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.8.

Amber

Sospirai, chiudendo la porta d'ingresso a chiave, strisciandovici contro fino a sedermi sul freddo pavimento.
Louis era stato l'ultimo a uscire quella sera: a quel punto, in casa eravamo rimasti solamente io e Zade.

Mi portai le ginocchia al petto e vi poggiai il mento, beandomi di quei pochi minuti di silenzio.

Silenzio che venne brutalmente spezzato dall'acida voce di Zade, che mi rivolse la parola mentre scendeva le scale.

«Hai intenzione di rimanere lì tutta la sera?» domandò, superando l'ultimo gradino e osservandomi dall'alto verso il basso con sguardo impassibile.

«No...» risposi, alzandomi subito da terra e distogliendo lo sguardo dal corvino, in evidente imbarazzo.

«Se hai fame, preparati pure qualcosa» suggerì freddo, incamminandosi poi verso la cucina.

Trovavo quel suo modo di fare profondamente ingiusto, non aveva motivo di comportarsi così: qualunque conto in sospeso avesse avuto con Jacob, io non c'entravo assolutamente nulla, non meritavo un simile trattamento per un qualcosa a me sconosciuto che aveva compiuto mio fratello.

Sospirai pensierosa, avviandomi verso la cucina dalle pareti blu.

Quella, fu senz'altro la cena più brutta della mia vita.

Non avevo mai cenato in un così perfetto silenzio, neppure con Jacob...

Era assurdo.

L'unico rumore percepibile proveniva dalla televisione, che Zade guardava seduto sulla poltrona dandomi le spalle, gustando il suo pasto in silenzio.

Non sembrava minimamente intenzionato ad avere una conversazione con me; piuttosto pareva quasi ignorare la mia presenza, ma forse era meglio così.

Non sarei riuscita a sopportare le sue cattiverie anche quella sera.

Quando finii di mangiare mi alzai da tavola, sparecchiai rapidamente e poggiai i piatti nel lavabo per cominciare a lavarli, notando lo sguardo di Zade spostarsi dallo schermo del televisore e rimanere fisso su ogni mio singolo movimento.

I suoi occhi scuri puntati sulla mia figura mi diedero parecchio fastidio: quel ragazzo mi metteva in soggezione, non mi sentivo affatto a mio agio quando si trovava nei paraggi.

Non appena conclusi il lavaggio dei piatti corsi in camera, dove mi rinchiusi, nel tentativo di tenermi il più lontano possibile da quel ragazzo così cupo da mettermi i brividi.



Zade

Quando la ragazza concluse di fare ciò che la teneva impegnata, si precipitò immediatamente su per le scale, senza rivolgermi la parola.

Sembrava la intimidissi, ma non m'importava affatto; anzi, era meglio così: almeno non mi si sarebbe avvicinata, tentando di avere una conversazione con me.

La sua presenza in casa già bastava a irritarmi: Lincoln aveva cercato di farmi cambiare idea su di lei, chiedendomi cosa vedessi di male in quella ragazza così dolce e fragile...

Il suo sangue, gli avevo risposto.
Il suo fottuto sangue era lo stesso che scorreva nelle vene del pezzo di merda che mi aveva rovinato la vita: non avrei mai potuto ignorare una cosa simile.

Nonostante ciò, però, mi ritrovavo comunque a badare a lei quel giorno, rimanendo in casa solamente per assicurarmi che alcun male le venisse fatto.

Fosse stato per me sarebbe potuta annegare nella vita che gli era stata imposta dal fratello; quella ragazza sarebbe potuta morire davanti ai miei occhi, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo.

Tuttavia, Louis ormai ci teneva a lei, perciò avrei dovuto affrontare ogni singolo demone del mio passato, tenere a freno il mio odio sconsiderato nei confronti di Amber, solamente per fargli quel favore.
Era dannatamente difficile, ma lui era il mio migliore amico: glielo dovevo.

Gli dovevo la vita.

Sospirai rumorosamente e, siccome non avevo altro da fare in cucina, mi alzai dalla poltrona per dirigermi verso la mia stanza, in cui mi chiusi.

Mi spogliai dei vestiti che portavo e infilai velocemente un pantalone della tuta, per poi lanciarmi letteralmente sul letto.

Mi pentii all'istante di aver commesso quella mossa azzardata, siccome quel catorcio aveva ormai parecchi anni: dopo tutte le volte che si era rotto, avrei dovuto avere più cautela.

Spalancai gli occhi mentre sprofondai in quel letto maledetto, percependo all'istante qualcosa di duro sfiorare la mia spina dorsale.

