Capitolo 3
Sono trascorsi due anni da quando i miei hanno commesso quel terribile errore, non li ho mai perdonati per averlo fatto. Da quel giorno non ho fatto altro che renderle la vita impossibile, sperando che andasse via, ma non è mai successo, però non perdo le speranze. I miei hanno organizzato un weekend nella nostra baita in montagna e ho già un'idea per rovinare tutto, partiremo stasera e non vedo l'ora. Da quando Emily è con noi non fanno altro che organizzare serate e vacanze, ricordo ancora il giorno del suo compleanno; le misi la faccia nella torta. Per via di quell'evento fui messo in punizione per due settimane. Mi viene da ridere quando ci ripenso. Afferro il cellulare dal banco e comincio a scrivere un messaggio alla ragazza che ho conosciuto stamattina, è la più carina della scuola, esclusa Emy, forse... Ma che cazzo penso?
Messaggio a Ashley: Ciao, ci vediamo dopo scuola?
La sua risposta arriva quasi subito, come se non aspettava altro che un mio messaggio.
Messaggio da Ashley: Sì, dove?
Messaggio a Ashley: Al bar della scuola.
Messaggio da Ashley: Va bene, ci sarò.
Sorrido e penso che mi divertirò tantissimo con lei. Fa la cheerleader, l'ho vista tante volte ai tornei di basket della scuola, faceva sempre il tifo per Watson, il fighetto del momento. Non riuscirò mai a capire cosa ci trovano le ragazze in lui, ha l'aria da pesce lesso.
«Johnson, ma dove hai la testa?» mi chiede il professore, risvegliandomi dalla trance in cui ero entrato.
«Dovunque, ma non qui.» rispondo sarcastico, facendo ridere i miei amici.
«Fuori!» sbotta.
Mi alzo in silenzio e mi dirigo fuori dall'aula. Fanculo, quello stronzo, solo perché gli ho dato una risposta ad effetto mi ha cacciato via. Comincio a girovagare per il corridoio, fino ad arrivare all'aula di Emy. Potrei farla uscire e romperle un po' le scatole. Senza pensarci oltre, batto il pugno sulla porta e la apro. Il professore mi guarda confuso, soprattutto lei.
«Buongiorno.» saluto il professore. «Emily è richiesta in presidenza.» mento. Lei sgrana gli occhi, dopodiché fissa il professore per il suo consenso. Quest'ultimo annuisce e lei si alza dalla sedia, fino a raggiungermi. Esce dall'aula e richiudo la porta. Comincia a camminare verso la presidenza, ma le afferro un braccio per impedirle di continuare.
«Ferma!»
«Ma... la preside mi aspetta...» risponde con timore.
«Non ti aspetta nessuno, era una scusa per farti uscire.»
Mi guarda confusa e anche un po' imbarazzata.
«C-cosa? Perché?» chiede con difficoltà.
«Non sei contenta che ti abbia liberato di quel deficiente di religione?»
«No. Sinceramente preferisco starmene in classe a sorbirmi religione.»
Fa retro front, ma la fermo di nuovo.
«Sei proprio un'idiota, per una volta che sono carino con te, mi tratti così.» dico sarcastico.
«Chissà perché quando sei carino, finisci sempre per mettermi in situazioni spiacevoli.»
Serro la mascella e la spingo contro il muro, guardandola malissimo. Incredibile, ora che non le sto dando fastidio mi tratta male, merita proprio una lezione. Chissà se indossa il reggiseno, vorrei tanto scoprirlo, visto la dimensione dei suoi piccoli seni. Sto per allungare le mani in quella direzione e pensare a qualcosa di scandalizzante da dirle, quando vedo Ashley in fondo al corridoio. Riesco a stento a toccarla, finché mi costringo a lasciarla e fare finta di nulla. Nessuno dovrà pensare che possa esserci qualcosa tra di noi, soprattutto non devono sapere che stiamo giocando a fare i fratellini da ben due anni.
«Ehi, bella.» la saluto da lontano.
Emy scappa via e purtroppo non posso fermarla. Mi rifarò stasera alla baita.
«Ciao.» ricambia Ahsley, avvicinatasi a me. «Quella era Emily Johnson? La sfigata?» chiede altezzosa. La guardo male per un po', ma poi mi ritrovo ad annuire. «Non ti infastidisce il fatto che abbiate lo stesso cognome?»
«Non posso farci nulla, non sono l'unico Johnson sulla terra.»
«Immagino. Allora ci vediamo alla fine delle lezioni, al bar della scuola.»
«Certo.»
Si avvicina al mio viso e mi posa un piccolo bacio sulle labbra, spiazzandomi. Credevo di dover fare io la prima mossa, invece l'ha fatta lei. Mi sorride, fa un occhiolino e ritorna nella sua aula. Presto finirò tra le sue gambe.
Sono appena tornato a casa, non vedevo l'ora di farlo. Ashley è stata tutto il tempo a parlare di sé, dei suoi vestiti e delle unghie appena fatte, non ce la facevo più. Poi ha cominciato a prendere in giro tutti gli sfigati della scuola, fortuna che Emy non sia passata, altrimenti non so cosa avrebbe potuto dirle e cosa avrei potuto fare io. Pensavo che Ashley fosse diversa, invece è proprio noiosa, questo però non mi ha fatto cambiare idea su di lei, mi piace e voglio scoparmela.
