Capitolo 2 - I don't give a damn, if you find me rude
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Slim Shady entrò in casa con una sacca in spalla come se nulla fosse e non si era accorto di lei e Proof che bisticciavano. Avrebbe dovuto essere una serata tranquilla, con tutta la combriccola a ridere e rievocare i bei tempi sotto una base hip-hop vecchio stile. Questo e nient'altro, ma sapendo come girava il karma dalle sue parti, sapeva che qualcosa o meglio, qualcuno avrebbe distrutto quella piccola tranquillità.
«Per la terza volta: non ho intenzione di dividere il mio letto con un uomo.»
«Non stai un tantino esagerando, adesso? È solo per qualche giorno, non farne un dramma.»
«Io esagero? Dovevi dirmelo subito, almeno mi sarei preparata psicologicamente.»
«All'idea di dividere una casa con due bei ragazzi? Quando ti ricapita?»
Jun ignorò quella sua piccola allusione e si chinò accanto alla piega del muro per togliere il fermo dalla porta. «Siediti, nel frattempo che preparo il tuo letto» ordinò gelida rivolgendosi a Shady che, nel frattempo, aveva svoltato dalla parte opposta.
Lui poggiò la sacca sotto i suoi piedi, sedendosi e appoggiandosi allo schienale della poltrona con le mani dentro le tasche dei suoi jeans larghi. Aveva l'aria di un teppista, eppure c'era qualcosa nella sua espressione che le rendeva difficile distogliere lo sguardo, forse quell'indifferenza totale del mondo che lo circondava – la stessa che aveva anche lei.
«Non osare mettere a soqquadro le mie cose o ti strappo i testicoli fino a farteli mangiare, chiaro?»
In risposta scosse le spalle mostrando un'aura cupa, mesta. Junko sentì un altro brivido. Avrebbe voluto sottrarsi a quello sguardo, ma era impossibile. Tuttavia, non si lasciò intimorire e si recò nella sua stanza a passi piccolissimi e con un leggero affanno. Fare tutto in fretta e furia non faceva bene alla sua salute e lo sapeva bene.
«Lo caccio fuori io, se dovesse sfiorare i tuoi vinili dei Tears For Fears» sogghignò Proof, raggiungendola.
«So che non ubbidirà, ma gliel'ho ricordato lo stesso» ribatté acida, sistemando la coperta più grande sui cuscini. Intervallò l'inalatore fra un lenzuolo e l'altro, calmando i nervi. «Ho la netta sensazione che sia una testa di cazzo.»
«Come fai a dirlo, se non lo conosci?»
«Non mi è piaciuto come si è comportato poco fa.»
«So che è scorbutico, ma lo fa per divertirsi.»
Jun sbuffò. Se quello era divertimento... «Bah! È solo un presuntuoso.»
«Un pensierino lo farei» soggiunse maliziosamente, dandole un colpetto di gomito su una spalla. «Non ti piacerebbe provarci con uno come lui?»
«Piuttosto mi faccio suora.»
Lui scosse la testa divertito, guardandola mettere via le lenzuola. Quanto era difficile!
Non riusciva ad essere arrabbiato con la sua Junnie Jun. L'aveva sempre chiamata come un personaggio di un cartone animato e a lei piaceva come lo pronunciava, marcando quell'accento pseudo-giapponese che lo faceva sembrare un otaku d'altri tempi. Peccato fosse più un fan di Star Wars che de L'uomo Tigre.
«Se proprio non vuoi dividere la camera con lui, puoi dormire con me.»
«Non dormo accanto a un cinghiale sotto steroidi.»
Si stava riferendo al modo in cui russava, e come darle torto. «Mi hai appena fatto male, Junnie.»
«Il disinfettante è nella cassetta del pronto soccorso, pensaci tu.»
Lo sorpassò e andò in bagno, dopo aver preso il suo accappatoio rosa. Le sfuggì un sogghigno, anche stavolta non era riuscita a tenere a freno il suo sarcasmo. Una delle sue tante stranezze era quella di ridere anche in momenti seri, o fare battute inopportune. Non ricordava da chi avesse preso, se da suo padre o suo nonno paterno, e tutte le volte che lo faceva non sapeva tenere a freno le risate.
