Capitolo 13 - I'm like a lunatic, you make me sick
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╚»★ 31 ottobre 2002 | La notte di Halloween ★«╝
Il ragazzo con le treccine si rigirava la nuova Golt fra le mani, dopo che la vecchia l'aveva persa in una scommessa allo Shelter. Seppur scarica, ci giocava con le dita e l'ammirava con un certo sadismo; chi si comportava da cattivo ragazzo veniva punito dal braccio della morte, oppure quella stessa arma poteva essere tagliata dalla mano di un cattivo. Tutto poteva succedere. I loro coetanei, tuttavia, erano attratti dalla quella che in passato era stata la faida fra i cattivi ragazzi e il braccio della morte.
Nessuno avrebbe notato una Golt fra le mani di un ventisettenne che fingeva di essere un gangster. Sì, perché Hyde fingeva, ma quella messinscena si sarebbe trasformata in qualcosa di vero. Lui voleva essere qualcuno e dare del filo da torcere a chi diceva il contrario, anche se ciò avrebbe significato pagare un prezzo molto alto.
Il fratello minore Wade non sembrava essere del suo partito, sapeva che negli anni la rivalità fra East e West Coast aveva sparso troppo sangue. Suo fratello era sempre rimasto intrigato dall'idea di poter far parte di quella che in realtà era stata una vera mafia – non quella che loro fingevano – e non si stava rendendo conto di aver appena messo in pericolo la vita di una ragazza che non aveva a che fare con il loro mondo.
Le vicende passate non gli avevano insegnato nulla, neanche l'incidente che aveva causato la morte della sua fidanzata. Un incidente voluto e che suo fratello non avrebbe mai ammesso. Aveva mentito alle autorità per non finire dietro le sbarre, come aveva fatto più volte dopo una qualsiasi rissa. Aveva volontariamente rinunciato alla felicità e a quel futuro prospero che avrebbe potuto avere una volta uscito dal liceo con la toga addosso. Alla fine aveva scelto il sangue all'acqua benedetta. Aveva sacrificato l'anima per l'orgoglio, soltanto perché voleva dominare lo Shelter e farsi vedere dai più forti.
Hyde bramava quel desiderio di vittoria da quando aveva deciso di mettersi in gioco all'Hip-Hop Shop, così come il titolo di numero uno del 313. Aveva infranto le regole troppe volte, arrivando a ferire un loro compagno e uccidere un rivale. Una volta che avrebbe compiuto il passo finale, camminando attraverso la valle dell'ombra della morte chiamata Inferno, si sarebbe reso conto che non gli sarebbe rimasto più nulla. Lo avrebbe fatto da solo, ma sarebbe stato troppo tardi.
«Terence, piantala di fare rumore con quel coltello da taschino.» Il fratello lo riprese e sussultando, lo chiuse e se lo intascò. Ci giocherellava sempre quando era ansioso. «Che ti succede? Sei così moscio.»
Wade sentiva di doverlo dire, per proteggere la famiglia e lui. Soprattutto lui.
«Stiamo facendo una pazzia, Rog.»
Lui subito lo guardò in cagnesco. «Non avrai intenzione di mollarmi.»
«Ti sto solo dicendo di riflettere» replicò con tutta la calma che aveva dentro. Hyde strinse il volante della macchina con rabbia, l'altra stretta in un pugno pronta a colpire lo sterzo con fare rabbioso. «Non ti sono bastati tre anni e mezzo di riformatorio?»
«I grandi eroi hanno passato almeno un mese dietro le sbarre.»
Era chiaro che si riferiva a Biggie. Lui, però, non aveva ucciso nessuno. I veri eroi erano coloro che combattevano per una causa – sociale, politica, umanitaria – e non chi rubava vite su vite per il puro gusto di danneggiare gli altri. Tupac voleva cambiare il mondo, ma era caduto in un cerchio molto più grande di lui e si era fidato delle persone sbagliate. Nessuno era stato un santo, né tantomeno chi aveva creduto nella propria fede. La religione cristiana non tollerava la guerra, le croci d'oro portate al collo solo per mostrare il proprio potere e l'impurità dell'anima.
Wade voleva farlo ragionare, prima che quella rivalità arrivasse al fatidico punto di non ritorno.
«Stai esagerando, tutto questo solo perché nessuno di grande ti ha notato. Hai dimenticato quello che è successo a B—» Il fratello gli puntò l'arma al centro della fronte, spaventandolo. Lui restò pietrificato al muro sporco e dall'intonaco sbiadito, il respiro mozzato e il cuore in gola.
«Non me ne frega niente del loro compare, i Dirty Dozen me la pagheranno per avermi fottuto la corona dello Shelter» ringhiò, gli occhi colmi di rabbia. «Otterrò la mia vendetta nei confronti di Dirty Harry e Slim Shady, posso assicuratelo.»
Wade non aveva dimenticato quella rissa, di come B-Larry e Hermes l'avevano fatta finire. Lui era stato complice, aveva visto un ragazzo venir ucciso e il corpo venire investito più e più volte dalla stessa macchina. Il tonfo sordo del muso che sbatteva contro le ossa del malcapitato, sporcandosi di sangue. Aveva sognato quella scena notti intere fino al vomito, per non parlare delle scuse che avevano dovuto raccontare alla loro famiglia per uscirne puliti.
«Avevi giurato che non lo avremmo più fatto. Era questa la prima regola dei Mobs. L'hai dimenticata?»
«No, fratellino. Non l'ho dimenticata» ripeté piano, senza voltarsi per guardarlo negli occhi. «Se la cinesina è il loro punto debole, sfruttiamolo a nostro vantaggio.»
