.2.
Più mi guardavo allo specchio, più ero disgustata da me stessa.
Tentai di abbassare un po' la minigonna di pelle, non ottenendo però alcun risultato, poiché era stretta e molto corta...
Troppo corta, per una come me che non aveva mai amato mostrare troppo il suo corpo.
Diedi un'aggiustata al top nero che lasciava scoperto il mio ventre e una piccola parte del mio seno, per poi cominciare a truccarmi, come mi aveva imposto mio fratello.
«Agli uomini che incontrerai non piacciono le ragazze acqua e sapone», aveva affermato.
Odiavo quello che mi stava facendo dal profondo del cuore.
Avrei potuto ribellarmi, avrei potuto scappare... ma non ne avevo il coraggio.
Se solo lo avessi fatto lui mi avrebbe trovata, e in quel caso, non sapevo come sarebbe potuta finire.
Ero in trappola.
«Amber, sei pronta?» urlò Jacob dalla cucina mentre finivo di applicare un ultimo tratto di eye-liner.
Quando finii sospirai amareggiata, portai le mani ai lati del lavandino e presi a osservare il mio riflesso allo specchio.
Non potevo credere di stare realmente per farlo: terrorizzata dalle sue minacce stavo per entrare nel giro di mio fratello, stavo per diventare una prostituta.
Non che la mia vita fosse stata migliore prima di quel momento, ma non avrei mai pensato di dover affrontare una cosa simile...
Eppure, avevo altra scelta?
Jacob era l'unica persona mi fosse rimasta al mondo, il mio unico punto di riferimento: dopo essere stata abbandonata da nostra madre in quella comunità non c'era altro che temessi di più, e per quanto fosse da squilibrati e masochisti, avrei preferito piegarmi al volere di mio fratello, nonostante questo significasse affrontare un dolore insostenibile, piuttosto di vivere con la consapevolezza di essere rimasta completamente sola.
Avrei potuto sopportare qualunque cosa, persino le pene dell'inferno, ma un secondo abbandono...
Un secondo abbandono mi avrebbe distrutta.
Inoltre, sapevo che con le buone o con le cattive, Jacob avrebbe ottenuto comunque ciò che voleva da me.
Da quando aveva capito quali fossero le mie paure più grandi, aveva iniziato a utilizzarle per trarne vantaggio: questo non faceva altro che farmi sentire dannatamente male, e senza alcuna via d'uscita.
Una lacrima rigò il mio volto, e mi affrettai ad asciugarla prima di presentarmi dinanzi a mio fratello. Quando il bruno udì i miei passi percorrere il pavimento della cucina, si voltò subito in mia direzione.
«Wow, Amber» si complimentò dallo stipite della porta, squadrandomi, e la sua voce priva di emozione non fece altro che ricordarmi la tragica realtà che stavo affrontando. «Sai quanti soldi faremo così?» alluse al mio aspetto, e io rimasi profondamente disgustata dal suo freddo entusiasmo.
Come se a me importasse qualcosa dei soldi.
Mi sentivo una stupida incapace di reagire, di fare qualcosa per cambiare la situazione: avrei dovuto oppormi a tutto quello, avrei dovuto preferire di andarmene di casa, al posto di trovarmi nella condizione di vendere il mio stesso corpo.
Eppure, non ne ero capace: non riuscivo a oppormi a Jacob.
Avevo più paura di affrontare la sua furia, o ancora peggio la sua assenza, piuttosto di farmi strappare via la purezza e la dignità.
Per quanto sbagliato e terribile fosse, io dipendevo da lui.
Sospirai frustrata, abbassando lo sguardo verso le scarpe col tacco che avevo ai piedi.
Mio fratello sembrò notare quanto mi stessi sentendo umiliata, perché di punto in bianco si avvicinò a me, stringendomi con una strana delicatezza il polso.
