Capitolo 19
Il mattino dopo mi svegliai di buon'ora per andare a correre. Quel giorno avrei attaccato più tardi al lavoro e volevo approfittare della bellissima giornata di sole che mi ero ritrovata davanti quando avevo aperto la finestra della mia stanza.
Mi vestii in fretta e salutai una Rachel appena alzata in procinto di fare colazione. Quando arrivai a Central Park erano appena le sette e mezzo e nel parco c'erano pochissime persone. Iniziai la mia corsa inebriandomi degli splendidi profumi di fiori e crogiolandomi col sole che quella mattina aveva deciso di regalarmi. Mentre correvo, sentivo il vento in faccia e questa sensazione, unita a quella del sole sulla mia pelle, mi faceva sentire in una bellissima atmosfera di pace. A un certo punto avvertii un forte rumore di clacson e mi voltai per vedere cosa fosse successo al di là della strada, ma la distrazione mi fece inciampare e capitolai a terra. Sbattei il ginocchio su una pietra e iniziai a sanguinare. Provai a rialzarmi ma mi ero slogata una caviglia. "Che sfiga", pensai! Mentre provavo a muovermi, guardando il mio povero ginocchio sanguinare, trovai una mano familiare che mi porgeva aiuto.
La afferrai e sentii la sua voce: «Jules, stai bene?».
«Dean?» dissi sorpresa. Che ci faceva lì? Poi lo guardai e notai che era anche lui in tenuta da corsa e capii che era lì per il mio stesso motivo.
«Stai sanguinando!» disse, facendomi sedere su una panchina.
«È una piccola ferita, non è niente...».
«Aspettami qui! Torno subito» disse allontanandosi. Lo guardai andare via. Di spalle o no, era stupendo. Aveva due spalle larghe e un corpo dannatamente perfetto. La tuta attillata risaltava ancora di più i suoi meravigliosi muscoli. Muscoli che avevo avuto il piacere di vedere dal vivo e soprattutto di toccare. Ricordai la sensazione della sera prima, lui dentro me, i nostri corpi che si muovevano all'unisono... Dio, quell'uomo mi stava facendo impazzire... avevo la sensazione che non mi bastava mai e che non mi sarebbe mai bastato.
Quando tornò aveva una bottiglietta d'acqua e dei fazzoletti in mano.
«Farà un po' male» mi spiegò, bagnando il tovagliolo. Poi me lo poggiò sulla ferita e io cacciai un gemito di dolore...
«Scusa» continuò.
«Grazie» dissi arrossendo. Quando mi guardava, mi sentivo di morire. Avremmo potuto fare l'amore altre cento volte ma sarebbe stato sempre così.
«Com'è successo?» disse. «Come sei caduta?».
«Ehm... mi sono distratta. Un rumore di clacson ha attirato la mia attenzione e ho smesso di guardare davanti a me...».
«Sei un po' troppo distratta Jules! Ti ho già salvata una volta da un pirata della strada... cerca di stare più attenta, ok?».
«Ok» dissi sorridendo «è che sono un po' maldestra... come mi muovo faccio guai» dissi ridendo.
«Sì. L'ho notato» e mi fissò. La pressione della sua mano su di me, me lo faceva desiderare ancora di più... mi sentivo di impazzire a un suo semplice tocco...
«Tieni fermo qui» disse spostando la mia mano sulla ferita. «Controllo la caviglia» e iniziò a slacciarmi la scarpa.
«No! Non c'è bisogno... davvero» dissi cercando di fermarlo.
«Sta' ferma! Fidati di me...».
«Ok» dissi placandomi. Iniziò a massaggiarmi la caviglia. La prese tra le mani e le fece fare dei movimenti circolari. Sembrava che sapesse esattamente come muoversi.
«È slogata! Dovresti tenere un po' il piede a riposo. Anche se dopo questo riuscirai almeno a camminare...».
«Non sapevo facessi anche il fisioterapista» affermai sorridendo.
«Sono stato nell'esercito! Ci hanno addestrato a rimediare a incidenti come questi. In guerra non puoi certo farti ammazzare per una caviglia slogata...».