«Vuoi rapirla e violentarla?»
La voce gracchiante di B-Larry lo fece pensare. Passasse la timidezza, l'arroganza o quel che era, ma Hyde odiava quegli occhi a mandorla penetranti e scuri. Mentre sul palco dello Shelter schiacciava tutti come un rullante che stendeva l'asfalto, lei aveva assaltato la fortezza degli altri rapper con un solo sguardo. I Dozen erano la sua scorta, non solo un gruppetto di amici dai muscoli mosci, e violentarla sarebbe stato stupido.
«Non è il caso, Roger. Ci sono modi migliori per tender loro una trappola.»
La cosa inutile aveva ragione. «Infatti stavo pensando di ricattare la ragazzina con questa.»
Wade si girò verso suo fratello e dalla tasca della sua giacca strappata spuntò una vecchia polaroid a filtro seppia, che mostrava una donna piacente con in braccio una bambina di circa quattro anni. Un uccellino gli aveva detto che era la madre di quella ragazza, probabilmente venuta a mancare. Se avesse mostrato quella foto al loro obiettivo, avrebbe potuto ceder loro la corona dello Shelter. Del resto le madri erano il punto debole di tante persone, specialmente di ragazzine latitanti.
«Bella donna» sogghignò Larry, mostrando un sorrisetto. Il solito cacciatore di milf. «Ma non penso sia così cocciuta da cascarci.»
«Lo farà, invece. Vi spiego il piano...»
Il tono sicuro di Hyde fece sorridere il terzo del gruppo; avrebbe sfruttato il suo asso nella manica, Hermes, e forse qualche altro Mob. Ciononostante Wade non era sicuro, ma sentiva di doverlo fare. Per suo fratello era disposto a rischiare, sapendo quanto la sua vita valesse più di uno stupido titolo. Anche se glielo avesse detto, Hyde non si sarebbe fermato.
Quella notte Junko non aveva dormito. Aveva le palpebre pesanti e gli occhi che sembrano voler uscire dalle orbite, dopo ore passate tra incubi popolati da occhi che la fissavano maligni e dolorosi, terrificanti. Immagini distorte e deformate, ma riconducibili a silhouette umane. Se provava a chiudere gli occhi, quella fastidiosa fitta al fianco tornava a farsi sentire – e non per quel periodo del mese vicino.
Mise in bocca il cucchiaino pieno di macedonia, cercando di reprimere quell'inspiegabile istinto di sollevare lo sguardo e guardare Kinsley o Alan, ma non ci riuscì. Loro stavano preparando tutto per l'apertura del locale, mentre lei cercava di riprendere le forze. Sentiva il bisogno di dover immergere la testa nell'acqua ghiacciata, esagerare con la caffeina o provare a masticare una chewing-gum alla menta. Nessun rimedio sarebbe servito.
«J ha detto che puoi tornare a casa, se non stai bene» esordì Kinsley, sistemandosi le treccine in una coda alta. Aveva scelto di vestirsi da diavoletta, senza essere troppo succinta. «Non sentirti costretta a lavorare in quelle condizioni.»
Junko scosse la testa, sicura di sé. «Ce la posso fare, Kin.»
Lei scrollò le spalle e raggiunse Alan per aiutarlo a pulire i tavoli, sistemare qualche zucca decorativa e scegliere un costume. Essendo la notte di Halloween, ci sarebbe stato il triplo del lavoro. Quella sera Junko avrebbe preso le redini del bancone e avrebbe preparato le specialità della casa, cosa che le riusciva bene. Da qualche tempo aveva imparato ad armeggiare lo shaker per fare bella impressione ai clienti – seppur rozzi e incontentabili – e mollare gli ormeggi non sarebbe stato d'aiuto per J.
Doveva farlo per Proof. Glielo doveva dopo tutto quello che stava facendo per lei, pur sapendo non fosse abbastanza. Sperò fosse lui a prenderla dopo il suo turno.
Poche ore dopo il locale iniziò a riempirsi di ragazzi e adulti, chi di passaggio per una semplice birra o chi voleva divertirsi e fare baldoria. In qualsiasi locale di periferia si poteva vedere, anche il meno disgustoso. Junko finì la sua macedonia e cominciò a lavorare, dopo aver controllato che il suo trucco da rockettara zombie fosse a posto. Di solito era lenta a preparare i cocktail, ma da qualche tempo aveva iniziato a prendere familiarità con le bevande e i cubetti di ghiaccio.
«No, Hermes, hai perso la scommessa. Offrici da bere, o sei ancora al verde?»
«Ce li ho, Roger. Ho messo tutto sul conto di mio padre.»
Alla vista di Hyde in compagnia di Cappellino Blu e un terzo incomodo, Junko si voltò di spalle e cercò di non farsi notare. Non era possibile, erano anche lì!
«Senti, finocchio, portaci qualcosa di forte ed evita di sculettare davanti a noi. Non ci piacciono i vampiri ballerini.»
Alan sbuffò e fingendo di nulla, voltò loro le spalle e servì due ragazze dalla parte opposta.
«Stasera il biondino caramellato è più irritabile del solito» commentò Kinsley con tono sarcastico, sapendo ci fosse poco da ridere in una situazione grottesca come quella. «Penso io a culo-e-camicia, Jun. Occupati solo delle persone davanti al bancone.»
