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.10.

Louis

La scena di Amber sdraiata sul letto coperta da un solo lenzuolo, tremante e in lacrime, mi aveva lasciato senza fiato.

Dopo essere uscito vittorioso dall'incontro, avevo ricevuto la chiamata di Lincoln che, preoccupato, mi chiedeva se potessi passare a prenderlo, dato che la sua macchina aveva subito un piccolo incidente dopo la corsa.

Era proprio per questo che si trovava con me, nel momento in cui mi resi conto che c'era qualcosa che non andava.

Eravamo entrati in casa in maniera silenziosa, raccontandoci a bassa voce come fossero andati i nostri incontri: tutto quello che volevo fare era dimostrare ad Amber che stessi bene, che non era cambiato assolutamente nulla dal momento in cui ero uscito di casa, a parte qualche insignificante graffio in più.

Non mi sarei certo aspettato, salendo finalmente al piano superiore, di trovare la porta del bagno sfondata, il getto d'acqua della doccia aperto.

Visibilmente sbigottito, avevo abbandonato Lincoln nel corridoio e mi ero diretto verso la camera di Amber, per assicurarmi che stesse bene.

Ma ciò che intravidi fu semplicemente qualcosa che i miei occhi non avrebbero mai voluto vedere.

Il corpo scoperto della ragazza era ricoperto di spasmi mentre stringeva forte tra le mani il tessuto liscio del lenzuolo bianco, i lunghi capelli biondi erano bagnati e il suo viso era rivolto verso la finestra.

Un impeto di rabbia prese possesso del mio corpo nel momento in cui vidi Zade varcare la soglia di quella stanza, quasi con disinvoltura.

Non avevo idea di cosa fosse accaduto, ma non riuscii a ragionare in quel momento.

Perché Amber era ridotta in quelle condizioni?

Cos'aveva osato farle?

Agii d'impulso, e prima che il moro potesse accorgersene lo afferrai dal collo, sbattendolo violentemente contro la parete del corridoio e guardandolo con occhi furenti.

«Cosa diavolo è successo qui?» urlai, scuotendolo e bloccandolo al muro, e Zade rimase visibilmente spiazzato dal mio attacco improvviso.

Mi fidavo di lui, l'avevo sempre fatto: era il mio migliore amico, lo conoscevo da una vita e sapevo quali fossero i suoi limiti.
Ma se avessi scoperto che aveva avuto il coraggio anche solo di sfiorare Amber quella notte...
Avrebbe dovuto ricredersi su quali fossero i miei, di limiti.

Perché non ne avrei avuti.

Non sapevo neppure per quale motivo provassi così tanta apprensione per quella ragazza: in fondo, la conoscevo solamente da poco meno di un mese...

Eppure mi sentivo irrimediabilmente legato a lei, come se il destino avesse deciso di farci incontrare per qualche motivo.

Un motivo che iniziava a essere sempre più chiaro nella mia mente.

Zade spalancò gli occhi, lasciandomi intendere che la mia stretta sul suo collo stesse ostruendo eccessivamente le sue vie aeree: diminuii la presa, fissando il moro dalle ciocche bagnate in furente attesa di una risposta.

«Louis! Cosa stai facendo?» La voce preoccupata di Lincoln giunse al mio udito, ma non prestai particolare attenzione alle sue parole.

Le mie pupille rimasero fisse in quelle del mio migliore amico.

«Oddio...» proferì Lincoln poco dopo, e quando notai con la coda dell'occhio che fosse fermo sullo stipite della porta di quella stanza, dedussi che avesse risposto da solo al suo quesito.

«Controlla come sta!» quasi gli ordinai, severo: il castano annuii, intontito, entrando frettolosamente in camera e richiudendosi la porta alle spalle.

Quindi, con una furia omicida, mi rivolsi nuovamente a Zade.

«Ti ho fatto una domanda, rispondimi! Che cosa le hai fatto?»

Con mia grande sorpresa, il ragazzo non reagì affatto come mi sarei aspettato: se in un primo momento lo avevo colto di sorpresa, quasi spaventandolo, in quell'istante sollevò gli occhi al cielo, imperturbabile. Questo non fece altro che alimentare la mia rabbia.

Avrei potuto spaccargli la faccia di lì a poco, se solo avesse continuato a comportarsi in quel modo.

«Dio Louis, calmati: non è come pensi» proferì finalmente, poggiando le mani sulle mie per scrollarsi di dosso il mio tocco.

«Non è come penso?» Mi prendeva in giro?

