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cap 14: Un viaggio nel passato.

Quando Samuel fu di ritorno a casa, prima di aprire la porta di ingresso, si fermò per qualche istante fuori dal vialetto che quella sera, stranamente, era scarsamente illuminato.
Restò lì in penombra ad osservare la casa che si ergeva a qualche metro da lui e, mentre si avvicinava pian piano ad essa, notò che tutto era come l'aveva lasciato diverse ore prima: la macchina del padre e la vespa di Felicia nel box auto qualche metro più avanti, la sua bicicletta a due passi dalla piscina, il tavolino e le sedie lasciate in disordine sotto al gazebo ed il delicato profumo di ciclamini che si fondeva con il forte odore d'erba umida del giardino che circodava interamente la villa.
Prima di inserire le chiavi nella toppa si dette un ultimo sguardo intorno e mentre in sottofondo il frinio delle cicale diveniva man mano sempre più insistente, lui osservava quel contesto che, oramai, gli era diventato così familiare che quasi, forse, non ne avrebbe più saputo fare meno.

Inspirò ed espirò cercando di trovare la forza per affrontare il padre, poi, si strofinò l'indice sulla palpebra destra, strizzò gli occhi in segno di crescente nervosismo e finalmente si decise a girare le chiavi nella toppa.

Una volta che la porta lentamente si aprì, Samuel fu investito dal calore, proveniente dall'interno, del camino che scoppiettante illuminava il buoio in cui la casa era immersa, una volta dentro si lasciò scappare un sospiro sonoro e si strofinò in fretta le mani: il freddo di quella sera era assai pungente e l'umidità che avava accumulato per strada pareva continuare a non dargli tregua.

Si tolse rapido il giubbino e si avviò verso il camino, poi, in penombra, rivolse le mani verso il fuoco in attesa di percepire un po' di calore in più, poi, quando rivolse lo sguardo verso la cucina notò che da lì proveniva la luce flebile ed intermittente della TV e questo lo portò a realizzare che a breve si sarebbe trovato dinanzi al padre e solo questo pensiero gli procurò un brivido che rapido percorse tutta la schiena fino a scomparire nella zona tra le spalle ed il collo.

Socchiuse gli occhi e si voltò verso la finestra che dava sul giardino, una pioggiarellina lieve aveva iniziato a poggiarsi sui vetri ed il cielo era di colpo diventato dello stesso nero del cemento.

Di colpo la luce del salone si accese cogliendo Samuel alla sprovvista, si voltò verso la cucina e vide il padre sull'uscio che con uno sguardo divertito gli chiedeva se lo avesse spaventato.
Man mano che Tommaso si avvicinava a Samuel, quest'ultimo notava il volto sereno e rilassato e questo, in qualche modo, rasserenò anche lui.

Poi quando lentamente il padre gli si avvicinò Samuel si costrinse a trovare il coraggio per iniziare a parlargli così da stemperare il forte imbarazzo che prepotente era calato in quella casa.

《Papà, ti voglio chiedere scusa per quanto avvenuto prima》si fermò un attimo per cercare di trovare il coraggio di proseguire.
《É che mi manca tanto la mamma..》gli bisbigliò, abbassando lo sguardo.

Quella confessione così vera e pura lo fece sentire d'un tratto fragile e vulnerabile.

《Tra un po' è Natale》proseguì con un fil di voce.
《 e la vorrei ancora qui accanto a me, accanto a noi, a scartocciare i regali sotto l'albero.》gli disse, d'un fiato evitando di incrociare il suo sguardo.

Tommaso lo guardò per qualche istante e la sua difficoltà nel parlare ed il suo evidente imbarazzo gli conferarmono solo quello che da sempre lui già sapeva: sebbene quel ragazzo davanti a lui fosse quasi diventato un uomo, aveva una parte dentro di sè,
in cui c'era ancora un bambino che, nonostante tutto quel tempo, continuava a non rassegnarsi alla perdita della sua mamma.

《La mamma manca anche a me, Samuel!》si schiarì la voce, poi si interruppe per raccogliere tutte le forze che gli servivano per continuare.
Poi, riprese.

