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Capitolo 27

Nuovo capitolo fanciulle! 😍❤️ Vi auguro tante buone feste e tanto tanto amore 😍❤️

Era passata una settimana dalla prima volta in cui io e Dean avevamo fatto l'amore in quell'albergo. Una settimana in cui ci eravamo visti tutti i giorni, e l'avevamo fatto sempre con la stessa identica passione.

Anche novembre stava per finire. Guardai il calendario. Martedì 28. Faceva un freddo cane e io non avevo molta voglia di andare a lavorare quella mattina. Ma dovevo farlo...

Arrivai in ufficio con qualche minuto di ritardo e mi misi al lavoro. Passai circa un'ora a riordinare scartoffie e correggere bozze, quando mi arrivò un messaggio di Dean: Solito orario davanti al Wayford?

Gli risposi subito: Ok.

Io e Dean facevamo sesso in quell'albergo da una settimana e qualche volta era capitato che approfittassimo della pausa pranzo per stare un po' da soli. Lui mi desiderava, potevo sentirlo, percepirlo e anche vederlo. E il fatto che da una settimana a questa parte ci eravamo visti tutti i giorni non faceva che confermare le mie ipotesi.

Mi rimisi al lavoro e pensai a quanto sarebbe stato bello poter stare con Dean in maniera normale. Poter uscire con lui magari per andare al cinema o in un pub o a mangiare una pizza. Pensai a come sarebbe stato essere la sua ragazza... adoravo fantasticare su di noi e quando si trattava di pensare a un'eventuale storia con lui, la fantasia era l'unica cosa che mi rimaneva.

Alle 13.00 io e Dean eravamo già in camera l'uno addosso all'altra. Non mi aveva dato quasi il tempo di entrare che già mi era saltato addosso. Quella giornata era su di giri.

Il sesso con lui fu bellissimo. Intenso e pieno di passione. Quando finimmo rimasi per un bel po' a guardarlo. Era lì accanto a me, era fantastico. Un po' alla volta ci stavamo conoscendo. Io gli avevo raccontato qualcosa di me e lui pure. Anche se in genere ero sempre io quella che parlava di più. Gli avevo raccontato di mia madre, del divorzio dei miei e del rapporto con mio padre. Mi sentivo bene quando parlavo con lui... mi sentivo a casa.

Dean guardava nel vuoto e non si era nemmeno accorto che lo stessi fissando, così gli chiesi: «A che pensi?».

«Che?» disse ridestandosi.

«Ti ho chiesto a cosa stai pensando...».

«Niente di che».

«Non vuoi dirmelo?».

«Non è niente d'importante».

«Ok» dissi un po' delusa, poi decisi che quel giorno, che lui lo avesse voluto o meno, avrei scoperto qualcosa in più sul suo conto. Volevo e dovevo saperlo. Ero stufa di essere sempre io quella che più si apriva. Sì, era deciso: gli avrei fatto il terzo grado: «Qual è il tuo colore preferito?» domandai e Dean mi guardò come a dire "Che significa?", ma non m'importava. Gli era andata bene, in fondo avevo cominciato con una domanda banale.

«Ehm... non ne ho idea».

«Dai, avrai un colore preferito! Il mio è il verde» spiegai sorridendo.

«Perché stiamo parlando di questo?».

«Così... per conversare».

«Ok. Ad ogni modo non credo di avere un colore preferito».

«Come sei noioso» dissi, indispettita dalla sua non risposta.

«Perché non ho un colore preferito?» chiese strabuzzando gli occhi.

«D'accordo, lasciamo perdere. Passiamo ad altro... band preferita? In camera tua ho visto poster dei Metallica, Guns N' Roses e Avenged Sevenfold, ma non so quali tra questi sia il tuo preferito...».

«Se rispondo vinco qualcosa?» chiese ironico.

«Dai, non fare lo stupido» e gli diedi uno schiaffetto sul braccio.

«Va bene, va bene. Metallica!».

«Ok... vediamo... hai un piatto preferito? Non so... una pietanza che ami mangiare più delle altre?».

«La pizza».

«A guardarti non si direbbe...» dissi ridendo.

«Perché?».

«Perché hai un gran bel fisico» risposi imbarazzata.

«È perché mi alleno...».

«Capito. Cos'altro? Che tipo di abbigliamento preferisci indossare? Non so, ti senti più a tuo agio in smoking o con un paio di jeans?».