«Sei stato in guerra?» chiesi sorpresa.
«No. Ma ti addestrano per l'eventualità di una missione...».
«Non lo sapevo... cioè, non sapevo fossi stato nell'esercito! Non so nulla di te, in realtà» dissi guardandolo.
«Meglio così» e continuò a massaggiarmi.
«Meglio così?».
«Meglio che tu non sappia niente!».
«Perché?».
«Te l'ho già detto il perché Jules! Non voglio che le persone mi conoscano».
«Lo so ma... se andiamo a letto insieme non credi che dovremmo sapere qualcosa l'uno dell'altro?».
«Jules... se avessi voluto raccontare qualcosa a tutte le donne con cui sono stato a letto, mezza New York conoscerebbe la mia storia!» disse e in qualche modo le sue parole mi ferirono. Mi aveva paragonata alle altre e io non volevo essere una delle tante che si era portato a letto, anche se molto probabilmente lo ero.
«Che c'è?» disse notando il mio turbamento
«Niente. Ahhh!» mi aveva toccato in un punto delicato e la sensazione di dolore mista a piacere mi aveva fatto gemere.
«Non farlo mai più» esclamò guardandomi dritto negli occhi.
«Fare cosa?» dissi stupita.
«Non gemere mai più in quel modo in un luogo in cui debba trattenermi... non posso scoparti nel bel mezzo di Central Park!».
«Oh!» la sua sfacciataggine mi colpì come uno schiaffo in faccia. «Scusa...».
«Scusa tu» disse, lasciandomi il piede. «Non volevo essere volgare...».
«Tranquillo» lo rassicurai, provando a rimettere la scarpa.
«Lascia, faccio io» sussurrò, prendendomi il piede. Quando fu sistemato, mi aiutò a rimettermi in piedi.
«Riesci a camminare?» chiese.
«Credo di sì» dissi, muovendomi piano.
«Dove hai la macchina?».
«Che?».
«La tua auto. Non credo tu sia venuta a piedi».
«No, ma in realtà ho preso la metro. Anzi, forse adesso è meglio che vada».
«Non se ne parla proprio. Ti riaccompagno io. Non puoi prendere la metro in queste condizioni».
«Guarda che sto bene. Ce la faccio a camminare».
«Insisto!».
«Dean... l'ultima volta che mi hai dato un passaggio abbiamo litigato di brutto. Vorrei evitare di rendere questa giornata ancor più uno schifo» spiegai sorridendo.
«Giuro che non aprirò bocca... Dai!».
«Va bene» dissi e c'incamminammo verso la sua auto. Quando arrivammo mi aiutò a salire e mi allacciò la cintura. Fu molto premuroso e io mi sentivo protetta accanto a lui. Poi salì dal lato guida e poggiò il telefono sul portaoggetti tra i nostri due sedili. Mise in moto la macchina e partì la musica. Erano i Guns N' Roses.
«Ti dà fastidio la musica?» mi domandò. «Così evito di parlare...» continuò ironico.
«No. Mi piacciono i Guns» e gli sorrisi.
«Sul serio?» chiese sorpreso.
«Sì!».
«Sai, se fossi un altro in questo momento ti chiederei di sposarmi» disse scoppiando a ridere. Risi anche io. Poi mentre la musica continuava a suonare, sentii una vibrazione. Era il suo telefono. Lui non se n'era accorto, preso com'era dalla musica e dalla strada. Guardai verso lo schermo. Era un messaggio. Il nome di una donna brillava su di esso: Mel. Lessi il testo: Sono appena tornata. Ti voglio. Chiamami. Quell'sms mi fece ingelosire. Sapevo di non poter avere nessuna pretesa su di lui, non stavamo insieme, eppure l'idea che frequentasse altre donne mi faceva impazzire. Quell'orribile sensazione mi fece dire una cosa stupida: «Quante altre ce ne sono?» domandai ad alta voce.
«Come scusa?» disse spegnendo la musica.
«Quante altre... con quante altre donne ti vedi? Cioè... vai a letto...».
«Perché mi chiedi una cosa del genere?».
«Io... non lo so... credo solo di essere curiosa, tutto qui...».