«Diamine, Zade, ti sembro forse uno stupido? Ho visto con i miei fottuti occhi quanto Amber è sconvolta!» gridai, aumentando nuovamente la stretta attorno al suo collo.

Non avrei mai dovuto lasciarla sola con Zade...
Non avrei dovuto farlo.

Bastava solamente una parola sbagliata per farlo uscire di testa e, con tutto l'odio che provava per Amber, avrei dovuto immaginare che non se ne sarebbe certo stato al suo posto.

Avrei dovuto prevederlo.

«Adesso basta!» sbottò d'un tratto il moro, scrollandosi la mia stretta di dosso e spingendomi via, in modo da allontanarmi da lui. Ringhiai dalla rabbia.

«Non l'ho sfiorata neanche con un dito, non è come credi!» alzò il tono di voce, scostandosi dal muro, «cerca di non avvicinarti più a me in quel modo, Louis: non voglio farti del male». 

Le sue parole non fecero altro che incattivirmi maggiormente: le ignorai totalmente, volgendo dei passi verso di lui. Mi scappò una risata aspra, velenosa.

«Tu non vuoi fare del male a me, Zade? Divertente, perché io invece voglio fartene, e molto! Voglio che mi spieghi cosa diavolo è successo qui! Quella fottuta porta è sfondata» indicai il bagno con un dito, «e Amber... Dio, Zade, che cosa le hai fatto?» Lo spinsi con forza e lui, preso alla sprovvista, indietreggiò nel lungo corridoio, finendo lontano dalla stanza della ragazza.

«Mi fidavo di te, Zade! Come hai potuto farmi una cosa del genere? Come hai potuto farle una cosa del genere? Non sei migliore di Sullivan, merda! Tu sei esattamente come lui!» sputai quelle parole sul suo viso come fossero state acido pronte a corrodere la sua pelle olivastra; eppure, non fu ciò che dissi a sfregiarla: preso da uno scatto d'ira gli sferrai un forte pugno sulla mascella, che spostò il suo corpo.Avevo ormai consumato ogni briciolo di pazienza.

Ero frustrato, amareggiato, probabilmente ce l'avevo con me stesso più di quanto in realtà ce l'avessi con Zade: dopo l'episodio di Camille lui non era più stato lo stesso.

I suoi continui sbalzi d'umore erano pericolosi e, nonostante lo sapessi, mi ero fidato lo stesso.

Quant'ero stato stupido.

Il ragazzo sbatté la testa contro al muro per la violenza con cui lo avevo colpito, digrignando i denti e strizzando le palpebre per il dolore. Quando riprese a guardarmi, i suoi occhi apparvero più simili ai miei di quanto lo fossero mai stati: furenti, desiderosi di vendetta.

«L'hai voluto tu disse, cogliendomi alla sprovvista quando scagliò con violenza un pugno al mio stomaco che non riuscii a parare. Tossii e digrignai i denti, incattivito, ma prima che potessi avventarmi verso di lui lo scatto di una porta mi distrasse, offrendo a Lincoln il tempo necessario per piazzarsi in mezzo a noi con le mani sollevate.

«Ragazzi, adesso basta» ci ammonì, poggiando un palmo a pochi centimetri di distanza dal mio petto e l'altro da quello di Zade, gli occhi castani severamente puntati su di me. Ricambiai la sua occhiata, riuscendo a stento a contenere la rabbia.

Avevo dimenticato ogni cosa intorno a me: in quell'istante, tutto quello che volevo fare era pestare Zade a sangue.

«Ne vuoi un po' anche tu, Lincoln?» gli chiesi a denti stretti,  gli domandai, preso dalla collera.

In tutta risposta il castano alzò gli occhi al cielo, dando le spalle a Zade per voltarsi completamente verso di me.

«Da quand'è che ci fermiamo alle apparenze, senza chiederci cosa sia realmente successo? Quand'è abbiamo smesso di fidarci l'uno dell'altro, Louis?» mi chiese, inchiodandomi sul posto con una sola occhiata, prima di rivolgersi al moro.

«Zade, perché non ci dici cos'è successo?»

Inspirai a lungo, tentando con tutto me stesso di mantenere la calma e di tollerare l'atteggiamento magnanimo che Lincoln aveva assunto.

In quel lungo corridoio si respirava ormai aria di tensione, era chiaro. Posai l'attenzione su Zade, pieno d'odio, nella speranza di mantenere i nervi saldi, e il ragazzo mi guardò con un'espressione indecifrabile impressa in volto.

Notai le sue mani, strette a pugno dopo la nostra lite, distendersi lungo le sue gambe.