«Jules, perché quest'interrogatorio?».

«Interrogatorio? Sono solo un paio di domande...».

«Veramente siamo già a quattro domande, contando quella del colore».

«D'accordo, e allora?».

«E allora non capisco perché...».

«Dean, è per fare conversazione... per conoscerci meglio...».

«E credi di conoscermi perché sai qual è il mio piatto preferito o come amo vestirmi?».

«Veramente a quest'ultima domanda non hai risposto...».

«Jules, non divagare».

«D'accordo, allora quali sono le domande che secondo te dovrei porti per conoscerti davvero?».

«Nessuna domanda... non devi conoscermi... facciamo sesso Jules, non abbiamo bisogno di conoscerci».

«Sì, ma tu sai un sacco di cose di me».

«Cose che tu mi hai voluto raccontare...».

«E che differenza fa?».

«La differenza è che io non ti ho fatto un interrogatorio come stai facendo tu adesso con me...».

«Dio, Dean, ma che problema hai? Perché vai subito sulla difensiva?» dissi alzandomi e iniziando a rivestirmi.

«No, non provare a girare la frittata. Tu hai un problema, non io» e iniziò anche lui a rimettersi gli abiti.

«Davvero? E sentiamo... quale sarebbe il mio problema?».

«Cerchi sempre di complicarti le cose, Jules. Ecco il tuo problema».

«Perché ti ho chiesto come ti piace vestirti? Dio mio... e se ti avessi chiesto il numero di scarpe, cosa avresti fatto?».

«45 e... non ho mai detto che le domande fossero personali. Ti ho solo chiesto di smettere di farmele».

«Se vuoi che smetta di fartele, perché hai appena risposto a una domanda retorica?».

«Per non essere scortese...».

«Sai Dean, lasciamo perdere. Non ho più voglia di discutere. E mi è venuta fame quindi... andiamo via».

«Come vuoi tu» disse infastidito.

Finimmo di rivestirci in silenzio, poi lui andò in bagno. Aspettai che uscisse e andammo via dall'albergo insieme, ma sempre in completo silenzio.

In auto gli chiesi di fermarmi in una tavola calda di fronte al Wayford e quando arrivammo lì, gli chiesi: «Vuoi venire con me?».

«Come?».

«Be', immagino che tu abbia fame...».

«Ordinerò qualcosa in ufficio».

«Perché, se siamo già qui? Cos'è, hai paura di farti vedere in giro con me? Hai paura di rovinare la tua reputazione di playboy incallito?».

«Jules, non dire stronzate».

«E allora qual è il problema?».

«Nessuno. Ho solo voglia di tornare in ufficio e ordinare una cosa veloce lì, tutto qui!».

«Guarda che non sarebbe un'uscita romantica, né un appuntamento. È solo fermarsi insieme in un posto per mangiare».

«Ti ho detto che non mi va».

«Come vuoi...» dissi e uscii dall'auto. Dean aveva il finestrino abbassato e prima che potesse andare via, mi chinai per dirgliene quattro: «Vorrei solo farti notare che io ho fatto uno sforzo per te. Anzi, più di uno... considerando che all'inizio nemmeno volevo venirci in quell'albergo. Ma mi sono sforzata di capire, di capirti. Mi sono sforzata per stare con te. Io ho fatto vari passi verso di te, adesso potresti farne anche uno tu!».

«Jules...» disse Dean cercando di parlare, ma ero arrabbiata e non glielo concessi.

«Buona giornata, Dean» dissi alzando i tacchi e fuggendo il più possibile lontano da lui.

L'indomani, per tutta la giornata non sentii Dean, fin quando verso le 16.00 non mi arrivò un messaggio: Scusami per ieri. Riesci a staccare per le 19.00?

Lo lasciai soffrire per mezz'ora, poi gli risposi: Posso provarci.

Mi arrivò subito la sua contro risposta: Cerca di riuscirci. Ti voglio.

Dio, era talmente insolente a volte. Ma mi piaceva anche così e inoltre, anche io lo volevo. Quindi decisi di accontentarlo.

Uscii prima e incontrai Dean all'ingresso del Wayford, come sempre: «Scusa se non ti ho chiamata per la pausa. Avevo un sacco di lavoro da fare!».

«Tranquillo».