Lo guardai negli occhi nella vaga speranza di scorgervi il ragazzino con cui ero cresciuta, quello che mi aveva sempre protetta e amata, prima che l'uscita dalla comunità cambiasse ogni cosa, prima che lui cambiasse.
Al contrario delle mie ingenue aspettative, però, tutto ciò che vedi nello scuro delle sue iridi fu il vuoto più totale: quello non era il mio Jake, non era il fratellone che, una volta, avrebbe fatto di tutto pur di farmi stare bene.
Quella versione di lui era stata spazzata via, rimpiazzata da un giovane uomo che, senza alcun ripensamento, avrebbe lasciato che la sua sorellina finisse in pasto a chiunque pur di trarne profitto.
«Forza, andiamo adesso» disse infine, distogliendo lo sguardo dal mio viso e guidandomi verso l'uscita di casa.
Dal giorno stesso in cui nostra madre ci aveva abbandonati in quella comunità, voltandoci le spalle con la scusa di non essere più in grado di mantenere due inutili fardelli come noi, il mio destino era stato segnato: non sarei mai potuta essere una ragazza normale, non avrei mai vissuto come tutti i miei spensierati coetanei, e neppure avrei avuto la possibilità di svolgere un lavoro ordinario.
La presenza di Jacob nella mia vita ne era una prova inconfutabile: con tutti i giri loschi di cui era a capo, non faceva altro che rendermi sempre più partecipe di quell'orribile mondo in cui ero inevitabilmente finita, e in cui, da quella notte in poi, sarei sprofondata.
Avrei preferito la morte a quello scempio.
Per un attimo, varcando la soglia della porta e seguendo il ragazzo bruno, mi chiesi se togliendomi la vita, la mia esistenza avrebbe potuto assumere maggiore significato per Jacob.
Mi domandai se avrebbe mostrato pentimento per tutto quello che mi aveva fatto, oppure se la mia morte non avrebbe scatenato in lui assolutamente nulla, oltre al sollievo di essersi tolto un grande peso.
Avevo sempre pensato che mio fratello mi volesse bene a modo suo, ma ormai non potevo più negare tutto il male che avevo subito da parte sua.
Mi domandai, nel caso in cui qualcuno avesse deciso di compromettere la mia vita oltre alla mia innocenza, quella notte, se ci sarebbe stato qualcuno a piangerla.
Il luogo in cui Jacob mi condusse era tutt'altro che gradevole.
Ci trovavamo in una strada poco illuminata e isolata dal resto della città, un distributore di benzina sicuramente inagibile da anni era situato dall'altro lato del marciapiede, e quando scesi dall'auto, l'aria fresca della notte colpì nell'immediato la mia pelle scoperta, graffiandola e facendomi sentire fuori posto.
Rabbrividii quando alcuni boccoli biondi solleticarono il mio collo, portandomi a stringermi ancor di più nel giubbotto di pelle che Jacob mi aveva permesso di indossare, come se avesse potuto diventare la mia nuova ancora di sicurezza.
Non sembrava un'area parecchio frequentata, o almeno, non dalla gente normale.
Sentendomi un pesce fuor d'acqua mi guardai intorno, tremante: notai due ragazze intente a chiacchierare nei pressi del distributore di carburante, altre due di fronte al semaforo spento e una bionda in un angolino che fumava una sigaretta, piegata sulle ginocchia.
Quando quest'ultima si accorse che la stavo osservando, decise di alzarsi dalla sua postazione, prendendo a incamminarsi verso di noi con un caldo sorriso puntato in volto.
Mi chiesi come potesse essere così allegra in un ambiente tanto triste e ostile.
«Ciao! Sei la ragazza nuova, vero? La sorella di Jacob!» chiese con entusiasmo, come se fosse stato davvero emozionante per lei avermi lì. «Io sono Anne, tu?» continuò la bionda, e le sue labbra dipinte di rosso si curvarono all'insù nel porgermi il palmo aperto che sfilò dalla manica della sua giacca di jeans, unico indumento coprente del suo abbigliamento.
