.3.
Il ragazzo sconosciuto parcheggiò la macchina di fronte a una villetta che sembrava piuttosto grande e accogliente, vista da fuori.
Mi costrinsi a uscire dalla vettura quando lo fece il castano, e subito una folata di vento mi fece rabbrividire, obbligandomi a portare le mani sulle braccia nel tentativo di scaldarmi, nonostante fossi convinta che nulla, in quel momento, avrebbe potuto farlo.
Dopotutto, non avevo dimenticato il motivo per cui fossi con quel ragazzo, e neppure ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.
«Seguimi» quasi ordinò il soggetto dei miei rassegnati pensieri, rivolgendomi un insolito sorriso rassicurante prima di aprire la porta di casa, e trascinarmici dentro.
Sembrava quasi... impaziente.
La debole stretta dello sconosciuto sul mio polso mi condusse lungo una scalinata che portava a uno stretto corridoio, in cui erano situate diverse porte chiuse: il castano ne aprì velocemente una, sbattendone la porta e chiudendola a chiave non appena fummo entrambi dentro, per poi girarsi verso di me.
Mi squadrò da capo a piedi, mordendosi il labbro inferiore con fare sensuale.
Finsi di essere felice del suo sguardo su di me, nonostante non riuscissi a sopportare l'idea di essere costretta a perdere la mia castità in quel modo, con un ragazzo che avevo appena conosciuto e che non amavo: io non me lo meritavo.
Io, che ero sempre stata una ragazza per bene.
Io, che in vita mia avevo rifiutato così tanti ragazzi, perché nessuno di loro mi aveva mai apprezzata per la donna che ero.
Io, che non mi ero mai sbilanciata con nessuno, ma che ormai stavo per perdere ogni mio valore e la mia purezza, donandola a uno sconosciuto.
A causa di Jacob. Mio fratello.
Il ragazzo si avvicinò velocemente a me, prese il mio viso tra le mani e, in un secondo, poggiò le labbra sulle mie, prendendo a baciarle avidamente.
Non potei fare altro che ricambiare quel bacio passionale e violento: non era la prima volta che condividevo un momento del genere con un ragazzo, ma non lo avevo mai fatto con così tanta foga.
Lo sconosciuto avanzò verso di me, e io indietreggiai fino a quando non caddi sul letto.
In breve tempo il castano si posizionò sopra di me, staccandosi dalle mie labbra per passarle sul collo, dove lasciò una scia di baci caldi e umidi: la sua bocca prese poi a concentrarsi in un punto preciso della mia pelle sensibile, prendendo a morderla e succhiarla.
Emisi un gemito di disapprovazione, che però lui, naturalmente, scambiò come uno di piacere.
Quando ormai la pelle del collo divenne troppo sensibile, decise di passare gentilmente la lingua sulla parte che aveva morso, cominciando poi a scendere con i baci.
Iniziai a sentirmi male quando in pochi secondi afferrò i lembi del giubbotto che portavo, sfilandomelo con un'abile mossa e rivelando la mia pelle lasciata scoperta da un top attillato davanti ai suoi occhi pieni di desiderio: la scollatura permetteva di scorgere una parte del mio seno prosperoso, e mi sentii mancare sotto lo sguardo attento del ragazzo, che osservava il mio corpo come se mi stesse esaminando.
«Dio, sei perfetta...» sussurrò poco dopo incatenando i nostri occhi, e rimasi a fissare le sfumature chiare dei suoi quando passò il pollice sul mio labbro inferiore.
Ero così a disagio che anche solo il fingere che mi piacesse, mi faceva sentire in uno stato costante di ribrezzo verso me stessa.
Quando la sua mano scese lungo il mio mento fino ad arrivare alla spallina del top, entrai nel panico: non volevo che mi svestisse, non volevo mostrarmi nuda e vulnerabile dinanzi alla sua imponenza.
Ero terrorizzata: avrei voluto evadere da quella situazione, ma non sapevo come.
Nonostante sarebbe stato inutile, il mio istinto decise per me: nel tentativo di guadagnare del tempo scelsi di scostarmi dal tocco delicato del ragazzo, e con tutta la forza che mi rimaneva in corpo ribaltai la situazione: in quel momento, era lui sotto di me.
Il ragazzo rimase stupito dalla mia presa di posizione, ma non ne sembrò affatto infastidito: io, però, iniziai a sentirmi in difetto.