Lei annuì e mantenendo la solita espressione energica ed educata, prese lo shaker. Ogni volta che lo agitava, sentendo il rumore del ghiaccio che sbatteva con violenza da una parte all'altra, una sensazione di adrenalina prendeva possesso di lei. Aiutava molto a non pensare ed era il momento giusto per non posare lo sguardo sui Mobs, lavorando come ogni sera.
Ne preparò tre nel giro di dieci minuti, stappò qualche bottiglia di birra e lasciò che Kinsley li servisse. Tenne gli occhi sul bancone, come lei le aveva ordinato. Era difficilissimo sapendo di avere mille occhi puntati addosso. Agitò lo shaker e sentì un leggero sollievo.
Improvvisamente, un paf riecheggiò fra il casino generale. Uno di loro aveva tirato una sberla sul sedere di Kinsley, più precisamente il terzo incomodo seduto vicino a Cappellino Blu. Doveva essere colui che Hyde chiamava "Hermes". Lei sussultò e si girò cagnesca in cerca del colpevole, e lui non nascose un ghigno divertito. Bene, se al biondino caramellato piaceva tanto giocare, tanto valeva fare la voce grossa.
Sbatté una mano sul tavolo e lo fronteggiò. «Fallo di nuovo e quel sorriso te lo ritrovi infilato in quel buco che chiami naso.»
«Su, diavoletta. Tutti qui intorno hanno avuto accesso al tuo culo, tranne me.»
«Fattela con Violent J qui presente, Shaggy. Non ho bisogno delle avances di un clown che si trucca come i Kiss e con la panza da birra.»
La ragazza se ne andò trionfante, senza badare all'espressione corrucciata di Hermes. Larry l'aveva presa sul ridere, ricordando quel vecchio dissing. C'era solo un rapper che non si faceva scrupoli a fare battute omofobe, divertenti od offensive che fossero. Sorseggiando il suo cocktail pieno di ghiaccio, guardò la stronza andare verso il bancone. C'era anche la giapponesina che Hyde tanto adorava tormentare, il che significava che anche la signorina dalle treccine rialzate doveva essere loro complice.
«Andiamo, Steven, non fare quella faccia. Stava scherzando!» gli aveva detto Larry, bevendo il suo succo di rum e more. Il diretto interessato finì di bere e si alzò subito, lasciando i soldi sul tavolo. Al contrario suo, non scherzava affatto. Si sarebbe ricordato di quel nome da puttanella.
Per Junko fu un sollievo vederli uscire dal locale. Per tutto il tempo aveva sentito i loro occhi addosso come centinaia di spine conficcate nella schiena, fastidiose e dolorosissime. Kinsley tornò a servire ai tavoli con Alan, lei a pulire il bancone. La mezzanotte sopraggiunse in fretta, ma ci sarebbero state altre quattro ore di duro lavoro. Le persone entravano ed uscivano come niente, senza dar tempo di farsi riconoscere.
«Tre Bloody Mary, un Mojito e due Becks, per favore.»
Alzando lo sguardo, vide Proof e Swifty. Junko ritrovò un briciolo di serenità in corpo, scoprendo poco dopo la figura robusta di Royce dietro di loro. C'erano tutti, tranne Bizarre. Straordinariamente, la loro presenza parve calmarla.
"Non pretendere che i Dirty Dozen ti facciano da rottweiler tutta la vita."
Il ricordo di quelle parole la trafissero, le voci stavano tornando a tormentarla. Vi prego, no, non adesso!
«Siete di passaggio?» domandò, prendendo gli ingredienti da sotto il bancone.
«Anche per salutare la mia barista preferita» rivelò Proof con voce baritonale.
Per qualche motivo Junko arrossì, imbarazzata fino al midollo. Non riusciva neanche a guardarlo negli occhi; si limitò a preparare un vassoio e versare i drink, domandandosi perché fosse lì, con tutti i locali che c'erano a Detroit. Dopo che lei era arrivata al Mobile Home Park, Proof non aveva più avuto storie – brevi o lunghe che fossero, non le interessava. O almeno, così dicevano i Dozen. La cosa non la lusingava affatto. Anzi, avrebbe preferito vederlo con un'altra e forse avrebbe smesso di farsi venire il batticuore.
"Non è che sotto sotto sei... infatuata?"
Scosse la testa per scacciare via la voce di Alan dalla sua testa. Smettetela, non sono innamorata di lui!
«Bel trucco, Junnie» commentò Swifty, poggiando il gomito sul bancone. «Devo ammettere che lo stile rockettaro ti sta benissimo.»
«Grazie, Swifty. Sei l'unico che mi ha fatto i complimenti stasera.»
«Bah, lascia perdere chi dice che sei brutta. Per me sei bella, carina e tanti altri aggettivi.»
Sul viso della ragazza spuntò un piccolo accenno di sorriso. Anche se nei versi Swifty McVay era cattivo, nella vita di tutti i giorni era impacciato.
«Complimenti sinceri, intendevo.» Si sporse appena da dietro le loro spalle per inquadrare un ragazzo alto e robusto, facilmente riconoscibile dal cappello da baseball nero sulla testa. Rispetto a qualche mese prima, l'atmosfera fra lui e Proof sembrava essersi affievolita. Anche se quest'ultimo perdonava, ma non dimenticava.
«Per caso Royce fa da sostituto a Bizarre?»
«Abbiamo stabilito una tregua temporanea. Ci farà compagnia solo per stanotte, visto che è la notte di Halloween» precisò Proof, dopo aver bevuto metà del boccale tutto d'un fiato. Doveva avere una gran sete. «Non c'erano belle diavolette ed infermiere zombie in giro, purtroppo.»