«In questo momento solo te, Jules».
«In questo momento?».
«Sì».
«Significa che domani le cose potrebbero cambiare?».
«Io... non lo so... senti, non ho voglia di parlare di questo».
«Invece credo che dovremmo farlo» dissi alterata. Ero fuori di me.
«Pensavo che non volessi litigare».
«Non sto litigando».
«Mi sembri infastidita però».
«Certo, perché tu non vuoi rispondere a nessuna delle mie domande».
«Ti ho risposto. Il vero problema è che forse a te non piace la risposta».
«Io... è che... ho solo bisogno di capire. Come devo comportarmi? Insomma, lo so che non stiamo insieme ma... se un ragazzo mi chiedesse di uscire, cosa dovrei fare?» non sapevo nemmeno io perché dicessi quelle idiozie. Non volevo nessuno a parte Dean.
«Quello che vuoi. Non stiamo insieme, non devi chiedermi il permesso!».
«E lo stesso farai tu? Se avrai voglia di vedere altre donne? Non me lo dirai?».
«Jules senti, questo discorso ci porterà a litigare e francamente non ne ho voglia, perciò chiudiamola qui».
«Non capisco perché vuoi venire a letto con me se puoi avere quante donne vuoi e in qualsiasi momento...».
«Perché... io non lo so, ok? So solo che in questo momento ho bisogno di te» pronunciò quelle parole tutte d'un fiato e poi notai che chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli. Probabilmente si era pentito di ciò che aveva detto.
«Chi è Mel?» dissi e appena le parole uscirono dalla mia bocca mi pentii di averglielo chiesto.
«Come?».
«Il tuo telefono. Prima ha vibrato. Non volevo guardare ma il testo è apparso sul display...».
«Dovresti farti gli affari tuoi Jules» affermò iniziando a correre più velocemente con l'auto.
«Ti ha scritto che è tornata e che ha voglia di te! Oh, si è anche raccomandata di richiamarla!».
«Non ha a che fare con te, chiaro? Quindi smettila di fare domande!».
«Hai detto che per adesso sono l'unica con cui... insomma...».
«Ed è così, infatti!».
«Ma io volevo solo sapere...».
«Jules, basta!» urlò
«Io... mi dispiace» sibilai mortificata. Iniziò a decelerare e accostò l'auto. Rimase per un attimo zitto, poi si passò di nuovo la mano tra i capelli e un secondo dopo si avventò su di me. Mi ritrovai con la sua lingua in bocca e ricambiai mio malgrado il bacio. Non sapevo perché si stesse comportando così, non lo capivo proprio... ma non m'importava. In quel momento volevo solo che continuasse a baciarmi senza fermarsi mai più. Quando lo fece, dissi: «E questo per cos'era?».
«Per ricordarti che nessuna è paragonabile a te, Jules. Quindi smettila di farti stupide paranoie!».
«Non sono paranoie. Volevo solo essere sicura che... di... insomma... non voglio che tu mi giudichi una troia».
«Che?» disse sbalordito. «Jules, non potrei mai pensare una cosa del genere di te! Come ti vengono in mente certe cose?».
«Io... vado a letto con un ragazzo che probabilmente si farà altre dieci o venti donne nel frattempo, e la cosa non mi impedisce di continuare a fare sesso con lui. Tu come giudichi una così?».
«Jules, inanzitutto non vado a letto con altre donne. E poi è molto più complicato di così... c'è qualcosa tra noi. Qualcosa che nessuno dei due riesce a controllare! Non sei una troia perché vai a letto con un ragazzo che ti piace... non accostare mai più quella parola alla tua persona, chiaro?» e mi rimproverò.
«Ok...».
«Dio Jules, mi fai uscire fuori di testa, come puoi pensare una cosa così di te? Tu sei la persona più pura che abbia mai conosciuto...».
«Sul serio?».
«Sì! Senti possiamo... possiamo smettere di parlare e tornare ad ascoltare la musica come stavamo facendo?».
«Va bene» dissi e lui riaccese la radio e riprese a guidare.
