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3. PAURA DELLA FELICITA'

L'ultimo giorno di scuola arrivò veloce come il vento. Al suono della campanella, Vilma mi trascinò fuori dalla classe.

«Ma dove stiamo andando?»

«Zitta e seguimi!»

Non potevo fare altrimenti perché mi aveva afferrata per un braccio così saldamente che non sarei mai riuscita a liberarmi. Entrammo nel bagno delle ragazze.

«Resta davanti alla porta e tienila chiusa», ordinò.

Feci come diceva, piantando un piede contro l'entrata. «Si può sapere che stai facendo?» La guardai togliere dallo zaino una manciata di palloncini colorati.

«Mi sto preparando per la guerra», disse, seria, aprendo il rubinetto.

«Ma quale guerra?»

«La guerra dell'ultimo giorno. Secondo te perché oggi La Miss non è venuta a scuola?»

«Perché aveva da preparare le valige per la sua fuga d'amore con Marco?» scimmiottai.

Vilma scosse la testa, abboccando alla cannella un palloncino dietro l'altro. «Perché non voleva che qualcuno le sciupasse la sua fantastica piega, è ovvio! La guerra è guerra non guarda in faccia neanche le Barbie come Francesca».

«Non ci sarà nessuna guerra e riempire palloncini colorati è quello che farebbe uno dei tuoi fratelli più piccoli non una liceale nell'ultimo giorno del suo quarto anno», sbruffai, voltandole le spalle e aprendo la porta. La situazione era assurda, non avevo nessuna intenzione di perdere ulteriori minuti chiusa dentro al bagno. Volevo andare da Marco, sarebbe partito per la vacanza subito dopo e volevo salutarlo ma, non appena misi la testa fuori, un enorme schizzo di acqua mi arrivò dritto sulla camicetta, bagnandola completamente. Restai di sasso per qualche istante, sbattendo le palpebre di fronte al tizio responsabile del misfatto. Era un tipo paffutello che abbracciava un potente Super Liquidator. Per prima cosa odiai chiunque avesse inventato quell'aggeggio infernale e per seconda cosa odiai il teppista che lo possedeva e che mi aveva appena fatto una doccia gelata. Richiusi la porta in fretta e furia e tornai a guardare la mia amica.

«Te lo avevo detto», disse lei, sollevando entrambe le sopracciglia.

Mi guardai la camicetta. Si era inzuppata così tanto da essere divenuta trasparente. Andai a prendere un po' di carta e cercai di asciugarmi.

Vilma mi afferrò di nuovo per un braccio. «Coraggio, andiamo, nessuno si accorgerà del tuo abbigliamento là fuori. Prendi un paio di questi ti serviranno». Mi mise in mano due palloncini pieni d'acqua.

«Io non vengo», protestai, schiacciandomi contro il muro.

«Avanti, Greta, non fare i capricci. È l'ultimo giorno, è divertente!»

A malincuore mi lasciai trascinare lungo i corridoi della scuola, nascondendomi dietro a Vilma. Nessuno ci importunò e mi sentii più tranquilla, ma quando raggiungemmo l'uscita che dava sul piazzale, lì trovammo il vero campo di battaglia. Decine di ragazze fuggivano gridando e altrettante decine di ragazzi rincorrevano le proprie compagne, qualcuno aveva quegli odiosi fucili spara acqua e qualcuno dei secchielli. Tutte le ragazze che attraversavano il cortile venivano colpite da bombe d'acqua. Nessuno riusciva a sfuggire all'assalto.

«Io torno dentro», annunciai, in ritirata.

Vilma mi trattenne sulla soglia della porta, rideva, non le importava del trambusto, non le importava di farsi una doccia gratuita davanti a tutti. Era a suo agio. Si divertiva, pure.

«Ehi, Greta, guarda David come è figo!» esclamò, indicando il gruppetto di ragazzi appostati sul piazzale.

Il cugino di Marco aveva un paio di jeans chiari un po' sdruciti e si era tolto la maglietta, infilandosela in tasca per mostrare al mondo intero il suo fisico statuario.

«Che peccato che il prossimo anno non ci sarà...» sospirò, ammaliata.

Passai una mano davanti al volto della mia amica, riportandola al mondo reale. «Pianeta terra chiama Vilma Della Scala».

«Ricevuto!» mi fece linguaccia.

«Non eri tu che dicevi che i ragazzi non ti interessavano più?»

«Non per una storia seria, ma per l'avventura di una notte, a quella non rinuncerei e uno come David Bucci è davvero una grande bomba sexy, una via di mezzo tra Dylan McKay e Brandon Waish. Possente e misterioso ma con un animo dolce e tenero».

«Tu guardi troppe puntate di Beverly Hills».

«Probabile, ma c'è una cosa che non invidio di quel ragazzo; l'esame di maturità! Dovrà passare l'intera estate sopra i libri, ci pensi?»

«Io invece un po' lo invidio, finalmente potrà lasciare il liceo e spiegare le sue ali verso il mondo. Andrà all'Università. Nel pianeta dei grandi...»

«Nah, io non voglio andare all'Università. Non credo che finito il liceo continuerò a studiare. Non mi ci vedo proprio sui libri fino a trent'anni».

«E cosa farai?»

«All'inizio viaggerò, poi mi troverò un lavoro da qualche parte. Spedirò i soldi ai miei fratelli e mi comprerò qualche abito firmato, e tu?»

«Io... io non lo so», ammisi. Le mie idee sul futuro erano alquanto torbide e vaghe. Mi sarebbe piaciuto continuare a studiare, ma le mie possibilità economiche erano un po' limitate per farlo.