«Amber» sussurrai semplicemente abbassando lo sguardo: non avevo alcuna voglia di mostrarmi felice quando, in realtà, non lo ero.
La ragazza ritirò la mano quando capì che non gliel'avrei stretta. «Che ci fa una ragazza carina come te in un posto come questo? Non sembri la classica tipa da strada» aggrottò la fronte, scrutandomi come se mi stesse studiando.
Prima che potessi risponderle, però, una voce che parlò ci fece voltare entrambe in quella direzione.
«Infatti non lo è» fu tutto ciò che disse Jacob, lanciandole un'occhiata che non riuscii a decifrare.
Non mi aspettavo che avrebbe detto la verità a una delle sue protette in un modo così spontaneo: spalancai gli occhi, osservando l'espressione stupita tanto quanto la mia della bionda dalle iridi azzurre.
«Cosa vorresti dire con "non lo è"?» domandò, prendendosi un attimo per riflettere. Ad un certo punto parve capire qualcosa, perché i suoi occhi uscirono fuori dalle orbite. «Jacob, perché diavolo questa ragazza si trova qui, se non è quello che vuole?»
Era strana, quella Anne. Solitamente, la gente temeva mio fratello, non osava mai parlargli in maniera troppo sfrontata: eppure, Anne gli si era appena rivolta come se lo conoscesse da anni e fin troppo bene per prestare attenzione ai convenevoli; inoltre, sembrava aver compreso le sue intenzioni attraverso un solo scambio di sguardi.
Il ragazzo continuò a fissarla, rigido, poi si passò una mano tra i corti capelli mori. «Le spiegherai tutto tu, Anne» esordì, ignorando totalmente la domanda della bionda, «sai come funziona». Jacob si morse il labbro inferiore, e seppure non volesse darlo a vedere, non potei non notare il tremore delle sue mani. «Assicurati solo che non sia un viscido a prendersela, okay? Conosci i clienti meglio di chiunque altro» pronunciò, per poi concludere con qualcosa che mi destabilizzò totalmente. «Prenditi cura di lei».
Non ebbi il tempo di attribuire un significato alle sue parole, perché vedere mio fratello voltarmi le spalle e dirigersi verso la macchina a passo spedito in seguito alle sue raccomandazioni, mi fece rivivere le tragiche scene del mio passato che, nonostante tutti i tentativi del mondo, non sarei mai riuscita a debellare dalla mia mente.
I miei polmoni furono svuotati di ogni singola particella d'ossigeno mentre, impotente, fissai la figura di mio fratello allontanarsi sempre di più da me.
«Jacob, aspetta! Non puoi farlo!» sentii gridare da Anne al mio fianco, preoccupata.
Ma Jacob non si fermò.
Lui salì in macchina, e dopo aver messo in moto, semplicemente se ne andò.
Il mio cuore perse un battito quando l'auto di mio fratello sparì nella notte, abbandonandomi su quella strada proprio come nostra madre aveva fatto svariati anni prima.
Non avevo realizzato cosa fosse realmente successo fino a quel momento.
Inconsciamente, avevo sperato con tutta me stessa che quello di mio fratello fosse solamente un gioco, uno scherzo di pessimo gusto, avevo creduto che non sarebbe mai stato in grado di lasciarmi su quella strada.
Invece, era proprio quello che aveva fatto.
Come avrei potuto superarlo?
La ragazza di fronte a me tirò un lungo sospiro, per poi rivolgere l'attenzione su di me. «Allora, hai detto che ti chiami Amber, giusto?» tentò di smorzare la tensione, e io mi limitai ad annuire, mentre fissavo ancora il punto della strada in cui Jacob era sparito nella speranza che sarebbe rinsavito, tornando subito a prendermi.