Quando arrivammo sotto casa mia, rispense la musica e uscì dall'auto, poi venne dal mio lato per aprirmi la portiera e aiutarmi a uscire. Quando fummo fuori, uno di fronte all'altro, gli saltai al collo e lo baciai.
Ricambiò il mio bacio e poi disse: «E questo per cos'era?».
«Per scusarmi. Non volevo essere pesante, né invadente...».
«Scuse accettate» disse allontanandosi da me. «Vuoi che ti accompagni di sopra?».
«Meglio di no! Rachel oggi ha il giorno libero e credo sia ancora su. Meglio che non vi incontriate».
«Giusto!».
«Grazie di tutto» dissi riconoscente.
«Sta' più attenta la prossima volta. Non sarò sempre dietro l'angolo a salvarti il culo» ironizzò.
«Ok» risi.
«Buona giornata Jules» e andò via.
«Anche a te» dissi e lo vidi mettersi in auto e sfrecciare lontano. Ogni volta che si allontanava da me mi mancava, mi mancava terribilmente...
Quel pomeriggio, al lavoro ero seduta alla mia scrivania con la caviglia che ancora mi doleva. Avevo evitato i tacchi e messo delle comode ballerine, ma il piede mi faceva ancora parecchio male, così chiesi al mio capo se potevo uscire qualche ora prima per andare a casa a riposarmi. Mi disse di sì e, quando tornai alla mia postazione per finire il lavoro, ricevetti una telefonata di Dean. Mi chiese come stavo con la caviglia e mi disse che quella sera suo fratello sarebbe andato ad un addio al celibato, e che quindi aveva casa libera. Ovviamente era un chiaro invito per... ma non mi importava! Lo volevo anche io.
Poi però aggiunse che avremmo cenato insieme e mi sentii stupidamente felice. Felice come una bambina.
Mi disse che sarebbe passato a prendermi lui per via della caviglia che ancora mi doleva un po'. Prendemmo appuntamento per le 20 e io non stavo nei panni dalla gioia.
La giornata aveva preso decisamente una piega migliore...
Quando rientrai a casa, trovai Rachel sul divano intenta a mangiare pop corn. Mi ritirai subito in stanza per prepararmi e mi feci carina, più del solito. Rachel mi chiese dove dovessi andare e io le mentii. Le dissi che mi sarei vista con Liz per lavoro. Chissà se mi avrebbe creduto.
Mentre aspettavo che Dean mi chiamasse per dirmi che era arrivato sotto casa, con Rachel che mi fissava guardinga, mi arrivò un messaggio. Era lui. Salutai in fretta la mia amica e uscii di casa.
Quando arrivai di sotto trovai l'auto di Dean parcheggiata proprio davanti casa. Entrai e lo salutai: «Ciao».
«Ciao. Come stai?».
«Bene».
«La caviglia come va?».
«Molto meglio».
«Ottimo. Andiamo?».
«Certo!».
Il viaggio fu silenzioso. Dean accese volutamente la radio per evitare di conversare e quando arrivammo sotto casa sua e parcheggiò, mi fece cenno di non muovermi perché sarebbe venuto lui ad aprirmi la portiera.
Quando salimmo da lui, mi prese il cappotto e lo poggiò su un attaccapanni all'ingresso. Poi cominciò ad apparecchiare e gli diedi una mano. Tutto questo mi faceva stare bene, mi faceva sentire 'normale', come se la nostra fosse una relazione come le altre.
«Ti piace il pollo?».
«Certo».
«E il curry?».
«Adoro il curry!».
«Benissimo. Il pollo al curry è la mia specialità!».
«Non credevo sapessi cucinare».
«Be', diciamo che ho dovuto imparare in fretta!».
«Capisco...».
«Mi metto al lavoro. Tu intanto siediti».
«Vuoi una mano?» chiesi.
«No. Sei mia ospite» disse sorridendo.
«Va bene, come vuoi...».
Dean si mise all'opera e quando fu tutto pronto mi portò un piatto di pollo al curry che aveva un aspetto super invitante. Addentai il primo boccone e pensai che fosse davvero delizioso.
«Com'è?» mi chiese.