«Sei stupenda, comunque» disse guardandomi

«Non fare il ruffiano solo per farti perdonare!».

«Non faccio il ruffiano, è la verità».

«Va bene. Andiamo?» chiesi.

«Sì».

Arrivammo in camera alle 19.30 e stavolta Dean non mi saltò addosso. Forse per la discussione di ieri, aspettava che facessi io il primo passo. Non che io fossi così audace, ma non volevo nemmeno fargli capire che era sempre e solo lui ad avere il controllo. Così, quando entrambi ci eravamo tolti le giacche, gli saltai al collo e lo baciai con voracità. Ricambiò il mio bacio e iniziai a spogliarlo. Volevo fargli capire quanto lo volessi. Lui mi lasciava fare, quella volta ero io a condurre il gioco.

Dopo che Dean si svestí, gli diedi una spinta e lo buttai sul letto per poi saltargli addosso e continuare a baciarlo.

Facemmo l'amore un po' ovunque, in quella minuscola stanza, e alla fine Dean mi adagiò sul letto e mi abbracciò: «Stai bene?» Chiese.

«Sto sempre bene con te» sorrisi.

Eravamo abbracciati, io di spalle a lui che mi cingeva, proteggendomi come una cosa preziosissima. Cominciai ad accarezzargli la mano. Volevo quell'uomo più di ogni altra cosa al mondo, non volevo più solo il sesso, non volevo più solo il suo corpo... volevo tutto di lui. A pensarci bene avevo sempre voluto tutto di lui, solo che adesso ero arrivata al limite. Volevo di più anche se sapevo che non potevo ottenerlo. Stavo così bene accanto a lui, il momento era perfetto e io avrei voluto dirgli... no... non potevo farlo e... non poteva essere. Non ora, non quelle due parole... avrei rovinato tutto, non dovevo...

«Va' a vestirti. Ti porto in un posto!». Le sue parole interruppero i miei pensieri e per fortuna evitarono che dicessi qualche cavolata.

«Come?» chiesi sorpresa, girandomi per guardarlo.

«Non provare a chiedermi dove andiamo perché non te lo dirò. È una sorpresa!».

«Fai sul serio?» dissi eccitata.

«Sì. Va', sbrigati! E non dire una parola o potrei cambiare idea!».

«Ok, vado» risposi eccitata e mi fiondai in bagno per fare una doccia veloce e prepararmi. Quando uscii, fu la volta di Dean e io lo aspettai pazientemente seduta sul letto... il nostro letto!

A pensarci bene, quando eravamo usciti dall'auto per venire qui in albergo lui aveva con sé un borsone. Sembrava quello della palestra, e quando gli avevo chiesto cosa dovesse fare mi aveva detto che si sarebbe andato ad allenare. Però adesso lui per prepararsi lo aveva portato con sé in bagno. Chissà che significava...

Voleva portarmi a vedere un suo allenamento?

Quando uscì era vestito in maniera diversa. Era casual. Aveva dei jeans e un maglione grigio, ma era splendido come sempre.

«Perché questo cambio di look?» chiesi.

«Lo vedrai. A proposito, scusa, ti ho fatto vestire inutilmente. Metti questi» disse cacciando dal borsone un paio di jeans, un maglione pesante e un paio di scarpe da ginnastica. Le mie scarpe da ginnastica, tra l'altro le mie preferite.

«Quella roba è mia?».

«Già».

«E com'è che ce l'hai tu?».

«Stamattina presto ho mandato un messaggio a Rachel, le ho detto che volevo portarti in un posto ma che era una sorpresa, per cui mi serviva qualcosa di comodo da farti indossare. Lei mi ha portato le tue cose a casa ed eccomi qui».

«E Rachel non ti ha chiesto che genere di sorpresa dovessi farmi?».

«Oh, sì. Mi ha fatto il terzo grado. Tu e la tua amica siete proprio identiche» disse e io scoppiai a ridere. Poi presi i miei vestiti e andai a cambiarmi, riponendo tacchi e completo nel borsone di Dean.

Andammo via dall'albergo e salimmo in auto, poi Dean disse: «Non so che ora si farà, quindi... ti riaccompagno io a casa».

«E la mia auto? Rimane al Wayford? E domani come vado al lavoro?».

«Ti passo a prendere io».

«Che?».

«Non montarti la testa. È solo che non voglio che guidi di notte».