«Forse perché facevi troppo il bamboccione, sperando si alzassero la gonna?» lo punzecchiò Swifty.
«Non ci speravo, invece. Lo pretendevo. Io mi sono mascherato da me stesso, è anche originale.» Successivamente appoggiò le mani su bancone, mordendosi il labbro con fare timido. «Visto che non ci sono diavolette disposte ad aprirmi la porta dell'Inferno, posso avere la chiave della tu—»
«Eeeeeh, lascialo perdere, Jun. La marijuana lo ha sballato.» Kon Artis lo afferrò per la maglietta, allontanandolo dal bancone. Effettivamente aveva gli occhi arrossati, e quella birra aveva solo alimentato il suo sballo. «Ti lasciamo lavorare. Ci vediamo dopo!»
Royce allungò due banconote, tenendole fra l'indice e il medio. «Ecco quanto ti dobbiamo, più la mancia. Stasera tocca a me offrire da bere, anche perché Proof ha offerto l'erba.»
Con l'espressione confusa, prese i soldi e dopo aver aperto la cassa, li infilò nella fessura destra. Poco dopo un croscio la fece voltare di lato, scoprendo che le mance stavano aumentando. I benefattori stavano guardando lei, ammiccando alla sua maschera di Halloween banale ma provocante. Li ignorò e tornò a concentrarsi sul suo lavoro, riempiendo un altro boccale di birra e preparando qualche altro miscuglio di frutta al rum.
Osservando di sottecchi il gruppo che beveva e rideva, soffermandosi su Marshall che si toglieva il cappello da baseball per mettere in mostra i suoi capelli biondi freschi di tintura. Non l'aveva guardata, nemmeno per un solo istante. Era concentrato sulla sua bottiglia di birra e quella pillola di Vicodin in mano, pronto a farsi l'ennesima dose. Non aveva ancora smesso di prendere quello schifo?
La felpa grigia che aveva addosso era più larga del suo corpo, così come le maniche che coprivano i suoi tatuaggi. Quando le rialzò, mettendo in mostra gli avambracci, Junko sentì le labbra seccarsi. Le vene erano tese sull'inchiostro, in rilievo sulla pelle bianco lattea, dandogli un aspetto ancor più virile. Sapeva essere attraente anche da fatto, non riusciva a spiegarsi come potesse essere possibile.
Una voce profonda e goffa la spaventò. «Signorina! Il mio Jim Beam?»
Si ricompose e prese al volo la bottiglia. «M-mi scusi, lo preparo immediatamente.»
Versò il liquido bronzeo in un bicchiere di cristallo, aggiungendo il ghiaccio. Si era lasciare distrarre dai tatuaggi di Marshall e aveva perso di vista il suo lavoro. Stava iniziando a sentire l'aria pesante, ma cercò di non pensarci troppo. Tutto stava procedendo bene, J le aveva affidato il compito più importante e non poteva permettersi alcuna gaffe.
Mentre serviva un altro bicchiere di vodka mischiata alla frutta, il suo sguardo puntò sul sorriso di Proof. Si era rilassato sul divano angolare, Kuniva che gli faceva compagnia alla sua sinistra. Osservando i suoi lineamenti tondi da ragazzino, ricordò la notte del suo compleanno: lo stesso sorriso che aveva tenuto dalla giornata sul lago, fino a quella sua richiesta implorante... Il cuore iniziò a pulsarle come un forsennato fra le costole, e si sforzò di concentrarsi sulla bottiglia che aveva in mano. Mentalmente iniziò a contare, ma una vertigine la colpì. Doveva uscire.
Avvisò Alan della sua pausa momentanea, recuperò la felpa e indossandola, uscì dal retro. L'aria era fredda, alcune gocce di pioggia le bagnarono le guance e le lenti degli occhiali tondi. Aveva poco tempo per recuperare un po' di ossigeno e prese l'inalatore, compiendo il solito gesto e riaprendo finalmente le cavità nel proprio corpo. Per una volta aveva scelto di non legarsi i capelli nella solita coda alta, si sentiva più calda e rassicurata. Non sapeva spiegarselo.
Intascò l'oggetto verde nella tasca dei pantaloni di pelle attillati e socchiuse le palpebre Intorno a lei non c'era nessuno, ama se si sporgeva poteva vedere il parcheggio pieno di auto e persone che bevevano e fumavano fuori. La musica si sentiva anche lì, qualcuno aveva acceso l'autoradio della propria macchina e fatto suonare Candy Shop di 50 Cent. Nonostante fosse nascosta, sentiva comunque gli sguardi della gente addosso. Odiava doversi sempre guardare intorno e non sentirsi sicura, faceva di tutto pur di non farlo notare.
Prima che avesse potuto girarsi per tornare dentro, qualcosa – o meglio dire qualcuno – l'afferrò per il braccio e l'allontanò dalla porta. «Cosa ci fai qui tutta sola, piccola zombie? Vieni a festeggiare con noi.»
Non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse succedendo che la sua schiena andò a sbattere contro una presenza leggermente forte e calda. D'istinto abbassò lo sguardo e inquadrò una mano tatuata, la stessa che aveva visto troppe volte. No...
«Hyde, Wade, Hermes! Abbiamo compagnia.»
Con gli occhi sgranati, il respiro mozzato e la paura che le riempiva il cuore, trovò il coraggio di alzare la testa verso quel viso, scoprendo un cappellino blu e una giacca di jeans rattoppata dai colori freddi. Il ragazzo che le si parò davanti, invece, mostrò un ghigno malefico che si ostinava a reggersi come uno sguardo languido. Il canino destro d'oro brillò sotto la luce debole dell'insegna esterna. Quel dettaglio le fece indebolire le gambe. No...
