.40.
Quando notai Jacob avanzare verso di me, decisi di chiudere gli occhi e voltarmi dall'altra parte: non volevo certo starlo a guardare mentre mi faceva del male, ancora una volta.
Sempre se si fosse limitato solo a quello.
Sentii la sua figura chinarsi alla mia altezza; poi, un improvviso tocco freddo sulla pallida pelle del mio viso mi fece rabbrividire, mentre Jacob prese ad asciugare le lacrime che scorsero ormai libere.
«Amber... guardami» pronunciò calmo, ma anche se il tono sembrò dolce, sapevo che quello non fosse altro che uno dei suoi giochetti sadici.
Voleva che lo guardassi mentre mi faceva del male.
«No» iniziai, tenendo ancora le palpebre serrate, «non ho intenzione di compiacerti ancora di più, non ho intenzione di giocare al tuo gioco, non voglio starti a guardare mentre mi fai del male. Mi rifiuto». Pronunciai quelle parole con decisione, percependo nuove calde lacrime scendere copiose dai miei occhi: probabilmente, quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrei pianto a causa di Jacob.
A causa di mio fratello.
Ciò che il ragazzo in ginocchio dinanzi a me disse poco dopo, però, scatenò qualcosa di diverso in me: forse, il desiderio di osservare per l'ultima volta gli occhi buoni di quello che una volta era il mio fratellone.
O forse, un barlume di speranza.
«Amber, ti prego... ho bisogno che mi guardi negli occhi e che mi dici se pensi che farti del male sia veramente ciò che voglio. Ti sto implorando, Ambs. Guardami».
Non sapevo se fosse stato per quel suo tono di voce così rassicurante, per le parole che aveva appena pronunciato, oppure ancora per aver usato quel diminutivo del mio nome che da anni, ormai, non utilizzava più, ma decisi di fare ciò che mi disse. Tentennante, lo guardai nei suoi occhi scuri.
Occhi che mai una volta, dopo l'abbandono dei nostri genitori, avevo visto così pieni di dolore e risentimento.
Quel ragazzo parve così simile al mio fratellone, quello che per anni mi aveva protetta, mettendo il mio benessere al primo posto, che per un attimo vacillai.
«È... è impossibile che tu non lo voglia, l'ultima volta che ci siamo visti al parco...»
«Ero ubriaco marcio, Amber. So di averti fatto più volte del male, dopo...» si bloccò per un attimo, chinando il capo al suolo, «dopo esser stati abbandonati. E so che tu pensi io sia un mostro, perché non sei a conoscenza della verità. Se ho fatto tutto quello che ho fatto c'è un motivo, e questo non giustifica le mie orrende azioni, e non mi rende neppure meno disgustoso, ma penso che meriti di saperlo, Amber, meriti di sapere come sono realmente andate le cose...»
La sua mano continuò ad accarezzarmi la guancia mentre mi parlò con una calma destabilizzante, guardandomi dal basso della sua posizione inginocchiata e asciugandomi ogni singola lacrima rigasse il mio volto..
Sembrò quasi che, disposto in quel modo mentre lo osservavo tremante dall'alto, volesse farmi capire che non avesse intenzione di farmi alcun male.
Osservai il suo bellissimo viso per un attimo: avevo sempre pensato fosse così diverso da me con quella tonalità di pelle, così scura rispetto alla mia, quegli occhi bruni e i capelli mori.
Eravamo l'esatto opposto in ogni cosa, eppure, il nostro legame di sangue era indiscutibile.
«Di che cosa stai parlando, Jacob? tu... tu mi odi. L'hai sempre fatto, dal giorno in cui la nostra vita è cambiata radicalmente. Ho sempre desiderato sapere il perché, ma non ho mai ricevuto alcuna risposta da parte tua, quindi ho deciso semplicemente di farmene una ragione, sapendo che non saresti mai più stato il Jacob che mi voleva bene, quello che era sempre stato al mio fianco» deglutii, strizzando per un attimo le palpebre, «semplicemente, quel Jacob non sarebbe mai tornato, spazzato via da una versione di te così aggressiva, specialmente nei miei confronti. E adesso vorresti dirmi che c'è realmente un motivo se da parte tua ho subito per tutto questo tempo violenza psicologica, e talvolta anche fisica? Tu pensi veramente che cambierebbe tutto quello che mi hai fatto, che non ti vedrei più come un mostro?» gli domandai con una nota di disprezzo nella voce, in volto un'espressione corrucciata e piena di risentimento, rassegnazione.
Jacob sospirò, volgendo lo sguardo al pavimento per un istante, come se non riuscisse a sostenere il mio sguardo così carico di odio, per poi tornare a fissarmi negli occhi.