Per il momento, ero riuscita a evitare che mi sfilasse un indumento, ma a quel punto ero convinta si aspettasse qualcosa da me.
Scacciai via la paura, tentando di essere il più sciolta e naturale possibile mentre poggiavo le mie labbra contro le sue, passando una mano tra i suoi capelli nel momento in cui le mani dello sconosciuto si poggiarono sui miei fianchi per sorreggere il mio peso su di lui, prima di scivolare giù lungo le mie natiche, che strinse.
Poco dopo il castano si staccò dalle mie labbra solo per afferrare i lembi della sua maglietta, che sfilò velocemente, rivelando un fisico imponente e muscoloso: per un secondo, mi fermai a osservarlo, sentendo le sue pupille bruciare sulla mia pelle.
Non avevo mai visto così tanta bellezza in un solo ragazzo; probabilmente, era perché non ne avevo mai visto uno senza maglietta da così vicino.
Senza accorgermene e neppure sapere cosa stessi facendo, mi ritrovai a posare le dita sul petto del castano sotto di me, sfiorando quella pelle accaldata e passando lungo i suoi addominali scolpiti e leggermente abbronzati, totalmente rapita da quella vista.
La risata genuina e divertita del giovane uomo mi riportò velocemente alla realtà, e sgranai gli occhi quando mi accorsi di cosa stessi facendo, ritraendo subito la mano dal suo corpo.
«Che c'è, non hai mai visto un ragazzo atletico prima d'ora?» mi mostrò la sua dentatura perfetta quando passò la mano sul mio braccio, prendendo a carezzarlo; poi, distolse per un attimo lo sguardo, pensieroso, «d'altronde, chissà con quale sorta di gente sei stata costretta a intrattenerti, finora...»
Quella sua strana dolcezza cominciava a darmi alla testa.
Si preoccupava davvero per le brutte esperienze che avrebbe potuto avere una ragazza di strada?
«S-scusa...» pronunciai in merito all'averlo toccato, facendo vagare la mia vista lungo le pareti salmone di quella stanza in completo imbarazzo: per quanto ci provassi, proprio non riuscivo a nascondere la mia inesperienza.
«Non devi scusarti, puoi toccarmi quanto vuoi» le dita affusolate del ragazzo si posarono sulla mia guancia, prima di ritirarsi improvvisamente, «anzi, fai pure. Vediamo quello che sai fare» disse d'un tratto, e rimasi paralizzata a osservarlo mentre si portava le braccia muscolose dietro la testa, prendendo a fissarmi incuriosito e con un sorrisetto stampato in volto.
Diamine, avevo fatto un bel guaio.
Cos'avrei dovuto fare?
Totalmente terrorizzata, decisi di provare a imitare ciò che il ragazzo aveva precedentemente fatto con me: mi avvicinai sul suo collo per lasciargli alcuni baci umidi, mordicchiandolo di tanto in tanto, mentre con la mano ripresi a sfiorare i suoi pettorali, e il piccolo ansimo di piacere che uscì dalle sue labbra mi fece capire di essere sulla strada giusta.
Continuai a passare la mano sul suo petto imponente mentre a quel punto ero salita di nuovo verso la sua bocca, che baciai.
Non ero in grado di spingermi oltre.
Non potevo farlo.
Il giovane uomo accolse volentieri le mie labbra sulle sue, passando la lingua contro la mia ormai con violenza, e gemette quando mossi involontariamente i fianchi contro il suo bacino, creando dell'attrito tra le nostre intimità.
Le sue labbra assaporarono le mie con foga, e il rigonfiamento nei suoi pantaloni iniziò a farsi sempre più insistente contro la mia gamba: deglutii al solo pensiero che presto avrebbe potuto stancarsi della mia volontà di rallentare le cose, e sarebbe andato dritto al punto, facendo di me ciò che voleva.
Ebbi un tremito quando lo sconosciuto afferrò tra i denti il mio labbro inferiore, iniziando a farmi sentire sempre più in trappola: non potevo farlo.
Io non ce la facevo.
Fu proprio in quel momento che il castano fece ciò di cui più avevo paura: all'improvviso ribaltò nuovamente la situazione, lasciandomi quasi senza fiato nel momento in cui mi sbatté con violenza sul letto mentre si posizionava sopra di me.