«Dean Hockester... ti preoccupi per me?» domandai con gli occhi che brillavano.

«Sono solo un po' iperprotettivo con le persone che mi circondano».

«Capito. E... non posso sapere dove stiamo andando?».

«Jules non provocarmi, potrei sempre fare inversione e riportarti a casa».

«Ok. Ricevuto. Mi cucio la bocca!».

«Ecco brava» disse e mi guardò sorridendo. Dovunque saremmo andati ero felice, e niente avrebbe potuto rovinare quella mia felicità.

Quando eravamo quasi arrivati, riconobbi luoghi familiari e pensai che mi stava portando... no, non poteva essere... non ci credevo!

Svoltò dove sperai e quando arrivammo all'ingresso pagò un biglietto per il parcheggio, le luci sfavillanti illuminarono il mio viso e mi riempirono di gioia: «No! Non ci credo! Mi hai portata al luna park» dissi battendo le mani come una bambina.

«E a quanto ho capito ti piace!».

«Io lo adoro! Di' la verità, hai chiesto consiglio a Rachel? Anche se in realtà è lei la regina dei luna park. Non fraintendermi, anche io li adoro, ma lei si farebbe tagliare un braccio per venire qui».

«Non lo sapevo, davvero. Ma sono contento che ti piaccia. Dai scendiamo» disse dopo aver parcheggiato l'auto.

Camminammo l'uno accanto all'altra tra le giostre e come prima cosa Dean mi comprò lo zucchero filato: «Come sapevi che mi piace?».

«A qualunque ragazza piace!».

«Ah!» feci un po' delusa. «Quindi, deduco che hai portato molte altre ragazze qui...».

«No. Nessuna. Tu sei la prima. Se escludiamo le volte in cui ci sono andato con la mia migliore amica quando ero al liceo!».

«Bene» dissi sorridendo.

«Vieni. Facciamo il tiro al barattolo» propose, e ci avvicinammo a quest'enorme stand pieno di peluches, Dean pagò per 5 tiri, poi mi porse la pallina e disse: «Vuoi provare?».

«Perché no!» feci. «Me lo tieni?».

«Certo» e prese il mio zucchero filato.

Sprecai tre tiri su cinque ma non buttai a terra nemmeno un barattolo.

«Uffa! Sono una schiappa in qualsiasi gioco. Che palle!».

«Non posso darti torto» fece Dean ridendo. «Me ne dia altri tre» chiese al tizio che controllava i tiri, quindi cominciò a tirare e in soli due colpi buttò giù tutti i barattoli; poi vide che c'era un'altra fila e colpì di nuovo molto forte utilizzando di nuovo due colpi. Aveva un'ultima pallina da tirare e avevo chiaramente capito che voleva fare fuori anche l'ultima fila. Lo vidi concentrarsi e poi tirare un colpo così forte che in un attimo tutti i barattoli vennero giù.

«Complimenti! Lei ha fatto un record, signore. Ha diritto a scegliere il pupazzo che vuole, anche tra i più grandi».

«Fossi in te sceglierei quell'anatroccolo vestito da pescatore. Si abbina bene coi colori della tua stanza» dissi intervenendo.

«Tu quale sceglieresti?».

«Dean, hai vinto tu, non posso...».

«Quale?» domandò guardandomi negli occhi.

«Be'... potendo scegliere anche tra i più grandi... prenderei quel coniglio gigante. Adoro i coniglietti».

«Mi dia quel coniglio con le orecchie rosa» disse Dean al tizio, che prontamente glielo consegnò.

«Dean... io... non dovevi» balbettai. Ero scioccata.

«Io non amo i peluches, quindi...».

«Grazie» e gli diedi un bacio sulla guancia.

«Andiamo a fare qualche giostra, ti va?».

«Sì» dissi e buttai lo stecco dello zucchero filato che, nel frattempo, avevo prontamente finito.

Io e Dean facemmo quasi tutte le giostre: la casa degli orrori, i tronchi, le tazze pazze, il tunnel dell'amore. Ci comportammo da amici. Nessun bacio o niente del genere, ma fu divertente.

Dopo aver completato quasi tutto il giro turistico del luna park, lui fece: «C'è una pizzetteria lì. Hai fame?».

«Sì!».

