.29.
Mi portai una mano alla bocca, sbalordita: non potevo credere ai miei occhi.
Louis si trovava in piedi davanti alla porta, delle profonde lesioni marchiavano la sua pelle, contornata da numerosi lividi.
Il suo sguardo era perso e distante quando posò i suoi occhi spenti su di me.
Era ubriaco.
E non lo capii solamente dal modo in cui il suo corpo, nonostante la calma che stesse mostrando, non rimaneva al cento per cento fermo come lui avrebbe voluto, bensì anche dalla bottiglia di assenzio e da quella di vodka liscia semi vuote che reggeva in una mano.
Alcune ciocche castane ricaddero sparse sulla sua fronte, coprendo di poco i suoi occhi cristallini. Mi ritrovai a fissare il suo bellissimo volto dai lineamenti pronunciati marchiato da numerosi lividi con un macigno sul petto.
«Louis...» sussurrai, sentendo i miei occhi farsi immediatamente lucidi.
Non riuscivo a vederlo ridotto in quel modo. Mi odiai per ciò che era successo, per avergli fatto del male, ma la cosa peggiore era che non sapevo cosa fare per rimediare ai miei errori.
Ero un disastro.
«Siete carini insieme» biascicò duramente il ragazzo dai capelli castani, prima di sorpassarci per dirigersi verso le scale, tenendosi a debita distanza.
«Aspetta, Louis!» gli gridai con disperazione per farlo fermare, e il ragazzo rischiò quasi di cadere dalle scale nel momento in cui si girò verso di me.
Non aveva mai avuto quello sguardo.
Era così perso, così stanco e affranto...
Gli avvenimenti di quella fatidica sera erano stati struggenti per lui, e se la rivelazione del bacio tra me e Zade lo aveva completamente abbattuto, il pugno non intenzionale che mi aveva riservato lo aveva fatto ancora di più, ne ero certa.
Sentii i suoi occhi di ghiaccio bruciare sulla mia pelle mentre mi fissava dall'alto della scalinata. Avrei tanto voluto parlargli, avrei tanto voluto che capisse quanto l'unica colpevole fossi solamente io, ma i suoi occhi fissi nei miei mi destabilizzarono a tal punto da impedirmi di pronunciare una singola parola.
Ancora una volta non dissi nulla, limitandomi a guardarlo. Fu proprio per questo che dopo qualche attimo sbuffò, riprendendo a salire goffamente le scale.
Ma no. Non potevo lasciarlo andare così.
Non dopo tutto quello che era successo, non dopo tutto quello che Louis aveva fatto per me...
Non dopo aver finalmente capito cosa provassi realmente.
Feci un passo in avanti per seguirlo, ma a quel punto fu Zade a bloccarmi, prendendomi per il polso prima che potessi emettere qualunque movimento.
Solo in quel momento mi ricordai che ci fosse anche lui in quella stanza: ero rimasta così ipnotizzata da quel breve scambio di sguardi con Louis che non avevo neppure percepito la presenza del moro al mio fianco.
Il suo gesto, inspiegabilmente, mi diede oltremodo sui nervi: voltandomi verso il ragazzo, un pizzico di rabbia prese il possesso di me.
«Che fai?» gli domandai aggrottando la fronte, facendogli capire con una sola occhiata che non avessi affatto gradito il suo gesto.
Il ragazzo però sostenne il mio sguardo, sicuro di quanto stesse facendo.
«Lascialo andare, Ambs, so come è fatto: ha bisogno di stare da solo, deve metabolizzare tutto» mi rispose, calmo.
Quella sua tranquillità, però, non fece altro che agitarmi ancor di più. Mi scostai velocemente dalla sua presa sul polso, allontanandomi da lui di qualche passo.
Come poteva essere così freddo nei confronti del suo migliore amico dopo averlo visto ridotto in quello stato?
Come poteva non importargliene, ignorare il suo dolore dopo tutto ciò che Louis aveva fatto per lui, dopo avergli salvato la vita?
Improvvisamente, una profonda furia prese il possesso di me: strinsi i pugni lungo i fianchi, rivolgendo al moro un'occhiata torva.
«Cosa dovrebbe metabolizzare, Zade? Cosa? Hai visto come si è ridotto? Io non voglio vederlo così! Diamine, non lo voglio! Voglio andare da lui!» gli urlai in pieno viso, e proprio in quel momento sentii gli occhi pizzicare, ma neppure una lacrima bagnò il mio volto rosso per la rabbia.
Zade rimase semplicemente a osservare la mia reazione in silenzio. Dopo pochi attimi passati a prendere dei lunghi respiri, parlai nuovamente.
«Lui è tuo amico, Zade, lo è da sempre... come puoi semplicemente ignorarlo così?» gli chiesi, incapace di credere che potesse comportarsi in quel modo con lui.
A quel punto, il suo viso sembrò addolcirsi: si riavvicinò di poco a me, portando una mano sulla mia guancia e prendendo a carezzarla, fissandomi attentamente negli occhi.