《Sono passati dieci anni da quel maledetto giorno, ma per me è come se fosse ieri!》
abbassò poi lo sguardo, come se quei ricordi gli graffiassero ancora il cuore.

Seguirono attimi interminabili di silenzio tra i due, finalmente dopo dieci anni, stavano parlando della morte della mamma, finalmente stavano entrambi metabolizzando il lutto.

《Felicia lo sa?》domandò perplesso, Samuel.

《...É lei che ogni tanto mi chiede di parlarle della mamma,
è lei che quasi ogni domenica mi accompagna a trovarla al cimitero.
è lei che ha deciso di prendere l'album dei ricordi per cercare una foto di mamma da mettere nella tua stanza!...

"Così, capisce che non voglio rimpiazzarla " mi disse, poco prima di ultimare i lavori in casa.》si sforzò di sorridergli, poi riprese.

《Samuel, tu sei ancora un ragazzo e certe cose non le puoi capire,
ma certe volte amare ti porta ad accettare tutto della persona che ti è accanto,
e questo, vuol dire accettare i suoi gusti, le sue abitudini, le sue manie,
ed anche i suoi ricordi, il suo passato e le sue cicatrici.
Felicia ha accettato i miei dolori ed io i suoi!.》

Samuel, nel guardare il padre così vulnerabile ed, allo stesso tempo, così forte lì davanti a lui ebbe il forte istinto di abbracciarlo e soprattutto di chiedergli scusa per la guerra che gli aveva fatto lungo tutti quegli anni, tuttavia, riuscì a domarlo per pudore ed abbassò in fretta lo sguardo.
Gli occhi gli pizzicavano un po' e le parole faticavano ad uscire dalla sua bocca.

《Felicia, e' stata la prima donna, dopo la mamma...
Siamo stati assieme per più di due anni prima che voi due lo scopriste.
Sai cosa vogliono dire due lunghi anni?
Sai cosa vuol dire amare una persona e non poterle dare il buongiorno o la buonanotte?
Sai cosa vuol dire stare con una persona e non poterla invitare a pranzo o a cena
in un ristorante nella città in cui vivi?
Sai cosa vuol dire essere fieri di una persona e non poterla condividere con gli amici o con la famiglia?
È una tortura credimi! significa vivere costantemente con il cuore chiuso in una gabbia.
Tuttavia, abbiamo deciso comunemente di farlo e lo abbiamo fatto essenzialmente per voi due, per tutelarvi perchè tu eri troppo piccolo per capire e perchè Sana era ancora una bambina estremamente gelosa della sua mamma.
Vedi, Samuel, voi eravate e siete tuttora la nostra priorità.

Però le cose sono cambiate.
Ora, noi tutti siamo diversi e tu e Sana non siete più dei bambini!》

Samuel soppesava ogni parola che il padre gli stava rivolgendo.

Come aveva fatto ad essere così egoista per tutto quel tempo?
Come aveva fatto ad ignorare le emozioni ed i sentimenti del padre per tutti quegli anni?

《Felicia, ne ha passate tante...
Anche se sorride spesso ed è sempre di buonumore nella vita ha sofferto tanto e con lei
anche Sana》

"Perchè Sana avrebbe sofferto?" si chiedeva Samuel mentre il padre continuava a parlare di loro.

《Disturbo?》D'un tratto si avvicinò a loro Felicia con una tazza di tè fumante tra le sue mani fini e ben curate.

Non appena la vide arrivare Samuel si alzò per andarle incontro.
Felicia lo abbracciò forte a sè e gli sorrise teneramente.

《Ti chiedo scusa, Felicia.
È che delle volte mi manca la mamma, ma tu mi piaci tanto, davvero!》le disse, abbassando lo sguardo.

《Tu, non devi chiedermi scusa di nulla!
E che ti manchi la mamma e' una cosa naturale,
io non sono qui per prendere il suo posto...
Vorrei solo imparare ad esserti amica, tutto qui!.》gli bisbigliò, prendendo la sua mano e stringendogliela forte tra le sue.

Samuel le sorrise, poi, respirò forte, come se in quel momento si fosse tolto un peso dallo stomaco.

《Piuttosto, io vorrei parlarti di Rossana...》continuò, Felicia.