«Okay, adesso basta giochetti. Ti voglio mia» confessò fissandomi negli occhi, prima di sbottonare il suo pantalone e avventarsi sul mio.
Era finita... non avevo più scampo.
Tuttavia, inaspettatamente, qualcosa accadde: forse, un miracolo.
Improvvisamente il ragazzo bloccò le sue azioni, scrutando il mio viso con la confusione puntata sui suoi tratti virili. «Perché piangi?» domandò di punto in bianco, sollevando la mano dal bottone della minigonna per portarla al mio viso, da cui asciugò una lacrima scappata dai miei occhi.
Diamine, non potevo piangere: non dovevo mostrare il mio terrore, dovevo fingere che tutto quello mi stesse piacendo, nonostante in realtà fossi totalmente spaventata e inorridita.
Non potevo permettermi che il mio dolore uscisse allo scoperto, e neppure mostrarmi per quella che ero... era così che Jacob mi aveva detto di comportarmi.
«N-non sto piangendo» negai, fissandolo negli occhi cercando di essere il più convincente possibile, per poi prendergli la mano e riappoggiarla con molta fatica sul bottone della mia gonna, «continua».
«No».
Ebbi un tuffo al cuore quando il ragazzo si allontanò da me, serio in volto, per nulla disposto a interrompere il contatto visivo tra noi, «non ho intenzione di andare a letto con una ragazza a cui non sta piacendo» rivelò, per poi inclinare la testa da un lato. «Qual è il problema? Non ti piaccio? Sono stato troppo violento?» domandò in seguito, scrutando il mio viso in cerca di una risposta.
Il fatto che si stesse preoccupando veramente di come mi sentissi e che non fosse semplicemente andato avanti, mi rassicurò a tal punto da farmi bagnare ancor di più il viso di lacrime.
Stavo sbagliando tutto.
Ma quel ragazzo non sembrava per nulla disposto a farmi del male.
«Non... non è questo» riuscii a dire, e tentai in tutti i modi di stoppare la crisi che stava prendendo il possesso di me, invano.
Dall'abbandono dei miei genitori avevo sempre sofferto di attacchi di panico, e nonostante avessi sperato con tutta me stessa di non averne una davanti a quello sconosciuto, c'era da aspettarselo da una come me.
Ero così dannatamente debole.
«Ehi, ehi...» sibilò la voce calda del ragazzo, richiamando la mia attenzione, «devi calmarti, okay? Guardami negli occhi...» prese il mio viso tra le sue grosse mani, costringendomi a guardarlo mentre nuove lacrime salate bagnavano le mie guance.
«Che cosa c'è? Qual è il problema?» chiese con una tale dolcezza da meravigliarmi.
Come poteva importargli davvero? Perché sembrava interessato a conoscere la ragione del mio pianto improvviso, nonostante il motivo per cui mi aveva condotta lì?
«Io...» mi morsi l'interno della guancia, non sapendo se fosse realmente il caso di rivelare o meno la verità.
Era tutto così profondamente sbagliato.
«Sì?» il giovane mi incitò a continuare, e ancora una volta, la sua espressione gentile mi fece sentire tutt'altro che sotto minaccia: sembrava quasi volesse rassicurarmi.
Non riuscii più a trattenere quelle parole tanto proibite quando, finalmente, le pronunciai.
«I-io... io sono vergine! Non ho mai fatto nulla di tutto questo prima d'ora, i-io non... non sono una prostituta!» urlai di scatto, buttando fuori la sola e unica verità, scoppiando in un pianto isterico e liberatorio che sapevo non sarei più riuscita a fermare.
Notai lo sconosciuto sgranare gli occhi a quella rivelazione, visibilmente stupito, e come se pensasse che quella situazione fosse solamente un grande errore si allontanò ancora di più da me, sollevandosi dal letto e rimanendo a petto nudo in piedi a pochi passi da me.
Strinsi il tessuto del candido lenzuolo in una mano, portando l'altra al viso e poi sulla bocca nel tentativo di placare i singhiozzi: l'imprecazione del ragazzo giunse distante al mio udito, e con la coda dell'occhio lo vidi passarsi una mano tra le ciocche castane, sorpreso dalla mia confessione.
Sapevo di avere sbagliato, allo stesso modo in cui sapevo che alla maggior parte degli uomini non importasse quanto una donna fosse pura e innocente, una volta che aveva acconsentito alle loro avance.