«No, merda, non di nuovo...» dissi tra me e me, muovendo la schiena da una parte all'altra nella speranza che non avessi rotto del tutto la rete ma, come previsto, la situazione non cambiò di una virgola.

Voltai la testa verso lo specchio al fianco del letto, osservando la mia figura sdraiata su quell'ammasso di doghe distrutte.

Ma guarda un po', la principessa sul pisello.

Presi un respiro profondo, mettendocela tutta per mantenere la calma.

Decisi di scendere dal letto e di sollevarne il materasso per controllare la situazione, ma non appena mi accorsi di come l'avevo ridotto ringhiai esasperato, lasciandolo andare con violenza.

Non era la prima volta che si rompeva la rete del letto, che successivamente mi ritrovavo costretto a riparare, e dopo averci dato dentro con una ragazza incontrata in un nightclub per quasi un mese non avrei dovuto neanche sorprendermi troppo che fosse accaduto.

In ogni caso, quel letto era ormai diventato una grandissima seccatura: non appena avrei visto Lincoln, avrei mandato a quel paese il suo spirito da aggiustatutto che usciva fuori ogni qual volta si rompeva qualcosa in casa, comprandomene finalmente uno nuovo.

«Al diavolo» pronunciai a voce alta, osservando il letto piegato in due.
Beh, se non altro, rappresentava appieno la mia vita mediocre e infelice.

Sbuffai sonoramente e afferrai il pacchetto di sigarette poggiato sul comodino in legno, prendendone una e portandola alla bocca. Mi diressi verso il balcone della stanza, dove presi distrattamente uno dei tanti accendini da un tavolino ormai trasandato e l'accesi, facendo un profondo tiro.

Espirai il fumo bianco e denso, osservandone la danza mentre si dissolveva pian piano nell'aria.
Era da anni ormai che avevo quel vizio: fumare era l'unica cosa capace di calmarmi..

Il solo pensiero, però, mi faceva sentire un tale idiota: come poteva qualcosa che causava la morte, farti sentire meglio?
Non che fossi un grande amante della vita, io.

Eppure, dopo tutto quello che avevo vissuto, una cosa l'avevo capita: togliermi la vita sarebbe stato il più grande atto di vigliaccheria che avrei potuto commettere...

E io non ero un vigliacco.

Dopo aver preso gli ultimi tiri di sigaretta la spensi nel posacenere, entrando subito dopo in camera.

Inevitabilmente, il mio sguardo cadde sul materasso piegato: non avrei certo potuto dormire lì quella notte, e neppure sul divano, o il giorno dopo mi sarei svegliato con un mal di schiena atroce che, in vista della corsa che avevo, avrebbe solo potuto complicarmi le cose.

Pensai inizialmente di stabilirmi per ripicca in camera di Lincoln, così, finalmente mi avrebbe appoggiato nella scelta di comprare un letto nuovo: ricordai subito però che sarebbe stato impossibile, dato il nostro vizio di chiudere le camere a chiave prima di uscire di casa.

Optai quindi per quella degli ospiti: ero ormai sicuro che Amber dormisse nella stanza di Louis, in particolar modo dopo le disgustose effusioni che gli avevo visto scambiarsi quel pomeriggio, perciò, non avrei avuto alcun intralcio.

Emisi un sospiro rassegnato, spostando la vista da quel letto maledetto, dirigendomi verso la camera in cui avrei dormito.




Amber

Mi rigirai per l'ennesima volta nel letto, coprendomi il viso con la coperta.

Non riuscivo proprio a prendere sonno quella notte, e una delle cause principali erano i forti rumori che provenivano dalla stanza di Zade.
Non sapevo cosa stesse succedendo: per un attimo, avevo pensato di andare a controllare se andasse tutto bene, solamente per esserne sicura.

Tuttavia, si trattava pur sempre di una persona che mi detestava, perciò, probabilmente sarebbe stato meglio evitare.

D'altra parte, la mia preoccupazione per Louis non aveva fatto altro che peggiorare la situazione: come avrei potuto dormire sonni tranquilli, sapendo che lui era lì fuori, chissà dove, probabilmente ferito?

Non avevo idea di come avrei reagito se solo si fosse fatto del male...
Probabilmente, anche se faticavo ad ammetterlo, cominciavo a tenere a lui più di quanto credessi possibile.

I miei pensieri vennero brutalmente scacciati via nel momento in cui la porta si aprì e si richiuse velocemente, sbattendo forte.