«Guarda un po': l'uccellino è evaso dalla sua gabbietta.»
La mano tatuata la trascinò via da un lato dallo spiazzo principale, dietro una Pontiac del '64 dalla verniciatura grigia consumata, e appena furono fuori portata d'occhi indiscreti, la spinse con forza contro il lunotto. D'un tratto il biondo del gruppo andò a frugare nella sua felpa, facendola sentire violata.
«Una ragazza non dovrebbe andare in giro con queste cose, lo sai? Sono pericolose.»
La sua Glock era nella mano di Hermes e la faceva roteare intorno alle dita come se fosse un giocattolino. Quel che era peggio, era che all'interno del caricatore c'erano quattro proiettili. Se avesse fatto un passo falso, qualcuno sarebbe morto.
«R-ridammela...» sussurrò, sentendo le labbra formicolare.
«Ci hai reso le cose molto più semplici, uscendo dalla tua gabbietta» ringhiò Larry e Junko tremò, sentendo il suo respiro contro la guancia. Quanto puzzava! Chissà quanta erba aveva fumato. «Sai, carina, una come te dovrebbe stare attenta a come parla e dove cammina. Così facendo rischi un bagno di sangue con i tuoi amici.»
Junko tentò di divincolarsi muovendo le braccia, non riuscendoci. Le gambe non rispondevano e non poteva ribellarsi, il respiro stava accelerando e le vie aree stavano cominciando ad ostruirsi – era straordinario quanto fosse diventata debole. La felpa le stava così larga che il polsino era scivolato in basso, rivelando due linee rossastre e una chiazza scura con i bordi gialli, macchie visibili sulla sua pelle color avorio.
Hermes le afferrò le tirò su il polso, con uno strattone così forte che la manica scivolò ancor più all'indietro. Scoppiò a ridere alla vista di quell'orrore. «Hai visto, Hyde? La campionessa dello Shelter è una di quelle autolesioniste emo gotiche che avevi visto al parco l'altra sera.»
La mano libera andò a cercare l'inalatore nella tasca dei pantaloni di pelle attillati. Ma prima che avesse potuto raggiungerla, Hermes e Larry la strinsero per i polsi e la trattennero sul lunotto piatto della macchina. Una volta immobilizzata, Hyde si fece avanti e la intrappolò fra essa e il proprio corpo, e si chinò sul suo orecchio: «Sai che vado pazzo per le gotiche?»
Un dito percorse l'avambraccio, il punto esatto dove iniziava il primo segno di autodistruzione. Junko sussultò, avvertendo una fitta. Sentì il mondo annebbiarsi e tutto girò vorticosamente, mentre tentava di guardare un punto fisso per non svenire. Il cuore pulsava dentro la gola, nelle orecchie e fra le tempie.
«Che bel livido, certo che Slim sa trattarti davvero bene. Larry, secondo te s'incazzerà, se ne vedrà uno non fatto da lui?»
Era vero che Marshall le aveva alzato le mani addosso diverse volte, ma non abbastanza da farle venire i lividi. Al massimo stringeva la parte pulsante della carotide, le strattonava i capelli, le respirava addosso... la sensazione la fece ansimare. Volevano davvero violentarla?
«Che spreco, e dire che mi stavo innamorando di te.»
I suoi occhi, seppur annebbiati dalla poca luce e dal poco ossigeno, notarono un movimento nell'ombra. Una mano venne illuminata dalla luce del lampione in lontananza e avvertì una consistenza fredda appena sotto il mento. Sussultò, scoprendo che la Glock che le avevano rubato era puntata contro di lei.
«T-ti prego... non...» cominciò lei, debolmente, stordita dalla botta.
Hyde fece un passo indietro, l'espressione teatralmente delusa. «La violenza non rientra nei nostri principi, bellezza. Vogliamo solo un confronto da persone civili.»
La ragazza si sentì improvvisamente sollevare, ritrovandosi seduta sul lunotto dell'auto e il volto assente. L'unico suono che riuscì ad emettere fu un sussulto strozzato. Hyde le stava stringendo la gola, più forte di quanto faceva Marshall.
Dov'era Marshall? Dov'erano finiti Proof e Royce? Perché gli altri non erano lì?
Wade fece un passo avanti. «Rog, così la soff—»
Il fratello sibilò forte. «Stai zitto, coglione. Vuoi farci scoprire?»
Junko deglutì con fatica e si rese conto di non avere respiro da troppo tempo, la gola le faceva male e le dita scure di Hyde peggioravano solo le cose. Sentì le lacrime solcarle le guance, la vista annebbiata le donò la visione di un cielo nero pece accompagnato dalla leggera nebbia che aveva lasciato la pioggia – l'unico punto fisso che poteva vedere da sopra quel lunotto.
«Questa in foto è tua madre, vero? Le somigli tanto.» – I bulbi oculari della ragazza si spostarono verso sinistra, riuscendo a mettere a fuoco un oggetto quadrato e color seppia. Riconobbe la forma e socchiuse leggermente le labbra. Dove diamine l'aveva presa? – «Lei sa che stai frequentando una banda di traditori?» sogghignò, guardandola inerme sotto la presa salda di Hyde.
Lei scosse la testa, la debolezza che la sovrastava. Sua madre non c'era, ma non lo avrebbe detto. Avrebbero potuto ucciderla.
«L... loro non...» pigolò quasi priva di respiro.