«È buonissimo, Dean. Sei bravo a cucinare!».
«Ti ringrazio».
«Anche a me piace molto cucinare. Ma sono molto più brava coi dolci».
«Be', una volta di queste allora devi farmene uno».
«Quando vuoi» lo rassicurai felice. Continuammo a mangiare in silenzio e quando finimmo e sparecchiammo ci fu un attimo di imbarazzo tra noi. Come si passa da una cena a... voglio dire, magari per le altre coppie è tutto normale, tutto naturale. Insomma, il sesso non è una cosa che si programma. Ma tra noi era così visto che in pratica ci vedevamo solo per quello.
«Vuoi qualcos'altro?» disse Dean rompendo il ghiaccio.
«No, grazie, sono apposto».
«Ok ehm... allora...» mentre stava per parlare squillò il suo telefono. Un sms che lui lesse e a cui però non rispose.
«Non rispondi?» chiesi io.
«Non è nulla d'importante».
«È la donna di stamattina?».
«Chi?».
«Quella del messaggio...».
«Sì».
«E perché non le rispondi?».
«Ci siamo già sentiti stamattina, quindi non ho molto da dirle...».
«Ti ha chiesto di nuovo di vedervi?».
«Una cosa del genere...».
«E tu cosa le hai risposto?».
«Che sono impegnato col lavoro e che in questo momento non ho molto tempo libero...».
«Ed è la verità?».
«In parte...».
«In parte?».
«Jules, fai sempre così tante domande?».
«Scusa io... è che sono...».
«Curiosa, sì, l'ho notato...».
«Questa donna... come l'hai conosciuta?» continuai imperterrita, pur sapendo che lui non amava le domande.
«È la moglie del mio capo».
«Cosa?».
«Sì! Ti sconvolge?».
«No. Insomma... no, è solo che... non hai paura che lui vi scopra?».
«Stiamo sempre molto attenti!».
«Vi vedete spesso?».
«A volte sì e a volte no... dipende...».
«Da cosa?».
«Dai nostri impegni. Senti, possiamo smettere di parlare?».
«Non hai paura di perdere il lavoro?» domandai come se lui non avesse parlato affatto.
«Te l'ho detto Jules, sto attento. Non sono così stupido da perdere il lavoro per una cosa del genere».
«Scusa... il tuo capo quanti anni ha?».
«Sessanta».
«E questa donna ha...».
«Non ha sessant'anni» disse ridendo. «Quarantatré, ha quarantatré anni».
«È comunque molto più grande di te...».
«Vero».
«Quindi ti piacciono le donne più grandi?».
«A chi non piacciono, Jules...».
«Non lo so. Credevo che... insomma, in genere più si va avanti con l'età, più gli uomini cercano donne giovani...».
«Sì, è vero, ma io non ho settant'anni».
«E questa donna... lei è...molto esperta immagino».
«Esatto».
«E quindi immagino che... farlo con una donna esperta sia molto più eccitante per un uomo che farlo con una come me...».
«Jules, smettila di paragonarti alle altre».
«Io non mi paragono, è solo che... non so davvero come io posso competere con tutto questo».
«Non devi competere con niente. In questo momento siamo io e te. Ora voglio te e nessun'altra» disse avvicinandosi.
«Lo capisco. Davvero. Voglio dire, capisco che è così, ma non capisco il perché...».
«Jules... non sempre c'è un perché a tutto».
«No?».
«No. Sai, credo che per stasera abbiamo parlato anche troppo. Sai che non amo parlare, inoltre non sono un abile oratore ma... posso darti molte altre cose se me lo consenti» e iniziò ad accarezzarmi.
«Credevo che tutto quello che c'era da provare col sesso me lo avessi mostrato ieri sera».
«Jules» disse sorridendo «quello che hai provato ieri è solo il dieci per cento di quello che posso darti...».
«Sì?» chiesi un po' spaventata.
«Sì. Non aver paura» fece accarezzandomi «vieni, andiamo di là» e mi prese per mano. Mi portò nella sua stanza e quando fummo lì mi saltò addosso baciandomi con una voracità senza pari:
«Ti voglio».