Sobbalzai per lo spavento: nonostante il buio della stanza, intravidi una figura avvicinarsi sempre di più al letto. Spalancai gli occhi.

Era Zade.

«Al diavolo, ma tu guarda cosa mi tocca fare» borbottò fra sé e sé: non realizzai cos'avesse intenzione di fare finché non scostò bruscamente le coperte dal letto.

Non riuscii a trattenere un forte sussulto quando il ragazzo si sedette sul letto, voltandomi di scatto verso di lui, e il ragazzo balzò all'indietro, visibilmente sorpreso.

La domanda, in quel momento, era solo una.

Cosa diavolo ci faceva Zade in quella camera?

«Zade!» esclamai stupita, fissandolo come se avessi appena visto un fantasma, «che cosa stai facendo?» ebbi il coraggio di domandargli, mettendomi a sedere.

«Ma che diamine!» Spiazzato, il ragazzo si diresse velocemente verso l'entrata della camera,  accendendo la luce, che quasi mi accecò.

«Dio, ma sei una persecuzione: sei ovunque!» il moro calcò in particolar modo quella parola, come se avesse voluto imprimerla nella mia mente. Non appena mi abituai alla luce artificiale rivolsi il mio sguardo su di lui, stupita nel trovarlo a torso nudo, con un solo pantalone della tuta a fasciare le sue gambe atletiche.

Per un solo istante, i miei occhi si posarono sul suo fisico asciutto, notando quanto il suo corpo fosse ricoperto di tatuaggi, e obbiettivamente bello.

Poi, tornai a scrutare i suoi occhi scuri ancora perplessi ed esasperati su di me, rispondendo alla sua domanda.

«Dove altro dovrei essere, se non qui?» mi tolsi le coperte di dosso, guardandolo con sconcerto.
Indossavo una lunga t-shirt bianca che copriva le mie gambe nude fino a metà coscia, senza pantaloncini: per un solo istante, il suo sguardo cadde sulla mia pelle scoperta, e io rabbrividii involontariamente. Poi, il ragazzo sollevò gli occhi al cielo, passandosi una mano in viso.

«Credevo dormissi nella stanza di Louis» rivelò, tornando a fissarmi freddo.
Aggrottai la fronte, confusa dalle sue parole.

«C-cosa? ma è assurdo! Perché dovrei dormire nella sua camera?» gli chiesi, sbigottita, e il ragazzo scrollò le spalle.

«Beh, non siete una coppietta felice o qualcosa del genere?» Zade incrociò le forti braccia al petto scoperto, fissandomi con occhi impenetrabili: percepii le mie guance andare in fiamme alle sue parole.

«Io e Louis, non- non stiamo insieme...» enunciai, abbassando lo sguardo verso il materasso dalle lenzuola bianche.

Quella conversazione cominciava a diventare sempre più ambigua e imbarazzante: avrei solamente voluto che terminasse, e che Zade tornasse da dov'era venuto.

«Beh, strano. Sembrava proprio il contrario». Il ragazzo dai capelli scuri rimase in piedi a osservarmi, impassibile, perciò decisi di tornare a guardarlo.

«Perché sei qui?» lo interrogai, ancora sorpresa per l'intera situazione che si era creata.

Zade inspirò profondamente prima di rispondermi.

«Il mio letto si è sfondato». Dischiusi le labbra per dire qualcosa, stranita, ma il ragazzo proseguì prima che potessi parlare. «Lo so, sembra fatta apposta, ma ti assicuro che non è così. Detto ciò non mi interessa quello che pensi, anzi. È già tanto che ti stia rivolgendo la parola». Il suo tono era sprezzante proprio come quello che aveva utilizzato il giorno in cui, entrando in camera di Louis, mi aveva vista nuda, cominciando poi a intraprendere un monologo molto simile a questo.

«Quindi non ho intenzione di farmi venire il mal di schiena dormendoci sopra, ma se vuoi farlo tu, prego, nessuno te lo vieta» concluse, indicandomi col palmo della mano la porta della camera.

«Perciò...» cominciai, «vorresti dormire qui?»
Il ragazzo sollevò le spalle, totalmente disinibito.

«Non credevo di trovarti qui ma comunque, non fa nessuna differenza. Non dormirò scomodo per fare un favore a te; farti da balia è già abbastanza fastidioso. Quindi decidi cosa fare: in ogni caso, io dormirò qui» affermò, rivolgendomi un sorriso totalmente falso; poi spense la luce, incamminandosi verso il letto.