«Mark, prepara tutto il necessario perché la partenza è stata anticipata tra un'ora.» dice mia madre, appena entrata in cucina.
«Un minimo di preavviso sarebbe stato gradito.» rispondo scocciato.
«Tuo padre ha chiamato per dire che avrebbe finito prima, per questo è andata così.»
Come se avessi voglia di partecipare alle loro stupide gitarelle, l'unica cosa che mi dà un po' di buon umore è ciò che farò alla sfigata di Emy. La ignoro e mi dirigo immediatamente al piano di sopra. Percorro il corridoio e mi ritrovo a fissare la porta socchiusa della camera di Emy; è sdraiata sul letto, con delle cuffie nelle orecchie, i bagagli già pronti. Incredibile, quella ragazza non è umana. Il mio sguardo ricade sul suo sedere un po' scoperto dagli shorts corti. Mi mordo il labbro e poi scuoto la testa, per liberarmi dai pensieri poco casti. Senza chiederle il permesso, entro nella sua stanza, facendo attenzione a non farmi notare. Dato che ha gli occhi chiusi e la musica nelle orecchie, non mi risulta molto difficile. Mi avvicino a lei e gli tiro le cuffie dalle orecchie, gridando buu. Sgrana gli occhi e porta una mano sul cuore, spaventata a morte. Comincio a ridere e lei serra la bocca.
«Sei davvero un...»
«Cosa?» la interrompo minaccioso.
«Niente...» risponde flebilmente.
«Meglio per te.» sorrido beffardo.
È più forte di me, non riesco a smettere di darle fastidio, anche se delle volte esagero, ma non me ne frega, voglio che si stanchi, a tal punto da desiderare di andare via.
***
Siamo in viaggio da un'ora e non ne posso più. Mi sono seduto il più lontano possibile da lei e mia madre non ha fatto altro che rimproverare ogni mio movimento, pensando che stessi dando fastidio alla sua falsa figlia, fortuna che tra poco saremmo arrivati. Lei è rivolta con la faccia verso il vetro e ancora le cuffie nelle orecchie, mi chiedo cosa diavolo stia ascoltando. Devo frenare l'impulso di tirarle nuovamente le cuffie e scoprirlo, altrimenti mia madre ricomincerà. Ho passato gli ultimi due anni della mia nuova vita ad escogitare modi per cacciarla via, al momento nessuno è servito e spero che quello di stasera funzioni. Non la sopporto, è entrata nella mia vita senza chiederlo e senza che lo volessi, odio averla per casa, soprattutto odio il fatto che sia così attraente e lo so.
«Siamo arrivati!» esclama mio padre, interrompendo i miei pensieri tormentati.
«Era ora.» borbotto.
Scendo dalla macchina e raggiungo immediatamente la baita, ignorando le lamentele dei miei genitori, riguardo ai bagagli. Che li aiuti la loro orfanella. Entro in casa e raggiungo il piano di sopra, fino a varcare la soglia della mia stanza. Chiudo la porta e penso al mio piano di stasera, implorerà di tornare in quell'orfanotrofio.
Ho atteso a lungo il momento in cui i miei si levassero dalle palle e ora finalmente ci hanno lasciati soli. Mia madre è sotto la doccia e mio padre è andato a prendere la legna per accendere il camino. Lei è seduta sulla poltrona, mentre io sdraiato sul divano, ci stiamo ignorando, come sempre.
Prendo il cellulare e faccio finta di parlare con mio padre.
«Sì, papà. Ah, va bene, te la mando subito.» riattacco e la fisso. «Mio padre vuole che lo raggiungi nel bosco.» le dico con un mezzo sorriso.
«Come mai nel bosco?»
«Vuole farti vedere le lucciole.» ironizzo.
«Davvero?» chiede sorpresa.
«Che cazzo vuoi che ne sappia? Mi ha chiesto di dirti di raggiungerlo e l'ho fatto.»
«Va bene...»
Mi alzo, contento di averla convinta e le apro la porta della baita.
«Da quella parte.» indico una direzione a caso.
«Grazie.» esce.
«Di nulla.» sorrido beffardo.
Chiudo la porta e ritorno a sdraiarmi. Sarà la notte più brutta della sua vita, talmente brutta che non vorrà altro che andare via. Stupida com'è, si spaventerà anche se in questo luogo non ci sono pericoli, ma basterà a cacciarla via.
***
Da quella terribile sera sono passati altri due anni e non è cambiato un cazzo di nulla, a parte le punizioni patetiche di mio padre. Purtroppo, dopo essersi persa per un po', mio padre riuscì a trovarla, era rannicchiata vicino ad un albero e piangeva, la cosa più strana fu che non raccontò nulla, si limitò a dire che si era persa per colpa sua, che voleva vedere le lucciole. Rimasi meravigliato che non avesse fatto la spia, ma ciò non cambiò il mio atteggiamento. Sono stato troppo ottimista, illudendomi che si sarebbe dileguata, invece non è stato così. In questi anni gliene ho fatte passare tante ma nulla sembra scalfirla. I miei genitori continuano a trattarmi male, ogni giorno un nuovo rimprovero, come i miei tatuaggi, ce n'è sempre uno nuovo, raccontando ogni pezzetto della mia patetica vita. Dovrò rassegnarmi e vivere con un'estranea in casa? Non credo proprio!
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