«Ti chiedo solo di ascoltare quello che ho da dirti, va bene? Una volta che saprai la verità, l'intera verità, spetterà a te decidere cosa fare. Non ti intralcerò in alcun modo, qualunque sia la tua decisione: potrai voltarmi le spalle e andartene, non sarò io a fermarti. Però ti prego, Ambs, permettimi di farlo. Permettimi di raccontarti come sono realmente andate le cose».
Quella sua espressione così disperata fece scattare qualcosa in me, un ricordo di quando, davanti alle porte della comunità, un Jacob di soli sedici anni e in lacrime aveva preso il mio viso tra le sue grosse mani, tentando di rassicurarmi in ogni maniera possibile.
«Andrà tutto bene, Ambs. Finché saremo insieme, nient'altro potrà più farci del male. È una promessa».
E prima che potessi anche solo rendermene conto, avevo già annuito in risposta.
Ci vollero alcuni secondi prima che Jacob decidesse di parlare, e quando cominciò a farlo rimasi in silenzio, ascoltando con attenzione ogni singola sillaba da lui pronunciata.
«Quando siamo finiti in quella comunità...» deglutì guardando oltre le mie spalle, per poi stabilire un nuovo contatto visivo con me, capace di far tremare il mio intero corpo, «... mi è crollato il mondo addosso. Mi ci è voluto del tempo per realizzare cosa fosse realmente successo: ero un ragazzino, Ambs, avevo solo sedici anni... e tu eri così piccola».
Pronunciò quella frase come se gli dolesse anche solo il ricordo, e capii appieno il suo dolore.
Entrambi avevamo sofferto così tanto.
«Mi sono ritrovato improvvisamente solo; da quel momento in poi avrei dovuto occuparmi della mia stessa salute e anche della tua, che a quel tempo avevi tredici anni. Dovevo assicurarci un futuro, ma era così difficile anche solo comprendere il danno che ci era stato fatto...» passò una mano sul suo viso, strizzando gli occhi coi polpastrelli. «Inutile dire che, passato un anno lì dentro, caddi in uno stato di depressione».
Morsi il mio labbro inferiore a quella rivelazione, sbattendo qualche volta di troppo le palpebre: non avevo la minima idea di tutto ciò che mi stava raccontando; credevo che, nonostante tutto, col tempo fosse riuscito a trovarsi bene in quel luogo, sapendomi al suo fianco.
Presto, mi sarei accorta che quella non era neppure paragonabile alle raccapriccianti verità che avrei scoperto quella sera.
«Mentre tu ti sei fatta delle amicizie e stavi cominciando a superare la cosa, ad andare avanti, io mi chiedevo come avrei potuto avere cura di entrambi. Era un peso per me, capisci? E non mi fu affatto d'aiuto, mentre vivevo quella situazione di merda, che i miei compagni di stanza facessero uso di droghe di nascosto in ogni momento della giornata».
Prese un lungo respiro, senza interrompere neppure per un istante il contatto visivo tra noi. Mi si mozzò il fiato.
«Vedevo l'effetto che aveva su di loro: sembrava non pensassero più a niente, sembrava fossero liberi da ogni ansia e preoccupazione. Arrivò il giorno in cui mi chiesero di unirmi a loro... e io, così facilmente condizionabile a quel tempo, accettai. Mi feci una striscia di coca con loro».
Strabuzzai gli occhi a quella rivelazione, non potendo semplicemente credere a ciò che avevo appena udito: sapevo che Jacob fosse capace di qualunque cosa, ma dal modo in cui mi aveva sempre parlato della droga, dal disprezzo che utilizzava anche solo nel pronunciare quella parola, intimandomi di non arrivare mai a farne uso, mi aveva dato l'impressione che odiasse talmente tanto quella falsa scappatoia, da non averla mai provata.
Quant'ero stata stupida a non accorgermi che, invece, era esattamente il contrario.
«Amber, ti giuro su quello che vuoi che quell'unica striscia mi fece rinascere. Non avevo mai fatto nulla di simile, non avevo mai toccato neppure una sigaretta prima di allora, ma quella sensazione, Dio, quella sensazione era insostituibile. Quando però l'effetto finì tutti i problemi tornarono a perseguitarmi, e quando ti rividi dopo averlo fatto, me ne pentii a tal punto da ripromettermi di non farlo mai più... per te».
Jacob sbuffò poi una risata, come se trovasse estremamente sarcastico quello che stava per dire.
«Naturalmente, però, ci ricascai. Era così facile per quei figli di troia convincermi a farlo, gli bastava ricordarmi ciò che avrei provato dopo, come avrei sentito ogni pensiero negativo scivolarmi via di dosso... Andò a finire che, dopo un mese, cominciai a procurarmela io stesso: l'uomo che veniva a consegnare le pizze ogni sabato sera, non era altro in realtà che uno sporco spacciatore che corrompeva i ragazzini di quella comunità per farli cominciare a sniffare».
Il fattorino delle pizze, uno spacciatore?