Tuttavia, ciò che disse il castano non appena si riavvicinò a me, poggiando nuovamente le dita sul mio viso con più dolcezza, mi colpì profondamente. «Per favore, smetti di piangere: è tutto okay. Non ti costringerò a far nulla che tu non voglia» sussurrò con delicatezza, tentando di tranquillizzarmi.
Ma io non potevo tirarmi indietro.
Ero certa che mio fratello non avrebbe più risposto di sé, se solo avesse saputo che l'avevo fatto.
«N-no» articolai, tornando a guardarlo negli occhi, «non posso, tu... tu non capisci. Se non porterò quei soldi a casa mio fratello mi ucciderà! finirà così!» rivelai, agitandomi ancora di più e sussultando a causa dei singhiozzi.
L'espressione del ragazzo dinanzi a me parve mutare completamente: sembrava disgustarlo ciò che gli avevo appena detto, tant'è che indurì la mascella, stringendo una mano in un pugno.
«Ascoltami bene» richiese, prima di mettersi in ginocchio davanti a me sul morbido materasso, prendendo il mio viso con entrambe le mani: per un attimo, la delicatezza del suo tocco mi destabilizzò. «Te li darò io i soldi di cui hai bisogno, va bene? Ti aiuterò. Ma non sarò di certo io a farti del male per togliermi uno sfizio questa notte: non lo farei mai» concluse, la serietà impressa nel volto dai tratti marcati e ancora tesi.
Non potevo credere alle mie orecchie.
Quante possibilità avevo, trovandomi su quella strada, di finire con un ragazzo del genere?
Quante possibilità avevo di trovare qualcuno che avesse dei principi e dei valori, e che non fosse interessato solamente al piacere che avrei potuto dargli?
«Mi prometti che cercherai di calmarti adesso?» chiese, carezzando appena la pelle del mio viso solcata dalle lacrime.
Tirai su col naso e feci un leggero cenno di assenso con la testa, osservando i suoi ipnotizzanti occhi di ghiaccio puntati nei miei, che altro non mostravano se non una sincera preoccupazione.
Il ragazzo mi rivolse un mezzo sorriso, per poi allontanare le mani dal mio volto.
«Ora rivestiti, forza» proferì, alzandosi dal letto e porgendomi una mano per fare altrettanto.
«Dici sul serio?» chiesi tirando nuovamente su col naso, osservando quel grande palmo sporto in mia direzione.
«Mai stato più serio di così» annuì, «avanti, vieni» mi invitò ad alzarmi dal letto, e non seppi perché, ma accettai di stringere la sua mano, permettendogli di aiutarmi a sollevarmi dal letto e affiancarmi a lui.
Non seppi il perché, eppure, in quel momento mi fidai: mi fidai di quel ragazzo sorridente che sosteneva di non volermi fare del male, mi fidai del fatto che mi avrebbe aiutata con Jacob, speravo con tutta me stessa che non avrebbe cambiato idea da un momento all'altro.
Ancora tremante e col respiro irregolare mi chinai verso il suolo, pronta a raccogliere il giubbotto che avrebbe coperto meglio il mio corpo, ma il giovane uomo prontamente mi bloccò. «Aspetta: lascia che ti dia una mia maglia» disse, dirigendosi a passo svelto verso l'armadio posto al fondo della stanza, e dopo aver frugato a lungo in cerca di una t-shirt, me ne porse una subito dopo averla trovata.
«Ecco, prendi questa: ti starà un po' grande, ma forse ti farà sentire più a tuo agio di quegli indumenti» indicò i miei abiti poco coprenti, e io mi chiesi ancora una volta perché quel ragazzo fosse così gentile con me.
«Io... grazie..." sussurrai riconoscente e con le lacrime agli occhi, per poi indossarla, notando le sopracciglia del castano aggrottarsi.
«Hai tutta l'aria di chi non riceve molta gentilezza nella vita» ammise, osservando attentamente e con serietà il mio viso.
Non riuscii a rispondere a quell'affermazione, sapendo quanto fosse dannatamente vero: abbassando lo sguardo al suolo, prendendo a giocherellare nervosamente con la pellicina del mio pollice.