Che cazzo hai da ridere, nanetta? Lo trovi divertente?
Una voce forte e autoritaria la spaventò all'improvviso e lasciò cadere la spugna. La stessa che la tormentava nei suoi incubi ogni notte. Si abbassò per raccoglierla e si portò la mano libera fra i capelli, cercando di scacciarla via.
Non c'è posto per un'immigrata come te. Ridi ancora, se hai coraggio!
La testa le pulsava, tutti i pensieri vorticavano fino a farle venire un conato di vomito. Il viso era pallido, le pupille dilatate e una sensazione di prurito sul fianco sinistro. Dovette trattenersi dal grattarla, o dal massaggiarla. Si spostò e aprì maldestramente la tenda plastificata della doccia. Doveva smetterla di pensarci o sarebbe impazzita.
«Possiamo parlare seriamente adesso, Miss Sarcasmo?»
Si girò e vide Proof appoggiato allo stipite della porta, il braccio alzato e uno sguardo gentile. Lei annuì, controllando il respiro. Aveva pensato così tanto che non l'aveva chiusa a chiave prima di entrare in doccia.
Jun si protese dinanzi a lui, stringendo la cintura dell'accappatoio. «Ti ascolto.»
«So che siamo partiti col piede sbagliato, ma vorrei che tu ed Em non litigaste. Non dico di voler per forza andare d'accordo, ma almeno tollerarvi a vicenda.»
Lei distolse lo sguardo, boccheggiando. Aveva tollerato fin troppo, non era in grado di sopportare altre scocciature del genere. Se era riuscita a liberarsi di coloro che l'avevano umiliata nei quartieri alti, non sarebbe stata capace di avere a che fare con una persona che probabilmente, le avrebbe inflitto lo stesso dolore.
«Non posso garantirtelo» rispose aspra.
«Fallo per me, Junnie. Non mi piace vedere i miei migliori amici litigare.»
Lo sguardo di Proof era il più sincero che qualcuno le avesse mai rivolto, tanto da intenerirla e fare cambiare idea. Odiava quel genere di manipolazione emotiva e lui sapeva farlo fin troppo bene. Sospirò e neutrale, decise di dargli ascolto. «D'accordo, ma non credere che abbia cambiato opinione su quel pallone gonfiato bianco.»
«Non sapevo che Shady fosse bianco» nascose un sorriso adulto, beffardo.
Lei alzò gli occhi al cielo e chiuse la porta del bagno, non prima che lui si fosse spostato dallo stipite. Quel breve corridoio fra le camere da letto era talmente stretto che neanche un pelle e ossa ci passava, erano giorni che Junko cercava di abituarcisi. Si spogliò velocemente ed entrò nella doccia.
I rubinetti erano ancora arrugginiti, ma funzionanti. S'insaponò le mani e se le passò su tutto il corpo, facendo attenzione a non sprecare troppa acqua. Fra l'affitto e il doccino che ogni tanto perdeva, non poteva permettersi di riflettere sulla giornata. L'acqua era insopportabilmente gelida, ma almeno avrebbe rassodato. Era ciò che le serviva per non pensare troppo.
Lei e Proof non si erano gridati in faccia, aveva dovuto riconoscere che una coppia di amici d'infanzia era molto più sana di una storia d'amore finita male. Si ritrovò a chiedersi come lui avesse fatto a gestire tutto da solo o meglio, ad avere un inquilino scroccone come Occhi di Ghiaccio. Quel dispregiativo sapeva troppo di fiaba nera, tuttavia era l'unico che le era venuto in mente guardandolo.
«S-scusa, Junnie, mi serve il dentifricio.»
Uno spiraglio a sinistra le fece al volo capire che Proof era entrato nel bagno e si era coperto gli occhi con la mano sinistra, mentre con la destra andava alla cieca alla ricerca di qualcosa. La ragazza restò immobile dietro la tenda, coprendosi maldestramente il seno.
«È alla tua sinistra» disse poi, alzando la voce di un paio di decibel.
