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Capitolo 2

Ho appena finito il mio allenamento, non vedo l'ora di tornare a casa a riposarmi. Questa vita mi stressa, ma ho capito che l'esercizio fisico è importante, mi sento meglio da quando lo pratico. Raggiungo gli spogliatoi della palestra, saluto qualche compagno di corso e comincio a spogliarmi, poi dritto sotto la doccia. Oggi ho finito prima, il mio personal trainer si è ammalato e ho dovuto sbrigarmela da solo. Ormai è un mese che non vedo quel coglione di Adam, insieme alla sua stronzetta, mi è giunta voce che fosse rimasta incinta, ma non so se crederci. Spero che entrambi facciano una brutta fine. So bene che è sbagliato desiderare il male altrui, ma sono stato preso in giro e non potrò mai perdonarli. Mentre mi insapono il corpo, sento squillare il cellulare, ma non me ne importa, dato che non posso rispondere. Non smetto di pensare a tutto quello che è accaduto in questi mesi, in particolare a mia madre, a quello che le è capitato con la gravidanza. Non lo do a vedere ma ci sono rimasto molto male e per via di quella storia non potrà più avere figli. Chiudo il rubinetto ed esco dalla doccia, indossando il mio accappatoio. Mi asciugo e poi mi ritrovo a guardarmi allo specchio, notando che gli allenamenti stanno facendo effetto. Subito dopo guardo il mio tatuaggio sul braccio, una X completamente nera e i ricordi si fanno strada in me;

«Questa X è perfetta per te.» disse Adam, mostrandomi l'album dei tatuaggi.

«E che significato potrebbe avere?» chiesi confuso.

«Be', questo dipende da te.»

«Cioè?»

«Potrebbe significare che qualsiasi cosa accada, sceglierai sempre te stesso.» Lo guardai confuso e mi chiesi cosa stesse dicendo. «Hai presente nei quiz, in cui bisogna inserire una X per scegliere la risposta giusta? Ecco, tu sei giusto!»

Cominciai a ridere, ma poi capii che aveva senso e così decisi di dargli retta e farmi tatuare questa maledetta X. Odio questo tatuaggio, mi ricorda sempre quella sera, quando ero amico di Adam, se potessi lo strapperei dal braccio. Però aveva ragione, io sono giusto e lui è un coglione! Sorrido allo specchio e comincio a vestirmi, pensando al prossimo tatuaggio che farò.

Dopo aver finito tutto, afferro il cellulare e leggo tre chiamate perse da parte di mio padre. Comincio a sbuffare e a chiedermi cosa voglia. Decido di ignorarlo e infilare le cuffie nelle orecchie. Infilo il cellulare in tasca e metto il borsone in spalla. Esco dalla palestra e comincio a camminare verso il mio motorino, parcheggiato sul retro. Credo che prima di ritornare a casa mi fermerò in qualche pub per mangiare qualcosa, tutti questi allenamenti mi fanno venire sempre fame.

Ho mangiato una pizza e bevuto una birra. Mio padre mi ha telefonato di nuovo, inutile dire che l'ho ignorato ancora. Ma forse dovrei richiamarlo, è strano che mi telefoni così di frequente, di solito ci parliamo a stento. Da quando è accaduto lo spiacevole episodio di mia madre, nessuno si parla più come prima. Esco dal locale e una faccia conosciuta è all'altro lato della strada. Salgo sul motorino e raggiungo il mio compagno di classe.

«Ehi, Johnson, che ci fai qui?» mi chiede, mentre mi avvicino.

«Quello che ci fai tu, immagino.» Guardo il sacchetto del cibo d'asporto che ha nella mano.

«Già, ho litigato di nuovo con mia madre e mi ha cacciato di casa.»

«Sei il solito, Jake. Dovresti fare come me.»

«Del tipo?»

«Usare indifferenza quando ti danno addosso.»

«Forse hai ragione. Ehi, mi daresti un passaggio?»

«Per dove?»

«Al parco, mi aspetta una ragazza.»

«Mi dispiace, ma non passo per di là.»

«Oh. Va bene. Ci vediamo allora.»