Non potevo credere che lo stesse facendo seriamente.

Avrei preferito stendermi su un letto di spine, piuttosto che condividerne uno con la persona che sembrava detestarmi più di ogni altra cosa al mondo, anche se si trattava solamente di una notte.

«Vorrà dire che andrò a dormire sul divano» annunciai, alzandomi dal letto nel momento in cui Zade vi si sdraiò.

«Come ti pare» sputò acido come sempre, girandosi dall'altra parte.
Non potevo credere che si stesse comportando in quel modo.

Insomma, mi aveva praticamente cacciata dalla mia stessa stanza!

Sospirai rassegnata, consapevole di non poter far nulla per cambiare la situazione, ma nel momento in cui stavo per varcare la soglia della camera, un pensiero costante iniziò a vagare nella mia mente.

Odiavo il modo in cui Zade mi trattava, ma se non avessi provato perlomeno a parlargli, probabilmente non sarebbe mai cambiato nulla tra di noi.

Se avessi voluto farlo, inoltre, avrei dovuto cogliere l'attimo: non sapevo se ci sarebbe stata un'altra occasione come quella, e non potevo semplicemente sprecarla in quel modo, andandomene via e dandogliela vinta.

Non era giusto. Per tutta la vita non avevo fatto altro che sorbirmi le cattiverie di Jacob senza mai ribellarmi: non potevo permettere che, ora che finalmente riuscivo a sentirmi libera da mio fratello, qualcuno prendesse il suo posto.

Dopo averci riflettuto attentamente, feci ciò che l'istinto mi suggerì: accesi nuovamente la luce senza farmi troppi problemi, voltandomi verso il ragazzo sdraiato sul mio letto.

Quest'ultimo mugolò in di disapprovazione, prima di girarsi verso la sua fonte di disturbo.

Quando capì cos'avevo fatto, i suoi lineamenti si indurirono. Zade si alzò all'istante dal letto, compiendo velocemente qualche passo verso di me.

«Ma che diamine fai? Hai deciso di darmi fastidio?» il suo tono di voce si fece più alto, e percepii una nota di irritazione e di profonda rabbia.
Tuttavia, ciò non bastò a fermarmi.

«Mi spieghi qual è il tuo problema?» presi il coraggio di chiedergli, scatenando in Zade un sospiro esasperato.

«Il mio problema è che speravo sparissi il più in fretta possibile, se non dalla mia vita, per lo meno da questa stanza. Ma tu a quanto pare hai deciso di giocare con la mia pazienza!» esclamò a gran voce, furente dalla rabbia.

«Non mi sto riferendo a questo, Zade!»

Il ragazzo di fronte a me aveva lo sguardo di chi avrebbe preferito fare qualunque altra cosa, pur di non parlare con me: un profondo cipiglio aveva preso possesso del suo viso, mentre le sue mani erano strette in due pugni.

Raccolsi tutta la forza che avevo in corpo prima di riprendere a parlare.

«Da quando ho messo piede in questa casa non hai fatto altro che guardarmi storto, trattarmi male e giudicarmi senza neanche conoscermi. Non so quale tipo di problema tu abbia avuto con mio fratello, Zade, ma sinceramente non penso sia così grave da arrivare a trattarmi in questo modo. In ogni caso io non c'entro assolutamente nulla, per cui non riesco veramente a capire tutto questo accanimento da parte tua nei miei confronti!» quasi urlai, sputando finalmente fuori tutto ciò che pensavo.

Onestamente, non sapevo dove avessi trovato la sfrontatezza di di dirgli quelle cose, eppure mi sentii meglio: finalmente ero riuscita a esternare il mio pensiero; ero riuscita ad affrontarlo.

Il ragazzo, però, non sembrò affatto contento quanto me di quanto avevo pronunciato: i suoi pugni si fecero ancora più stretti quando prese ad avvicinarsi, la rabbia impressa negli occhi.

Mi accorsi solo a quel punto che, forse, avevo leggermente esagerato.

«E tu che ne sai, ah?» fece qualche passo verso di me, immobile sullo stipite della porta, «cosa ti fa pensare che non sia stato qualcosa di grave?» si bloccò per un secondo, rivolgendo lo sguardo altrove.

Quando però lo posò nuovamente su di me, raggelai, sentendomi attaccata dall'occhiata rabbrividente che mi rivolse: le sue iridi sembravano essersi fatte più scure, ogni barlume di sarcasmo era stato spazzato via, rimpiazzato da una profonda collera.

