Capitolo 3 - I'm ready to snap any moment
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Junko si svegliò improvvisamente, sentendo il rumore di un frigorifero che si apriva e chiudeva. Si mise seduta e si stiracchiò le braccia, noncurante della canottiera arrotolata che le mostrava la pancia. Il plaid che aveva usato per dormire era troppo corto, una parte era finita ai piedi del divano e finì di farlo cadere. Ignorò i rumori dietro le sue spalle e si portò l'inalatore fra le labbra, recuperando un po' di fiato.
«Certo che dormi davvero tanto.»
Mosse la testa, seguendo il suono di quella voce, e vide Shady prendere una bottiglia di latte e un paio di uova. Addosso aveva una canotta bianca e pantaloni da tuta, la pelle così bianca da far sembrare i tatuaggi inchiostro fresco. Distolse lo sguardo e si passò le mani fra i suoi capelli sottili e lisci, sentendosi i piedi congelati. Doveva essere davvero suonata, se pensava di lui in quella maniera. Stupido Paul McCartney del ghetto!
«Non sai farti gli affari tuoi?»
«Sai che dormire troppo causa problemi?»
«I problemi li avrai tu fra poco, se non chiudi la bocca.»
Lui serrò le palpebre, senza muovere nemmeno un muscolo facciale. La fissò con sguardo omicida, girando la manopola dei fornelli. Non accennò neanche a fare un tic nervoso e quegli occhi chiari erano così penetranti da far paura. Jun avvertì ancora quel brivido, era normale? No, era tutto fuorché normale.
Chinò la testa e si mosse per prendere la bottiglia di latte da dove l'aveva lasciata Shady, e sedersi sulla poltrona non prima di aver preso una tazza dall'isolotto della cucina. Non avrebbe messo nulla sotto i denti, anche se in quei giorni avrebbe dovuto. Si sentì improvvisamente osservata, ma finse di non essersene accorta. Non si sentiva così dall'ultima volta che aveva affrontato il suo bullo a scuola, quella tipica sensazione mista tra ansia e paura che ti paralizzava completamente fino a renderti ancora più indifesa, insignificante.
«Dovresti dormire nella tua stanza, anziché sul divano. Di notte fa freddo.»
Jun ebbe un sussulto. Lo guardò di sottecchi; sapeva usare bene la spatola per fare le uova ad occhio di bue, ne rimase stupefatta. Anche quando cucinava, la sua espressione era così fredda da far spavento.
«Meglio, co... così mi congelerò e mi risveglierò nel trentesimo secolo.» Realizzò di aver balbettato per un brevissimo istante.
Proof fece capolino silenziosamente nel soggiorno, ed esordire con un gran sbadiglio. Si era legato una bandana rossa intorno alla testa. Non era solito indossarla, ma Jun adorava vederlo sotto le vesti di TuPac.
«Woah, cos'è quella roba?» Si stava svegliando poco alla volta, complice anche l'odore delle uova. «Hai fatto tutto te?»
«Un modo per ripagare il mio soggiorno.»
«Addirittura i toast abbrustoliti? Così mi vizi.»
«Ho seguito il metodo di Rocky, così avrai la forza giusta per stasera.»
«Lui le mangiava crude, Doody. Ci ho provato una volta... e ha fatto male.»
Proof rise da solo, contagiando anche Shady. Fortuna che si era svegliato e avesse involontariamente distratto Occhi Di Ghiaccio, almeno Junko si sarebbe potuta godere un po' di tregua. Si alzò e accese la televisione da vicino alla ricerca di un programma da guardare, fino a trovare una replica de I Simpson. A quell'ora i palinsesti pendevano solo da notiziari e serie televisive stupide come Dawson's Creek... o bagnini sexy messi lì solo per alimentare i pruriti delle ragazzine. Il meglio veniva solo di sera e per sua sfortuna, si tratteneva al lavoro per avere qualche soldo extra.
Sorseggiò il latte freddo e d'istinto guardò Shady di sottecchi, mentre si alzava per mettere il piatto nel lavello. Non aveva più il cappellino sulla testa e finalmente poté notare i suoi capelli biondi molto corti, palesemente tinti a giudicare da quella piccola ricrescita. Oggettivamente era attraente, ma quel suo atteggiamento strafottente gli dava parecchi punti di svantaggio. Ma secondo Kinsley era scopabile, usando le sue stesse parole.