«Anche io ti voglio» risposi e lui continuò a baciarmi con una foga e una passione incredibili.
Dean mi prese in braccio e mi appoggiò al muro. Continuò a baciarmi con foga finchè non smise e fece l'amore con me in un modo incredibile.
Durò un tempo interminabile e alla fine mi chiese se mi fosse piaciuto. Piaciuto ? La sensazione di "piacere" non avrebbe potuto esprimere come mi sentivo in quel momento ma risposi semplicemente di sì.
«Sono contento ti sia piaciuto» disse sorridendo.
«E a te è piaciuto?» chiesi guardandolo.
«Ma certo che mi è piaciuto. Mi piace sempre con te» disse accarezzandomi il viso. Chiusi gli occhi al suo tocco e accettai volentieri la carezza. «Ora vado un attimo in bagno. Tu rivestiti, ok?».
«Ok» dissi guardandolo andar via. Quando fui sola, raccolsi le mie cose e mi rivestii. Infilando gli stivali notai che accanto al letto c'era un mobiletto basso dove Dean aveva una fotografia di quand'era piccolo. Aveva i capelli biondissimi, era sulla neve con uno slittino in mano mentre l'altra era intrecciata a una donna, bionda anche lei, coi suoi stessi bellissimi occhi verdi. Era la medesima donna della fotografia del corridoio che vidi l'ultima volta che ero stata qui. Era di sicuro sua madre, guardandola bene la somiglianza era impressionante. Presi la cornice tra le mani e osservai quel bambino spensierato e felice. Pensai che non l'avevo mai visto così, e che probabilmente non lo avrei mai visto così. Ancora con la foto tra le mani, sentii dei passi e capii che Dean era rientrato nella stanza, così la rimisi a posto.
«Giuro che stavolta non te la rompo» dissi ironica per smorzare l'imbarazzo.
«Ti piacciono le fotografie, vero Jules?».
«Molto. E a quanto pare anche a te, visto che ne hai parecchie in giro per casa...».
«Sono solo ricordi...».
«Ricordi che ti piace avere sempre sotto mano, però...».
«Quando non hai più niente, il ricordo è l'unica cosa che ti resta» disse sedendosi sul letto.
«Lei è... morta?».
«Sì. Molti anni fa» spiegò con lo sguardo triste.
«Mi spiace. Posso chiederti com'è successo?».
«Un cancro. Ad ogni modo è stato tanto tempo fa...».
«Capisco! Quanti anni avevi?».
«Io 10 e Josh 8. Lui ha... sofferto parecchio di più di me...».
«Perché dici così?».
«Lui era più piccolo, doveva godersi la madre un po' più di me...».
«Anche tu eri un bambino...».
«Già, ma ero... ero più forte di lui».
«E vostro padre?».
«Nostro padre?» disse sorridendo. «Nostro padre ci ha abbandonato sei mesi dopo la morte della mamma. Siamo andati in affido prima a una zia, poi quando avevo 16 anni si è ammalata anche lei e noi, siamo stati affidati al fratello di mio padre. Lui aveva un lavoro particolare, in pratica non c'era quasi mai. Però io avevo 16 anni, così chiesi al giudice di potermi occupare di mio fratello, e ottenni la possibilità di vivere soli. Mio zio veniva quando poteva, ma ci ha sempre sostenuti economicamente. È grazie a lui se io e Josh abbiamo potuto studiare e andare all'università».
«Non dev'essere stato facile per te...».
«No ma... mi ha aiutato a essere più forte».
«Così hai... imparato a cucinare quando tu e Josh siete rimasti soli?».
«Sì. Non potevamo mangiare sempre al fast food, per cui...».
«Lo zio di cui parlavi... dov'è adesso?».
«È morto un anno fa in un incidente d'auto».
«Dio, mi dispiace...».
«Cose che capitano» disse triste.
«E tua zia? Che fine ha fatto quando tu e Josh siete andati via? Insomma anche lei è...».
«No. Sta bene. Si è curata. Una sua parente l'ha ospitata per un po' ed è guarita. Adesso vive in Australia da una amica».
«Quindi sta bene?».
«Sì, sta bene!».