«Non vedo un cazzo con la mano davanti agli occhi.»
«Avvicinati di un centimetro, c'è anche lo spazzolino.»
«Posso aprirne solo uno? Giuro che non sbircio.»
Junko arricciò il naso irritata. «Deshaun!»
«Trovato! Me ne vado subito!» Acchiappò il dentifricio e lo spazzolino, e chiuse sbrigativamente la porta togliendo la mano da davanti gli occhi.
Ci era mancato un pelo, stava per risvegliare l'uragano Junnie. Quando si arrabbiava e alzava la voce, faceva davvero paura. Raddrizzò le spalle e solo pochi secondi dopo, si accorse della presenza di Shady. Aveva inarcato un sopracciglio confuso, in canottiera e la felpa caricata sulla spalla sinistra.
«L'igiene orale è importante» proferì successivamente, camminando a passo svelto verso il lavandino dell'angolo cottura noncurante della sua espressione.
Lui non lasciò uscire nessuna risata, eppure con lui era facilissimo. Non si sentiva dell'umore adatto – anzi, non lo era mai stato – e non era alla pari di Doody che, nonostante i disastri della sua vita, aveva imparato a sorridere fregandosi di tutto. Sputò nel lavandino, rendendosi conto di ciò che aveva pensato. Da quando aveva iniziato a paragonarsi a lui in quella maniera?
Proof cambiò argomento per attaccare bottone, anche se quel nome era l'ultimo che avrebbe dovuto tirar fuori. Non aveva resistito alla tentazione di saperlo, visto che lui poche ore prima era stato troppo enigmatico. «Cos'è successo fra te e Kim, stavolta?»
«Ho avuto un esaurimento nervoso e me ne sono andato. Non la sopporto più, forse è la volta buona che la mando davvero a fanculo.»
«Dopo tutta la fatica che hai fatto per conquistarla?»
«Una fatica sprecata, oserei dire. Sai, Doody? Forse era meglio se rimanevo single anch'io. Le ragazze sono tutte uguali, ti fanno marcire il cervello.»
«Pensavo che Kim fosse la donna della tua vita, che avresti sacrificato te stesso per lei.»
«Ma che andasse a farsi fottere, lei e tutti i suoi problemi del cazzo.»
«Ti è appena spuntato un fiore in bocca.»
In tutta risposta alzò il dito medio e Proof rise, andando nella sua stanza perennemente disordinata. Shady lo seguì poco dopo, sciacquandosi la bocca e recuperando la felpa. Osservò Junko di sfuggita, mentre superava il tavolino alla sua sinistra.
Era appena uscita dal bagno con addosso una canottiera e un paio di shorts grigi. Si aspettava una vestaglia da notte o il classico pigiamino da bambina con gli orsacchiotti, avrebbe potuto avere un pretesto per prenderla un po' in giro. Si ricompose e socchiuse la porta per non guardarla sistemare le lenzuola sul divano.
Quella camera da letto era disordinata come al solito, fra la gigantografia di Martin Luther King e altri suoi vecchi idoli dell'adolescenza. Era passato un anno dall'ultima volta che aveva messo piede in quella casa ed era stato dopo un rave party nei pressi della 6th Mile, riaccompagnandolo dopo una rissa con un tizio dalla puzza di vodka sotto il naso. Fra drogati e ubriachi, non ci si capiva più nulla e per fortuna che non aveva esagerato come il resto del gruppo. Si appoggiò al muro, guardandolo cambiarsi la maglietta.
«Mi sa che la tua scopamica si è calmata, bro.»
«La notizia l'ha presa alla sprovvista, capisco sia un tantino agitata all'idea di dividere la casa con un'altra persona. Secondo, non sono il tipo da amiche con benefici.»
Più che agitazione, sembrava in preda ad una crisi di astinenza. Era un pensiero sessista e non lo negava, ma in quel momento era l'unica spiegazione che sapeva dare. Non aveva voglia di pensare all'ultima sfuriata con la sua ex fidanzata, figuriamoci a sopportare le lamentele di quella sciacquetta straniera.