Poi, intenzionato a mantenere saldo il nostro contatto visivo, spiegò.

«Stanotte il mio letto si è sfondato, ancora una volta. E no, Linc, non guardarmi così, perché non lo ripareremo insieme, nemmeno se mi offrissi tutto l'oro del mondo in cambio. Domani stesso andrò a comprarne uno nuovo» bloccò immediatamente le parole di Lincoln sul nascere, portandolo a mordersi la lingua per non contestare.

«Non avevo intenzione di dormire scomodo e, sapendo che l'unica stanza a non essere mai chiusa a chiave è quella degli ospiti, ho deciso che sarei andato a dormire lì».

Notando la mia occhiata torva, il moro aggiunse: «preciso che non sapevo di trovarci Amber. Credevo dormisse con te» scrollò le spalle, come se quel particolare non fosse rilevante. «Ad ogni modo, abbiamo litigato, quindi sono andato a dormire sul divano. Non ho dormito con lei».

Ascoltai attentamente ogni singola parola che usciva dalla sua bocca, non volendo farmi scappare neppure un piccolo dettaglio.

«In realtà non ho dormito affatto. Nel bel mezzo della notte ho sentito delle urla provenire dal bagno comune, quindi sono andato a vedere cosa stesse succedendo: a quanto pare, Louis, la tua ragazza non è nemmeno in grado di farsi una doccia senza romperne la manopola della temperatura e rimanerci chiusa dentro, in piena crisi di panico, come se non bastasse. Tutto quello che ho fatto è stato tirarla fuori da lì, ma probabilmente, data la tua reazione, avrei dovuto lasciarla crepare in quella doccia. Sì, era esattamente quello che avrei dovuto fare» concluse sprezzante e sarcastico, fissandomi col rancore impresso nelle iridi. 

Rimasi visibilmente avvilito dal suo chiarimento: non era di certo la spiegazione più ovvia al mondo, quella che aveva appena fornito. Vedendo Amber in quelle condizioni, mi era venuto spontaneo pensare che fosse stato lui a ridurla in quello stato.

«Perché dovrei crederti?» gli domandai, questa volta più calmo, e il ragazzo rise sardonico, prima che il suo sguardo si rabbuiasse completamente.

«Chiedi a lei se sto mentendo. La prossima volta, pensaci due volte prima di lasciarmi in custodia una fottuta bambina» suggerì con sdegno. Quando non ebbe più altro da dire mi  superò con una spallata, scendendo velocemente le scale per dirigersi chissà dove.

Guardai Lincoln, che sorpresi a osservarmi quasi con rimprovero.

«Cosa ti ha detto lei?» Lincoln incrociò le braccia al petto, intransigente.

«Testuali parole, Louis. Ha detto che Zade l'ha aiutata, nonostante gli avesse chiesto più volte di andarsene».

Mi morsi il labbro inferiore, concependo solo a quel punto la gravità dell'errore che l'irragionevolezza mi aveva portato a commettere.

Forse, avevo un po' esagerato.

«Penso dovresti perlomeno ringraziarlo e scusarti per esserti comportato in questo modo con lui. Non lo meritava» ammise Lincoln, e io distolsi lo sguardo da quegli occhi che mi facevano sentire così colpevole, sospirando.

Aveva ragione; Zade aveva fatto semplicemente quello che gli avevo chiesto: aiutare Amber. In cambio, invece, io l'avevo trattato come fosse stato l'essere più spregevole al mondo.

Gli avevo detto che era esattamente come Jacob Sullivan, e non c'era niente che la mia lingua biforcuta avrebbe potuto pronunciare per ferirlo più di quelle velenose parole.

Ero stato un tale idiota...

Sì, mi sarei scusato con lui.

Ma c'era una cosa che in quel momento, per me, aveva la priorità.

«Non prima di vedere come sta Amber» affermai, convinto, incamminandomi verso la sua stanza.

«Credo stia dormendo... era piuttosto sconvolta» mi avvisò Lincoln. Annuii solamente, poggiando la mano sulla maniglia della porta per aprirla, notando con la coda dell'occhio Lincoln girarsi e scendere le scale.

Eccola lì.

La sua piccola figura sdraiata mi dava le spalle, un pesante piumone blu in cotone copriva il suo corpo minuto.

Mi avvicinai lentamente a lei, cercando di fare il minor rumore possibile, sedendomi sul letto quando lo raggiunsi.

Presi tra le mani una ciocca dei suoi capelli, notando come i suoi boccoli cominciassero a prendere forma ora che erano solamente umidi.