«La vedi ancora?».
«È un bel po' che non ci vediamo. Ci manteniamo in contatto comunque...».
«Sono contenta che tu abbia ancora qualcuno...».
«Qualcuno? La zia Mindy non chiama quasi mai se non lo facciamo noi. Non viene mai a trovarci e quando chiama lo fa solo per chiederci se ci siamo sposati e abbiamo fatto dei figli».
«Perché?».
«Dice che lascerà loro la sua eredità. Non che sia molto, comunque... quando Josh si deciderà a darci dentro sarà buon per lui!».
«Tu non vuoi dei figli?».
«Ehm... no» affermò scuotendo la testa.
«Perché?».
«Te l'ho detto Jules, non sono fatto per certe cose. La vita che conduce mio fratello è... bella, ma non fa per me. Io devo rimanere solo...».
«Non credi che prima o poi potresti cambiare opinione? Voglio dire, non credo durerà per sempre questa tua... idea».
«Invece si. È cosi che ho scelto di vivere la mia vita ed è così che sarà».
«Capito».
«Forza, ti riaccompagno a casa» fece, alzandosi dal letto.
«Va bene» dissi io. «Posso prima utilizzare il bagno per favore?».
«Certo, fa' con calma» e mi indicò la porta del bagno. Quando uscii lo trovai in salotto. Aveva già preso il mio cappotto e si stava infilando il suo. Andammo via e quando fummo giù e salimmo in macchina fu nuovamente silenzioso. Dean era così strano, non riuscivo proprio a decifrarlo. Prima faceva l'amore con me come se non avesse bisogno d'altro nella sua vita, poi mi raccontava del suo passato rispondendo alle mie domande e improvvisamente si zittiva come a voler mettere un muro.
Quando arrivammo sotto casa mia, mi slacciai la cintura e dopo un attimo di silenzio dissi: «Grazie per stasera. Per tutto. Per la cena, per... e anche per avermi raccontato un po' di te».
«È la prima volta che lo faccio. Voglio dire... è la prima volta che ne parlo con una ragazza».
«E questo, come ti ha fatto sentire?».
«Non lo so. Vulnerabile, credo...».
«Dean. Non devi... insomma, con me puoi parlare di tutto».
«Sì, ma non voglio» affermò fissando il vuoto. «Ti richiamo ok?» disse sempre senza guardarmi ed ebbi l'impressione che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto. Probabilmente non mi avrebbe richiamata e sarebbe andato da quella donna... Mel!
«Lo farai?» chiesi.
«Sì» mi rassicurò, sempre senza guardarmi. «Buonanotte, Jules».
«Buonanotte, Dean» e andai via. Temevo davvero che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrei visto. Non volevo, non volevo perderlo. Dean era entrato nella mia vita come un fulmine a ciel sereno e, in un modo che non comprendevo, sentivo che era parte di me e che lo sarebbe sempre stato.
* * *
Nella sua mente
Quando la lasciai sotto casa sfrecciai via per cercare di allontanarmi il più possibile da lei e da come mi faceva sentire. Non avevo raccontato a nessuna donna del mio passato, di mia madre... solo lei sapeva... ed ero stato io a dirglielo. Perché? Non avrei dovuto. Non dovevo lasciarmi coinvolgere. E più stavo in sua compagnia, più ci facevo l'amore e più mi sentivo coinvolto. Mi importava di lei come non mi era mai importato di nessuna. Avrei voluto tanto dimenticarla, comportarmi come se non esistesse, ma non ci riuscivo. Jules era l'unica cosa che volevo nella mia vita da un po' di tempo a questa parte. Averla mi faceva sentire bene e per la prima volta nella mia vita... non mi sentivo più così solo!
SPAZIO SONGS:
Nella card di Jules Clarity di Foxes.
Traduzione ( Perché se il nostro amore è una tragedia sei tu il mio rimedio?).
Nella card di Dean Iris dei Goo Goo Dolls
Traduzione ( E io non voglio che il mondo mi veda perché non penso che la gente capirebbe.
Quando tutto è stato fatto per essere distrutto
io voglio solo che tu sappia chi sono ).
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