Hyde la fissò, inferocito, senza mollare la presa sulla sua gola. La sentiva soffocare ed era quello che voleva. Inerme, proprio come un cucciolo di labrador fra mille tigri. «Sai che il tuo ragazzo Shady ha fatto il doppiogioco, prendendo un cazzo di aereo da qui a Los Angeles? Ha tradito la costa est con quella ovest, solo perché laggiù c'è più anarchia e hanno un pretesto per ribellarsi. Si è portato dietro il suo amico Proof e probabilmente lo farà anche con te.»
Non era vero, Marshall se lo era guadagnato. Anche se aveva un producer importante alle spalle, non aveva abbandonato i suoi amici. Era tornato a Detroit per loro, e Junko lo sapeva. Un gesto di umiltà che sicuramente i Mobs non avevano.
«Sei entrata in un mondo più grande di te, bellezza. Sei a conoscenza di fatti che non avresti dovuto né vedere né sentire» la minacciò Hyde e la presa sulla gola si fece più stretta. Le dita strinsero forte la parte centrale e lei emise un altro ansito, un po' più forte, quasi un gemito.
«Dovrei ucciderti seduta stante per riconquistare il mio titolo, cinesina. Sai, la corona dello Shelter va solo ai veri uomini e tu non lo sei.» Le parole di Hyde la ferirono nel profondo, anche se tuttavia aveva già sentito una frase simile. «Ma posso risparmiarti, se ce la consegnerai. In cambio ti faremo da scudo, così non dipenderai da una banda di traditori.»
Junko sentì le proprie orecchie fischiare fastidiosamente. No, non poteva.
«Con noi non dovrai avere paura» soggiunse Larry, sfiorandole con l'indice. Un gesto spaventosamente sbagliato da soffocarla più della presa sulla gola. «Andiamo, carina... non vuoi deludere mammina, vero?»
Le mani di lei tremavano, il corpo era molle e non aveva più fiato. Non poteva cedere, non poteva deluderla.
"Sai che la figlia del vicino sta per sposarsi?"
"Ci penserà il tuo corpo a farla sparire."
«Giù le mani da Junko, Roger Mackenzie!»
Nonostante la vista offuscata, vide in Hyde un'espressione confusa, ma le sue orecchie non riuscirono a sentire le voci circostanti – tutte ammassate, ovattate. Erano forse altre minacce? Sapeva solo che stava per svenire.
«Non bastava Slim, c'è anche il suo compare Royce. Abbiamo riunito la Justice League.»
Kuniva fece un passo avanti. «Non vi è bastata la minaccia dell'altra volta?»
«Hey, hey, cos'è tutto questo accanimento? Stiamo solo parlando del più e del meno.»
Proof assottigliò le palpebre. «Fate poco gli idioti e lasciatela andare.»
«Per una volta che vogliamo fare una conversazione civile? Mi pare un po' troppo, ragazzi» rise Larry, senza lasciare la presa sul polso di Junko. «Ah, a proposito, parlavamo proprio dello Shelter. Volete unirvi?»
Royce si scostò per fare spazio a Proof, che puntò la pistola poco sotto la mascella di Larry. A quanto pareva l'erba triplicava le sue emozioni, fino a fargli perdere ogni lume della ragione. Lui sapeva non fosse lucido, ma per una volta ne fu grato.
«A-aspetta, Proof...» Wade cercò di calmare la situazione, ma nessuno lo ascoltò.
Il leader dei Dozen, con tutto il coraggio che aveva in corpo, digrignò i denti e abbassò la voce. «Ascoltami bene, testa di cazzo dal cappellino blu. Io sono pacifico e arrivo sempre a compromessi, ma sai quanto non convenga giocare con la mia pazienza. Questa è l'ultima volta che ti punterò la pistola addosso, ma al prossimo scherzetto non ti risparmierò un proiettile.»
A finire quel discorso fu Royce. «Ora lasciate andare i polsi della ragazza.»
Lui obbedì, ed Hermes lasciò la pistola facendola cadere sul marciapiede bagnato con un tonfo secco. Kon Artis la recuperò e ad effetto domino, Larry e Hyde liberarono la presa dalla ragazza, che trovò finalmente la forza di scappare e rifugiarsi fra le braccia di Marshall e Royce. Appena si sentì libera, iniziò a tossire violentemente.
Ci vollero pochi secondi prima che avesse potuto recuperare un po' di ossigeno attraverso l'inalatore, ma anche di far scivolare la manica della felpa per la seconda volta. Quei segni non passarono inosservati, nemmeno sotto lo sguardo di Proof.
Hyde s'intascò la propria pistola, sconfitto per l'ennesima volta. «Credevo che dei Dirty Dozen non te ne fregasse più niente, Royce.»
«È vero, tranne quando c'è una ragazza innocente di mezzo.» Restò dietro Junko, proteggendola. «Se proprio volete riconquistare il titolo di campioni allo Shelter, abbiate la decenza di sfidare chi di dovere e non colpire chi non è in grado di difendersi.»
«Ci hai traditi per andare a scopare una stronzetta dagli occhi a mandorla?»
Marshall intervenne, mantenendo un profilo alto e la postura rigida. «Il mondo è pieno di puttane, no? Potete andare da loro, anche se vi costerà parecchio. Accanirvi su una ragazzina come lei non vi fa onore.»
Larry scoppiò in una risata fragorosa. «Osi fare il paladino delle donne, quando tu in primis maltrattavi la tua ex? L'ipocrisia non ti fa onore, Slim.»
«La mia non è ipocrisia, ma buonsenso. A voi piace giocare, ma non sapete cosa state facendo. Una volta premuto quel grilletto, non si torna indietro. Se non vi fermate in tempo, un'altra anima innocente scomparirà per queste stronzate.»
