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Capitolo 25

Il mattino successivo, prima di andare al lavoro, mi recai in farmacia per richiedere la pillola del giorno dopo. Poi mi fermai in un bar per fare colazione e la presi. Lessi tutte le controindicazioni e sperai che non mi venisse la nausea.

Quando arrivai al Wayford c'era calma piatta. Quasi nessuno in giro.

Mi avviai verso l'ascensore e vidi che ad attenderla c'era una sola persona. Da lontano e di spalle, non l'avevo riconosciuto... ma quando fui molto vicina a lui capii chi era: «Dean?» dissi, come sorpresa di vederlo lì. Che sciocca. Lavoravamo nello stesso edificio.

«Jules! Hey ciao» disse voltandosi.

«Ciao. Stai per attaccare?».

«Sì» sorrise. Poi l'ascensore arrivò ed entrammo entrambi.

«Allora, come va?» chiesi appena si richiusero le porte.

«Bene» disse guardandomi. «Tu? Sei riuscita poi a prendere la...?».

«La pillola? Sì. Stamattina».

«Bene. E... stai bene? Voglio dire... nessun effetto collaterale?» chiese.

«Per adesso nessuno. Sto bene».

«Ottimo. Senti... sei libera per pranzo?».

«Sì, certo» risposi senza mascherare il mio entusiasmo.

«Quanto vi danno da voi per la pausa pranzo?».

«Un'ora».

«Basterà» disse sorridendo.

«Dove dobbiamo andare?» domandai curiosa.

«Lo vedrai» e uscì appena le porte dell'ascensore si aprirono. «Vediamoci alle 13.00 all'ingresso dell'edificio» concluse sul pianerottolo, prima che le porte si richiudessero.

«Ok» feci in tempo a dirgli, poi scomparve. Mi sentivo felice. Forse avremmo pranzato insieme, fatto qualcosa di normale. Qualsiasi cosa, mi bastava stare con lui.

Arrivai in ufficio e salutai i miei colleghi. Poi mi sedetti alla scrivania e prima che iniziassi a lavorare, Trey si avvicinò dandomi un bacio sulla guancia. Mi diede il buongiorno e mi chiese di uscire insieme. Voleva portarmi a cena fuori o da qualsiasi parte volessi. Gli dissi che non potevo perché stavo frequentando un altro, e lui mi sembrò triste. Mi salutò definitivamente e andò via. Lo vidi sedersi alla sua scrivania sconsolato e mi dispiacque molto avergli dato un due di picche, ma era Dean che volevo. Nessun altro.

Mi misi al lavoro per non pensare a quanto successo, nella speranza che in un battibaleno arrivasse ora di pranzo cosicché io e Dean saremmo rimasti insieme per un po'...

Quando arrivarono le 13.00 mi fiondai in ascensore per raggiungere Dean all'ingresso del Wayford.

Arrivai lì e lo vidi, splendido come sempre nel suo completo elegante.

«Eccomi» lo salutai.

«Ehi. Andiamo?» mi chiese facendomi strada.

«Certo» poi vidi che mi accompagnava alla sua auto, così dissi: «Prendiamo la macchina?».

«Sì. Dove andremo non è poi così vicino...».

«Ok» risposi eccitata e curiosa allo stesso tempo. Quando fummo entrambi in auto e Dean partì, non stavo più nella pelle e non riuscivo più a trattenere la mia curiosità, così dissi: «Allora, dove mi porti di bello?».

«Lo vedrai...».

«Dean, ti prego... dimmelo».

«No. Non riesci proprio a trattenerti, eh?» chiese ridendo.

«No, lo sai sono...».

«Curiosa. Me lo ricordo» e mi guardò.

«Ok. Aspetterò» dissi e rimanemmo per un po' in silenzio. Era evidente che a Dean non andava molto di parlare. Così decisi di farlo io, e un po' per tastare la sua di curiosità, un po' perché speravo in un pizzico di gelosia nei miei confronti, esclamai: «Un mio collega mi ha chiesto di uscire stamattina. Voleva un appuntamento».

«Oh!» fece Dean. «E perché lo dici a me?».

«Così» risposi spiazzata. «Era solo per fare conversazione».