«Lui non tornerà, Amber» Anne sembrò leggermi nel pensiero quando fece quella rivelazione con un tono triste, «non lo farà. Quando prende una decisione, non c'è niente che si possa fare per fargli cambiare idea».
Voltai il mio sguardo verso di lei, chiedendomi come potesse sapere quelle cose sul suo conto. «Tu lo conosci?»
Anne mi rivolse un sorriso malinconico, puntando i suoi occhi cristallini nei miei altrettanto chiari. «Se lo conosco? Beh, lavoro per lui da più di quattro anni, quindi sì, ho avuto modo di farlo» confessò, e io scoprii di trovare il suo tono di voce parecchio rassicurante. Era dolce. «Non è una persona facile da gestire, e neppure è facile averci a che fare. Sembra proprio non avere dei sentimenti, ma in realtà sono convinta sia soltanto tormentato da qualcosa, anche se non ho la più pallida idea di cosa possa essere» sollevò le spalle, per poi infilare le mani dalle unghie dipinte di rosso nelle tasche della sua minigonna scura di jeans.
«Ma non pensare che Jacob non ti voglia bene, Amber...» continuò, e il mio respiro si mozzò a quelle parole, «penso che lui lo faccia, anche se non è bravo a dimostrarlo» espresse il suo parere, rivolgendomi un piccolo sorriso.
Ebbi la forza di emettere uno sbuffo amaro e del tutto ironico: per quanto la speranza fosse l'ultima a morire, quella che provavo per una possibile redenzione di Jacob era stata ormai sepolta nel momento in cui mi aveva voltato le spalle, quella sera stessa.
«Io non credo proprio, Anne. Una persona che ti vuole bene non ti fa del male, non ti fa... questo» indicai il modo in cui ero vestita e il posto in cui mi trovavo, mostrando tutto il disgusto che provavo per quello che stavo vivendo.
In fondo, ero ancora in tempo per scappare.
Non avevo dove andare, ma non sarebbe stato meglio ovunque, piuttosto che tra le grinfie del mio spietato fratello?
«Eppure, vuole che io mi prenda cura di te. Dovrà pur significare qualcosa, non credi?» domandò Anne, mettendomi una mano sulla spalla.
Forse, se non avevo ancora tentato la fuga, significava che un minimo di speranza la nutrivo ancora. Non credevo che sarei mai stata in grado di abbandonarla del tutto, se si trattava dell'unico parente si fosse mai preso cura di me.
Tuttavia, decisi di non dare voce ai miei pensieri quando risposi alla bionda. «Non sono più interessata a cercare di capire il suo modo malsano di tenerci a me». Presi a fissare il vuoto nel momento in cui percepii i miei occhi riempirsi di lacrime: lottai con tutta me stessa per non farle scorrere libere, nonostante sentissi l'estremo bisogno di sfogarmi in qualche modo.
«Capisco. Va bene» parlò Anne, e in un attimo si piazzò di fronte a me, impedendomi di continuare a fissare la strada percorsa da Jacob per andarsene da lì, «cambiamo argomento, che ne dici?» mi rivolse un flebile sorriso, e io apprezzai che quella ragazza stesse provando a confortarmi, seppure con scarsi risultati.
«Allora, Amber. Quanti anni hai?» mi interrogò. Sembrava volesse tentare in tutti i modi di non farmi pensare alla situazione in cui mi trovavo, permettendomi in qualche modo di evadere dalla realtà, anche se per poco.
«Diciannove appena compiuti». La bionda tentò di mascherare la sua sorpresa udendo la mia risposta, ma non ci riuscì.
«E tu?»
La comprensività avvolse i suoi lineamenti dolci quando mi guardò con tenerezza, «io ne ho ventidue. Sei molto giovane per essere qui».
«Non che tu sia vecchia, d'altronde.»