《Lei delle volte può sembrare un uragano di buon umore, canta, ride, salta da una stanza all'altra facendo un baccano assurdo. E mi rendo conto che delle volte è difficile starle dietro. Però, Samuel, devi sapere che spesso è solo una maschera quella che porta. Io e lei abbiamo un passato non proprio dei più rosei alle spalle!》

Samuel scrutava Felicia cercando di comprendere fino in fondo il senso delle sue parole.

《Io concepii Sana, a quattordici anni.
Il padre di Sana fu il mio primo ragazzo. Ci eravamo conosciuti in vacanza e dopo che tornammo ciascuno a casa propria, ne persi totalmente le tracce.
Eravamo giovani ed ingenui e credevamo che sarebbe stato semplice, una volta finito Agosto, una volta abbandonato il mare, il sole, il sale e le notti al chiaro di luna, ritrovarci nei mesi a venire. Invece, non non fu così.
In quel posto, ci ritornai per diverse estati ancora, con Sana nel passeggino, ma il padre, però, non l'ho mai più rivisto!》

Si fermò cercando di prendere le forze.

《Ho cresciuto Sana con l'aiuto di mia mamma,
ho girato il mondo assieme a lei oppure da sola.
Non sai quante notti ho pianto in un letto di un albergo, in un posto a me sconosciuto, lontana da lei. Lontana dalle sue manine, dalle sue risa, dai suoi capricci di bambina straviziata salla nonna.
Però, Samuel, non potevo fare altrimenti. Avevo bisogno di soldi per crescerla da sola》

Tommaso con un movimento rapido prese la mano di Felicia e gliela strinse forte così da farla sentire finalmente al sicuro.

《 lei ha questa assurda tendenza: vuole sempre sembrare più forte di quanto non lo sia per davvero. Sana ha dovuto farsi carico di una situazione difficile fin da quando era piccolissima. Lei non ha mai potuto contare sulla presenza di un padre che l'aiutasse nei compiti di matematica o che l'accompagnasse a casa delle amichette nei giorni di festa.
Aveva tre anni quando tornava da scuola in lacrime perchè la maestra aveva insegnato ai bimbi la poesia della festa del papà, ma, lei il papà non sapeva neanche cosa fosse.》

Felicia, iniziò a schiarirsi la voce, ormai, tremante.

Poi riprese.

《Ricordo ancora un episodio, quando aveva solo sette anni si ruppe un braccio sulle altalene della scuola ed io il giorno dopo avevo la pubblicazione di un libro a Milano.
Se non ci fossi andata non mi avrebbero pagato ed io, di quei soldi, ne avevo un disperato bisogno.
Le bollette, le spese mediche, le spese della scuola di recitazione di Sana non si sarebbero pagate da sole.
Allora dal suo lettino, piccola come era, con un gesso al braccio più grande di lei mi disse: "mamma prima vai e prima torni da me, io nel frattempo starò bene per te"
poi, incrociò le ditina e se le baciò, per suggellare quella promessa che mi aveva appena fatto.》

Samuel stentava a credere a ciò che Felicia gli stava confidando.

《Mia madre, poi, quando tornai a casa mi disse che aveva pianto disperata nel suo letto per tutto il tempo, però io non me ne ero mai accorta, e sai perchè? Perchè quando mi parlava a telefono lei fingeva che andava tutto bene.》

Si fermò per un attimo, poi, di colpo, sorrise.

《È sempre stata una brava attrice!》scoppiò in una grossa risata.

Samuel, non aveva la forza di dire nulla.
Riusciva solo a pensare alla frase che le aveva detto poco prima:

"È sempre felice da far schifo"

Si malediceva per quella frase.

E poi si chiedeva il perchè lui non avesse mai pensato come mai Sana
non avesse un padre.
Non si era mai chiesto se i genitori di Sana fossero separati o divorziati,
se anche il padre di lei fosse morto o l'avesse semplicemente abbandonata quando ancora era ancora una bambina.

Proprio lui che, di quella mancanza così importante, ne sapeva qualcosa.

Avrebbe voluto prendersi a pugni da solo.

Salì su ed aspettò seduto sul letto di lei che rincasasse.

Quando finalmente Sana fece ritorno a casa, una volta che aprì la porta della sua camera lo vide seduto sul suo letto.