Quella volta, però, il suo gesto non fu capace di calmarmi.
«Non posso fare niente per lui, ora... e nemmeno tu puoi. Lascia che la sbronza gli passi, poi andremo a parlargli, insieme... te lo prometto» tentò di rassicurarmi.
Eppure, c'era qualcosa di sbagliato.
Era tutto così dannatamente sbagliato...
Deglutii.
«Zade...» pronunciai il suo nome, guardandolo nei suoi occhi scuri, le cui pupille subito puntarono verso di me.
«Sì?»
E poi lo dissi, tutto d'un fiato.
«Io e te non siamo una... coppia. Non c'è nessun noi...» pronunciai fievolmente, senza interrompere il contatto visivo.
Zade rimase visibilmente ferito da quelle parole: i suoi occhi si incupirono lievemente, e il suo corpo si irrigidì.
Mi sentii una persona orribile: in fondo come potevo dirgli qualcosa del genere dopo averlo baciato di nuovo, quella sera stessa?
Non capivo i miei sentimenti, non sapevo come agire di fronte a una situazione così delicata quanto difficile, soprattutto per una come me che non aveva mai vissuto realmente, prima dei miei diciannove anni.
Nessuno mi aveva insegnato a vivere, e neppure cosa fosse l'amore: avevo dovuto impararlo da sola, e ciò aveva implicato sia ferire gli altri, che me stessa.
Eppure, una cosa l'avevo capita: l'amore incondizionato che Zade provava nei miei confronti era scaturito dalla mia forte somiglianza con Camille.
Ero fermamente convinta che i suoi sentimenti per me fossero reali, ma tutto ciò che ai suoi occhi mi legava inevitabilmente a Camille, non faceva altro che rendere questo amore tossico, legato a un passato doloroso, e in fondo sapevo che Zade, guardandomi, avrebbe sempre riportato alla mente la sua defunta amata.
Tutto questo, a lungo andare, non avrebbe fatto altro che appassire i nostri animi, come rose un tempo bellissime abbandonate in un cimitero di cuori spezzati.
Inoltre, vedere Louis in quelle condizioni aveva fatto scattare qualcosa in me, qualcosa che aveva ridotto in poltiglia le mie viscere, prosciugando i miei polmoni di ogni particella di ossigeno e scatenando in me l'irrefrenabile desiderio di corrergli incontro e di prendermi cura di lui, di sanare le sue ferite proprio come lui aveva sempre fatto con me.
Non avere la capacità di farlo mi stava torturando l'anima.
Passammo diversi secondi in completo silenzio, in cui mi chiesi se Zade avesse deciso di non parlarmi semplicemente più, dopo la mia affermazione.
Tuttavia, poco dopo si avvicinò a me, sfiorò con delicatezza il mio fianco e, infine, lasciò sulla mia fronte un dolce bacio.
«Buonanotte, Amber» sussurrò solamente. Poi mi diede le spalle e si diresse verso le scale, sparendo nell'oscurità del piano di sopra.
Nonostante tutto, vedere Zade stare male mi spezzava il cuore.
Non avrei mai voluto che qualcuno soffrisse a causa mia...
Ma ormai era troppo tardi.
Al mio risveglio, tutto taceva.
Rivolsi il mio sguardo sulla sveglia al mio fianco: mezzogiorno e un quarto.
Diavolo, come avevo potuto dormire così tanto?
Ritornai con la mente a ciò che era accaduto quella notte: il bacio di Zade, Louis ubriaco, le parole che avevo rivolto al corvino quando gli avevo detto che non eravamo una coppia, la delusione nei suoi occhi...
Non riuscivo più a riconoscere cosa fosse giusto da cosa, invece, non lo fosse.
Avrei voluto soltanto che le cose potessero essere meno complicate.
Il desiderio di sapere come Louis stesse guidò il mio corpo prima ancora che potesse farlo la mente: scesi dal letto e, titubante, mi diressi verso il corridoio, incamminandomi verso la sua stanza.
Era chiusa.
Bussai alla sua porta, ma non vi fu alcuna risposta, così decisi di tentare la sorte, entrando.
Chiamare «catastrofe» ciò che trovai in quella camera sarebbe stato fin troppo gentile: notai le bottiglie di vodka e assenzio che Louis teneva in mano la notte precedente in un angolo della stanza, varie lattine e bottiglie di birra abbandonate sul letto e sul pavimento, alcune infrante in mille pezzi.
Presi un lungo respiro, osservando attentamente il caos davanti a me in silenzio.
Finché una voce alle mie spalle non mi fece sobbalzare.
«È un disastro, non è così?»
Spazio autrice
Mi dispiace se il capitolo è un po' corto, prometto di rifarmi con il prossimo❤️
A ogni modo, spero vi sia piaciuto!
Cosa ne pensate del ragionamento di Amber?
E chi credete sia alla fine del capitolo?
Sappiate che non indovinerete mai🙊
Alla prossima❤️
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