La mia affermazione la fece scoppiare in una fragorosa risata, e senza rendermene conto, riuscì a coinvolgermi a tal punto da farmi ridacchiare insieme a lei.
In fondo, non era poi così male quella Anne.
«Non hai tutti i torti» sorrise volgendo lo sguardo al pavimento, portandosi una ciocca di capelli dorati dietro all'orecchio.
«Posso... posso farti una domanda?» Chiesi di punto in bianco, tentennante, ottenendo un cenno di assenso da parte sua.
«Perché hai cominciato a fare la prostitu- c-cioè... a lavorare per strada?» mi bloccai alla parola prostituta: non volevo di certo offenderla. Ero una vera frana.
«Puoi chiamarmi tranquillamente in quel modo, Amber: in fondo, è quello che sono...» prese un lungo sospiro, e dopo qualche attimo trascorso in silenzio in cui mi sentii tremendamente in colpa per quanto gli avevo chiesto, mi ritrovai senza alcun preavviso ad ascoltare in silenzio la sua storia.
«Quattro anni fa, mio padre perse il lavoro... mia madre era molto malata all'epoca, perciò, non potendo più pagare le medicine, mio padre ricorse a me, chiedendomi di andare a lavorare. Ovviamente, non esitai a farlo: tenevo alla salute di mia madre più di ogni altra cosa, perciò, cominciai a cercare lavoro».
La tristezza si dipinse sul mio viso a quella rivelazione, ma decisi di non interromperla per farle sapere che mi dispiacesse, sapendo in prima persona quanto fosse un'affermazione inutile. «Tuttavia, non riuscii a trovare nulla: d'altronde, dove sarebbe potuta andare una ragazzina di appena diciotto anni, senza diploma e senza alcun attestato in mano come me?» scosse la testa, e i suoi boccoli biondi così simili ai miei si mossero con lei, prima che riprendesse a raccontare.
«Un giorno, mentre affiggevo per strada dei piccoli cartelli in cui avevo scritto le mansioni che sapevo svolgere, mi si avvicinò una ragazza vestita un po' come noi, sai... in maniera provocante, e mi consegnò un bigliettino con su scritto un numero. Tutto ciò che mi disse fu solo di chiamarlo, perché avrebbe potuto aiutarmi» sorrise malinconicamente al ricordo.
«Naturalmente, avevo capito di cosa si trattasse. Per giorni ci riflettei insistentemente, all'inizio avevo molto timore... non ebbi però molto tempo per pensarci, dato che solo qualche giorno dopo, mia madre ebbe un arresto cardiaco».
Anne abbassò la testa al suolo mentre riportava alla mente quel triste ricordo, e io mi ritrovai ad appoggiarle una mano sul braccio in segno di consolazione, sinceramente dispiaciuta per ciò che aveva dovuto passare.
Si fece forza, e presto riprese a esporre, «giurai su me stessa che, se fosse sopravvissuta, avrei contattato immediatamente quel numero e avrei svolto quel mestiere, se così si può definire, fino a quando la mia famiglia non ne avrebbe più avuto bisogno. Fortunatamente, dopo tempo passato in riabilitazione mia madre si riprese, così decisi di chiamare quel benedetto numero, ovvero il numero di Jacob, tuo fratello». Finsi di non esserne affatto sorpresa, mentre in realtà, udire tutto quello raggelò il sangue nelle mie vene: era da così tanto tempo che mio fratello si occupava di mansioni illegali?
Ebbi un tremito.
«Fissammo un appuntamento, mi spiegò tutto quello che avrei dovuto sapere... poi mi assunse. Da allora sono passati quattro anni e mia madre è guarita, per fortuna. Eppure, ormai sono abituata a questo mondo: obiettivamente non so se sarò mai in grado di fare altro nella vita, non ho grosse aspettative. Inoltre, a differenza di qualsiasi altra compagnia, i nostri clienti sono quasi tutti abituali, perciò ho imparato a conoscerli, e devo ammettere che con alcuni ho instaurato anche un buon rapporto, che va oltre quello sessuale» sollevò le spalle. «Uno di loro, infatti, dovrebbe passare più tardi».