Deglutii quando il corvino mi raggiunse, osservandomi dall'alto come se, di lì a poco, avrebbe potuto sbranarmi.

«Tu non sai niente!» urlò improvvisamente, facendomi sussultare e indietreggiare di un passo.

«Tuo fratello è un bastardo, e tu sei sangue del suo sangue, non me ne frega se anche tu sei stata una sua vittima. Non sai niente, non sai cosa sia stato capace di fare quel lurido verme di fratello che ti ritrovi, ti conviene solo tacere!» continuò a gridarmi in pieno viso fuori di sé, puntandomi un dito contro, e notai la vena del suo collo ingrossarsi ogni qual volta alzasse la voce più del dovuto.

Sembrava quasi starsi trattenendo dal mettermi le mani addosso dalla rabbia, e io non mi mossi di un centimetro, terrorizzata dalla possibilità di peggiorare la situazione.

Notai che avesse cominciato a tremare dal nervoso: non lo avevo mai visto in quel modo.

Sembrava quasi... vulnerabile.

Qualche istante dopo avermi urlato contro si allontanò da me, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza in maniera irrequieta, passandosi di tanto in tanto una mano tra i capelli corvini.

Probabilmente me ne sarei pentita ma, in quel momento, nonostante fossi spaventata da quel ragazzo che per nulla riuscivo a capire, parlai di nuovo.

«V-va bene, Zade. Mettiamo caso che quello che ha fatto mio fratello ti abbia fatto stare davvero male. Mi dispiace davvero molto se è così, ma io cosa c'entro? Solo perché sono sua sorella, non significa che-»

«Sta' zitta, maledizione!» Mi accorsi che Zade avesse totalmente perso l'autocontrollo quando ormai era troppo tardi per reagire: con un rapido balzo il corvino mi raggiunse, posizionando con violenza le mani ai lati della mia testa, «zitta, zitta! Devi stare zitta!» sbatté ripetutamente i palmi sul muro contro cui mi aveva bloccata, facendomi sussultare dal terrore.

Solo allora mi resi conto di quanto avessi esagerato: non conoscevo quel ragazzo, non avevo idea di come avrebbe potuto reagire alle mie parole, non sapevo nulla di ciò che era accaduto con Jacob.

Avevo semplicemente pensato di poter affrontare qualcuno a testa alta, quello che non avevo mai fatto con mio fratello...

Ma avevo fallito miseramente.

Il petto nudo di Zade a pochi centimetri dal mio si alzava e abbassava velocemente a causa del fiato corto; sembrava quasi star tentando invano di regolarizzare il suo respiro. Nonostante la nostra pericolosa vicinanza, il corvino non accennò ad allontanarsi: al contrario, poggiò la testa contro il muro, senza spostare di un centimetro le sue braccia, tenendomi ancora intrappolata contro la parete della stanza.

Rimanemmo in silenzio in quella posizione per svariati minuti: lui con la testa e le braccia appoggiate al muro dietro di me, io ferma e tremolante, preoccupata di fare qualcosa che avrebbe scatenato nuovamente la sua ira.

«Tu non sai niente, non hai idea di quello che ho passato» proferì poco dopo, lasciando che percepissi il suo fiato caldo sul mio collo scoperto, «devi solo stare zitta» pronunciò più calmo. Dopo attimi che parvero infiniti, Zade si allontanò da me.

Quando i suoi occhi incontrarono i miei per un solo istante, lessi in quelle iridi scure e malinconiche tutto il dolore che stava provando: un dolore che, probabilmente, si portava dietro da tempo, e che io avevo appena risvegliato.

Non impiegai molto a pentirmi di tutto quello che gli avevo detto.
Zade fece cadere le braccia lungo il suo corpo, liberandomi totalmente dalla sua morsa; poi mi rivolse le spalle e, in un attimo, sparì.

Mi portai una mano alla bocca, sconvolta, per poi strisciare contro al muro fino a sedermi per terra.

Non potevo credere a ciò che era appena successo, non potevo credere che Zade avesse veramente reagito in quel modo.

Per scatenare una tale reazione in lui, il suo conto in sospeso con Jacob doveva riguardare qualcosa di serio, e io gliene avevo parlato come se fosse stata una cosa di poco conto; come se mi detestasse solamente perché Jacob non gli era simpatico.

Ero sicura che, se già prima di quella notte Zade non potesse vedermi, da quel momento in poi sarebbe stato molto peggio, per me.

L'avevo fatta grossa, e la cosa peggiore era che non avrei potuto fare niente per migliorare la situazione.

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