Hermes si guardò le mani, sopprimendo un sorrisetto. «Ce l'avete ancora con noi per la storia di Bugz, vero?»
Quel nome fu un tasto dolente per i Dozen. Bugz, un amico a loro speciale a cui era stata spezzata la vita per un litigio. Proof ammorbidì la propria espressione, ma nei suoi occhi sorsero rancore e colpa. "Ti guarderò sempre le spalle ovunque tu vada, e il mio alter ego sarà il tuo angelo custode."
Le emozioni si sovrapposero, nel ricordare quella frase. Perché era stata soprattutto colpa sua che non aveva saputo proteggerlo nel momento del bisogno, nonostante la promessa. Guardando l'indifferenza nello sguardo di Hyde ed Hermes, capì che avevano puntato Junko per lo stesso motivo. Perciò dovevano impedirlo.
«Perché non avete fermato la rissa? Perché ve ne siete lavati le mani?»
«Non era affar nostro, era una questione fra lui e Yarros» rispose freddamente Larry.
«Nessuno lo voleva morto, Deshaun.» Hyde parlò e i suoi compagni fecero un passo indietro. «Nel ghetto le cose funzionano così: tu provochi la persona sbagliata ed essa ti spedisce all'altro mondo, non prima di averti fatto fare un bagno nel sangue.»
Gli occhi di Kon Artis si riempirono di lacrime. «C'eri anche tu quella sera! Sei stato complice!»
«Il tuo amichetto avrebbe potuto farsi gli affari suoi, anziché fare il tamarro della situazione. Era alto quanto un tappo di bottiglia, ci sarebbe stato solo da ridere» ribadì a testa alta, senza lasciarsi intenerire dallo sguardo addolorato del suo rivale.
«Non hai neanche provato a fermare Hermes, che era al volante di quella macchina grigia!»
Il diretto interessato rispose, continuando a ghignare. «Se l'è solo cercata.»
La rabbia montò in Kuniva, che fece un passo avanti per andargli incontro. Swifty e Kon Artis lo fermarono prendendolo per entrambe le braccia. Hermes non si era mosso di un millimetro, affrontava il suo nemico con determinazione, ricambiando il suo sguardo. Non si era rimangiato ciò che aveva detto.
Se l'è solo cercata... se l'è solo cercata...
«Dovreste conoscere le regole della sopravvivenza: provocate la persona sbagliata e le conseguenze arrivano, con o senza sangue» proseguì, dopo essersi inumidito le labbra. «Le faide non accadono solo fra una città e l'altra, anche dentro le proprie fazioni.»
Wade aveva distolto lo sguardo, gli altri non stavano proferendo parola.
«Allora perché non pensate a proteggere chi davvero amate, anziché giocare ai gangster?»
La domanda di Royce lasciò Hyde un tantino spaesato, ma non lo fece notare. Si limitò a mettersi una mano in tasca, l'altra che giocherellava nervosamente con l'accendino. «Ci godiamo la vita come possiamo, perché non sai se arriverai al prossimo anno. Le cose vanno in un modo, ma non sei in grado di prevederne le dinamiche. Vivi e sopravvivi, oppure muori. Cos'altro potresti fare in una città deperita come questa?»
«È vero che nessuno vi restituirà il vostro amico, ma noi lottiamo ogni giorno per sopravvivere alla paura.» Wade finalmente parlò e tutti lo ascoltarono, tranne suo fratello. «È facile parlare di morte, se si tratta di sopravvivere e il sangue è quello che stiamo cercando di evitare.»
«Allora perché non avete impedito che Yarros tirasse fuori la pistola? Era lui che aveva aperto il fuoco, lo abbiamo visto tutti. Perché cazzo avete lasciato che quella rissa finisse nel sangue?»
«Non l'abbiamo voluta noi. Se solo avessimo provato ad avvicinarci, uno di noi avrebbe perso la battaglia ancor prima di cominciarla. Siamo tutti dei soldatini giocattolo ed è facile cadere a terra, soprattutto per salvare noi stessi e le persone più care.»
Marshall si rese conto che le parole di Wade erano vere; oltre la 8 Mile si doveva sopravvivere con le proprie zampe e fauci. Una vera giungla d'asfalto. L'inferno che nessun scrittore o filosofo avrebbe saputo descrivere per quanto terrificante.
«E perché ci stai dicendo questo? Per pararti il culo?»
«No, Moore. È per farvi capire che anche noi abbiamo le ore contate. Nessuno di noi è in grado di vivere una vita normale, perché siamo cresciuti su queste strade. Neanche voi.»
Hyde andò vicino a suo fratello, accompagnato dalla sua seconda spalla Hermes. Larry, invece, andò accanto a Wade. Il primo finì tutto quel giro di parole, sfiorandosi una treccia ricadente sul viso. «La faida fra i cattivi ragazzi e il braccio della morte sarà anche finita, ma noi non abbiamo alcuna intenzione di finire la nostra.»
Swifty fece lo stesso, appostandosi di fianco a Slim. «Allora sfidateci allo Shelter.»
«E sia, pelatone dalla giacca di pelle scolorita» rispose Hyde sicuro di sé, guardando il sostituto di Bugz più determinato che mai. Povero allocco, se pensava di vincere facile. «Fra tre mesi esatti e voglio vedervi tutti, soprattutto la cinesina. Chi perderà, subirà l'umiliazione pubblica.»
