Capitolo 8
Stanotte non ho chiuso occhio pensando alle parole di Emy. Appena mi raccontò la faccenda dell'olio non potevo crederci, uscii di casa e diedi appuntamento a Jake. Ci incontrammo fuori al Topic, un locale quasi vicino il liceo. Gli feci credere che volevo prendere una birra con lui. Era ovvio che fosse stato lui ad organizzare tutto e pretendevo delle spiegazioni alla svelta; Era già fuori dal locale ad aspettarmi.
«Ehi, amico!» mi porse la mano, ma mi limitai a guardarla, senza ricambiare il suo saluto. «Allora, come va? È molto che non prendiamo una birra insieme.»
«Dov'eri stamattina?» gli chiesi senza troppi giri di parole.
«Al liceo, ci siamo incontrati, l'hai dimenticato?»
«Non eri al corso di biologia.»
«Sono uscito prima, avevo una cosetta da fare.» ridacchiò. «Entriamo nel locale, così ci sediamo.»
Cercò di afferrare il mio braccio ma non glielo permisi, afferrandolo io per primo e sbattendolo contro il muro.
«Che cazzo hai combinato?» sbottai a denti stretti e a pochi centimetri dalla sua faccia.
«Amico, cosa ti prende?»
«Come ti sei permesso?»
Lo sbattei di nuovo contro il muro, procurandogli dolore alla nuca.
«Non ti capisco.»
«Sai benissimo a cosa mi riferisco.» ringhiai.
«Eravamo d'accordo che le avremmo reso la vita difficile.» ammise e si agitò visibilmente. «Non capisco perché improvvisamente hai cambiato idea...»
«Non così!» interruppi le sue parole, sferrandogli un pugno alla mascella e attirando l'attenzione dei passanti. «Non senza il mio permesso!» un altro pugno allo stomaco.
«P-pensavamo che per te andasse bene.»
Lo spinsi via, facendolo cadere sull'asfalto. Gli misi il piede sul petto e lo costrinsi a guardarmi.
«Prova solo a pensare di fare di nuovo una cosa del genere e giuro che smetterai di camminare con le tue gambe.»
Annuì lentamente, dopodiché andai via, lasciandolo a terra.
Non ho avuto rimpianti, anzi, avrei continuato a pestarlo se fossimo stati in un luogo isolato. Non posso permettere che prendano il sopravvento, soprattutto che le venga fatto del male fisico
Dopo essermi vestito esco dalla mia stanza e resto a fissare la porta chiusa della stanza di Emy. Mi chiedo se stia ancora dormendo. Senza pensarci oltre, apro la porta e lei non c'è. Resto immediatamente deluso e la mia mente viene invasa da mille pensieri. Sarà uscita con Watson? Sbuffo e richiudo la porta, sbattendola. Non riesco a sopportare questa cazzo di situazione e la rabbia sta per prendere il sopravvento. Faccio dei respiri profondi e cerco di calmarmi da solo. Ritorno nella mia stanza e avverto delle voci. Mi dirigo alla finestra aperta e osservo Emy e mia madre che stanno passeggiando verso casa nostra. Si abbracciano e sembrano felici e tranquille, tutto quello che non sono io. Stringo le labbra e reprimo il desiderio di sferrare un pugno nel legno della scrivania. Cosa cazzo avranno da ridere? E dove sono andate insieme? Mi siedo sul letto e afferro la mia testa tra le mani, dopodiché mi alzo e cammino su e giù per la stanza, chiaramente nervoso. La tratta come se fosse sua figlia e io non voglio che la considerino tale. Non riesco più a controllarmi e gli occhi mi diventano lucidi. Sono davvero patetico e non capisco cosa mi sti succedendo. Stringo e rilasso i pugni un paio di volte, fino a che non afferro il mio portatile e lo lancio sulla moquette, rompendo lo schermo. Pochi secondi dopo, la porta della mia camera si spalanca e sulla soglia ci sono lei e mia madre. Perfetto!
«Ma cos'hai che non va?» mi urla in faccia mia madre, appena si rende conto del computer a terra.