《Che ci fai qui?》gli urlò.

Dai suoi occhi spenti e rossi, Samuel notò tutta la tristezza che lei stava provando in quel momento.

Così si alzò dal letto e senza pronunciare alcuna parola si diresse verso di lei.
Rossana, in compenso, indietreggiò di qualche passo.

《Sana, ti chiedo scusa!》le sussurrò piano.
Lei non gli rispose.
Abbassò lo sguardo e lo sorpassò.
Samuel si voltò verso di lei continuando a fissarla: quella sera aveva in dosso un giubbino di pelle nero ed i suoi capelli erano legati in una grande coda.
Da quella prospettiva gli sembrava perfino più bella di quanto non lo fosse poco prima.

《Scusami, ti prego!》le disse di nuovo, rimanendo dov'era.

Sana aveva lo sguardo, quasi del tutto assente, puntato fuori dalla finestra di camera sua e sembrava non prestare attenzione alle sue parole.

Fuori da lì il tempo stava cambiando, un temporale stava per abbattersi sulla costa est del paese, ed in tv, i telegiornali, trasmettevano ripetutamente gli inviti della protezione civile a non uscire di casa nelle ore immediatamente successive.

Ad un tratto cadde un fulmine qualche chilometro più avanti di casa loro.
Quel fulmine scese dal cielo dritto e rapido per poi assumere una forma a zig zag man mano che si schiantava al suolo.

《Sai...》gli bisbigliò, continuando a dargli le spalle.

La sua voce sottile e tremante sembrò spaccare in due quel silenzio così a tratti surreale.

《Mi ricordo la volta in cui capì che tu, nonostante le apparenze, fossi un buono.》

Samuel continuò a fissarla cercando di capire cosa stesse provando a dirgli.

《Eravamo a scuola e finimmo come al solito in punizione.
Con noi c'erano Max, Cristian, Martina, Marika e se non mi sbaglio anche Licia ed Alessio.
Era di sabato e come sempre finimmo col discutere.
Io ti tirai un quaderno contro e tu per ripicca prendesti il mio diario e strappasti le pagine ad una ad una.
Ricordo ancora il rumore della carta che si strappava tra le tue mani ed il tuo sguardo soddisfatto nel vedere la mia espressione incredula.
Insomma, inutile dirti cosa accadde quel giorno tra le mura della nostra classe.》gli disse, facendosi scappare un sorriso.

《Lo ricordo, fu una delle prime discussioni che avemmo e pure la più brutta!》
le sussurrò Samuel, avvicinandosi piano a lei che nel frattempo continuava a dargli le spalle.

《Tuttavia, non capisco dove vedesti il mio "buono"... visto che lì cacciai il peggio di me!》continuò, poi si interruppe.

《Quando ci spedirono in presidenza, il preside ci mise ai "lavori forzati"》lei sorrise.

《Sì, me lo ricordo, ci dette una serie di schede che avremmo dovuto riordinare seguendo l'ordine alfabetico e se non lo avessimo fatto la punizione si sarebbe protratta fino alla sera ed il lunedì successivo sarebbero scattate, in automatica, le interrogazioni in tutte le materie.》

《Esatto, erano centinaia e centinaia di schede, però così come succede spesso nei migliori filmche quando due nemici, combattono lo stesso nemico, diventano amici,
questo accadde anche a tutti noi.
Ad ogni modo ci mettemmo sotto e per mezzogiorno avevamo finito tutto,
quel giorno avevamo il tempo prolungato, per cui dovevamo inventarci qualcosa per occupare le restanti ore fino a che non si sarebbero fatte le quattro e saremmo potuti ritornare a casa.
Così ci mettemmo a giocare ad "obbligo e verità" e devo dire che ci divertimmo anche parecchio.》Sana, si lasciò scappare una risata sonora.

Lei era sempre di spalle e Samuel continuava a non riuscire a guardarla in volto.
Provò ad avvicinarsi a lei qualche metro in più.
Proprio in quel momento cadde un altro fulmine che però colpì qualche terreno nella zona adiacente alla scuola visto la vicinanza rispetto a casa loro.

《Sana, non riesco a capire dove vuoi arrivare!.》ammise, Samuel.