«Capito».

«Non che io abbia intenzione di uscirci, ovviamente».

«Jules... guarda che non mi devi nessuna spiegazione».

«Non ti sto dando spiegazioni. Solo... non sono quel tipo di ragazza...».

«Quel tipo di ragazza?».

«Sì. Una che va a letto con un ragazzo e il giorno dopo esce con un altro».

«Be', sei un caso molto raro...».

«Ed è un male?».

«No. Ma ti ripeto Jules, non devi necessariamente raccontarmelo. Voglio dire... anche se fossi quel tipo di ragazza, quello che fai con altri uomini non sarebbe affar mio. Tu e io non stiamo insieme. Tu sei libera di frequentare altre persone, e io pure».

«Capisco. A me però non va di frequentare altre persone».

«Te lo ripeto Jules, non devi dirmelo. Possiamo parlare d'altro adesso?».

«Ok. Come vuoi» accettai imbarazzata. Quanto mi aveva detto mi aveva fatto male, molto più di quanto volessi ammettere con me stessa.

Arrivammo nel giro di dieci minuti circa in una zona periferica di New York che non conoscevo. Dean parcheggiò l'auto e mi chiese di scendere. Lo seguii ed entrammo insieme in un piccolo albergo. Non potevo credere a ciò che stava succedendo.

Quando Dean entrò, il piccolo omino della reception lo riconobbe subito e lo salutò: «Dottor Hockester. Quanto tempo...».

«Già. Come sta Frank?».

«Molto bene, grazie. Lei?».

«Bene».

«La signorina è con lei?» disse, notando forse che me ne stavo in disparte a guardarmi intorno.

«Sì» disse Dean fissandomi.

«Va bene. Allora le do la solita stanza?».

«Preferirei averne un'altra se non è un problema».

«No, assolutamente» disse prendendo delle chiavi e porgendole a Dean.

«Regoliamo i conti dopo?» chiese Dean.

«Come sempre. Vada a divertirsi» e gli fece un occhiolino, il che mi fece ribrezzo. Mi aveva portata lì come fossi un giocattolo con cui divertirsi. Come fossi una prostituta. Lo odiavo con tutta me stessa in quel momento.

Salimmo con l'ascensore e io non dissi una parola per tutto il tempo. Poi, quando arrivammo al piano, Dean uscì e io lo seguii. Camminammo per un lungo corridoio finché lui non trovò la camera giusta e l'aprì.

Entrammo dentro. La stanza era piccola ma accogliente. Era pulita e sarebbe stato bellissimo se fossimo stati due fidanzati in visita nella Grande Mela, ma io sapevo benissimo perché eravamo lì. Fare sesso con lui non mi era mai dispiaciuto, anzi... ma quella volta... era l'ultima cosa che avrei fatto. Rimasi per un po' in silenzio, poi Dean disse: «Ti piace?».

«È una bella stanza» e mi guardai intorno.

«Già!».

«Come mai non hai chiesto quella che prendi di solito?» chiesi diretta.

«Be'... credevo non sarebbe stato carino portarti dove l'avevo fatto con altre...».

«Quindi immagino che hai portato qui un sacco di donne».

«Non tantissime. Ma da quando vivo con Josh, la mia privacy è calata perciò... diciamo che a volte sono costretto ad affittare una stanza».

«Capisco! E come mai siamo qui adesso?» dissi voltandomi e guardandolo dritto negli occhi.

«Be'...» rise.

«È un modo per dirmi che non sono niente di speciale? Che... sono come tutte le altre?».

«Jules, perché non la smetti di farti tanti film in testa e cominci a prendere le cose per quelle che sono?».

«Davvero? E come dovrei prendere questo?».

«Jules io... avevo solo voglia di stare un po' con te... fuori dai soliti orari. E siccome casa mia è molto distante da dove lavoriamo, ho pensato che qui era più comodo. Tutto qui!».

«E se io non volessi stare qui?».

«Ce ne andremmo immediatamente».

«Sarò sincera, Dean... non mi piace stare qui con te... questo posto mi fa sentire come... una puttana che hai affittato per i tuoi sporchi piaceri».