Larry concluse il tutto, guardando Junko sfinita fra le braccia di Dirty Harry. «Preparate bene la vostra piccola leonessa, prima che un branco di iene venga a sbranarla.»
Con un gesto rapido, Hyde lanciò le chiavi della Pontiac verso Hermes, che le afferrò al volo con una mano. La macchina si allontanò nel giro di pochi minuti, il motore che ruggiva forte insieme all'autoradio che faceva riecheggiare una canzone di DMX nell'abitacolo. La battaglia era stata vinta, ma la guerra era appena iniziata. Una guerra che non sarebbe nemmeno dovuta iniziare.
Proof coprì Junko con la propria giacca, sostenendola con un braccio. Non riuscì a non evitare di posare lo sguardo su quei segni rossi e biancastri sulla pelle. «Sono stati loro, vero?»
Lei scosse la testa, abbandonata fra le braccia del suo migliore amico. Swifty avrebbe avvisato J dell'accaduto, in modo che l'avrebbe lasciata andare. Non poteva continuare a lavorare in quelle condizioni, a malapena si reggeva in piedi e il sostegno di Proof non era sufficiente. Si offrì di farle da seconda spalla, aiutandola a sedersi sui sedili posteriori. Avrebbero lasciato i finestrini semiaperti per farla respirare.
Proof prese il volto di lei fra le dita ed appoggiò la fronte sulla sua. Il solo stringerla, il sapere che fosse ancora viva, toccarla e sentire il suo cuore battere contro di lui – seppur lentamente – fu una beatitudine. Per una volta Dio lo aveva ascoltato, salvandola da quel branco di pazzi. Finché sarebbero stati a piede libero, la sua 44 Magnum sarebbe stata sempre carica.
Swifty ruppe il silenzio. «Lo so che non dovevo provocarli, ma se è quello che vogliono, allora diamoglielo.»
«Hai fatto bene, invece» replicò Kuniva con espressione gelida. «Quegli stronzi devono pagarla.»
I Dozen si sarebbero battuti per la terza volta e per una buona causa. Da un lato per salvare Junko, dall'altro per vendicare la morte del loro amico Bugz. Nessuno meritava di morire per mano di una guerra infantile come quella, perché alla fine di questo si trattava.
Royce, seduto sul sedile anteriore, guardava il finestrino e faceva compagnia a Marshall alla guida. Aveva deciso di lasciar fare tutto a Proof, anche se in cuor suo avrebbe voluto starle accanto. Ma lui era l'unico che avrebbe potuto dare sostegno a Junko dopo una situazione del genere. L'unico di cui si fidava ciecamente. Eppure, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine del suo braccio coperto di tagli. Quei bastardi le avevano fatto del male, non dovevano passarla liscia.
Marshall guardò la ragazza dallo specchio retrovisore, completamente abbandonata a Proof. «Assicuratevi abbia ripreso il respiro, almeno. Non voglio vederla di nuovo febbricitante.»
«Respira meglio di prima, ora si è addormentata» rispose lui, accarezzandole i capelli neri e lisci. «Puoi dormire sonni tranquilli anche tu, Doody.»
«Non mi fido. È meglio se la facciamo vedere da un medico.»
Lui alzò la testa, guardandolo con aria sospetta. «Perché adesso t'importa così tanto di lei? Finora l'hai sempre snobbata.»
I suoi occhi si soffermarono sulla collana blu appena nascosta dalla scollatura della felpa, e per la prima volta Marshall non sapeva cosa dire. Perché gli importava di Hamada? Diventava pazzo, ogni volta che inalava il profumo di frutta nella sua stanza. Ogni volta che parlava con lei e vedeva il suo petto gonfiarsi e le guance arrossire dalla rabbia, impazziva più del Vicodin.
Le faceva schifo più della sua ex, non sopportava di doverla proteggere quando si cacciava nei guai e i suoi occhi da ragazzina lo disgustavano. Anche se non era stupida e sciocca come le altre donne della sua età, era amorevole, vera, incompresa... desiderabile...
«Non lo so» si limitò a rispondere, continuando a guidare.
...e ingenua. Troppo ingenua. Junko Hamada era un minuscolo barboncino fra tanti rottweiler e pitbull, scortato da un dobermann di nome Deshaun Dupree Holton e se non fosse stato per lui, gli altri cani lo avrebbero azzannato. Perciò bisognava proteggerla.
Lei non aveva idea di tutto ciò che Marshall aveva nella testa e di quante volte avesse gridato, imprecato in silenzio e aver perso il controllo di se stesso. Leggendo il suo diario aveva capito che nonostante le sue cicatrici fossero invisibili, facevano ancora male. Lui le conosceva e le aveva viste. Perciò lui doveva fare qualcosa.
N.A.
Guess who's back? Esatto, proprio io! Direi anche: finalmente! Avete aspettato un'eternità e mezzo, non è stato per niente facile stendere questo capitolo. Penso sia stato il più difficile della mia carriera da scrittrice wattpaddiana.
Da qui affronteremo una delle tematiche principali della storia, ma anche la più importante. Se conoscete la vicenda East-West Coast, avrete già capito a cosa mi riferisco. Come già avevo precisato nei TW, sono temi molto forti e anche difficili da digerire, che affronto come una forma di protesta. Spero anche possa farvi riflettere, essendo ancora presente nel mondo del rap odierno.
Spero di riuscire ad aggiornare di nuovo prima del mio viaggio on the road con la famiglia e chiudere il cerchio dello Shelter. Ce la faranno i nostri eroi? Spero di sì, basta che li incoraggiate con i vostri commenti e taaaante stelline. :3
- Gloria -
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