La sua storia mi fece emozionare: ne aveva passate davvero tante.
In fondo aveva solo diciott'anni quando aveva cominciato, e probabilmente era per questo che, udendo la mia età, aveva reagito in quel modo: forse, in un certo senso, rivedeva se stessa in me.
Avrei tanto voluto dirle qualcosa, farle capire che fosse ancora in tempo per cambiare le cose, e che se solo lo avesse voluto, avrebbe certamente trovato di meglio: ma come potevo incoraggiare Anne, se in quel momento non riuscivo neppure a consolare me stessa?
Dopo qualche minuto di silenzio che passammo assorte nei nostri pensieri, scorsi le due ragazze che si trovavano dall'altro lato della strada camminare verso di noi, ridacchiando allegramente.
Notai che il loro fosse un abbigliamento decisamente più provocante del mio, e persino di quello di Anne: una delle due era vestita di un solo top nero di pizzo e aveva delle calze a rete, gli stivali le arrivavano fino alle ginocchia; l'altra portava invece un pantaloncino così corto da lasciare i glutei quasi del tutto scoperti, e un top molto simile a quello della compagna.
Vederle sembrò rallegrare Anne, che subito rivolse loro un sorriso raggiante, decidendo di presentarmi. «Ragazze, buonasera! Lei è Amber, la sorella del capo. Amber, permettimi di presentarti Sophie e Lily».
«Piacere Amber, io sono Lily» si presentò la mora; aveva un sorriso splendente e una chioma davvero molto lunga, «benvenuta!» Accettai la sua stretta di mano, mentre la ragazza che l'accompagnava si limitò a salutarmi con la mano, per poi infilarla tra i suoi capelli rossi.
Per quanto fossero amichevoli e gentili, non potei fare a meno di chiedermi cosa diamine ci facessi io lì, in mezzo a quella gente.
Dopo tre ore passate in quell'inferno ancora nessuno, per fortuna, mi aveva avvistata: tre ore passate ad ascoltare le battute più squallide e immorali avessi mai udito in tutta la mia esistenza.
Circa all'una e un quarto era passato un uomo sulla cinquantina, e io avevo subito cominciato a tremare come una foglia, terrorizzata che fosse arrivato quel momento.
Tuttavia, quando Anne si era piazzata protettivamente davanti a me e aveva proposto all'uomo Sophie, il mio cuore era tornato a battere, e la ragazza in questione ci aveva liquidate con un semplice «il dovere mi chiama».
Quelle ragazze non sembravano affatto dispiaciute come me di trovarsi lì, ma forse, erano delle ottime attrici.
In ogni caso festeggiai troppo presto, perché circa venti minuti dopo, una nuova macchina si accostò vicino a noi.
Fremetti quando la persona alla guida abbassò il finestrino, permettendomi di intravedere un ragazzo dalla chioma castana che poteva avere tra i venti e i venticinque anni.
Era forse il giovane uomo di cui mi aveva parlato Anne qualche ora prima?
Se si trattava di lui, ancora una volta ero riuscita a scamparla.
«Anne» la chiamò infatti lo sconosciuto dal viso pulito, e la ragazza si affrettò a raggiungerlo, un'espressione vittoriosa impressa in volto.
Sì, doveva essere proprio il ragazzo che la bionda stava aspettando.
Mi chiesi che tipo di rapporto avessero: se non si trattava solamente di prestazioni sessuali, erano forse diventati amici? Si stavano frequentando? O forse, essendosi affezionato a lei, quel ragazzo tentava semplicemente di proteggerla dai pericoli che Anne avrebbe potuto incontrare?
Probabilmente, le mie conclusioni erano fin troppo romantiche per essere vere.