«Da quanto sta qui?»
«Pochi giorni, ma per me è come se vivesse qui da una vita intera» ammorbidì la voce con un sorriso, per poi tornare serio. «Non mi va che litighi anche con lei, come se la lite fra te e Royce non fosse stata abbastanza.»
Quella faida fra loro si era risolta da tempo e grazie a lui, perché odiava vedere litigare le persone a cui voleva bene. Aveva intenzione di fare la stessa cosa anche con quella ragazzina, a quanto pareva. Shady non aveva alcun interesse, preferiva di gran lunga scrivere e pensare a se stesso. Nel momento in cui aveva teso la schiena, notò Proof seduto sul letto con un paio di lettere fra le mani con la testa leggermente china.
«Che cosa sono quelle?» domandò senza trattenere la sua curiosità.
Lui lo guardò esitando un po', poi s'inumidì le labbra e parlò. La conosceva da molto prima, quando ancora viveva sulla Dresden Street. Sapeva della sua situazione familiare, l'aveva percepita coi propri occhi dal primo istante in cui l'aveva vista uscire dall'asilo. Al liceo era sempre sola ed era stata soprattutto lei a prendere le distanze. Non perché fosse diversa, non lo era poi così tanto, ma erano gli altri a vederla come una sfigata. Non aveva avuto relazioni se non un paio di volte e di solo sesso. Non parlava mai di moda, boyband del momento, trucchi, teenagers... quegli argomenti così noiosi da far venire l'ernia.
Dopo l'ultima lettera che si erano scambiati, Proof aveva promesso di aiutarla. Si erano messi d'accordo già da tempo, e ce ne voleva per passare da un quartiere benestante ad uno degradato. In fondo, non era stata colpa sua. Lei non ne parlava mai, nemmeno se veniva menzionato l'argomento. Si perdeva fra i ricordi, quegli attimi di felicità che anno dopo anno si sgretolavano fino a diventare cenere e sparire dopo un soffio di vento. Un sorriso spezzato fra mille risate, un'anima spenta in mezzo a tanta luce e un mondo ignobile cui era destinata a vivere.
Shady si lasciò scappare una smorfia. E tutto quello sproloquio avrebbe dovuto fargli cambiare opinione? Se proprio voleva far pena, avrebbe dovuto strisciare per terra. Era brutto pensarlo, ma il suo cinismo stava prendendo il sopravvento come al solito.
«Leggendo le sue lettere, ho capito quanto soffrisse ed è finita nella mia stessa situazione: senza una famiglia e con le mani bucate» proseguì, rigirandosi quelle buste giallastre fra le dita. «Swifty l'ha saputo prima di me e ha voluto aiutarmi a cercarle un lavoro prima che arrivasse qui.»
«La ricchezza fa soffrire, eh?» borbottò inespressivo.
«Senti... non ce l'ho fatta. Non ho potuto non fare qualcosa, è stato più forte di me. Non meritava di finire in mezzo alla strada per colpa di un padre degenere che le è capitato in sorte, ha perfino perso sua madre.»
«Sapessi a me che madre mi è capitata in sorte» ripeté a pappagallo, stavolta ad alta voce.
«Smettila di fare lo Slim Shady per cinque minuti, porca puttana!» ribatté lui sull'orlo di perdere la pazienza. «Fai questo sforzo.»
«Perché dovrei farlo? Sai bene qual è la mia posizione in merito.»
«Puoi sempre fare amicizia con qualcuno, Doody. Ti serve questo» si picchiettò la parte alta del petto per indicare il cuore. «Sono anni che te lo dico e non lo fai.»
«Perché non sono te» ammise senza pensare, guardandosi le sneakers bianche sporche di polvere sulle punte. «Tu sei l'amico di chiunque.»
«Esatto, chiunque. Come lo sono per te, per Denaun e anche per lei. Vorrei lo facessi anche tu.»
Lui fece spallucce. «Se ti aiuta a stare meglio...»