«Hey, tu! Niente buongiorno?»
«Buongiorno anche a te, Doody» mormorò atona, alzando di poco lo sguardo.
Preoccupato, le toccò la fronte. Non aveva toccato cibo, forse aveva la febbre. «Stai bene?»
«Sì, sono... in quei giorni» replicò enigmatica, lasciandosi intenerire appena.
«Tieni il mio toast, rimettiti in forze.»
Seguì una piccola pausa, poi accennò un sorriso e lo prese fra le mani. «Grazie.»
Lui le pizzicò dolcemente la guancia, prima di allontanarsi e cercare Shady per parlare di chissà cosa. Jun arrossì lievemente e si girò di nuovo, guardando le immagini della televisione e nel vano tentativo di riprendere un minimo di lucidità. Masticò appena il toast abbrustolito, sentendo quel sapore bruciacchiato sul palato. Non aveva resistito, i morsi allo stomaco erano stati più forti di lei.
Quei pochi carboidrati sembrarono regalarle un po' di forza, ma non abbastanza. Batté debolmente le palpebre con un ansito soffocato, recuperando l'inalatore dal tavolino e portandoselo alle labbra. Le mancava l'aria, doveva sbrigarsi a fare colazione e vestirsi. Sapeva di essere in ritardo, ma non poteva permettersi di correre.
«Ti ho lasciato un po' di uova strapazzate, se le vuoi.»
Lei non si mosse di un millimetro, nonostante lo sguardo di Occhi di Ghiaccio su di lei che le appesantiva la schiena. «Mi basta il toast.»
Shady storse leggermente il naso, decisamente una bambina – anche se lui non era da meno.
Jun era convinta di esserselo tolto dalle scatole, invece se lo ritrovò di fianco, le mani appoggiate sul bracciolo della poltrona. I suoi occhi stavano puntando sulla sua coscia scoperta e lei, veloce come il vento, se la coprì tirandosi giù l'orlo della canottiera. «E tu saresti normale?»
«Di sicuro sono più astuto di una nerd repressa con la figa di legno come te» grugnì lui, stringendo le palpebre. Jun restò rigida, la tazza fra le mani e lo sguardo puntato sul piccolo schermo del tubo catodico. «Il falegname deve aver fatto un pessimo lavoro con te.»
«Stronzo» sibilò fra i denti e si fiondò più veloce che poteva – più veloce di quanto i suoi debolissimi polmoni consentissero – nella sua stanza ormai profanata dal forte profumo di Shady.
Ci avrebbe messo parecchio tempo a farlo sparire, dopo tutte le pulizie che aveva fatto il giorno in cui si era trasferita. Non aveva mai sopportato quell'odore di maschio mischiato all'erba, la stessa che aveva sentito su suo padre e lui ne fumava tanta. Prese una felpa e un paio di jeans a caso; i colori non si abbinavano affatto, ma si sarebbe comunque cambiata sul retro insieme a Kinsley, la sua capo bar e unica amica che era riuscita a farsi dopo essersi trasferita.
Rimase in slip e canottiera a cercare le sue amate Converse bianche, non erano né nell'armadio né sotto il letto. Guardò le scatole e le mise sottosopra, notando che non ce n'era traccia. Quando poi sentì la porta aprirsi, le scarpe apparirono alla sua destra dopo aver fatto un tonfo assordante. Le mancò quasi un battito.
«Le hai lasciate vicino la porta.»
«Grazie, Slim» rispose, la voce fievolissima.
«Marshall» la corresse con tono dolce, tirando quello che sembrava essere uno spinello. Doveva averglielo passato Proof. «Slim Shady è il mio alter ego.»
Si sedette sul letto e si allacciò accuratamente le scarpe, per poi vestirsi. «Piacere di conoscerti allora, ehm... posso chiamarti Marshall? O preferisci Shady?»
«La maggior parte delle persone mi chiama Em, in realtà. Però mi piace Marshall, detto da te suona bene» replicò, appoggiando la testa sulla sua mano e con la solita espressione neutra che tanto lo distingueva dagli altri.
Junko rimase sbalordita, ma poi tornò ad ignorarlo. Sembrava così diverso dalla sera prima, più adulto e anche... Ma cosa andava a pensare? Lo conosceva da due giorni e già aveva cambiato opinione su di lui? Poteva benissimo essere fatto, per quanto le riguardava.