《In breve, quella mattina vi era proprio una tempesta di fulmini e questi, numerosi e ad intermittenza illuminavano il cielo nero e cupo; i tuoni, che li seguivano, rimbombavano nell'aria ed il cielo minacciava pioggia.
Io smisi di giocare con voi e mi andai a sedere all'ultimo banco della classe,
quello più lontano dalla finestra dell'aula in cui ci trovavamo.
Dopo qualche minuto Marika mi si avvicinò e, incuriosita dal motivo per il quale mi fossi tutt'adun tratto estraniata, mi chiese cosa mi fosse preso, così fui costretta a raccontarle della mia fobia dei i tuoni e dei i fulmini, non accorgendomi, però, che poco più dietro di lei ci fossi tu.
Me ne accorsi solo dopo che lei se ne andò e sperai con tutte le mie forze che tu non avessi preso questa cosa a tuo vantaggio per darmi i martìri anche allora.
Così poggiai la testa sul banco cercando di costringermi a non sentire quei rumori assordanti che provenivano da fuori quella finestra tanto grande e tanto malridotta e vecchia.
Mi raggomitolai in un angolo di quel banchetto presa dalle mie ansie e paure e
provai più volte invano a tapparmi le orecchie con le mani, tuttavia i boato dei tuoni, che seguivano i fulmini che cadevano lì vicino, erano troppo forti, così chiusi gli occhi per evitare almeno di vedere quei bagliori così violenti riflessi sulle pareti bianche dell'aula.
Quando li riaprii ti vidi, o meglio vidi la tua mano, mi stavi porgendo il tuo mp3 rosso, ricordo che avevi un berretto blu elettrico ed una maglietta rossa, ricordo anche che non mi dicesti nulla, solo: "te lo presto" e poi ti sedesti lì accanto a me.
Mi restasti accanto per tutto il tempo, in silenzio, Samuel, non mi lasciasti un attimo da sola quel giorno.》

Poi finalmente si girò verso di lui e gli sorrise.

《Non me lo ricordavo...》ammise Samuel.

《Forse perché per te quel gesto non è stato significativo come lo è stato per me.
Prima di allora nessuno si era preso cura di me in quel modo.
Nessuno, oltre mia mamma e mia nonna, mi era stato così vicino quando mi venivano quegli attacchi di panico.
Tu, con la tua semplicità, mi desti coraggio... e mi rasserenai grazie a quel gesto così piccolo ma così spontaneo.》

《Non ne avevo la minima idea, Sana.》riuscì a bisbigliare Samuel,
accorciando ulteriormente le distanze tra loro.

《Io sono sempre stata da sola, Samuel.
Sono dovuta diventare forte o quanto meno fingermi tale, per sopravvivere al mondo.
Non ho mai avuto un uomo, un padre, che mi dicesse:
"Sana, rilassati, ci sono io qui!"
Così, ho imparato a non chiedere nulla a nessuno e più mi fingevo forte e più mi rendevo immune da altre sofferenze.
Io non sono felice da far schifo, Samuel, è solo che ho costruito il mio carattere su questa maschera che indosso costantemente ed ora fatico a ritornare come prima,
perchè ormai, la gente si aspetta che io sia così ed un po' anche io!》continuò,
abbassando di colpo lo sguardo.
Una lacrima le rigò il viso e poi, cadde con forza, sul parquet di camera sua.

Samuel, restò a guardarla per qualche istante.
Così indifesa e vulnerabile non l'aveva mai vista.
Sentiva il suo respiro, piano piano, diventare sempre più affannato.
E le sue lacrime sempre più numerose e prepotenti.

In silenzio le si avvicinò e l' abbracciò.
Appoggiò il suo viso nei capelli profumati di lei e lei si aggrappò forte a lui.

Continuava, però, a singhiozzare, così lui con una mano premette forte il viso di lei contro il suo petto e con l'altra le accarezzò piano i suoi capelli morbidi.

《Sana, da oggi ci sono io, qui accanto a te.
Da oggi non sei più sola. Te lo prometto!》le disse, stringendola sempre più forte a sè.

Non l'aveva mai vista tanto fragile come allora...
e forse quella parte così nascosta del suo carattere gliela faceva piacere ancora di più.

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