Capii che era sveglia quando, nel momento in cui mi chinai per posarle un delicato bacio sulla guancia, rabbrividì.

Quando abbassò di poco la coperta, notai che indossasse una mia lunga felpa che avevo deciso di regalarle quando avevo capito quanto adorasse sprofondarvi.

Mi avvicinai al suo orecchio, cogliendola di sorpresa. «allora non stai dormendo, Ambs» sussurrai dolcemente al suo orecchio.

La ragazza si girò lentamente verso di me, facendomi beare della sua eterea bellezza: il suo volto sembrava più pallido del solito, creando un perfetto contrasto con le labbra leggermente arrossate.

«Louis...» pronunciò con voce impastata, spalancando poco dopo gli occhi, come se solo in quell'istante si fosse accorta di qualcosa.

«Louis, il tuo viso...» portò la mano sui leggeri lividi che mi ero fatto quella notte, preoccupata: quasi mi ero dimenticato da dove arrivassi, preso dalla situazione che si era creata.

Le sorrisi, intenerito dalla sua apprensione. 
Avvicinai la mano alla sua guancia, accarezzandola dolcemente, e a quel tocco Amber chiuse gli occhi.

«Dopo quello che ti è successo, ti preoccupi per questo?» le chiesi, e la ragazza riaprì subito gli occhi, facendo di sì con la testa.

Decise di alzarsi col busto, sollevandosi coi gomiti e appoggiando la schiena contro la testiera del letto.

«Non è niente, Ambs. Come previsto, ho vinto io» la rassicurai. Mi rivolse un sorriso timido.

«Come sei altezzoso...» mi accusò con un pizzico di divertimento, facendomi ridacchiare.

Poco dopo, però, tornò seria.

«Non... non hai fatto del male a Zade... vero?» mi interrogò, mentre un turbato cipiglio si formò sul suo viso.

Mi chiesi come quella ragazza potesse avere un'animo così buono da preoccuparsi per l'incolumità di una persona che, sin dal principio, non aveva fatto altro che trattarla male.

Doveva avere un grande cuore.

Amber era una persona così fragile, abbattuta da una vita che un vissuto che non meritava, da un fratello che l'aveva sempre sottomessa, a tal punto da farle credere che quello fosse l'unico ruolo che potesse ricoprire al mondo.

Mi faceva una tale tenerezza... ma non era solo di questo che si trattava.

C'era qualcosa di più.
Era così strano, eppure, sentivo di cominciare ad affezionarmi sul serio a lei.

«Non preoccuparti, niente di irrimediabile» rivelai.

«Stai meglio, adesso? Ho saputo...»

Amber sembrò non voler affrontare il discorso, perché prese a guardare altrove con sguardo triste, ma rispose comunque.

«Sì...» morse l'interno della sua guancia, «mi sono sentita una tale stupida. Sembrerebbe proprio che non sia capace a fare un bel nulla» sbottò d'un tratto, severa con se stessa.

Aggrottai la fronte e mi avvicinai di poco a lei, decidendo che non le avrei permesso di credere questo di sé. «Tu sei capace di fare tante cose, Amber. Hai molte qualità, ma sei troppo impegnata a pensare il contrario per vederlo».

Cominciai a carezzare la sua pelle pallida perfettamente levigata e priva di imperfezioni, fissandola in quei suoi occhi celesti che parvero illuminarsi alle mie parole.

«Ad esempio?» mi interrogò: io non dovetti riflettere a lungo prima di risponderle, sincero.

«Ne hai passate tante, Ambs, eppure trovi comunque la forza di sorridere, di andare avanti. Non ti sei abbattuta al primo ostacolo incontrato, e questo, a parer mio, ti rende più forte di quanto pensi» utilizzai un tono di voce pacato, che parve rapire totalmente la ragazza. «Sono sicuro che tu sappia cosa vuoi dalla vita, ma non hai mai avuto la strada spianata per raggiungere i tuoi obbiettivi».

Il suo volto dalla pelle candida assunse un'espressione stupita: era evidente che non si aspettasse un discorso del genere da parte mia.

Tuttavia, quelle parole non rappresentavano altro se non ciò avevo capito di lei in quelle settimane di conoscenza: dietro alla sua fragilità c'era una forte voglia di indipendenza, di distaccarsi completamente dal fratello e dalla sua malavita.

Ciò che le dissi sembrò farla riflettere molto nel momento in cui, mordendosi il labbro inferiore, rivolse lo sguardo verso il basso, afferrando un lembo del lenzuolo e cominciando a giocherellarci silenziosamente.

Non potei fare a meno di pensare a quanto quel semplice gesto la rendesse così carina.