Lui la squadrò per un istante, indeciso se avvicinarsi o meno. Jun riconobbe quello sguardo, lo stesso del suo ex bullo che ammiccava alla sua figura a triangolo che non aveva nulla di sensuale. Rabbrividì e tentò di voltarsi di lato, concentrandosi poi sul suo riflesso. Meno avvertiva la sua presenza, meno brividi avrebbe sentito attraversarle la schiena.
Si passò la spazzola fra i capelli, senza alzarseli con la solita coda alta. Rispetto alla sera prima, aveva deciso di mostrarsi più al naturale. Una come lei non aveva bisogno di truccarsi, ma forse nel suo caso una toccata di cipria sarebbe stata una buona idea per darle più colore. Era diventata più magra da quando si era trasferita laggiù, ma non così tanto da sembrare pelle e ossa. La felpa oversize camuffava abbastanza il suo pessimo fisico.
Afferrò la borsa e come volevasi dimostrare, Marshall la raggiunse e la paura tornò viva nel suo stomaco. «Dove vai?» domandò con tono piatto.
«A lavoro, l'autobus passerà fra meno di un'ora.»
«Vengo con te.»
«Non voglio nessuno, specialmente te.»
«Ti devo ricordare che sei dall'altra parte della 8 Mile perciò, o ti fai accompagnare fino alla fermata o porti quel culetto sul divano» ribatté serio Proof e stavolta, restò zitta.
Doody aveva ragione. Non conosceva ancora il Dresden di là dalla 8 Mile, nemmeno Detroit stessa. Era già stato un rischio tornare a vivere lì, figuriamoci andare in giro come nulla – con tutte quelle persone che nascondevano la propria Beretta o una Taurus 357 sotto la giacca. Lui sapeva quanto fosse pericolosa quella strada e Jun non era abbastanza responsabile per girovagare da sola, un motivo per cui l'accompagnava sempre lui a lavoro.
«È anche l'occasione giusta per conoscerlo meglio.»
«"Conoscerlo meglio"» ripeté a pappagallo, sbuffando scocciata.
«Junnie, ne abbiamo parlato ieri sera» indurì appena il tono di voce. «Te ne sei dimenticata?»
Scosse lentamente la testa e sospirò, passandosi le mani fra i capelli. Avrebbe preferito di gran lunga la sua compagnia a quella di Marshall, ma se proprio doveva tollerarlo, non aveva altra scelta.
«Non dimenticare questo.» Sentì colpire la spalla da qualcosa di duro. Si affrettò a girarsi e vedere Proof con in mano il suo cellulare. Per un attimo lo stava dimenticando e conoscendo il lato iperprotettivo di quel ragazzo, non le avrebbe perdonato una chiamata persa.
«Ricordati di chiamarmi, prima di tornare a casa» le sussurrò all'orecchio, infilando la chiave nella serratura.
Junko annuì rassicurandolo con un sorriso tenero, per poi uscire con Marshall dietro le sue spalle e percorrere quel vialetto di ghiaia freddo e senz'anima. Gli alberi intorno stavano già perdendo le foglie, quelli sempreverdi ancora resistevano. Camminare di fianco a quell'uomo era decisamente imbarazzante, per non parlare di come la guardava. Sembrava una di quelle celebrità famosissime di fianco al suo bodyguard di quattrocento libbre, un gigante accanto una nanetta.
«Che ti è successo? Hai perso improvvisamente la voce?» esordì lei, rovinando quel silenzio e senza ricevere risposta.
Non faceva altro che fissarla, il che era inquietante. O era lei il problema, o era la timidezza di lui. A vederlo non sembrava, visto il loro pessimo primo incontro. Slim Shady non poteva essere timido, al massimo discostante. Avrebbe potuto essere bipolare per natura, o forse era l'erba a renderlo così. Lo aveva visto fare un tiro di spinello, probabilmente era la seconda opzione.
Junko si sforzò di guardarsi attorno, senza sapere esattamente dove poggiare lo sguardo, e alla fine si ritrovò a fissare il marciapiede sotto le sue Converse, il respiro sempre più rapido. Ancora poco e le sarebbe venuto un attacco di panico. Iniziò a contare mentalmente, cercando di recuperare un po' di ossigeno. Doveva trovare un modo per usare di meno l'inalatore e non mostrarsi troppo vulnerabile.
«Perché sei tornata a vivere qui?»