I soggetti dei miei pensieri parlarono per circa cinque minuti, fino a quando Anne si voltò verso di me e rimase semplicemente a fissarmi.
Il mio cuore perse un battito. Qualcosa era andato storto?
Solo pochi istanti dopo, mi ritrovai a pensare che fosse esattamente così. Ma non per Anne.
«Vuole te» disse rivolgendomi uno sguardo impassibile, e il mio cuore perse un battito.
Faticai a realizzare quanto avevo udito quando mi ritrovai a ripeterlo, più a me stessa che a lei. «V-vuole me?»
Deglutii rumorosamente quando la bionda annuì, avvicinandosi a me per posare una mano sulla mia schiena, «dai, suvvia, non preoccuparti: ti assicuro che puoi stare tranquilla con lui».
Ero stata solamente una stupida a pensare che per quella sera sarei riuscita a non essere notata da nessuno.
Mi diressi verso l'auto senza riconoscere più nulla intorno a me, la mente un turbinio di domande senza risposta: Anne dovette rendersene conto, perché prima che potessi entrare in quell'auto per scoprire quale sarebbe stato l'uomo che mi avrebbe rubato l'innocenza, mi bloccò, prendendo il mio volto tra le mani e fissando i suoi occhi nei miei.
«Non preoccuparti, Amber, okay? Conosco questo ragazzo, so che non farebbe mai del male a nessuno. Potrei quasi definirlo un amico. Di solito, se viene qui è per risparmiarmi una serata raccapricciante, ma ha detto che qualcosa nei tuoi occhi lo ha catturato. Non so niente di più» ammise, e capii che intendesse ogni singola parola avesse pronunciato.
Allora avevo ragione. Quel ragazzo voleva davvero evitare che Anne vivesse brutte esperienze.
«Anche se non mi conosci affatto, prova a fidarti di me» proseguì, «lui non ti farà del male» tentò infine di calmarmi, e io mi ritrovai ad annuire in risposta, abbassando lo sguardo al suolo.
Nonostante le rassicurazioni della bionda, non riuscii a impedire al mio corpo di essere scosso da forti tremiti.
«Coraggio, Amber. Ti assicuro che Louis ci sa fare!» esclamò la bionda prima di lasciarmi andare, e dedussi che fosse arrivato il momento di salire in quell'auto blu metallizzato.
Mi sentii fuori dal mio corpo nel frangente in cui lo feci, e quando chiusi la portiera, subito una fragranza al muschio bianco invase il mio olfatto.
Mi voltai verso il ragazzo alla guida, e al contrario di ogni mia aspettativa, scoprii che mi stesse sorridendo.
Non sembrava un sorriso malizioso: al contrario, sembrava piuttosto... rassicurante.
Lo scrutai a lungo, accorgendomi che il suo aspetto fosse l'esatto opposto di ciò che credevo mi attendesse: qualche ciuffo castano ricadeva sul suo volto dai lineamenti marcati e labbra piene; i suoi occhi, che sembravano essere fatti di ghiaccio, studiavano attenti i miei.
Era davvero bello.
Eppure, nonostante quella notte non l'avrei passata con qualche individuo viscido e rugoso, il pensiero di dover comunque vendere il mio corpo mi logorava l'anima, a tal punto da essere costretta a distogliere lo sguardo da quel giovane uomo per nascondergli il dolore che mi aveva colpita.
«Ci vediamo domani!» fu la promessa raggiante di Anne, mentre il ragazzo accendeva il motore dell'auto.
Se solo avessimo saputo però che, da quel giorno, non ci saremmo più riviste...
Spazio autrice
Ammetto che non mi aspettavo tutte queste visualizzazioni, insomma, 260 per un solo capitolo sono davvero tante!
E poi, la storia è già al numero #15 in "azione": mi commuovo giuro!
Nulla, spero vi piaccia questo secondo capitolo, buona lettura💗
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