Mi saluta e raggiunge la fermata dell'autobus più avanti. Non mi va di essere usato come tassista, odio questo genere di comportamento. Rimetto in moto e decido di non pensarci più, in fondo non mi importa nulla di lui. Alcuni minuti dopo sono già nel vialetto di casa mia e tiro fuori il telecomando per aprire la serranda automatica del garage. Le macchine dei miei sono dentro, quindi devono essere in casa. So già che appena entrerò mio padre mi romperà le palle sul perché non ho risposto al cellulare, dovrò sgattaiolare in camera prima che mi veda. Parcheggio il motorino vicino alla parete ed entro in casa dalla porta che dà nel garage, facendo attenzione a non farmi sentire, ma la mia fuga non ha l'effetto desiderato.

«Dove sei stato? Ti sto chiamando da ore!» chiede mio padre alle mie spalle.

Mi volto lentamente. «In palestra.»

«Fino a quest'ora?»

«Poi ho incontrato un amico e abbiamo mangiato una pizza insieme.» mento.

L'ho mangiata da solo la pizza, ma non voglio che ricominci sul fatto che devo farmi degli amici veri, è davvero snervante. Mi guarda compiaciuto ed io distolgo lo sguardo. Anche se sono abbastanza bravo a mentire, non voglio che guardandomi possa capire.

«C'è una novità.» cambia argomento.

«Bene, non mi interessa!» dico sarcastico, mentre mi dirigo su per le scale.

«Forse è meglio se parliamo un po'.» dice alle mie spalle.

Sono già in cima alle scale e quindi decido di ignorarlo e raggiungere la mia camera. La porta è socchiusa ed è molto strano, dato che la chiudo sempre. Mia madre dev'essere entrata per pulire, non trovo altre spiegazioni. La apro del tutto e una ragazza mora, di spalle, con in mano la cornice che ritrae me e i miei genitori, è in camera mia. Resto in silenzio per qualche secondo, cercando di capire. La fisso e chissà perché mi chiedo se sia carina. Ma che cazzo mi passa per la testa? Un'estranea è in camera mia, sta toccando le mie cose e me ne resto in silenzio?

«Chi diavolo sei tu?» chiedo con tono duro. La ragazzina sussulta e fa cadere la cornice sulla moquette. Cazzo, si è rotta? Allungo lo sguardo verso di essa e fortunatamente non è così. È l'unico ricordo felice che ho. Si volta lentamente e riesco finalmente a guardarla in faccia. Avverto un colpo al cuore, è davvero bella, talmente bella che quasi mi manca il respiro. Devo smetterla di pensare a queste cazzate e farmi dare delle spiegazioni, nessuno può entrare qui dentro. «Allora, chi sei?»

Comincia a boccheggiare, come se non riuscisse a parlare. La metto così tanto in soggezione?

«I-io, sono... Emy.» riesce a dire.

Mi acciglio. «Emy, chi?»

Sta per aprire nuovamente bocca, quando qualcuno mi poggia una mano sulla spalla.

«Mark, figliolo, lei è Emily, tua sorella!» afferma mio padre, con mia madre alle spalle.

Cosa diavolo ha detto? Resto di sasso e continuo a fissare la ragazzina davanti a me, dopodiché fisso mio padre. Lo stupore viene sostituito dalla rabbia. Non posso credere che l'abbiano fatto sul serio. Non voglio crederci.

«È uno scherzo, vero?» chiedo ad entrambi.

«No, Mark, ne avevamo già parlato, ricordi?» risponde mia madre.

«Sapevate che non ero d'accordo!» Ritorno a guardarla, quasi la fulmino con lo sguardo. Non so perché ma un odio smisurato sta crescendo dentro di me. È un'estranea. «E che cazzo ci fa in camera mia?» urlo ancora contro i miei genitori.

«Tesoro, calmati.» mia madre cerca di sfiorarmi la spalla, ma mi ritraggo di scatto.

«Non toccarmi!» Guardo la ragazzina, poi i miei genitori. Sembra tutto un fottuto incubo, tra poco mi sveglierò e sarà tutto come prima. La raggiungo, afferro il suo braccio e la trascino fuori dalla mia stanza, insieme ai miei genitori. «Fuori fai coglioni!» urlo, sbattendo la porta.

Non può essere vero, è un fottuto incubo. Come hanno potuto fare una cosa del genere, nonostante sapessero che ero del tutto contrario? E poi perché hanno portato a casa una stronzetta della mia età? Non capirò mai quelle loro menti bacate. Stringo i pugni e li batto entrambi alla parete, meravigliandomi della mia forza. La pelle mi si lacera leggermente, ma non fa male, non quanto tutta la situazione.

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