«Non ho più una famiglia» rispose vaga, senza andare troppo in fondo alla questione. Il solo ricordarla le stringeva forte il cuore e non era il caso si annegare nelle lacrime, non davanti a lui. «E tu, invece? Che rapporti hai con tua madre?»
Inaspettatamente, il ragazzo si fermò e la guardò fare un paio di passi in avanti. Jun se ne accorse e si fermò anche lei, girandosi verso di lui. Il suo sguardo era vitreo e si sentì subito in colpa per avergli rivolto quella domanda. «S-scusa, non...»
«Non sei tu» sentenziò, prima che il silenzio calasse una terza volta e con esso, anche un senso d'imbarazzo gigantesco. Da come teneva la testa china, la ragazza capì di aver toccato un tasto dolente. Avrebbe avuto anche lei la sua stessa reazione, se qualcuno avesse chiesto di sua madre – forse il suo caso era ben diverso da quello di Em.
Jun esitò un istante, trattenendo il respiro. Poi si voltò verso la strada e riprese a camminare, senza curarsi della presenza di Marshall alla sua destra. La sera prima era cinico e silenzioso, ora sembrava più rilassato. Quel mix fra tabacco e marijuana doveva aver domato la sua personalità pavone – associava un animale ad ogni persona, e lui era presuntuoso quanto quegli uccelli dalle piume colorate.
Girarono l'angolo, trovandosi la strada a sinistra. In quei pochi minuti erano passati solo un paio di pick-up dalla verniciatura consumata, un paio di persone dall'altro lato della carreggiata che maneggiavano col crick e una fastidiosissima aria di scarico.
«Sei sempre stato così scorbutico?» sputò arida, ma lui rispose scrollando le spalle. «Smettila di tenere quel cazzo di mutismo, mi fai venire il nervoso.»
Marshall assottigliò lo sguardo. «E tu sei sempre stata così spocchiosa?»
«Perché lo chiedi?»
«Per come mi rispondi. Sembra che tu voglia asfaltarmi.»
C'era un'inesattezza in tutto quel discorso: lei sapeva difendersi, ma aveva paura di farlo ad alta voce. Il modo in cui parlava la faceva sembrare una rapper in tutto e per tutto, e solo quel dettaglio le permetteva di tenersi gli altri alla larga. "Attenta, Jodie, potrebbe ucciderti a colpi di freestyle!" e poi il gruppetto rideva.
Il falegname avrà anche fatto un pessimo lavoro con me, ma il mio legno è di buona qualità e dura nel tempo. Probabilmente il tuo falegname non è stato pagato abbastanza per scolpire un cervello.
«Potresti davvero prendere in considerazione la proposta di Doody.»
L'ansia si fece strada nel suo stomaco, sentì di colpo l'intero organismo in subbuglio. Non riusciva a capire se fosse paura o l'inizio di un futuro attacco di panico. Come faceva a sapere quello che si erano detti lei e Proof? Gliel'aveva sussurrata nell'orecchio la sera prima e non avevano affrontato l'argomento neanche per sbaglio.
«Non...»
«Allora ti farò io una proposta: un'amichevole allo Shelter stasera, ti faccio segnare sulla lista dei partecipanti. Trova qualcuno che ti copra al lavoro tra le nove e le dieci.»
«Perché sfidarmi in una battaglia rap, se sai già che rifiuterò?»
«Dammi retta, mandorla: essere una zimbella dall'altro lato della 8 Mile non ti renderà la vita facile.» Junko restò interdetta per un attimo, la situazione stava cominciando a diventare sempre più assurda. «Qui intorno sanno della tua esistenza, visto che vivi con Doody.»
Si sentì quasi cedere le gambe. Era surreale che la voce si fosse già diffusa per tutto il quartiere. Nessuno sapeva chi fosse Junko, né tantomeno che fosse originaria di quelle zone. Ammorbidì la sua espressione sorpresa, rassegnandosi successivamente. Le voci si diffondevano a macchia d'olio, non c'era nulla di cui meravigliarsi.
«E... E vorresti sfidarmi tu?»
Dopo un interminabile minuto di silenzio, Marshall scoppiò a ridere amaramente. La risata gli era esplosa in gola senza motivo, e lei lo stava fissando con gli occhi spalancati. «Non spreco le mie energie con una come te.»