Ora che indossavo qualcosa che riusciva a coprire tutte le mie forme mi sentivo molto più a mio agio, nonostante avessi ancora davanti un totale sconosciuto che mi aveva portata a casa con un unico scopo, che sembrava però avere dimenticato dal momento in cui gli avevo rivelato la verità.
Ma perché? Perché era così buono come me?
Forse, allo stesso modo in cui io non ero realmente una prostituta, neppure lui era un uomo che amava divertirsi con quante più donne possibili, a differenza di tutti i clienti abituali della compagnia?
Dopotutto, Anne mi aveva detto che lui non fosse affatto un cliente: aveva semplicemente confessato che si fossero conosciuti altrove, e che spesso le faceva visita per non farla finire con gente che la bionda, come chiunque altro, non avrebbe affatto gradito.
Quelli non erano gesti che compiva qualcuno di malvagio, e decidendo di non approfittarsi di me, aveva appena dimostrato di non esserlo.
«Ad ogni modo, mi chiamo Louis» rivelò d'un tratto il castano, attirando la mia attenzione sulla sua figura alta e imponente, dal petto ancora scoperto. «Qual è il tuo nome?»
«Am-Amber» balbettai, ancora scossa dai recenti avvenimenti.
«Amber... hai un bellissimo nome» pronunciò sorridente: fin troppo sorridente per uno che, fino a pochi minuti prima, mi stava strappando i vestiti di dosso.
Mi sembrava di star vivendo in un sogno...
«Pensi che sarebbe una buona idea se andassimo a letto, adesso?»
... un sogno che pareva star per tornare a essere un incubo.
Sgranai gli occhi involontariamente a quella richiesta: aveva forse cambiato idea?
Louis sembrò capire all'istante a cosa avessi alluso alle sue parole, perché scrollò subito le mani verso di me, tentando un diverso approccio.
«Aspetta, no, non intendevo in quel senso!»
Il ragazzo dai ciuffi castani non riuscì a trattenersi, scoppiando prontamente in una fragorosa risata: quando però notò il mio sgomento e la paura impressa nelle mie iridi, si ricompose, riprendendo a parlare.
«Quello che intendevo dire è che, se vuoi, potresti fermarti qui per la notte» rimasi senza fiato, e Louis se ne accorse nell'immediato, «sei liberissima di andartene, e voglio che questo sia chiaro. È solo che non penso sia prudente tornare a casa a quest'ora della notte... non credi?» mi rivolse un leggero ma caldo sorriso, mentre osservava attentamente la mia reazione.
Mi morsi nervosamente il labbro inferiore per l'imbarazzo, e maledissi mentalmente la mia carnagione pallida nel momento in cui percepii un forte calore pervadermi il viso a quella richiesta.
Annuii abbassando lo sguardo, sperando che Louis non avesse notato il mio disagio nell'aver completamente frainteso le sue parole.
Il ragazzo però poggiò due dita sotto al mio mento, costringendomi a sollevare il volto per guardarlo, e scorsi sul suo viso un'espressione intenerita.
«Arrossisci spesso?» mi chiese, fissandomi negli occhi: avrei potuto giurare di essere diventata un peperone in quel preciso istante.
«Io penso... penso di sì» fu la mia timida risposta: Louis rise appena; poi, lentamente, si avvicinò al mio orecchio. «Avrei dovuto capire da subito che non sei come le altre» vi sussurrò, carezzandomi poi la testa con prudenza.
Sorrisi istintivamente e mi avvicinai di più a lui, ritrovandomi a poggiarla sul suo petto.
Ero sempre stata attratta dalle persone che mi facevano del bene: avevo subito fin troppo dolore nella vita, e il mio subconscio aveva pian piano deciso di lasciare che mi tenessi strette le persone che invece si prendevano cura di me.
Tra i tanti, quello era uno dei motivi per cui ancora non riuscivo a scappare da Jacob: nonostante il modo in cui mi trattava non mi aveva mai abbandonata, e questo, per quanto sbagliato e da masochista fosse, era abbastanza...
Finché non aveva deciso di mandarmi a prostituirmi.
Non ero del tutto convinta che sarei riuscita a perdonarglielo.
Non sapevo ancora il perché, ma non percepivo alcun disagio nell'essere tra le braccia di quel ragazzo: al contrario, mi sentivo quasi... protetta.
