro, né tantomeno sfidarli. Se sono loro a farlo, tu rifiuta e vattene. Più li provochi, più ti attaccano.» D'un tratto il suo sguardo si rabbuiò. «Non vogliamo che la storia di Bugz si ripeta.»

Il modo in cui lo aveva detto era terrificante, come se il solo parlarne gli stringesse il cuore. Quando incrociò gli occhi a mandorla di lei, avvertì il bisogno di doverla allontanare, ma non lo fece. Quella che anni prima era stata innocenza, si era trasformata in terrore e lei non lo aveva ancora visto. Le risse in giro per la città erano all'ordine del giorno, specialmente in quartieri degradati come Fitzgerald o semplici stradine come Dresden o la Eastwood Avenue.

Si perdeva spesso il controllo di ogni azione, fino a cadere in un lago di sangue e polvere da sparo. Lui e il resto dei Dirty Dozen si proteggevano a vicenda per non ricaderci e dopo quella tragedia, ognuno di loro si era tatuato quel nome. Nessuno meritava di morire giovane e per mano di una rissa, specialmente se di mezzo c'era una rivalità o un malinteso.

Proof se la prese con Kon Artis, in quel momento imbarazzatissimo. «Come ti è venuto in mente di dire che Junko è la ragazza di Slim?»

«Mi è venuto in mente lui e quindi...»

«Hai sganciato una bella bomba di merda, Denaun» soggiunse Biz, gettando il mozzicone di sigaretta sull'asfalto bagnato, spegnendo la cicca col tacco delle sue sneakers. «Tu perché non hai chiamato aiuto, anziché restare ferma?»

Jun si rigirò i pollici. «Avevo la pistola con me, mi... m-mi sarei difesa comunque.»

«Stai parlando di questa?»

Tastò la parte posteriore dei pantaloni e si accorse all'istante che non aveva più la sua glock. Sobbalzò, notando che Marshall gliel'aveva presa da sotto il naso. Se la stava rigirando fra le mani, come se fosse un giocattolino per bambini. «Ridammela!»

Lui si fermò e alzò il braccio, puntando l'arma verso un albero morto a pochi metri da loro. Sparò sulla corteccia e successivamente se la infilò nell'elastico dei pantaloni, come se avesse voluto sequestrargliela. «C-che hai fatto?»

«Ho consumato il colpo. Giacché ci siamo, questa la terrò io, così nessuno si farà male.»

Junko gli lanciò uno sguardo cagnesco. Aveva una gran bella faccia tosta a fare il paparino della situazione, quando pochi minuti prima le aveva messo le mani addosso. Si avvicinò a lui a passo svelto, tenendo gli occhi fissi sui suoi di ghiaccio. Fu costretta a mettersi sulle punte, essendo molto più bassa di lui, ma determinata a dirgliene quattro una volta per tutte.

Dovette combattere per non cedere a quello sguardo freddo e cupo. Quel pallone gonfiato bianco non sapeva che anche la sua pazienza aveva un limite. «Stammi a sentire, Slim, Em... o come cazzo ti chiami! Ho ventitré anni e sono adulta, vaccinata, capace di intendere e di volere. Non mi serve un pallone gonfiato alto due metri come padre, posso benissimo cavarmela da sola.»

«Una della tua stazza non dovrebbe girare armata, sai?»

«Ridammi la pistola, altrimenti...»

«"Altrimenti" cosa?» la sfidò con lo sguardo, lei non sembrò demordere. «A vederti con quella faccia da pesce lesso, non mi sembra tu abbia inteso

Jun strinse i denti e fece un passo avanti nel vano tentativo di saltargli addosso e prenderlo a pugni, ma la presa di Proof sui fianchi la fermarono. Sentì le gambe volare appena, il corpo sollevato leggermente e quella presa diventare più salda. Marshall aveva sottolineato l'ultima parola con una voce così strafottente da farla esplodere. Per chi accidenti l'aveva presa?

«Woah, woah, calma, tigrotta!» sogghignò, avvertendo il suo corpo rilassarsi contro il suo. La rabbia scomparve, ma la sua espressione non cambiò. «Su, non fare lo stronzo, Doody. Restituiscigliela.»

Marshall esitò, prima di tirare fuori la glock e allungarla verso la mano di Junko, guardandola freddo e per qualche motivo incazzato. Lei se la riprese con rabbia, rimettendosela dentro la felpa. «Che faccia da schiaffi» sibilò, voltandogli le spalle.

«Lascia perdere, Jun. Vuoi che ti accompagni io a lavoro domani?»

Fece cenno di sì con la testa. «Grazie, Doody» concluse, sentendo una lacrima percorrerle lo zigomo, accarezzarle la piega delle labbra e poi scomparire sotto il mento. Perché la odiava così tanto?



N.A.

Non mi dilungherò troppo nelle note autrice. Sappiate solo che sto modificando la scaletta della storia, forse è anche per questo che ritardo con gli aggiornamenti... (mannaggia alla mia ispirazione b*starda). Però avevo bisogno di tempo per introdurre coloro che saranno i rivali della sporca dozzina. Se nel film 8 Mile era il Free World, qui abbiamo il Mob Clan – sarà molto più agguerrita, se non ai limiti del penale. Chiaramente non andrò oltre, ma sappiate che la loro lore sarà molto... e dico MOLTO difficile da digerire e sopportare.

Anyway, come vi sembra la nuova veste grafica? Era giusto usare l'immagine di Slim Shady anziché quella incappucciata di Em del 2021... dopotutto la storia è ambientata vent'anni prima. Il prossimo capitolo arriverà il 7 ottobre e sarà incentrato in particolar modo sull'amicizia fra Em e Proof, ma non mancheranno gli altri ragazzi e Junko. Perché questa data? Provate ad indovinare! Stavolta non ve lo dirò :P

- Gloria -

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