Un paio di ragazze ci chiesero il permesso, stavamo bloccando il passaggio. Forse Vilma aveva ragione, non saremmo potute rimanere lì per sempre, avremmo dovuto affrontare quello sciame di maschi impazziti, non c'era alternativa.

«Ehi, guarda chi ha il terrore di uscire. Che c'è avete paura di annegare in un goccio d'acqua?» La voce di Marco mi colse di sorpresa. Era sopraggiunto al fianco del cugino. Entrambi ci stavano guardando con un sorrisetto furbo.

«Mi sa che dicono a noi», affermò Vilma, spingendomi fuori.

«No, ma che fai?»

«Siamo armate, amica mia», indicò i palloncini che avevamo in mano, «facciamogli vedere chi siamo!»

In breve, quella che era iniziata come una semplice guerra dei maschi contro le femmine si trasformò in una lotta universale. Vilma scagliò le sue bombe d'acqua contro David, centrandolo proprio sul petto nudo. Lui le corse dietro, bloccandola in un angolo dell'edificio e gettandole un intero secchio d'acqua sulla testa.

«Voi siete dei pazzi», dissi a Marco, scrutandolo con sospetto.

Lui teneva le braccia dietro la schiena e la cosa non mi piaceva per niente. Anche io ero nella sua stessa posizione, nascondendo i due palloncini, con la speranza che potessero proteggermi dal suo probabile assalto.

«Vedo che qualcuno è arrivato prima di me», fece un cenno verso lo scollo della mia camicetta bagnata.

Arrossii, distraendomi. Lui ne approfittò per scagliarmi addosso il secchiello d'acqua che teneva nascosto. Uno dei due palloncini mi cadde dalle mani, distruggendosi a terra.

L'acqua fredda mi inzuppò i capelli, la faccia, i vestiti. Marco rideva come un bambino e io mi ritrovai a correre dietro di lui, arrabbiata, indispettita, ma anche tremendamente lusingata. Tra tutte le ragazze che passavano nel cortile, era me che stava rincorrendo per il gavettone. Me. La sua amica di sempre.

«Adesso me la pagherai cara!» gridai.

Marco si fermò, lasciò che lo raggiungessi poi mi prese le braccia e me le bloccò dietro la schiena. «Cosa potrebbe mai farmi una Pulce? Sentiamo...»

Lo guardai dritto negli occhi. «Se non hai paura di me perché continui a immobilizzarmi?»

Lui sorrise. Non solo con la bocca, ma con gli occhi, il naso, la pelle. Con tutto il corpo. Alla fine mi lasciò andare. Lo sguardo diretto alla mia camicetta. Maledissi me stessa per essermi messa quell'indumento, avrei dovuto indossare assolutamente qualcosa di più coprente.

«Sai che sei molto sexy in questa versione di Pulce bagnata?»

Lo fissai, forse un istante di troppo, poi alzai il braccio e gli scagliai addosso il palloncino superstite.

Marco boccheggiò e io scoppiai a ridere per la sua faccia buffa. «Colpito e affondato», si arrese.

Vilma ci passò vicino, correndo con la maglia di David in mano. Lui la inseguiva per riprendersela. Intorno a noi schiamazzi e pozze d'acqua facevano da padroni ed io mi resi conto di quanto tutto quello fosse speciale. In nessun altro momento, in nessun'altra vita avrei sorriso così tanto per una maglietta bagnata, per la fine di un'avventura. In nessun altro momento, in nessun'altra vita sarei stata ugualmente triste.

«Che succede?» mi chiese Marco, vedendo il mio volto incupirsi.

Lo guardai. Aveva la maglia appiccicata addosso e i capelli che gli gocciolavano sul viso.

«Ho paura».

«Di cosa?» domandò lui, aggrottando leggermente la fronte.

«Di tutta questa felicità». Mi guardai intorno.

«Non si può aver paura della felicità».

«Invece sì che è possibile. Io ho paura che tutta questa spensieratezza, questi anni fantastici non tornino più. Ho paura che i nostri sogni prima o poi ci portino così lontano l'uno dall'altra da cambiare tutto».

«Non cambierà mai niente tra noi. Certo, cresceremo, non sarà una lotta d'acqua a farci sorridere, probabilmente nemmeno ascoltare la radio, cantando a squarciagola quelle canzoni che ci piacciono tanto, forse, un giorno, la felicità sarà diversa, più adulta, ma sarà sempre bella perché ci ritaglieremo il nostro angolo di mondo».

«Promettimi che farai di tutto per non far cambiare niente. I sogni hanno sempre un prezzo da pagare, fa che quel prezzo non sia la nostra amicizia».

«Nessun traguardo, nessuna scelta, nessuna ragazza cambierà mai il mio rapporto con te».

Sorrisi. Era quello che volevo sentirmi dire.

Mi rilassai e gli mollai un piccolo colpetto contro la spalla, come si fa tra vecchi amici. «Divertiti in barca e non fare cose di cui poi potresti pentirti...» Lo dissi in memoria alla conversazione avuta giorni prima, ma me ne pentii un istante dopo averlo pronunciato.

«Intendi il sesso?» sghignazzò lui, prendendomi a braccetto. «No, perché sai, a proposito di quello, tu sei una ragazza, conosci il mondo femminile. Quale fortuna può mai avere un ragazzo se non un'amica del cuore donna! Allora, volevo giusto farti un paio di domande per non deludere le aspettative...»

«Marco!» protestai, liberandomi dalla sua presa.

Lui rise di gusto, evidentemente divertito, mi lasciò il braccio e si diresse verso il parcheggio con la sua andatura un po' altalenante. Rimasi lì, impalata, con i capelli e la camicetta bagnati a guardarlo salire sul suo motorino, chiedendomi cosa mai avrebbe voluto chiedermi. 

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