Se solo avessi avuto la sfortuna di incontrare un uomo diverso, non sarebbe certo stato così clemente con me: avrebbe continuato fino a privarmi della mia innocenza senza alcun ripensamento, e probabilmente avrebbe anche goduto della mia sofferenza.
Louis non l'aveva fatto, si era fermato e aveva voluto scoprire cosa non andasse.
Era stato così paziente da sembrarmi quasi un miracolo divino; quasi come se il destino avesse scelto qualcosa di diverso per me: non più la cattiveria e la brutalità che fino al giorno prima avevo vissuto con mio fratello...
Bensì la dolcezza, la gentilezza e la comprensione di un uomo che aveva deciso di non ferirmi, nonostante avesse avuto tutte le carte in regola per farlo.
«Perciò... rimarrai?» azzardò Louis, continuando ad accarezzare i miei boccoli biondi.
Annuii contro il suo petto, abbandonandomi completamente al suo tocco gentile.
Non era da me mostrarmi così vulnerabile e stare così vicino a un estraneo, ma c'era qualcosa in quel ragazzo che mi rassicurava, che non mi faceva sentire affatto in pericolo.
«Va bene: sistemati pure sul mio letto allora, io andrò a dormire in un'altra stanza»il ragazzo si allontanò da me, rivolgendomi un sorriso prima di darmi le spalle, dirigendosi verso la porta della camera.
«Louis!» lo chiamai prima che potesse andarsene, lasciando che si voltasse verso di me.
Non potevo rimanere sola, non volevo.
Se solo lo avessi fatto... i pensieri mi avrebbero divorata viva.
«Io... non ho paura di te» rivelai, e il giovane uomo parve rimanerne sorpreso. «Questa è camera tua, non... non devi andartene per forza».
Louis corrugò la fronte, titubante. «Ne sei proprio sicura?»
Non sembrava del tutto convinto della mia scelta.
Eppure, io lo ero. Lo ero eccome.
«Mi... mi fido».
Louis sorrise comprensivo, poi, in maniera cauta, si riavvicinò, poggiando nuovamente le dita sul mio viso, «non dovresti fidarti in questo modo degli sconosciuti, Amber» mi avvisò, coscienzioso e posato.
«Ormai credo che tu non sia più uno sconosciuto, per me» affermai tutto d'un fiato, rendendomi conto solo dopo aver pronunciato quelle parole di cos'avessi detto.
Lo pensavo seriamente?
Louis carezzò piano la mia guancia, fissando intensamente i miei occhi dal colore del mare, per poi abbozzare un lieve sorriso, indicandomi con una mano il letto. «Sistemati pure qui» disse, rivolgendo in seguito la vista verso un piccolo divanetto nero situato al fianco dell'armadio, «io starò bene sul divano».
Seppure tentennante annuii, ancora stranita dall'intera situazione, mentre Louis afferrò una maglietta abbandonata sulla scrivania alle sue spalle, indossandola.
Rimase voltato di schiena per svariati attimi, poggiando i palmi sul legno bianco del ripiano e flettendo i muscoli delle sue braccia: mi chiesi se ci fosse qualcosa che non andava, e senza neppure accorgermene, iniziai ad agitarmi.
«Louis-»
Il giovane uomo si girò velocemente al mio richiamo, prendendo a fissarmi stupito, come se per un attimo si fosse estraniato dal mondo intero, «sì?» rispose, chiaramente preso alla sprovvista.
«Va tutto b-»
«Come si chiama tuo fratello, Amber?»
la sua domanda improvvisa mi spiazzò a tal punto da farmi impietrire, portandomi a volgere un passo indietro.
Gli occhi di ghiaccio di Louis non si spostarono neppure per un istante dalla mia figura tremante, improvvisamente allarmati, e io non potei fare a meno di interrogarlo a mia volta.
«P-perché?»
Louis scosse la testa, distogliendo lo sguardo, «è da quando mi hai parlato di lui che me lo sto chiedendo. Spero di sbagliarmi, ma se è come penso, allora-»
«Jacob» pronunciai, e non fui la sola a notare quanto la mia voce risultò rotta, «il suo nome è Jacob Sullivan».
Improvvisamente i muscoli di Louis si irrigidirono, e credetti quasi di averlo sentito sussultare.
«Merda» bisbigliò tra sé e sé, visibilmente turbato, «proprio come credevo.»
«Tu... lo conosci?» gli chiesi, non sapendo per quale altro motivo avrebbe potuto avere una tale reazione nell'udire il nome di mio fratello.