«Mantieni la parola, però. Non farti vedere come se fossi il re del ghetto, dopotutto stiamo parlando di una ragazza, giusto?» ammiccò, e si alzò dai piedi del letto. Si avvicinò alla maniglia della porta, abbassandola lentamente. «Vado a vedere se l'uragano si è placato.»
Shady non ebbe il tempo di tradurre la frase precedente, che subito si ritrovò la porta di legno contro la spalla. Si spostò e sbirciò dall'uscio; Proof le stava rimboccando il plaid con una certa cura, bisbigliandole qualcosa. Non riuscì a comprendere, ma sembrava essere un "copriti bene o prenderai freddo". Con le ragazze normali non si rivolgeva in quella maniera troppo amichevole, andava dritto al punto e faceva pensieri sconci. Era un bastardo a letto, ma la sua anima era più limpida del fiume che attraversava la città.
In effetti si era sempre chiesto chi fosse quella fantomatica Junko che tanto nominavano gli altri, l'amica d'infanzia di Doody che aveva lasciato la 8 Mile finita la quinta elementare. Era passata dalle stalle alle stelle, per poi precipitare nella stessa stalla dov'era nata. Per quanto gli riguardava, quell'asiatica poteva benissimo rimanere lì dov'era – anche se non aveva più una madre e suo padre fosse da qualche parte a bighellonare con una puttana.
«Hey, non mettermi più il broncio. Okay?» le pizzicò dolcemente la guancia, facendola sorridere. «Buonanotte, uragano.»
Quella lì... un uragano? Piccola com'era, poteva far paura soltanto ai piccioni che camminavano per strada. Lui, però, affermava il contrario. Quella ragazza era alta quanto una bambola a grandezza naturale, ma sapeva come sganciare un destro. Non ci avrebbe creduto neanche se lo avesse visto coi propri occhi. Era troppo mingherlina per poter mettere fuori gioco uno della sua taglia, figuriamoci qualcuno più alto e muscoloso di lui.
Proof si tirò su e si diresse verso la porta della sua stanza, dando un'ultima occhiata alla ragazza. Si era fra quelle coperte e plaid, stringendo il suo inalatore fra le mani. Shady ne rimase sorpreso, ecco spiegato l'affanno di poco prima: soffriva d'asma.
«Sembri suo fratello» commentò dopo, ancora in piedi sulla soglia.
«In un certo senso lo sono, perché Junko è come una sorella minore.» Si levò il cappello e stavolta, deciso ad andare finalmente a dormire. «Mi trovi qui, nel caso ti servisse qualcosa. 'Notte.»
Chiuse la porta e anche Shady fece la stessa cosa, chiudendosela alle spalle. Forse avrebbe dovuto chiedergli di dormire con lui, invece che stare per conto suo come al solito. Spostò la sua sacca, mettendola di fianco la scrivania malandata nella stanza e l'aprì per rimettere dentro la felpa che si era tolto poco prima.
I suoi vestiti non erano niente di speciale, la giacca e i pantaloni di jeans sembravano quasi nuovi. Anche se aveva lavorato come un mulo per guadagnarsi il minimo indispensabile e il suo EP aveva fruttato tantissimo, non aveva usato i soldi per un affitto o arricchire il suo guardaroba. Si accontentava di poco e preferiva di gran lunga la compagnia del suo migliore amico e... e della sua amichetta Junko. Quest'ultima doveva sopportarla, ma lo avrebbe fatto per Doody. Non era in vena di fare altre amicizie, specialmente col gentil sesso. Ugh, che eufemismo!
Si sedette sul letto e un terribile profumo di frutta invase le sue narici, ma cercò di non pensarci e senza togliersi le sneakers, si sdraiò. Non gliene fregava nulla se poi il giorno dopo l'avrebbe rimproverato, dopotutto quel lettino cigolante era stato suo e la regola delle scarpe non esisteva. Non avendo il walkman con sé, infilò le mani nelle tasche dei jeans ed estrasse alcuni pezzi di carta scarabocchiati. Con la luce della lampada accesa, giocherellò con il click della penna sul comodino nel tentativo di farsi venire un'idea.