Nonostante fosse coperta da una larga felpa in cotone che non lasciava intravedere alcuna forma del suo corpo, la reputai bellissima, osservandola mentre aggiustava una ciocca di capelli ormai quasi del tutto asciutta dietro l'orecchio.

Poco dopo le sue iridi furono di nuovo sulle mie.

«Non credo di essere così forte come dici, altrimenti non mi nasconderei da mio fratello, Louis... però ti ringrazio, davvero. Sei sempre così dolce...» abbozzò un flebile sorriso, tornando a fissare il lenzuolo che continuava a rigirarsi tra le mani.

Tutto ciò che mi venne voglia di fare fu posare il pollice sul suo zigomo e prendere a percorrerlo col dito, attirando nuovamente la sua attenzione su di me.

«Troveremo una soluzione a questa situazione. Lo sai, vero?» 

Dopo qualche istante, Amber annuì.

Rapito dalla sua immagine, feci pian piano scendere il dito lungo la sua pelle, arrivando a percorrere il mento e facendolo poi risalire fino alle labbra, trascinando un po' in fuori quello inferiore.

Inevitabilmente, il mio sguardo si posò su quella bocca rosea e carnosa: l'unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era baciarla, baciarla e non pensare a nient'altro se non alle sue candide labbra contro le mie.

In vita mia, non mi era mai capitato di desiderare così tanto una ragazza senza poterla avere, e quasi stentavo ad ammettere che fosse così con Amber...

Ma in momenti di intensità del genere, momenti in cui eravamo così vicini da poter percepire l'uno il respiro dell'altra capivo che, probabilmente, una ragazza come lei fosse tutto quello di cui avevo sempre avuto bisogno...

Una ragazza speciale, unica nel suo genere.

Notai i suoi occhi innocenti posarsi su di me, e io morsi il mio labbro inferiore, prendendo a fissare quelle iridi blu come il mare che mi parlavano: quella situazione così intima sembrava starle piacendo. Sembrava desiderare esattamente quello che desideravo io.

Tornai a osservare le sue labbra e mi avvicinai lentamente a lei, percependo il suo respiro farsi sempre più pesante, tenendo ancora la mia mano sul viso.

Poi, finalmente, decisi di diminuire la distanza, creando il contatto che tanto bramavo fin da quando l'avevo conosciuta.

Mi unii a lei in un bacio lento, dolce, ogni cosa intorno a me sembrò tornare al proprio posto in quel breve frangente di tempo: c'era solo lei, Amber, e le sue labbra umide sulle mie.

Il profumo inebriante di shampoo alla lavanda mi colpì nel momento in cui passai la mano tra i suoi capelli, poggiando l'altra sul suo fianco, mentre le nostre lingue cominciarono a cercarsi, a esplorarsi, vogliose di conoscersi. Le scostai la coperta di dosso con tutta la calma che avevo in corpo, stringendola a me mentre assaporavo quelle morbide labbra come fosse stata la prima volta.

Percepii il delicato tocco delle dita di Amber tra i miei capelli, e desiderai che quel momento potesse non finire mai.

Eppure, dopo qualche istante, i nostri movimenti terminarono, portandoci a separarci per guardarci negli occhi.

Le rivolsi un piccolo sorriso, passando le dita sulla soffice pelle della sua gamba. Amber espirò piano a quel contatto.

«L-Louis, io..» pronunciò, interrompendosi come se non riuscisse a trovare le parole giuste da pronunciare. Vedendola in difficoltà, decisi di aiutarla.

«Non c'è bisogno che tu dica niente, Ambs» ammisi, aggiustandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, «non adesso».

Inaspettatamente, però, la ragazza non mi prestò ascolto, decidendo di provare a esprimersi.

«Tu... tu riesci così inspiegabilmente a farmi sentire meglio. Non so come, però ti prego... non smettere di farlo».

La sua rivelazione mi colse totalmente alla sprovvista, provocandomi un sorriso.

Osservai i suoi occhi sinceri, e il desiderio di baciarla una seconda volta a quel punto divenne molto alto.

Tuttavia, volevo andarci piano con lei, soprattutto perché non avevo la più pallida idea di cosa stesse accadendo tra di noi.

Non mi ero mai sentito in quel modo; come se potesse esistere solamente una ragazza per me, e anche se la cosa mi spaventava, non mi sarei assolutamente tirato indietro.

Fu proprio ciò che dissi.

«Non ne ho la minima intenzione, Ambs».

Anche perché finalmente, dopo anni, cominciavo a sentirmi bene.

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