Lo sguardo di Louis sulla mia figura bruciò la mia pelle quando prese a fissarmi con rigidità, «purtroppo ho avuto modo di farlo. So quanto sia spietato e senza scrupoli» rivelò criptico e sprezzante, passandosi una mano sul viso prima di riconnettere le nostre iridi chiare, mostrando a quel punto una nota di preoccupazione. «Dio, Amber... è lui che ti ha costretta a fare tutto questo?»
Scossa e destabilizzata da quella confessione mi ritrovai ad annuire, abbassando il volto al suolo: non avevo alcuna ragione di mentire.
Non potei fare a meno però di chiedermi come Louis potesse conoscere Jacob, e perché sembrasse odiarlo e disprezzarlo così tanto.
«Bastardo» disse a denti stretti, arricciando le labbra, «non sapevo avesse una sorella...» si fermò per un istante, pensieroso. Poi, tornò a incastrare perfettamente le nostre pupille, e io mi sentii morire nell'udire ciò che mi chiese. «Ti ha mai... ti ha mai fatto del male?»
«A- a volte...» balbettai, «a volte capita».
Il ragazzo che mi ritrovai davanti a quel punto non sembrava più il Louis che fino a pochi istanti prima mi sorrideva dolcemente: il suo viso si era incupito, i tratti marcati e virili irrigiditi.
Sembrava davvero molto arrabbiato.
«Però, è pur sempre mio fratello» dissi poco dopo, raccogliendo un boccolo biondo e infilandovi un dito per la mortificazione, «che cosa posso farci? È lui che mi mantiene. Non posso ribellarmi, non posso disubbidire. L'unica persona mi sia rimasta al mondo è anche quella che più mi terrorizza» ammisi infine, trovando estremamente ironico ciò che avevo appena detto.
Chiunque avrebbe avuto pena di me conoscendo la mia storia: persino io la provavo.
Louis mi guardò attentamente finché non finii di parlare: a quel punto, avvicinò la mano alle mie dita che ancora stringevano il boccolo, prendendole tra le sue per allontanarle dal mio volto, in modo tale che incontrassi il suo sguardo.
«Sapevo fosse capace di qualunque cosa. Ma non credevo che fosse talmente spregevole da essere in grado di vendere la sua stessa sorella».
Alle sue parole, una lacrima salata rigò il mio viso. «Non c'è niente che possa fare, Louis».
Il ragazzo prese un lungo respiro, per nulla intenzionato a interrompere il nostro contatto visivo. «Forse tu no, Amber, ma io... io potrei fare qualcosa». Abbandonò la lieve presa sulle mie dita, fermandosi a riflettere.
Dopo pochi attimi, però, riprese a parlare.
«Purtroppo non posso fare niente per cambiare il tuo passato, Amber, ma forse... forse posso provare a cambiare il tuo futuro. Sono cresciuto in un ambiente ostile, ho dovuto sopportare fin troppe cattiverie senza poter fare nulla perché ero solo un ragazzino. Adesso però sono un uomo, e ho promesso a me stesso di non permettere mai più che certe cose accadano» rivelò, sorprendendomi totalmente.
Per un attimo mi trovai a pensare a un Louis adolescente, impotente, obbligato ad affrontare situazioni al di fuori della sua portata senza potersi difendere.
Non sapevo di quali situazioni parlasse, eppure, mi rividi molto nel suo racconto...
Con la piccola differenza che, a differenza di Louis, io mi sentivo ancora una ragazzina impotente.
Mi accorsi che il giovane uomo non avesse concluso il suo discorso solo quando proseguì. «Per questo non posso permetterti di tornare da quella feccia umana» disse, per poi mordersi il labbro inferiore, guardandomi tentennante.
«Se volessi... potresti fermarti qui per un po' di tempo» propose, facendomi spalancare gli occhi, «non ci sarebbe alcun problema. La villa è grande, abbiamo una stanza per gli ospiti che potrebbe diventare la tua... probabilmente suonerà tutto il contrario di come dovrebbe, ma adesso che so chi è stato a costringerti a questa vita, non posso lasciarti tornare da lui. Jacob è pericoloso, Amber. Tu sembri una brava ragazza: non meriti che Sullivan ti faccia altro male».