Alzò lo sguardo, perlustrando l'intera stanza. L'aveva lasciata vuota e piena di panni sporchi, ora era ben ordinata e piena di cianfrusaglie femminili come creme idratanti profumate – capì quel fastidioso odore di frutta. Il letto su cui stava sdraiato aveva le lenzuola colorate, di fianco alcuni suoi disegni – lo si poteva capire dal nome scritto nell'angolo in basso a sinistra – tutti in bianco e nero, non usava i colori neanche per sbaglio. Qualcosa che aveva già visto.
Non resistette alla tentazione di curiosare fra i vinili, quei pochi che c'erano in quello scaffale montato male. Ne prese uno, guarda caso Song from the Big Chair dei Tears For Fears. Ne aveva sentito parlare dall'ex vicina che abitava sulla Dresden Street, aveva la stessa copia fra Smokey Robinson e altri esponenti della Motown. Notò successivamente una sfumatura azzurra e una scritta rossa vicino la cassetta di The Chronic di Dr. Dre: Straight Outta Compton degli NWA.
Prese il primo e l'ultimo, osservandoli come un manufatto antico. Gli angoli erano leggermente rovinati, ma i dischi sembravano nuovi di zecca. Se il primo richiamava la sua natura, l'altra la descriveva. Se uno era in chiave gangster, l'altra era più leggera ma comunque pungente. Due generi diversi che esponevano lo stesso concetto di vita. Mettendoli l'uno di fianco all'altro, capì: a lei piaceva la musica e ne studiava le parole. Non idolatrava nessuno, ascoltava e s'immergeva nel significato di ogni canzone.
Non si capacitò del fatto che possedesse oggetti simili, per giunta ben tenuti. Aveva dato per scontato fosse una di quelle ragazzine in piena fase ormonale che sbavavano davanti ai poster dei Backstreet Boys. Invece ascoltava hip-hop, rock e rhythm and blues alla faccia di chi giudicava i suoi gusti.
«Che stai facendo?» Udì la voce flebile di una ragazza. Non si era accorto della porta aperta e la corrente fredda che lo stava colpendo sul braccio scoperto. «Sai che è da maleducati sbirciare i fatti degli altri?»
«Cosa ci fai sveglia a quest'ora?» domandò lui con tono monocorde, senza rispondere alla sua domanda ed evitando il contatto visivo.
«Dovrei chiederti la stessa cosa.»
Pose lo sguardo sulla scrivania disordinata, senza accennare un minimo di espressione. «Insonnia. E tu?»
«Stessa cosa» si limitò a dire, irrigidendosi con la schiena.
Per qualche motivo Shady le crebbe, appoggiando entrambi i vinili di fianco il cuscino del letto. Non era il tipo che si poneva troppe domande o sospetti, qualunque sarebbero potuti essere. A vederla era una brava ragazza, il suo viso era ancora un po' troppo rotondo per essere adulto, ma i suoi tratti erano un piacere per la vista. Lui si riscoprì a guardarla e lei glielo fece notare subito, trucidandolo con lo sguardo.
«Hai bei gusti, devo riconoscerlo.»
«Grazie.»
D'istinto si grattò la punta dell'orecchio con l'indice con fare nervoso, facendo sparire quell'espressione diffidente. Lo aveva detto davvero? Rimise posto le pieghe della canottiera del pigiama con fare timido, sentendo un brivido freddo.
«Vieni, ti faccio vedere una cosa.»
Junko gli andò incontro e lui mostrò una piccola serie di fogli strappati e spiegazzati, alcuni bianchi e altri ingialliti. Non riuscì a capire cosa ci fosse scritto nonostante la calligrafia leggibile, ma era così piccola da far venire il mal di testa. Alcune frasi erano scritte in verticale, altre in diagonale e riempivano un intero pezzo di carta.
«Cosa sono? Poesie?»
«Si chiamano pensieri in rima. Le poesie sono roba da intellettuali.»
Ciò che aveva buttato giù in quei giorni lo avevano svuotato, la maggioranza erano sfoghi e frustrazioni di una vita. A colpirla fu una frase in particolare, quella con più correzioni. "La posta in gioco è troppo alta per essere finta, c'è troppo nel mio piatto. Sono andato troppo lontano in questo gioco per potermi girare e andarmene, e non dire quello che ho da dire".