«Jules, te l'ho già detto un milione di volte: non associare più quella parola a te!».

«Ma è così che mi hai fatto sentire... voglio dire... perché portarmi qui?».

«Te l'ho già spiegato perché siamo qui, Jules».

«Allora perché non dirmelo prima? Perché non chiedermelo? Dai così per scontato che io voglia venire a letto con te in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo?».

«No, certo che no».

«E allora perché non mi hai chiesto se mi andava di venire con te in un albergo, dove tra l'altro hai portato tutte le altre, per scopare?».

Dean rimase qualche secondo in silenzio, poi disse: «Sai una cosa? Hai ragione tu. Ho fatto male a portarti qui. Andiamo via» disse e aprì la porta. Lo seguii senza dire nulla. Prendemmo l'ascensore e quando fummo giù e ci avvicinammo al signore della reception, questi lo guardò stranito, come per dire "già fatto?".

Dean stava per parlare con lui, quando si rivolse a me deciso: «Aspettami fuori».

«Ma...».

«Ti ho detto: aspettami fuori» ripeté senza accettare repliche.

«Ok. Buona giornata» dissi rivolta al piccolo omino che ci guardava sbalorditi.

Quando Dean uscì, entrammo in auto e dopo poco decisi di parlare: «Vorrei pagare io la stanza!».

«Come?».

«Sì, visto che non ne hai potuto usufruire».

«Non se ne parla».

«Lasciami almeno contribuire. Posso darti la metà».

«Non ho mai lasciato pagare nulla a nessuna delle donne con cui sono stato, figuriamoci a te».

«Ma Dean...».

«Jules, non voglio ripetermi».

«Come vuoi. Tanto alla fine l'hai sempre vinta tu, non è vero?» sbottai infastidita.

«Ma si può sapere qual è il tuo problema?».

«Tu! Tu sei il mio problema».

«Grandioso».

«Se credi di potermi trattare come tratti tutte le altre ti sbagli di grosso» dissi alzando la voce.

«Davvero? Sentiamo... come ti tratterei?».

«Non sono un giocattolo che puoi usare quando più ti fa comodo e che magari butterai via quando ti sarai stancato, come hai fatto con quella donna... Angela» esclamai con rabbia, ma subito mi accorsi dell'errore commesso. Avevo davvero esagerato: «Dean... scusami non volevo...».

«Non dire più nulla Jules!».

«Mi dispiace, io...».

«Sta' zitta!» sussurrò calmo.

«Dean...».

«Sta' zitta!» urlò. Era fuori di sé.

«Ok» dissi con voce sommessa.

«Non dire più una parola. Sto già facendo un'enorme fatica a non lasciarti in mezzo alla strada e farti tornare al lavoro a piedi, perciò sta' zitta!» disse furioso.

«Se è un'enorme fatica puoi anche lasciarmi qui, me la caverò».

«Ti ho detto di stare zitta!».

«Bada a come parli, non sono la tua schiava!».

«Jules smettila!».

«Non puoi trattarmi così. Ti ho chiesto scusa, cos'altro dovrei fare?».

«Jules, basta!».

«Tu hai decisamente dei problemi! Lo sai, dovresti farti curare!».

«Ti prego...».

«E io più folle di te, che ancora ti vengo dietro...».

«Va bene, l'hai voluto tu» gridò e sterzò velocemente la macchina. Il brusco giro mi fece sbattere il braccio sul vetro e sentii dolore. Dean guidò velocemente fino a portare la macchina in un assurdo vicolo isolato. Non sapevo che significava e mi stavo preoccupando. Quando fermò l'auto, fece l'ultima cosa che mi sarei aspettata. Mi baciò. Con passione, desiderio, bisogno... ma anche con rabbia. Poi si sbottonò i pantaloni e io capii che non avrei avuto scampo.

Facemmo l'amore lì, in auto, in un assurdo vicolo isolato. Non ce ne importava nemmeno che qualcuno avrebbe potuto vederci, eravamo due folli.

Ma non me ne importava, la nostra relazione era folle... ma era la follia più bella di tutta la mia vita!

Dean era così... prendeva tutto quello che voleva, e la verità era che io non lo fermavo perché volevo esattamente la stessa cosa.