Rabbrividii: non potevo credere a ciò che avevo appena udito.
Mi stava davvero offrendo di rimanere in quella casa?
Voleva proteggermi da mio fratello?
Sembrava essere a conoscenza di qualcosa sul suo conto che io, invece, non sapevo.
«Come...» iniziai, deglutendo il groppo che avevo in gola, «come fai a sapere tutte queste cose di Jacob? Tu e lui avete forse... un trascorso?»
Louis morse l'interno della sua guancia, lasciando le braccia lungo i fianchi in posizione eretta mentre mi scrutava dall'alto, prima di espirare dal naso e scuotere la testa, «solo... permettimi di tenerti al sicuro» chiese, prima di distogliere lo sguardo, «almeno tu...» bisbigliò così impercettibilmente che faticai a udirlo.
Era chiaro che Louis e Jacob avessero avuto dei precedenti, ma anche che il ragazzo di fronte a me non avesse la minima intenzione di parlarne.
Mi mancò il fiato dai polmoni quando iniziai a pensare di cosa potesse trattarsi.
«Io...» iniziai, attirando l'attenzione del castano su di me: se tutto ciò che Louis aveva appena detto era vero, fermandomi lì sarei stata al sicuro da Jacob e dal terribile giro in cui mi stava costringendo a entrare, più di quanto avrei potuto esserlo altrove.
Eppure, se avessi accettato il suo invito, avrei potuto mettere in pericolo quel ragazzo dalla parvenza di un angelo custode.
«Non posso accettare, Louis... credo di potermi fidare di te, è vero, però... hai ragione quando dici che Jacob è pericoloso: finire nel suo mirino non è mai una buona cosa» rivelai, sconsolata.
Con mia grande sorpresa, una piccola ma divertita risata prese il possesso delle corde vocali di Louis, lasciandomi per un attimo perplessa.
«Amber... sono un uomo adulto, so badare a me stesso. Ti assicuro che non sarà certo quel vigliacco di Sullivan a spaventarmi» mi sorrise, e sembrava dannatamente sincero.
Mi morsi nervosamente il labbro, iniziando a prendere seriamente in considerazione la sua proposta.
Non avevo altre alternative: tornando a casa senza i soldi che avrei dovuto guadagnare quella notte non sapevo come sarebbe andata a finire con mio fratello, e se anche Louis me li avesse concessi come aveva promesso, nulla avrebbe impedito a Jacob di farmi tornare su quella strada il giorno seguente. Inoltre, Louis, nonostante tutto, sembrava avere davvero le migliori delle intenzioni.
La mia vita era sempre stata una grande incognita, ma per la prima volta, ero io ad averne le redini: finalmente spettava a me scegliere come proseguire.
Ogni informazione fino a quel momento ricevuta parve abbandonare totalmente il mio cervello quando pronunciai quel singolo vocabolo, attraverso il quale la mia vita sarebbe cambiata per sempre. «Resterò».
Non sapevo quali sarebbero state le conseguenze di quella mia decisione avventata, eppure, una cosa la conoscevo: tutto sarebbe stato meglio di tornare da lui, di tornare da Jacob.
Louis parve felice di quella risposta, perché mi rivolse un bel sorriso, poggiando un palmo sulla mia folta chioma bionda.
Poco dopo si avvicinò moderatamente a me, lasciando che le mie narici inspirassero il suo profumo al muschio bianco: spostò delicatamente alcuni miei boccoli, prima che il mio udito potesse captare il suo caldo sussurro al mio orecchio, lasciandomi sprofondare in un dolce e inesplorato limbo senza fine, «ti proteggerò da lui, Amber... è una promessa».
Fu solo a quel punto che ogni mia barriera crollò.
Scoppiai in un pianto liberatorio, e non potei fare a meno di tuffarmi tra le sue braccia, venendo subito accolta dalla sua figura alta e massiccia che mi strinse a sé, incurante delle lacrime che avevano iniziato a bagnargli la maglietta.
Per tutto il tempo, Louis continuò a sussurrarmi all'orecchio parole di conforto che, piano piano, riuscirono a calmarmi.
Per la prima volta nella vita, tra le braccia di uno sconosciuto che ormai tanto più sconosciuto non era, mi sentii al sicuro.
Spazio Autrice
Mi sembra doveroso lasciarvi una foto di Louis: rappresenta esattamente come lo immagino!
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