«È questa cazzo di famiglia a rendermi aggressivo.» urlo a mia volta.
Poi poso il mio sguardo su Emy, sembra impaurita e posso leggere pure un po' di odio nei suoi occhi. In fondo è questo ciò che provano nei miei confronti, no? Dopo un po' arriva mio padre e posso dire che il quadro della famigliola perfetta è al completo.
«Cos sta succedendo qui?» chiede mio padre e poi volta lo sguardo su di me. «Mark, che cosa hai combinato?»
«Sono cazzi miei quello che faccio con le mie cose. Ora fuori di qui, tutti e tre!» urlo.
«Adesso basta!» Mio padre entra in camera e afferra la mia playstation. «Questa la riavrai quando ti comporterai in modo civile!»
«Mi stai togliendo i passatempi?» lo sfido con lo sguardo e lui ricambia, dopodiché ritorno a guardare lei.
«Sei apatico e aggressivo, quando cambierai questi modi?»
Mi ha davvero rotto le palle, non lo sopporto più con quella sua aria da padre perfetto, è solo un perdente, come tutti in questa stanza. Afferro la sedia sotto la scrivania e la sbatto a terra, rompendola.
«Perché sei così aggressivo?» chiede mia madre con le lacrime in gola.
Mio padre dopo aver portato via la playstation, ritorna in camera e stacca lo stereo dalla presa.
«Cosa fai, non posso vivere senza musica.» mi lamento.
La musica è tutto per me.
«Allora studia il violino!» mi urla in faccia, mentre porta via una parte della mia vita.
Mia madre lo raggiunge, mentre Emy resta a fissarmi. Che cazzo vuole, compatirmi ancora? Ne ho abbastanza della sua aria da santarellina, è solo una stronza che si crede chissà chi, solo perché la mia famiglia l'ha tirata fuori da quel buco schifoso in cui viveva. La guardo male, poi la spingo fuori dalla stanza e le sbatto la porta in faccia.
Sono stato costretto da mio padre a scendere per la cena, nonostante abbia zero appetito. Continuo a giocare con il cibo da almeno mezz'ora e nessuno dice una parola. Mi sento sempre più estraneo, come se quello adottato fossi io. Forse è davvero così, magari neanche io sono figlio loro, così si spiegherebbe la loro diversità. Emy se ne sta seduta al mio fianco e non capisco perché insistano a farla sedere così vicino. La guardo di sottecchi, osservo il suo abbigliamento da suora e mi chiedo come possa essere sotto quegli abiti così larghi. Mi mordo il labbro, facendo attenzione che nessuno mi stia guardando e poi cerco di liberare i miei pensieri da queste assurdità.
«Mark, tesoro, mangia qualcosa.» dice mia madre, ma la ignoro.
«Hai sentito tua madre?» chiede mio padre, ma ovviamente ignoro anche lui. «Mark, ti ho fatto una domanda!» sbotta.
Alzo lo sguardo su di lui, inespressivo.
«Sì, papà, l'ho sentita.» Questa famiglia mi ha davvero rotto le palle. Mi guardo intorno per qualche secondo e adocchio il mi bicchiere pieno d'acqua. Fingo di urtarlo e lo faccio cadere dritto addosso ad Emy, inzuppandola tutta. «Ops, scusami tanto!» dico da finto ingenuo e non posso fare a meno di ridere.
«Perché l'hai fatto?» chiede Emy con le lacrime in gola.
«Fatti anche un bel pianto, adesso.»
«Basta!» urla mio padre, sbattendo la mano sul tavolo. «Chiedile immediatamente scusa!»
«Non ci penso nemmeno!»
«Mark, chiedi scusa a tua sorella!» aggiunge mia madre.
La guardo in cagnesco. «Lei-non è-la mia-cazzo-di sorella!» urlo, scandendo ogni parola.
Mi alzo di scatto e vado via dalla cucina, sfinito per tutta la situazione. Raggiungo a passo veloce la mia stanza e mi ci chiudo al suo interno. Perché non capiscono quello che provo? Mi sento come se fossi in trappola e non potessi uscire più da questo enorme buco nero che è la mia vita.
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