Junko indietreggiò goffamente sul marciapiede con le lacrime che le salivano agli occhi, fastidiosamente pungenti fra le ciglia. Cercò di trattenerle, anche se in quel momento pareva una sfida impossibile. Lui, invece, la fissava senza mostrare alcun tipo di emozione.
«Ti diverti proprio a prendermi in giro?» la sua voce era bassissima, quasi inudibile. Stava quasi per smettere di respirare.
«Ho detto la verità.»
«Perché mettermi in lista, allora? Se mi proponi una sfida di cui non te ne frega un cazzo?»
«Mi frega eccome, voglio solo vederlo in terza persona. Ho semplicemente pietà per i novellini, un tempo lo ero anch'io.»
Lei batté le palpebre, poi aggrottò la fronte e aprì la bocca, come se stesse davvero per prenderlo a parolacce, ma poi sembrò ripensarci. Non era il caso di ripagarlo con la sua stessa moneta, sarebbe stato un gesto puerile. Marshall non aveva la minima idea di quanto facessero male le parole, lui le usava senza preoccuparsi troppo dei sentimenti altrui.
Lei, invece, aveva paura di usarle, che fosse una battaglia rap o un discorso per candidarsi come presidente dell'istituto. Ciò non significava che non sapesse ferire – non sapeva farlo fisicamente, ma psicologicamente sì. Appena girò il collo, vide l'autobus rallentare e accostarsi davanti a loro. Prima che Marshall indietreggiasse per tornare a casa, Junko prese la sua decisione.
«D'accordo, proviamoci» disse infine, portandosi l'inalatore fra le labbra e deglutendo pesantemente. «C-ci sarò stasera.»
«Sii puntuale e non trovare scuse per non venire» concluse lui, dando le spalle alle porte dell'autobus. Si chiusero dopo mezzo secondo, non appena la ragazza era salita e si era seduta agli ultimi posti.
Aprì il cellulare per accenderlo e dopo aver abbassato l'antenna, lo richiuse e lo infilò in borsa. Non riuscì a non pensare a Marshall; c'era qualcosa di strano fra loro, come se in qualche modo riuscissero a capirsi. Che fossero entrambi diversi esteticamente, lo si poteva vedere anche da lontano, ma non si sarebbe mai immaginata di avere una qualche connessione con qualcuno in meno di due giorni. O molto probabilmente era la debolezza dovuta al ciclo.
Poggiò la schiena sullo schienale duro del sedile, noncurante del cielo grigio. La gente era cupa, le strade poco illuminate e concentrate di malavita e prostituzione. Non c'era da stupirsi se quel posto era visto male dal resto delle persone. Non era facile imbattersi in persone caritatevoli dall'altro lato della 8 Mile, la maggioranza non aveva occhi per gli sconosciuti e fulminavano tutti con lo sguardo.
"Essere una zimbella dall'altro lato della 8 Mile non ti renderà la vita facile... Una zimbella..."
Socchiuse appena gli occhi, ricordando le parole di Proof. La mamma le diceva sempre di essere pronta a scattare in qualsiasi momento, e quella sera sarebbe potuta essere l'occasione giusta per dimostrare al mondo che era più di una figlia immigrata. Anche a rime, se necessario. Doveva sconfiggere quella sua paura, o non sarebbe sopravvissuta.
N.A.
Buonsalve! Sì, è passato un po'... ma sapete già il motivo. Seguire il plotline scritto sul quaderno sarà difficile, poiché non tutto è stato scritto. Abbiate comprensione, sono trascorsi sette anni dall'ultima storia seria che ho scritto. Sono abituata alle rom-com! ç_ç
Se conoscete bene Eminem, saprete già che anche il solo guardarlo dritto negli occhi fa venire i brividi. Almeno a me... sì, io che vado a dormire con The Shining, ho appena confessato di provare terrore per lo sguardo assassino di Slim Shady. Come se volesse ucciderti a colpi di dissing. Non è una mia fantasia, è proprio così!
Secondo voi, cosa vi aspetterete da questa sfida? Junko riuscirà a farsi un nome allo Shelter? Il capitolo è già scritto, mancano alcuni dettagli e rifiniture. Lo avrete però a fine giugno, quando ritornerò dal mio pellegrinaggio in famiglia. Saranno due settimane, non di più. Ne approfitterò per buttare giù qualcosa di getto, all'editing ci penserò successivamente.
- Gloria -
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