Quando quell'assurdo momento finí, Dean disse: «Non farmi mai più incazzare in quel modo!».

«E questa cos'era? Una punizione?».

«Una cosa del genere...».

«Be', allora forse dovrei farti incazzare più spesso...» dissi ironica e Dean scoppiò a ridere.

«Tu mi farai impazzire, Jules!».

«Tu lo fai già Dean» e lo guardai negli occhi. Rimanemmo così per qualche minuto, solo a osservarci, senza dire nulla, io ancora in braccio a lui, poi, dopo attimi interminabili, Dean disse: «Sarà meglio andare adesso».

«Ok» assentii ritornando al mio posto. Mi aggiustai la gonna e vidi Dean ricomporsi. Poi ripartì alla volta del Wayford.

Quando arrivammo e lui parcheggiò, avrei voluto dirgli tante cose, ma il mio pensiero tornò alla conversazione dell'andata, così gli chiesi: «Vedi qualcun'altra o mi dai ancora l'esclusiva?».

«Che?».

«Ti chiedevo se ti vedi con altre donne».

«No Jules!».

«È la verità?».

«Ma certo che è la verità!».

«E allora perché il discorso di prima?».

«Quale discorso?».

«Quando mi hai detto che siamo liberi di vedere chi vogliamo senza dover dar conto l'uno all'altra».

«Perché è così!».

«Se è così, perché non vai a letto con altre donne?».

«Perché... perché in questo momento non ne sento l'esigenza».

«In questo momento...» sottolineai.

«Perché da quando ti conosco non ne sento l'esigenza, va meglio così?».

«Guarda che non devi darmi un contentino!».

«Non lo sto facendo. Ti sto dicendo la verità!».

«E se le cose dovessero cambiare? Voglio dire... se dovessi avere l'esigenza di farlo con altre... me lo dirai?».

«Se è quello che vuoi, va bene...».

«È quello che voglio!».

«Comunque non succederà!».

«No?».

«Non potrei trovare nessuna migliore di te, Jules!» disse guardandomi.

«Ce ne sono milioni meglio di me» risposi fissando per terra, ma Dean prontamente mi prese il mento costringendomi a guardarlo.

«Smettila di sottovalutarti! Un mucchio di ragazzi ucciderebbero per stare al mio posto!».

«Se lo dici tu...» replicai con poca convinzione.

«Sì, lo dico io. E visto che in quanto a donne sono un esperto, non ti resta che credermi» sorrise.

«Va bene» e ricambiai il sorriso.

«Andiamo adesso, o faremo tardi» e uscimmo dall'auto. Poi, una volta nel Wayford prendemmo l'ascensore e, arrivati al piano, Dean mi salutò con un bacio. Fu bellissimo e non me lo sarei mai aspettata: «Ci sentiamo, Jules» disse accarezzandomi il viso.

«Ok» e lo guardai andare via. Poi tornai al lavoro, cercando di concentrarmi su di esso. Riuscii a farlo per un po', ma poi non feci altro che pensare a quanto successo quella giornata.

Dean mi aveva sconvolto la vita e, anche se forse lui non lo avrebbe mai ammesso, molto probabilmente anche io avevo sconvolto la sua!

* * *

Nella sua mente

Quando salii in ufficio, cercai di mettermi subito al lavoro. Ma non ci riuscii. Rimasi per circa mezz'ora a pensare a quanto successo con Jules.

Quella donna mi era entrata sotto la pelle, ormai ero completamente perduto. Pazzo di lei!

Non avrei mai potuto dirglielo, ma quando in auto mi aveva raccontato di quel suo collega che gli aveva chiesto di uscire, mi ero sentito folle di gelosia. Era ovvio che non avrei mai voluto che lei vedesse altri uomini, anche se con lei fingevo che non mi importava. In cuor mio sapevo che non avrei mai voluto vederla accanto a un altro. Mai!

Eppure era un'eventualità a cui mi sarei dovuto abituare. Prima o poi Jules si sarebbe stancata di me e di quell'assurda relazione di sesso. E quando sarebbe arrivato quel giorno, io sarei stato l'uomo più infelice del mondo...

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