Ricordavo di aver visto un ragazzino accettare dall'uomo una bustina contenente della polvere bianca, una volta, poco prima di porgergli la somma dovuta: all'epoca non avevo dato molto peso alla questione, e solo in quell'istante mi accorsi di quanto in realtà avrei dovuto farlo.
C'era un giro di spaccio in corso in quella comunità, che avveniva proprio sotto il naso di tutti... e nessuno se n'era mai reso conto. Neppure io.
«La cosa andò avanti per settimane: io che ogni giorno svolgevo qualsiasi mansione possibile richiedessero per ottenere il denaro necessario per la droga, tu che eri sempre più fiera di me perché pensavi, ingenuamente, che stessi incominciando a stare meglio e che volessi rendermi utile» sorrise amaramente. «Quei ragazzi avevano un'unica regola: ogni volta che una nuova persona si univa al loro fottuto club di cocainomani, doveva essere quella a ritirare la droga, in modo tale che gli educatori non cominciassero a sospettare di loro».
La mia stretta sul labbro inferiore si fece talmente forte che credetti sarebbe potuto uscire del sangue, di lì a poco, ma non era importante.
All'epoca ero convinta che Jacob stesse veramente meglio... e in un certo senso, era così: non però perché si fosse ripreso, ma perché aveva cominciato a fare uso di sostanze stupefacenti.
Ero così ingenua. Così idiota.
«Arrivò il giorno in cui l'uomo delle pizze, dopo lo scambio di nostro interesse, mi fermò per parlarmi. Mi disse che si era informato sulla mia situazione famigliare, sapeva che avevo una sorella minore sulle spalle e che ormai mancassero pochi mesi al compimento del mio diciottesimo anno di età, e quindi al momento in cui avremmo dovuto lasciare quel posto, rimanendo senza una casa. Quel giorno, l'uomo mi fece una proposta: una volta uscito da lì avrei cominciato a lavorare per loro, entrando nel giro dello spaccio, e in cambio mi avrebbero fatto trovare una piccola casa in affitto in cui sistemarmi con te. Avrei fatto i soldi necessari per permettermi, per permetterci un futuro migliore. In fondo era tutto ciò che volevo, garantirti un futuro, fare in modo che fosse migliore del mio. Allo stesso tempo, però, non mi resi conto di ciò che mi stava chiedendo: avrei dovuto fare il lavoro sporco per loro. Rischiare la vita per loro».
Jacob passò una mano sul suo volto stanco, portando alcune ciocche corvine all'indietro. Rimasi in silenzio, sentendomi completamente attaccata da ogni singola informazione stesse uscendo dalle sue labbra.
Ero emotivamente distrutta, mi sentii la causa di ogni sua scelta sbagliata, di ogni suo periodo buio.
Probabilmente lo ero.
«Ci riflettei per una settimana intera: ricordo di aver avuto pochi momenti lucidi in quei giorni, dato che mi facevo ogni qual volta tornassi in me. A quel punto, non fu solo quella stupida polverina bianca ciò che cominciai ad assumere per sentirmi meglio...»
Lasciò la frase in sospeso, e io strabuzzai gli occhi: quali altre sostanze aveva introdotto nel suo debole e assuefatto organismo?
Un brivido freddo percorse la mia intera spina dorsale alla risposta che avrei potuto ricevere.
«Poi, infine, decisi: lo avrei fatto per te, per garantirti una vita migliore, una in cui non avresti dovuto preoccuparti di niente; lo avrei fatto per due anni, il tempo che saresti diventata anche tu maggiorenne. Non appena avresti potuto lavorare anche tu avrei abbandonato quella strada, nella speranza di trovare un lavoro onesto. Quello che allora non sapevo, però, era che un lavoro del genere non si abbandona così facilmente, non si può semplicemente decidere di lasciarlo senza andare in contro a delle delle conseguenze».
Si alzò in piedi, come se fosse rimasto in ginocchio per troppo tempo, e durante il resto del racconto cominciò a fare avanti e indietro per la stanza, rivolgendomi di tanto in tanto delle occhiate, per osservare la mia reazione alle sue parole.
Ero totalmente sconvolta da ciò che mi stava confessando, non ero a conoscenza di neppure una delle immense disgrazie che aveva dovuto affrontare...
Anche se, ne ero certa, quello era soltanto l'inizio.
La parte peggiore doveva ancora arrivare, e non ero affatto sicura di essere pronta ad affrontarla.
Spazio Autrice
Beh, che dire...
Capitolo un po' pesantino, forse?
Era così lungo che ho dovuto dividerlo, ma non temete perché la seconda parte la pubblicherò molto presto, non voglio lasciarvi con l'amaro in bocca!
Cosa ne pensate del racconto di Jacob?
Sono curiosa di conoscere le vostre impressioni!
Non preoccupatevi, presto i nostri ragazzi torneranno...👀
Lasciate una stellina⭐️ se il capitolo vi è piaciuto, alla prossima!❤️
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