«Andiamo» disse e ci recammo lì. Ordinammo due tranci di margherita e due coche. Mangiammo a un minuscolo tavolino. Era tutto molto semplice ma allo stesso tempo bellissimo. Ridemmo un sacco e ci raccontammo delle nostre pregresse esperienze ai luna park. Fu divertente ascoltare le sue storie di quand'era piccolo e andava a divertirsi con Josh, o di quand'era un liceale scorbutico che ci andava solo per fare piacere alla sua amica. Stavo bene. Davvero bene. E quando si fecero le undici e mezzo Dean mi disse che era il caso di ritirarsi perché il giorno dopo avremmo attaccato presto.

Ci rimettemmo in macchina e quando arrivammo sotto al mio palazzo e lui spense l'auto per salutarmi, prima che potesse dire qualsiasi cosa, parlai io: «Grazie per questa splendida serata, Dean. E grazie per questo» dissi indicando il peluche. «Sono stata bene».

«Anch'io sono stato bene».

«Mi fa piacere sentirtelo dire».

«Allora passo a prenderti domani? A che ora?».

«Le otto andranno bene. Posso... posso farti una domanda?».

«Certo».

«Se sei stato bene stasera... possiamo rifarlo?».

«Rifarlo?».

«Sì. Una cosa così... mi sono davvero divertita molto».

«Anch'io Jules, ma questo non significa che diventi una regola».

«Non dico questo, ma sporadicamente potremmo...».

«No!».

«Perché no?».

«Perché non posso... non voglio... cambiare il mio stile di vita. Né per te né per nessun'altra!».

«Ma se non provi nemmeno a vedere come sarebbe vivere in maniera diversa!? In fondo, hai detto che sei stato bene stasera. Che ti costerebbe riprovare?».

«Jules, stasera è stato un episodio. Mi ero comportato male e volevo chiederti scusa. L'ho fatto in questo modo, non significa che ricapiterà».

«Quindi mi hai portata lì solo per lavarti la coscienza, non perché ti faceva piacere stare con me!».

«Ma è chiaro che mi faceva piacere stare con te».

«Allora non capisco!».

«Non c'è nulla da capire Jules. È così e basta. È sempre stato così e sarà sempre così».

«Ma io...».

«Jules basta, chiudiamola qui» disse brusco.

«Ok. Come vuoi» rimasi qualche istante in silenzio poi dissi: «Posso tenerlo questo?» feci indicando il coniglio gigante che avevo tra le mani.

«È tuo, Jules!».

«Bene. Grazie allora e... buonanotte!» esclamai con distacco e uscii dall'auto. Sentii la sua porta che si apriva, era uscito anche lui, poi disse: «E per domani?».

«Non ti disturbare» affermai voltandomi per rispondergli, con lo sguardo più glaciale che potessi fargli. «Prenderò un taxi».

«Jules...».

«Notte Dean!» ed entrai nel mio palazzo sbattendo il portone.

Quando arrivai di sopra mi fiondai in camera mia, mi buttai sul letto e tra le braccia del mio nuovo amico di peluches, piansi tutta la mia delusione, tutta la mia disperazione... tutto il mio dolore.

* * *

Nella sua mente

Quella notte non riuscivo a chiudere occhio. Mi giravo e rigiravo nel letto cercando di capire perché Jules complicasse sempre le cose. Non poteva bastarle quella serata, no! Doveva chiedermene altre per rendere tutto più difficile e farmi fare la parte del cattivo.

Non potevo darle ciò che voleva. Non potevo! Se lo avessi fatto sarei stato un uomo finito. Tutto ciò che mi aveva tenuto in piedi in quegli anni sarebbe stato spazzato via, e se le cose poi fossero andate male non avrei avuto più nulla a cui appigliarmi. Sarei andato alla deriva e non volevo.

Non potevo affezionarmi, non potevo lasciarmi coinvolgere, non potevo innamorarmi. Quella era la mia vita e lo sarebbe stata sempre!

Quella sera però avevo capito che per lei non era così e che forse, adesso, quello che facevamo le andava stretto e io non potevo obbligarla a pensarla come me. Così compresi che avrei dovuto allontanarla prima che fosse troppo tardi. Dovevo allontanarla! Volevo? No, ma non avevo scelta. Perché se le avessi fatto del male, se avesse sofferto a causa mia, non me lo sarei mai perdonato . Mai e poi mai avrei lasciato che lei si innamorasse di me.

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