«Sembri così aggressivo.»
«Ti sbagli, riflette la realtà» addolcì di nuovo la voce e la sua espressione più rilassata. «Se si vuole essere veri, non bisogna mai ritirarsi dal combattimento. Alcuni lo fanno, ma io no.»
Finalmente Shady alzò la testa e Junko vide uno scintillio chiaro uscire dai suoi occhi, due schegge di ghiaccio talmente affilate da lacerarle la pelle. Più dolorose e profonde di una lima. Sentì le viscere stringersi e il respiro le si bloccò in gola, si portò l'inalatore fra le labbra e ritrovò un po' di respiro. Perché le faceva quell'effetto?
«Un giorno ti racconterò.»
«Perché non adesso?»
«Perché è ora di andare a dormire.» Infilò i fogli nella tasca dei jeans, poco dopo averli ripiegati a quattro.
Jun si tirò su con una specie di balzo che le fece girare la testa e oscillare la stanza, l'elastico dei pantaloncini del pigiama che scivolava lungo il fianco, trascinato da quel movimento improvviso delle cosce. Stava per tirarlo su, quando un calore le bruciò quel piccolo lembo di pelle scoperto. Il calore di una mano sconosciuta. La ragazza fu scossa da uno spasmo, avvertendo un senso di nausea crescere dentro.
«L'elastico si sta consumando.»
Recuperò respiro con l'inalatore, realizzando che quel pezzo di stoffa lo aveva messo in lavatrice insieme alle sue felpe e magliette quel pomeriggio, doveva aver sbagliato a regolare la temperatura. Inghiottì sopportando quel bruciore, uscendo senza guardarsi indietro. Non aveva il coraggio di alzare di nuovo lo sguardo su di lui.
«Sto giusto risparmiando qualcosa per comprarne uno nuovo» bisbigliò, la voce quasi rauca. «Buona... buonanotte, Shady.»
Il suo silenzio la scosse ancora di più, ma non abbastanza da farle venire un altro spasmo. Non era un tipo losco, nemmeno presuntuoso come credeva all'inizio. Era soltanto... di poche parole. Un po' come lei il primo giorno che aveva messo piede dall'altro lato della 8 Mile. A distanza di dodici anni.
«Buonanotte, mandorla» concluse lui secco e prima di una qualunque sua reazione, si chiuse dentro e sparì nella stanza.
N.A.
Ci ho messo tanto, lo so, e vi chiedo scusa. Spero vi abbia smossi un pochino su quella che è la storia di Junko, ma verrà approfondita nel corso della storia. Prima che arrivi a fare amicizia con Marshall ci vorrà tanto tempo, bisognerà trovare un terreno comune. Ce la faranno? Diamogli una possibilità.
Per i pochi che non lo sanno: Eminem e Proof si chiamavano "Doody" a vicenda, non stupitevi se ogni tanto troverete questo nomignolo anche dal punto di vista di Em. Alla fine anche Junko lo ha scelto. Per Slim Shady sarà una misera mandorla, ma per Proof resterà sempre e comunque la sua piccola Junnie Jun. <3 Ok, basta, sennò diventa tutto sdolcinato.
Tranquill*, non sfrutterò la cosa a mio vantaggio. La scelta di mostrarlo cinico e dal cuore di ghiaccio è una scelta voluta, perché Slim Shady è esattamente così. Chi lo conosce dagli albori, saprà anche il motivo per cui questo suo alter ego non risparmia nessuno (né uomini né donne) e se troverete sessismo e dualismo, sappiate che fa parte di lui. Io autrice, in quanto femminista, mi dissocio.
Purtroppo non so quando aggiornerò, spero a metà mese e arrivare alla prima battaglia allo Shelter prima della pausa a giugno. In realtà è già scritta, ma ha bisogno di un'attenta revisione. Vi chiedo solo di pazientare. Intanto, vi ringrazio per il supporto che mi state dando per questa storia. Vi adoro!
- Gloria -
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